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La plebe, parte III

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Per fortuna, egli si diceva essere vicinissimo lo scoppio della preparata lotta; due giorni ancora e la maschera sarebbe gettata; dicesse poi quel che volesse il mondo, egli apparirebbe addosso a lui angelo dell'esterminio. Però molto gl'increbbe la fatalità che quel giorno non lo lasciava accontarsi con Mario, il quale certo aveva comunicazioni da fargli a questo riguardo; e poichè non c'era per allora modo di rimediarvi, decise recarsi finalmente a trovare la povera Ester ricoverata, come sappiamo, in Cafarnao.

Gian-Luigi fu sollecito alla sua casetta del viale da cui, pel sotterraneo passaggio, si comunicava col segreto ridotto della cocca. Colà, sdraiato sul sofà dell'anticamera, trovò Graffigna che si apparecchiava a riposar tranquillo in quel locale ch'egli era incaricato di tener caldo e in ordine.

– Che fai tu qui? domandò brusco il medichino.

– Son venuto a dormire, rispose il mariuolo: la signorina costà sotto, quando fui a recarle da cena, mi ha intimato di lasciarvela sola ad aspettare Vossignoria, e non ho voluto contravvenire ai suoi ordini.

– Tu hai fatto come t'avevo ordinato?

– Signor sì. Fui prima da Baciccia, poi da Pelone e a tuttidue comunicai le volontà di Vossignoria; da questo ultimo furfante d'oste che il diavolo faccia abbrustolire, nostro degno socio ed amico, mi provvidi d'un po' di ben di Dio da mangiare… siccome si trattava d'una donnetta ho preso qualche cosa di delicato… un salsicciotto all'aglio, dei peperoni in aceto, un po' di lodigiano, quattro nespole e mezza dozzina di noci… ed ho portato il tutto con mezzo litro di barbèra alla nostra principessa schifiltosa, che le possa venire il mal dei pondi, la quale mi ha fatto il bel complimento di levarmele dinanzi e di non andarla a seccar più.

– Di modo che nessuno ha potuto penetrar colà a vederla?

– Signor no.

– Sta bene… E di Barnaba hai tu sentito qualche cosa?

– Niente ancora. E Lei?

– Nemmen io… Ora dà retta, Graffigna.

– Comandi.

– Ci abbiamo quella ultima serie di biglietti di Banca francesi.

– Sono belli e preparati a spedirsi pei soliti modi ai nostri soliti corrispondenti di là dei monti.

– Ebbene bisogna sospenderne per ora la spedizione. Ho appreso che la Francia ha scoperto fabbricarsi essi nel nostro paese, e chiamata su di ciò l'attenzione della Polizia di qui. Si hanno tutti gli occhi aperti, ed è prudenza lasciar di nuovo addormentarsi la mala bestia.

– È giusto… Conviene d'altronde riserbarci questa rivalsa, per ogni caso d'infelice riuscita del nostro colpo… Dico così perchè è prudenza prevedere anche il peggio; ma non è già ch'io creda ad uno scacco. Tutto anzi mi pare avviato il meglio del mondo. Questa sera ho insaccato coloro che le ho detto mi premevan di più. L'affare cammina colle corde insaponate. Domenica sera, le assicuro io che vorrà essere un bel giuoco da rallegrare il fistolo in persona.

– E se siamo schiacciati?

– Allora gambe aiuto: scompariamo per un poco dalla scena, e con quel tanto che ad ogni modo potremo pure arraffare, andiamo momentaneamente a beare della nostra industria altre terre più benigne, per tornar poi, ad acque chete, a riprender qui l'opera nostra.

Il medichino fece, sorridendo, un atto di assentimento, e senz'altre parole penetrò nel nascosto passaggio, a capo il quale era il Cafarnao.

Giuntovi, al fioco lume della lampada che pendeva dal mezzo della vôlta, scorse una donna, la quale appoggiati i gomiti alla tavola, nascosta la faccia tra le palme, appariva immersa in una profonda meditazione di dolorosi pensieri; le si accostò egli con passo affrettato esclamando: – Ester!

La donna si riscosse in sussulto, levò vivamente la faccia, quindi si drizzò in piedi, agitata da un tremito la persona, mandò un'esclamazione, i suoi occhi balenarono, e Gian-Luigi si vide dinanzi concitata e fremente la Maddalena.

Dallo stupore il medichino indietrò d'un passo.

– Tu! diss'egli. Sei tu qui?.. Ed Ester? Dov'è? che ne hai tu fatto?

– Che ne ho fatto? rispose la fanciulla con un compresso furore: qui è mia casa, qui è mio regno, qui tu devi essere e ti voglio unicamente mio… Come aveva ella osato penetrare fin qua la sciagurata?.. La scacciai, come si scaccia un'intrusa.

Nelle scure pupille del medichino balenò terribile il lampo dell'ira.

– Tu hai osato codesto?

La donna con una forza ed un coraggio che solo poteva darle l'impeto della sua gelosia feroce, stette impavida innanzi a quella tremenda espressione dell'ira di lui.

– L'ho osato: rispose ella fermamente.

– Tu hai disobbedito ai miei ordini, e non sai tu che da nessuno tollero questa colpa?

– Fa di me quello che vuoi; ma io neppure non tollererò mai di vedermi qui sotto gli occhi una rivale.

E la disgraziata digrignava i denti con un aspetto di ferocia da far paura. Egli la fissava sempre con quello sguardo che era più di qualsiasi parola una tremenda minaccia e sulla sua fronte s'incavava sempre più la ruga che era indizio in lui dei sanguinosi propositi dell'ira. Quelle due collere, quelle due ferocie stavano a fronte sfidandosi, quasi insultandosi ed incitandosi a vicenda.

– Che hai tu fatto di quella donna? ripetè Gian-Luigi accostandosi d'un passo alla Maddalena.

E questa sempre colla medesima fierezza di risoluzione:

– Le ho detto ciò che le conveniva: che la era una sgualdrina e peggio; la presi per un braccio… benedica il suo angelo custode s'io non l'ho strozzata colle mie mani… la trascinai fino fuori della bottega di Baciccia, la buttai là sulla neve, e faccia la Madonna della Consolata che ella sia basita di freddo come una infame ed una maledetta che essa è…

A Gian-Luigi in quel punto venne ad affacciarsi un pungente ricordo: che la povera Ester era madre. Si ricordò che il giorno innanzi, in quel luogo medesimo egli ne aveva letto il primo annunzio nel biglietto scrittogli dall'infelice, e tutti quei pensieri, tutte quelle sensazioni che aveva avute in quel momento gli tornarono in folla e ad un tratto nella mente e nell'animo. Pensò alla povera madre abbandonata sulla neve in una notte invernale, ed alla creatura innocente ch'ella portava nel seno – e quella creatura era sua!..

– Disgraziata! ruggì egli levando in un parosismo d'ira la mano e percotendo la Maddalena alla faccia; è il tuo mal genio che ti ha ispirata.

La ragazza non mandò neppure una voce, ma cadde traverso la tavola, a cui era vicina, come erba recisa dal ferro del falciatore.

Per conoscere divisatamente in che modo la figliuola del rigattiere ebreo forse fuggita all'ira di suo padre per cadere in preda alla gelosia di Maddalena, rifacciamoci alla sera innanzi, quando Jacob Arom, chiusa in istanza sua figlia, nella cantina la fante, era uscito di casa per recarsi alla importante conventicola della cocca.

CAPITOLO XXIII

Ester, lasciata sola da suo padre, era rimasta come sbalordita per un poco, senza quasi saper nemmeno d'essere in vita. Sentiva che tutto era finito per lei, che l'odio paterno mai più non le avrebbe perdonato, che la miglior sorte da augurarsi era quella di morir presto; poi un più acuto spasimo ricresceva in mezzo al suo tormento a lacerarle con più fiero artiglio il cuore indolorito: il pensiero che Luigi era infedele, ch'egli adunque nelle sue parole, nelle sue proteste, nei suoi giuramenti l'aveva ingannata. A quest'idea il suo abbattimento era interrotto da una vicenda di violenza nel soffrire, quasi di furore. Sentiva il capo tumultuarle come se la pazzia stesse per invaderle il cervello; aveva delle fiere smanie di vendetta; poi tornava nella primiera prostrazione e si diceva per ogni riguardo irrimediabilmente perduta, non esservi per lei altro più che abbandonarsi rassegnatamente alla corrente che la travolgeva. Suo padre l'avrebbe uccisa, ella se ne sentiva la paurosa certezza. Oh almeno non fosse stata troppo lenta a venire la morte!

Ma ad un tratto il pensiero della fine divenne per lei più spaventoso d'ogni altro, le divenne insopportabile. Qualche cosa erasi mosso nel suo seno che l'ammoniva esser ella, dover essere, per un duplice vincolo, per quello sacrosanto d'un infrangibile dovere, per quello d'una novella vita d'uno spirito mandato da Dio alle prove terrene, costretta alla esistenza, obbligata a difendere e salvare in ogni modo la sua. Non volle più a niun patto morire. E poi voleva ancora una volta veder Luigi, rimproverargli il suo tradimento infame, confonderlo.. Che cosa avrebbe dettogli e fatto non sapeva bene ancora. Si levò di dove stava accasciata con nuovo vigore; si slanciò contro la porta e volle colle sue deboli mani delicate staccarne i cardini, infrangerne la serratura, strapparne colle unghie le bandelle; la percosse, la urlò, si mise a gridare: «aiuto, accorr'uomo,» si fece sanguinose le dita, si fece rauca la voce nella gola, e tutto inutilmente. Si diede a girare per quella piccola stanza come belva in gabbia, stringendosi colle mani convulse la fronte, domandando invano al suo cervello una idea.

Di botto s'arrestò innanzi alla finestra. L'idea più semplice che poteva nascerle erasele affacciata: quella di salvarsi scendendo di là. Corse alla finestra e ne aprì con impeto le invetrate. Sappiamo già ch'ella guardava in un cortile interno del ghetto diverso da quello dov'era la porta da basso. In quella notte buia, quantunque fosse poca l'altezza di quel piano, il cortile, a chi si sporgesse a guardarci, appariva profondo come un abisso. Si ritrasse spaventata a tutta prima; ma il pericolo del rimanere le sembrava ben maggiore di quello; chiamò in soccorso tutta la sua energia, prese le lenzuola del suo letto, le congiunse, legatone un capo alla tavola, le fece pendere giù della finestra, ed aggrappatavisi colle mani, si lasciò scivolar giù.

 

Precipitò tramortita sul suolo, dove per sua fortuna la neve caduta e l'immondizia rammontatavi smorzarono il colpo. Dopo un istante la si riebbe. Levatasi in fretta, cercò uscire di là; ma non una luce era a guidarla, e tutto era silenzioso intorno come una tomba. Ella, poco pratica di quei tragitti, passò di cortiluccio in cortiluccio senza trovare anima viva a cui domandare la strada; ed avesse ben anco trovato qualcheduno, la si sarebbe piuttosto nascosta che osare accostarlo. Girò, girò tanto che pervenne ad un portone d'uscita; ma a quell'ora esso era chiuso, ed ella non aveva il coraggio di farselo aprire, e non sapeva manco da cui. Si appiattò in un angolo, tremante di paura, di freddo, di febbre, spaventata all'idea che suo padre, rientrando in casa e non trovandocela, si desse a cercarla e la scoprisse colà; ma Jacob, che abbiamo visto uscire alle dodici dalla taverna di Pelone, quella notte non si ridusse nel ghetto, e ne sapremo più tardi il perchè.

Che dolorosa notte di morali e fisici patimenti fosse quella per la infelice ve lo lascio pensare. Giunto finalmente il mattino, che parve ritardasse un'eternità a venire, ella intirizzita, tutto dolente e intormentita, confusa la testa, vacillante il corpo, s'affrettò ad abbandonare il ghetto, e le parve una gran fortuna codesta, e quanto più potè sollecita se ne allontanò. Non aveva altro scopo dapprima che quello: andar lontano di là; ma poi tornò più vivo e più intenso il desiderio, il bisogno di recarsi presso di lui, di vedere Luigi, non fosse che per gettargli in faccia la maledizione per la sua infamia.

Dove dirigersi ella non sapeva menomamente: andò come una mosca senza capo qua e là guardando ansiosamente dintorno, come se in ogni passeggiero avesse da riconoscere lui, come se in ogni cosa che l'attorniasse avesse da scoprire un indizio a guidarla. Debole ed affranta dal digiuno, dalla tremenda passione morale, dalla dura notte passata, sentiva mancarsi le forze oramai; ogni oggetto le girava dattorno; credeva da un momento all'altro dover cadere, fors'anco morta.

– Oh prima di morire voglio ancora vederlo. si disse ridestando in sè con uno sforzo della volontà tutta l'energia che ancora le rimaneva.

Ebbe il coraggio di rivolgersi ai passeggeri e pregarli le insegnassero l'abitazione del dottor Quercia. Alcuni le ridevano in faccia, altri crollavan le spalle e tiravan dritto; i più la prendevano per pazza e peggio. Finalmente una guardia municipale n'ebbe compassione.

– Venite meco, le disse, vi condurrò al Vicariato, e colà potranno certamente indicarvi quel che cercate.

Ester seguì la guardia, e dietro loro s'avviò, come sempre suole, una frotta di monelli e di sfaccendati che scambiavano quella povera fanciulla per ben altro da ciò ch'ella era, e la venivano accompagnando di sciagurati motteggi. Ma la infelice non badava più a nulla, più non si dava pensiero di nulla; e il solo suo spavento era quello di trovare per istrada suo padre uso a girovagare per ragione del suo mestiere. Ciò non le avvenne; condotta innanzi ad un impiegato della Polizia municipale, che allora chiamavasi Vicariato, ella alle fattele interrogazioni rispose, assumendo il nome della sua fante, chiamarsi Debora V… esser giunta da una città di provincia, non esser pratica di Torino, ed aver sommo, urgente bisogno di parlare al dottor Quercia.

Nell'essere menata da quell'impiegato Ester ebbe due fortune: una di trovare un discreto che non la fece aspettare in anticamera più di mezz'ora, che non la trattò villanamente, benchè avesse le apparenze di povera e si confessasse ebrea, che non la seccò di domande insistenti e superflue per soddisfare la sua curiosità; l'altra fortuna fu che quel medesimo impiegato conosceva appunto l'indirizzo dell'abitazione di Quercia.

Di questo modo adunque potè essa alla fine pervenire alla dimora di Luigi; ma colà trovava la desolante risposta di Varullo, che il padrone era fuori e non si sapeva quando sarebbe rientrato. Ester pregò perchè la si lasciasse aspettarlo; e il domestico, dopo alcune difficoltà, indottovi dalla bellezza della ragazza ed anco da un po' di compassione che gli avevan desta le supplicazioni e l'aspetto quasi disperato di lei, aveva finito per acconsentire. Più tardi era sopraggiunto Graffigna, il quale sappiamo che era conosciuto dalla giovane ed era informato della tresca fra lei e il medichino. Egli pensò che questi avrebbe a grado se gli avesse tolto dal suo alloggio la presenza della giovane ebrea, e inteso in poche parole da lei come e perchè fosse fuggita dal padre, e quindi come in ghetto non fosse possibile farla ritornare, non sapendo dove ricoverarla altrimenti, pensò condurla in Cafarnao, e giovandosi dell'autorità del nome di Luigi e del volere di lui, tanto seppe fare che indusse la giovane a seguirvelo.

Ricevuti dal medichino gli ordini che abbiamo udito dargli noi stessi, Graffigna erasi affrettato ad andare alla bettola di Pelone, dove aveva trasmesso nelle orecchie dell'oste il comando del capo, da comunicarsi a chi si doveva: nessuno osasse penetrare in Cafarnao, finchè un nuovo cenno tornasse a permetterlo; poi si era munito di alcune provvigioni da bocca, ed era trottato da Baciccia per ripetere colà l'avuta consegna ed introdursi nel sotterraneo, mentre nell'osteria di Pelone, secondo era stato deciso la sera innanzi, s'era distrutta la molla che faceva aprire l'usciòlo segreto nell'assito, s'era con lastre di ferro inchiodato l'usciòlo medesimo, e dietrovi otturato il passaggio con una muratura di oltre cinquanta centimetri.

Maddalena che non aveva udito la comunicazione di Graffigna e che dalla sua condizione di druda del medichino aveva il privilegio di potersi introdurre in Cafarnao senza chiederne licenza e senza manco farlo sapere a Pelone, tentava poco dopo aprire il passaggio segreto della stanza riposta e trovava sparito perfino il segno dove conveniva premere la molla; ricorreva all'oste meravigliata, domandandone spiegazione, e il bravo bettoliere che non ne sapeva meglio di lei non aveva altro da rispondere che con un uguale stupore. Qui venne il caso di raccontare alla giovane della commissione di Graffigna, e delle provvisioni da costui prese per una misteriosa abitatrice, come s'era lasciato scappar detto, del sotterraneo. La curiosità in Maddalena sorse immensa di botto, ma nacque ancora maggiore la gelosia. Certo si trattava d'una rivale. Ella voleva vederla; il pensiero che una donna era colà, dov'essa ancora la notte innanzi s'era trovata con lui, e stava aspettandolo, e forse già ne godeva la compagnia, questo pensiero, a quella violenta quasi selvaggia natura, era insopportabile. Uscì correndo della bettola, e fu in pochi minuti alla bottega di Baciccia. Colà affermò che essa veniva d'ordine preciso del medichino: ch'ella da parte di lui aveva qualche cosa da dire a quella donna che era stata lì dentro condotta. Baciccia credette e la lasciò passare.

Ester da parecchie ore stava aspettando, e la sua ansietà, una vaga paura venivano in lei accrescendosi sempre più. L'oscurità di quel luogo in cui la si trovava, le cose che in esso poteva scorgere al fioco chiarore di quell'unica lampada non erano acconcie a rassicurare ed invigorire la pover'anima della infelice abbattuta da tanto fisico e morale patimento. Eterno le sembrava il tempo a trascorrere, e via via si facevano strada nell'anima sua i più strani sospetti. Se Luigi era stato capace di tradirla, ella doveva crederlo capace di qualunque scelleraggine. Graffigna non era egli un cieco e devoto strumento di lui? Conducendola in quel sotterraneo luogo dov'ella era segregata da tutto il resto del mondo, non obbediva forse ai cenni dell'infedele e traditore amante, lieto di sbarazzarsi di lei? Non era ella fuggita alla ferocia dell'ira paterna che per cadere in potere alla crudeltà dell'amante voglioso di liberarsi d'ogni fastidio?

Mentre essa era nel peggio di questi tormentosi pensieri, la sentì vicino a sè un fruscio, un suono di passi, un soffio di respiro affannato, e levò gli occhi con un sussulto quasi di sgomento: innanzi si vide lo sguardo acceso d'odio, la faccia improntata di furore, le labbra dall'ira contratte d'una donna fieramente minacciosa.

Ester si alzò spaventata e si trasse indietro d'un passo. Maddalena avanzò il capo verso di lei, allungando il collo, guardandola sempre con ghigno feroce ma in silenzio, esaminandone con indagine maligna le sembianze, affondandole negli occhi i suoi acuti come lame di pugnale, tenendola sotto il fascino dello sguardo come fa la tigre alla sua preda prima di slanciarsele addosso a sbranarla.

– Chi siete?.. Che volete? domandò alla fine Ester tremante.

– Ah! voi lo domandate a me? ruggì Maddalena afferrandola ad un braccio e stringendola come con una morsa di ferro. Gli è voi che dovete rispondere a me… Che cosa siete venuta a far qui?.. Che audacia è la vostra d'introdurvi qui, di ardire sfidare ed affrontare la mia collera, il mio furore?

Ester liberò a gran pena il braccio dalla stretta della donna furibonda e traendosi indietro esclamò sempre più spaventata:

– Lasciatemi… Voi mi fate male… Io non vi conosco, voi; io non vi ho fatto nulla a voi.

– Ah! non mi avete fallo nulla?.. Sciagurata!.. Voi venite fin qui a contendermi il mio Luigi.

La figliuola di Jacob, a queste parole, si riscosse: levò più fieramente il capo e osò guardare con fermezza la donna in cui capiva ora d'avere una rivale.

– Il vostro Luigi! esclamò ella con una potente, oltraggiosa ironia.

E la Maddalena scoppiando:

– Sì mio, più che vostro di certo, perchè io ho dato a lui tutto di me, anche la coscienza, anche la vita futura, ed egli mi ha aperto più che la sua anima, i suoi segreti… Mio qui soprattutto dove abbiamo passate insieme ore di paradiso… e dove non lascierò, per Dio! non lascierò mai che un'altra venga a disputarmelo.

Ester provò profondissimo il dolore, ma più profonda ancora la vergogna. Essa lo amava tanto, essa lo aveva amato tanto quell'uomo, a cui aveva sacrificato il suo onore, la sua intiera esistenza; ed egli la tradiva così infamemente! Le parole dettegli dal padre avevano la più piena conferma. Non bastava adunque ch'e' si spergiurasse nelle braccia d'una contessa; doveva eziandio ingannarla per costei cui l'aspetto, il vestire, il linguaggio dicevano a quale schiera d'infelici creature appartenesse. La povera tradita mandò un'esclamazione soffocata, curvò la testa e si coprì colle mani la faccia.

– Fate bene a vergognarvi: continuava Maddalena, che la vostra è davvero una impudente sfacciataggine… E non so proprio indovinare che cosa in voi abbia potuto piacergli…

La giovane ebrea stette immobile, colla faccia nascosta. La sua vergogna, la sua umiliazione erano tante che ogni forza era smarrita in lei; non era più capace nè di pensare, nè di volere, nè di desiderare nulla al mondo.

Maddalena continuava:

– Ch'egli fuori di qua faccia tutto quello che più gli talenta, pazienza, lo tollero, glie la perdono… Sì: l'amo talmente da perdonargli ogni cosa… Qui dentro, però, voglio esser sola e padrona: questi luoghi che hanno veduto i nostri amplessi non debbono vederne altri, per Dio!.. A questo solo pensiero, mi sento qui qualche cosa che mi fa perdere la ragione… sono sempre statagli sottomessa come un cane… un povero cane che per una carezza dimentica ogni torto ed ogni battitura, ma ora… al veder voi qui… mi sento diventare una tigre… Sono capace di tutto, sapete! Sono capace di tutto.

E s'avanzò vieppiù verso Ester con volto illuminato davvero dalla più trista fiamma della più trista passione. La si vedeva capace d'ogni eccesso, di ogni delitto: se avesse avuto un coltello all'arrivo di mano, la non si sarebbe trattenuta di certo dal piantarlo nel seno della rivale.

La figliuola di Jacob guardò intorno sgomenta, come cercando un mezzo di scampo.

– Non son io, diss'ella, che volli venir qua… Mi vi condussero senza ch'io sapessi dove… Non ci voglio stare… Se sapessi partirmene…

Maddalena tornò ad afferrarla pel braccio.

– Ebbene venite: diss'ella con impero: a niun costo vi avrei qui lasciata aspettarlo, avessi dovuto portarvi fuor di qua cadavere… Venite.

La trascinò fino nella strada e per commiato, con uno spintone, le gettò queste feroci parole:

– E pregate Iddio che mai più non vi troviate innanzi a me, che mai non mi cadiate sotto le unghie: non ne uscireste più a così buon mercato, ve lo giuro.

Ester si trovò di nuovo un'altra notte senza ricovero, abbandonata nel mondo, senza sapere a cui rivolgersi, senza che si presentasse alla sua mente più nessun mezzo di salute, senza volerne più cercare nemmanco. Si sentiva spoglia affatto di ogni vigore di vita: non poteva reggersi in piedi, aveva un immenso bisogno di riposo al corpo, di oblio alla mente, questo riposo e quest'oblio fossero pure stati quelli del sepolcro. Si lasciò cadere sopra un mucchio di neve in cui inciampò al primo passo che volle fare; e stette là ingranchita, sfibrata, presso a perdere la cognizione. Le parve di essere vicina a morire, e invece che paura questo pensiero le ispirò un'intima amara mestizia. Almeno tutto sarebbe finito!

 

In quello stato che non era sonno, e che non era di veglia, ma in cui le impressioni erano strane e quasi direi travelate, la infelice dopo un po' di tempo, che non sapeva dir quanto, sentì una mano posarsele sulla spalla ed una voce – ah! una voce che ben conosceva, una voce che le arrivò sino ai più intimi penetrali a riscuoterla come una forte corrente di elettricità – le disse:

– Ehi quella donna, che cosa fate costì?

La sventurata allargò gli occhi con ispavento; di botto fu tornata pienamente in sè: la vista delle sembianze di quell'uomo che era curvo su di lei la atterrì talmente che fu dritta in piedi con un balzo, ed una esclamazione, un grido di terrore partì dalle sue labbra.

L'uomo che l'aveva toccata, che le aveva parlato, che le stava dinanzi – era suo padre.

Macobaro, come già fu accennato, per ragioni che sapremo più tardi, non era tornato più a casa sua, dopo la fatale scena avuta colla figliuola, che il giorno appresso a mattina già inoltrata. Al vedere la finestra spalancata, le lenzuola pendenti al di fuori e la figliuola sparita, il vecchio ebreo rimase il più stupito ed indignato uomo del mondo. Gli rincrescevano del pari e la cosa in sè, e lo andar essa per la bocca della gente, come pur troppo temeva non mancherebbe d'avvenire, divulgandosi la fuga di Ester, e volendosene cercare, e sicuramente indovinandosene la ragione. Ritrasse egli frattanto di fretta le lenzuola nella stanza, guardò se in quel cortile alcuno fosse ad osservare quella novità, e non vedendoci anima viva, sperò che, tutte le finestre pel rigore della stagione tenendosi accuratamente chiuse, ed essendovi in quel luogo assai poco passaggio di gente, nessuno avrebbe ancora notato quel fatto, richiuse le invetrate, e sedutosi a mezzo di quella stanza, ove trovavasi ora solo, stette il capo serrato fra le scarne mani a meditare sul partito da prendersi.

La sua figliuola, egli la voleva riavere; non poteva rinunziare così al suo scellerato desiderio di vendicarsi su lei tormentandola; gli pareva una nuova offesa l'essergli di quel modo sfuggita la colpevole. Nella rabbia che lo corrodeva, pensò alla povera, disgraziata, vecchia Debora cui teneva chiusa in cantina, ed ebbe il crudele impulso di andare da lei a torsi almanco uno sfogo.

– La vecchia strega non mi sarà fuggita essa: si disse con feroce ironia, e prendendo seco un tozzo di pane inferigno, discese nella sotterranea stanza, dove aveva gettata la fante.

L'infelice creatura, pel soverchio patimento di quella notte passata senza coperture in quel freddo ed umido luogo, dopo tanto spavento e spasimo, tutta intirizzita, giaceva raggomitolata in un angolo sul nudo terreno, più morta che viva. All'entrar del padrone non si mosse, nè diede segno veruno d'averlo pur sentito; occupata da una febbre mortale non dinotava la vita che per certe scosse di brivido che le correvan di quando in quando le membra.

– Debora! gridò Jacob camminando verso l'angolo dove l'aveva scorta, vecchia infame, alzati, su, ho da parlarti.

La donna rimase immobile.

– Debora! gridò più forte il ferravecchi, curvandosi su di lei: questa sciagurata è capace di dormire…

Le vide in vero le palpebre abbassate, ma il color livido delle guancie e delle occhiaie, il respiro affannoso ed interrotto bene indicavano che quello non era sonno tranquillo e naturale.

– Odi tu o non odi, mala femmina che ti maledica l'Eterno? Vuoi tu aggiungere alle tue tante malizie anco quella di far la sorda? Olà! olà! ti farò sentire ben io… Hai da dirmi tutto… tutto, capisci?.. come successe la tresca infame… voglio saperne ogni circostanza… e tu me l'hai da narrare per filo e per segno.

Così dicendo, col piede scuoteva quella massa inerte che stava buttata come un sacco di cenci. Debora a quegli urti aprì gli occhi; ma nelle pupille che apparvero non c'era più intelligenza di sorta.

– Mi odi tu? ripetè Macobaro curvandosi ancora di più verso la cadaverica faccia di lei.

Ella non diede segno alcuno di risposta. Il padre di Ester si ridrizzò della persona, incrociò le braccia al petto, e la guardò un istante in silenzio; ma nel suo aspetto non c'era la menoma ombra di compassione.

– La è un po' sbalordita, diss'egli poi: bah! gli è nulla; questa razza di gente ha la pelle dura e la vita tenace: la si rimetterà presto, e tornerò allora a interrogarla.

Le gettò vicino al capo il tozzo di pan nero che aveva recato seco e le disse:

– To'; dovrei lasciarti crepar di fame come ti meriti, più trista delle triste femmine, che tu sei, corruttrice infame della mia figliuola, ladra d'uno dei miei tesori, rovina della mia vecchiaia; ma ho bisogno ancora che tu parli… e ti lascio vivere… A rivederci stassera.

Uscì richiudendo accuratamente la forte imposta della porta e tornò al suo precedente proposito: quello di rintracciare la figliuola. Era troppo naturale che Ester cercasse ricovero e protezione presso il suo amante, perchè a Jacob non venisse primo il pensiero che insieme con lui si ritrovava sua figlia. Certo gli sarebbe stato difficile poterla toglier di là e ridurla di nuovo in poter suo, ed egli non sapeva come avrebbe fatto per ciò; ma nella sua mente si andavano agitando e maturando i più gravi e niquitosi disegni di vendetta, cui avrebbe, in dipendenza degli avvenimenti, eseguiti in tutto o in parte, e da cui anche la colpevole figliuola, che ora gli pareva odiare quanto aveva amata dapprima, sarebbe stata raggiunta e fieramente colpita. Per ora l'importante era sapere dove Ester fosse riparata, e decise mettere tutto il suo impegno a scoprirlo. Conosceva egli abbastanza le abitudini e la vita del medichino per sapere come in quel quartiere che era la sua dimora ufficiale, se anco la ragazza si fosse recata colà a trovarlo, egli non l'avrebbe tenuta; era quindi molto più facile, anzi quasi sicuro, che Ester si trovasse o nella palazzina del viale, di cui Arom, come uno dell'alto sinedrio della cocca, conosceva i misteri, oppure in qualcun'altra delle camere che Luigi affittava in città per più comodo convegno nelle sue tante avventure amorose.

Pensò prima di tutto cercar di chiarirsi se sua figlia fosse nella palazzina: corse sul viale, e giunse in faccia alla porta del murello che non erano ancora le dieci del mattino. La casetta aveva il suo solito aspetto deserto, e non un indizio appariva che fosse in essa qualcheduno. Macobaro, non iscoraggiato per questo, decise di stare colà in osservazione un po' di tempo. Ben presto ebbe da lodarsi del suo proposito e della sua accortezza, perchè vide di lontano coi suoi occhi di falco il conosciuto legnetto del medichino venire di trotto a quella volta. Si nascose dietro il grosso tronco d'una pianta, così da non essere veduto nè dal cocchiere, nè da chi era dentro la carrozza. Di colà scorse Gian-Luigi medesimo uscir del legno, traversare il cortiletto ed entrar nella casa.

– Essa è costà: si disse: ed egli è venuto a vederla.

Siccome il brougham non partì, ma, fermatosi a poca distanza dalla porta del muricciuolo, stette ad aspettare, Jacob ne argomentò che il medichino non si sarebbe colà trattenuto lunga pezza, e rimase per vedere ciò che succedesse.

Dopo alcuni minuti dovette ricredersi dalla sua prima opinione. Vide sopraggiungere una carrozza di piazza e da essa discendere una signora, cui, quantunque accuratamente velata, egli riconobbe assai bene per la contessa di Staffarda.