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La plebe, parte III

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CAPITOLO XXV

La sera di quel giorno medesimo, la taverna di Pelone rigurgitava d'avventori; e questi erano più chiassosi del solito, tanto chiassosi che la loro animazione scorgevasi facilmente prodotta non dall'eccitamento dell'ebbrezza soltanto, ma da quello d'una passione che li dominasse.

Erano in gran parte gli operai scioperanti della officina Benda, e quelli più riottosi, più amici e più d'accordo col sommovitore Tanasio; fra essi trovavansi eziandio alcuni di altre fabbriche, cui venivano indettando e stimolando, intenti ad attizzare in ogni modo il fuoco, alcuni de' più malefici fra i componenti subalterni della cocca. Marcaccio si distingueva per vivacità e per zelo di propaganda.

In mezzo a tutta questa gente, a tutto questo chiaccherio, a tutto il chiasso assordante che ne riusciva, scorrevano e si agitavano di mala voglia e con poco frutto, Maddalena pallida, con certe occhiaie allividite, e invece del solito sorriso procace sulle labbra, che sembravano assottigliatesi, con una specie di sogghigno tutto amarezza, lassitudine, scherno e dolore, e Pelone col suo passo di spettro più riguardoso che mai, colla sua voce cavernosa e con una nube di malcontento che veniva ogni minuto facendosi più fitta e più scura sulla sua fronte gialla e ne' suoi occhi infossati. Meo dalla mattina mancava, e non se ne sapeva più novella: di che Pelone bestemmiava maledettamente, riserbandosi di fare le sue buone vendette sulle spalle di quel grullo quando tornasse. Ciò faceva che quella sera erano peggio serviti del solito gli avventori, che erano sempre serviti malissimo; onde da tutte parti richiami, grida, imprecazioni, picchi di coltello nei bicchieri, pugni sulle tavole e va dicendo, che sarebbero stati anche maggiori, se l'attenzione di tutta quella gente non fosse stata presa da alcun che di estraneo e di straordinario, onde, come ho già detto, erano animati i varii crocchi che si accalcavano intorno alle tavole.

Ora, a raccogliere sulla fronte non olimpica del povero Pelone quella nube che vi si notava, non erano mica tutte quelle maledizioni di cui era fatto segno dalle labbra avvinazzate di quella brava gente di scioperoni e di birbanti, non era nemmeno solamente la mancanza inesplicabile di Meo; sibbene quel certo che di straordinario, cui la sua sagacia aveva notato di presente fino dalla prima ne' suoi avventori, e che, crescendo l'ebrietà in que' sbrigliati compagnoni, veniva sempre più manifestandosi man mano.

Pelone aveva scoperto che si parlava male delle autorità, che, incominciando colle minaccie ai ricchi, s'era venuti alle imprecazioni ed alle minaccie contro il Governo che sosteneva e difendeva i ricchi colle baionette de' suoi soldati, colle manette dei suoi carabinieri e poliziotti, colle toghe nere dei suoi giudici. Pelone udiva tutto codesto con un sacro orrore che gli avrebbe fatto drizzare i capelli sul cranio, se ne avesse avuti. Che cos'era questo impancarsi di politica e toccare l'arca santa del Governo? Una pazzia senza pari. Oh! s'egli avesse avuto l'audacia da ciò, e la voce nel petto e la eloquenza opportuna! Avrebbe voluto gridare a tutti quegli sconsigliati: «manica d'imbecilli, contentatevi di rubare e badate di sfuggire il capestro, senza tanti discorsi e senza entrare nella empia sciocchezza di simili sopraccapi.» Pochi dì prima egli, egli stesso, Pelone, aveva giurato e spergiurato a sor Barnaba, che quanto alla devozione al Re, alla famiglia reale, ai governanti per tutta la gerarchia, ai commissari di polizia ed ai gesuiti, nella sua bettola non si faceva un atto, non si pronunziava una parola che sapesse menomamente d'eresia; ed ora ecco che gli suonavano all'orecchio tali impertinenti temerità da far raccapricciare dal capo alle piante il suo sangue devoto di suddito fedele e sommesso alla monarchia, alla legge, alla prepotenza de' grandi, alle ingiustizie dei privilegi ed agli arbitrii della polizia. Che cosa fare? Andare a denunziare queste brutte novità al signor Commissario? La cosa era grave e ci aveva intorno a quel partito parecchie ragionate paure: la prima di tutte era quella di portare la sua faccia innanzi alla guardatura fosca ma penetrante del signor Tofi. Quegli occhi grifagni, ad ogni volta che se li era sentiti addosso, eragli sembrato che avessero a leggergli dentro, sotto quel cranio d'avorio ingiallito; e il bravo bettoliere aveva troppe buone ragioni perchè nessuno ci leggesse, e tanto meno un Commissario: e poi se ciò veniva a risapersi mai, quei furfantoni erano capaci di dargliene tal ripaga che povero a lui!.. E tacere d'altra parte egli sentiva che era per l'affatto contro le sue opinioni esclusivamente governative, contro la sua coscienza e contro il suo interesse. Ah se Barnaba fosse comparso, od egli avesse saputo almanco dove pescarlo! A lui sì che si poteva far capire la cosa, e affidarsi tranquillo poi a quanto e' disporrebbe, senz'aversene egli da dare altro pensiero o comparir più comecchessiasi. Ma sì; dov'era egli quel povero sor Barnaba? E questa era un'altra cagione di paura e d'interno travaglio in Pelone, che non avendo più visto comparire il muso da faina del poliziotto, versava nella più penosa incertezza sulla sorte di lui. Conosceva troppo l'abilità di Graffigna per non aver sospetto sulla causa della sparizione di Barnaba, e il timore d'essere compromesso anche in codesto era in lui molto altresì. Per tutto ciò faceva scorrere in mezzo ai gruppi delle tavole la sua faccia scialba, improntata di cattivo umore, borbottando maledizioni fra le sue gengive.

Al desco dove sbraitava Marcaccio, sedeva eziandio Andrea, il marito della povera Paolina, ma di quanto mutato da quello di pochi giorni prima, che pure era già così diverso dall'Andrea dei tempi lieti! Pareva invecchiato di anni; aveva una cupa tristezza, cui l'ebrietà, invece che diradare o sminuire, faceva più fitta per dir così e maggiore; mostrava, nella guardatura, in certi sobbalzi della persona, un'inquietudine, un'apprensione che l'occupava costantemente; era l'incessante dominio di un'idea, quasi una paura, presso che un rimorso; la sua anima si sentiva afferrata dal male, come la sua volontà dalle morse di quell'organismo, di quel mostro complessivo che era la cocca; e anima e volontà si dibattevano in mezzo a quei vincoli, già fatte incapaci a romperli e sciogliersene, non ancora diventate tali da acquetarvisi. Di più nella sua esistenza del tempo trascorso dopo la capitatagli sventura che, per colpa di Nariccia, aveva dispersa così miseramente la sua famiglia e lasciatolo solo, pareva esistere un segreto, oltre quello della sua misteriosa entratura nel sotterraneo ricetto della vasta e potente associazione di malfattori e della sua opera – la prima criminosa che avesse fatto! – di fabbricarvi le chiavi false. Marcaccio, che di tutto il giorno non l'aveva più visto, non aveva potuto sapere dove Andrea avesse passata la notte, nè dove avesse posto sua stanza. Offertogli di andare con lui al bugigattolo che gli serviva di quartiere, Andrea aveva rifiutato ricisamente di tal guisa da non permettere d'insistere, ed alle richieste fattegli in proposito aveva risposto come chi non solo non vuole dire ciò che gli si chiede, ma non vuole che gli se ne parli altrimenti.

Ora posseduto da quell'ebbrezza in cui sventuratamente da tanto tempo andava cercando l'oblio della sue traversie, e presentemente cercava quello della sua pena ed anco lo stordimento del suo morale malessere, il povero Andrea bestemmiava ed imprecava ancor egli contro i ricchi, contro il Governo e contro la società; ma i ricchi per lui si personificavano nella scelleratezza di Nariccia e nella crudeltà di Benda, che lo aveva respinto dalla fabbrica, e il Governo e la società faceva egli risponsabili dell'appoggio dato coi loro ordinamenti e colla loro forza alle birbonate legali dell'usuraio padrone di casa, alla severità del fabbricante.

Pelone adunque raccapricciava a quei discorsi, e guardava su quale delle faccie degli uomini colà presenti vedesse la nobile impronta dalla spia, appostata lì a raccogliere e trasmettere all'orecchio di sor Commissario l'eco di quegli orrori. La sera fu lunga a passare per questo bravo bettoliere, e innumerevoli furono gli accidenti che in cuor suo mandò ai suoi indemoniati avventori, e quando finalmente verso la mezzanotte potè abbarrar l'uscio dietro le spalle dell'ultimo degli ubbriaconi messo fuori, Pelone mandò un sospiro tanto fatto e raggomitolatosi a suo modo sopra un seggiolo, le lunghe gambe ripiegate da quasi appoggiarvi su il mento, stette lì a pensare seriamente ai fatti suoi.

Innanzi a lui rimase piantata Maddalena, sempre pallida e mesta, in atto di chi ha qualche cosa da dire e non sa da che capo rifarsi.

L'oste agitava seco stesso questa grande quistione: «Domattina debbo andare o non andare al Palazzo Madama a spiattellare ogni cosa?»

Il suo spirito perplesso gli faceva dondolare il capo fra gli sbruffi della sua tosse profonda; del sì e del no che gli tenzonavano nella mente, vedeva tutti i disavvantaggi e non sapeva definire da qual parte fossero i maggiori. Avrebbe dato volentieri l'ultimo dente che gli ballava nelle gengive per un buon consiglio. In quella, Maddalena, che aveva atteso un poco, gli si accostò e, messagli una mano sulla spalla, disse:

– Oh date retta, Pelone.

Il bettoliere si riscosse, come se gli avessero sparata una pistola presso l'orecchio.

– Che c'è egli? domandò tossendo. Ah sei tu, Maddalena? Come qui ancora?.. Parola di Pelone io ti credeva già a casa del diavolo, voglio dire a casa tua.

– Ho qualche cosa da dirvi.

Pelone crollò le spalle.

– Cara mia, vedi, ho una carrata e mezzo di fastidi per la testa; non venirmi a seccare ancora colle tue favole, che Dio ti dia bene, e il fistolo ti colga!

Ma la ragazza, senza punto commuoversi, come se il padrone non avesse manco parlato:

 

– Voi m'avete da dire, riprese, perchè di questa notte fu chiuso il passaggio dall'osteria al Cafarnao.

– Che ne so io? rispose Pelone con impazienza: ma ad un tratto diede in un piccolo sussulto della persona, e alla sua mente s'affacciò il pensiero che quella in vero non doveva essere una cosa indifferente e che avrebbe potuto interessare anco lui il saperne la ragione.

– Ma già, appunto, borbottò egli; oh perchè fu esso così improvvisamente chiuso questo passaggio?

Volse verso il viso patito di Maddalena il suo sguardo semispento dal fondo delle sue occhiaie incavate sotto l'esagerata protuberanza dell'osso frontale.

– E tu lo domandi a me il perchè? le diss'egli. Tu che puoi saperlo dal…

Voleva dire medichino, ma nè anco da solo colla fante egli pronunciava volentieri quella parola.

– Da lui, disse invece.

Maddalena fece più amaro il suo sogghigno.

– Ah sì da lui! esclamò essa con indescrivibile accento di cordoglio e dispetto.

Pareva fosse per soggiungere altre e certo sdegnose parole, ma se ne trattenne; stette un poco, e poscia curvando il capo addoloratamente, riprese con voce sommessa, quasi soffocata:

– Forse non è che per escludere me da quel luogo… Egli vuole sbarazzarsi dell'amor mio…

Un singhiozzo le salì alla gola, ed ella voltò in là il viso per nascondere le stille di pianto che le vennero agli occhi.

– Eh via! esclamò Pelone crollando le spalle: come puoi tu immaginarti d'essere un personaggio di tanta importanza da motivare un simil fatto? Quando e' non ti voglia più per i piedi, che sì che si prenderà la menoma suggezione a cacciartene via come un botolo fastidioso… che tu sei: soggiunse a bassa voce fra le sue gengive.

La ragazza sentì che l'oste aveva ragione e curvò con anco maggior dolore la testa scoraggiata.

– Piuttosto, seguitava il bettoliere pensando fra sè, ciò indica che si ha paura la cosa venisse scoperta, che si ha motivo di credere alcun sospetto di codesto possa esser nato nei signori del Palazzo Madama… Diavolo! diavolo!..

Colla sua destra grossa, lunga, ossea, villosa, del colore della pelle d'un salame, si trasse indietro la bisunta berretta e si grattò il cranio lucicchiante.

– Se così fosse, soggiungeva sempre fra sè, mi converrebbe provvedere un poco ai fatti miei, per non lasciarmi poi rovinare… dovrei parare almeno il peggior colpo, facendomi qualche merito di rilievo…

Rimise a posto la berretta, anzi se la tirò fin sopra le orecchiaccie; il partito di andare a riferire al Commissario ciò che era avvenuto nell'osteria quella sera, aveva vinto nell'anima sua fin allora combattuta.

Si levò da sedere e disse più brusco che non solesse a Maddalena, colla quale fino allora aveva sempre creduto di dover usare alcun riguardo parlando:

– Orsù, figliuola di mala femmina, mala femmina tu stessa, che cosa mi stai lì impalata dinanzi? Vuoi piantar le radici?.. Prendi l'aire e vattene alla malora come ti meriti, e ti venga un canchero coi fiocchi.

L'anima della giovane doveva essere bene affranta, perchè, come se non avesse punto udite le parolaccie del padrone, ella, che prima se ne sarebbe maledettamente imbizzita, disse col medesimo accento di afflizione e di scoramento con cui aveva parlato finora:

– E vo' dirvi anche un'altra cosa: ed è che domani non vengo a bottega, che mi sento male, e questa vita oramai sono stanca e stufa di farla, e non so manco se mi ci lascierò ancora pigliare.

Pelone drizzò un poco la sua curva persona in un tentativo sbagliato di assumere un'aria imponente.

– Oh che capriccio è codesto? esclamò egli tossendo più forte. Quel martuffo di Meo… ah! se lo agguanto… questa mattina è scomparso e non si è lasciato veder più; ed ora tu, sgualdrina da quattro denari, mi vuoi dare anche tu un dolce piantone?..

– Sto male: soggiunse la ragazza con voce quasi supplichevole. Non vedete anche voi che sto male? Stassera ho fatto miracoli a reggere in piedi.

– Hai fatto, secondo il solito, il peggio che possa una miseruzza buona da nulla e che non ha voglia che di stare in panciolle. Oh! ve' la signorina che la si pretende regolare sè ed altrui a suo comodo e talento! L'ha piacere di riposarsi, ed io ci ho da star qui solo a frustarmi l'osso della schiena, eh? Stai male?.. Vorrei che crepasti, mangiapane a tradimento che tu se'!..

A questo punto l'antica Maddalena rinacque nella abbattuta ragazza. La fiamma della primitiva risoluzione, della solita audacia e di quella insolente autorità ch'ella si era attribuita e il padrone aveva dovuto sofferire che la si attribuisse per le sue relazioni col medichino, quella fiamma tornò a brillare negli occhi neri di lei, e levata fieramente la faccia con tutta l'impertinenza di prima, ribattè:

– Oh oh mastro Pelone, che vi credete voi di potermi parlare in questo tono e in questi modi?.. Oh che non la conoscete ancora la Maddalena, che di male parole e di mali tratti la non ne soffre da persona… fuorchè da uno?

Lo sguardo del vecchio non sostenne quello della ragazza; come le pupille di lui si chinarono a terra, così il suo corpo tornò ad incurvarsi e il suo sembiante riprese quell'aria tra d'impaccio, tra di malvogliosa sommessione con cui usava sempre trattare colla petulante fantesca.

– Uhm! uhm! rispose tossendo, non dico mica io, non voglio già dire… sono espressioni così… alla buona… anzi amichevoli… Non voglio guastarmi teco il meno del mondo. Sai che ti porto molta affezione… (E piano fra le gengive borbottava a suo modo: ti darei alle mazzerate, e se mai il medichino ti pianta, l'abbiamo da vedere)… Dunque non corrucciarti meco, buona e cara la mia Maddalena… (che ti venga un accidente!)… Ma ti prego soltanto a non volermi lasciar solo nell'osteria, che non ci è più manco quel barbagianni di Meo, che vorrei vedere impiccato e peggio… Ah! se mi casca fra le unghie!.. Ier sera e' ci ha avuto una buona lezione, ma se lo ripesco, alla misericordia di Dio, che gli voglio far danzare un trescone a battuta…

– Egli di certo, interruppe la Maddalena, vi è scappato appunto pei vostri maltrattamenti, e non si lascierà coglier più… Non c'è che i cani, i quali, percossi, baciano la mano del padrone che li percuote… Un cane pel suo padrone, soggiunse con molta amarezza, ed io per lui!

– Ma io te, Maddalena, riprese Pelone, non ti ho mai maltrattata… Dininguardi!.. Anzi!.. Se vuoi dire proprio il vero, hai da confessare che io ho usato sempre verso di te de' maggiori riguardi…

– Ora non è caso da ciò… Vi avverto che per de' giorni, e non so quanti, non potrò venire all'osteria, e non ci verrò.

Pelone mandò parecchi gemiti, e tossì per parecchi minuti secondi.

– Ma, poveretto me!.. Come ho da fare?.. Tu vuoi rovinarmi, Maddalena… Aspetta almeno ch'io abbia un altro servitore in luogo di Meo… E sai che non è facile sostituirlo… Non si può mica accettar qui il primo venuto…

Maddalena, che era tornata in tutta la prepotenza delle sue maniere, non volle nè udir altro, nè dare ulteriore risposta.

– Siamo intesi: diss'ella con accento di supremazia al bettoliere tornato nelle apparenze dell'umile bonarietà: domani non vengo, e se verrò ancora mai in avvenire, ve lo farò sapere.

Uscì ratta e sdegnosa, mentre Pelone faceva ancora un tentativo di supplicazione; ed all'oste contrariato all'estremo non rimase altro partito che di abbarrare le imposte dell'uscio.

– Ah se avessi a mia disposizione una provvista di accidenti, diss'egli bofonchiando, so io a chi ne vorrei mandare… E quel bertuccione di Meo, dove sarà egli andato a cacciare la sua grullaggine?.. L'ho raccomandato a Graffigna, e son certo che questo gatto di buona razza saprà scovarnelo, il topolino… E domattina intanto mi recherò a far riverenza a sor Commissario.

Con questi pensieri e con questa risoluzione andò a dormire; nè il suo sonno fu tranquillo di certo, chè troppe ragioni aveva da stare inquieto. La mattina, alzatosi, sentiva egli in sè vieppiù afforzata la risoluzione di fare la sua comparsa al Palazzo Madama, e stava per avviarsi, quand'ecco, per togliergli il merito d'una spontanea presentazione, venirgli innanzi il brutto ceffo d'una guardia di polizia travestita, a comandargli, d'ordine dell'egregio commissario sig. Tofi, di recarsi immantinenti ad audiendum verbum.

Il povero Pelone, che vide così fatta inutile tutta la sua buona volontà e i proponimenti del suo zelo, temendo già gli fosse piombato addosso quel pericolo e quel danno cui egli voleva appunto scongiurare, si sentì tremar le gambe e fuggire ogni coraggio: non seppe che rispondere e stette lì a bocca larga a mirare quel profeta di polizia, che veniva con sì brusco tono a scaraventargli sulla faccia allampanata il mane thecel phares del nume di Palazzo Madama.

– Avete capito? riprese più ruvidamente ancora l'arciere. E' vi conviene mettervi in cammino senza manco un trar di fiato, e venire con me.

– Ma… ma… balbettò l'oste confuso e intimorito: ma io sono qui solo… non ci ho manco un cane da stare a bottega in vece mia… Oh che ho da piantar lì l'osteria senza niuno che ci badi?

– Che volete mai ch'io vi dica? Vi ho da menare da sor Commissario, e vi ci menerò senza fallo… Non so altro io… Del resto aggiustatevi voi; e se non ci avete nessuno da lasciare, chiudete la bottega e filate.

Pelone adottò questo partito, chè diffatti non ce n'era altro da prendersi, e seguì il poliziotto, mogio come un bracco che vien fuor dell'acqua. Con quest'apparenza umilmente rimminchionita comparve innanzi al severo viso aggrottato del signor Tofi, che il mento riquadro posato gravemente sul suo cravattone duro, abbottonato fino al collo nel suo lungo soprabitone, lo accolse coll'urbanità con cui uno staffiere riceve sul tappeto elegante d'una sala dorata un villanzone dalle scarpaccie infangate.

L'oste non ebbe mestieri di domandare la menoma spiegazione: col tono corrispondente all'aspetto, saettandolo d'uno sguardo freddamente minaccioso, il signor Tofi lo apostrofò di subito nella seguente maniera:

– Voi volete andare ad ingrassarvi un po' quel vostro scheletro col pan di prigione, tavernaio della malora…

– Sor Commissario: balbettò il mal capitato, tremando verga a verga.

E il signor Tofi, con più superbo piglio di quello che avrebbe potuto avere il suo titolato superiore, il conte Barranchi medesimo:

– Silenzio! gridò: lasciatemi parlare e che le mie parole vi stieno ben bene attaccate alle orecchie. Nella vostra caverna di bettola si tengono discorsi sovversivi, discorsi che offendono il Governo di S. M. (si levò il cappello a larga tesa che aveva fieramente piantato in testa); e voi lo tollerate…

Pelone fu scosso da un raccapriccio come d'orrore, e la soverchia paura gli diede il coraggio di interrompere.

– Scusi!.. Io non tollero… Se avessi potuto ieri sera tappar la bocca a tutti quegli scellerati!.. Che cosa vuole che faccia un povero vecchio contro una frotta di ubbriachi che son capaci di romper le ossa ad una persona come di bere un buon gotto di vino?..

– Perchè non avete denunciato il fatto all'autorità?..

– Ma Dio falso!.. Cioè, voglio dire… Mi perdoni: sono così confuso che mi lascio scappare contro il mio solito delle bestemmie, io che rispetto sopratutto la religione, che il diavolo mi porti… Di questa razza discorsi se ne tennero ier sera per la prima volta.

Il Commissario fece un gesto d'incredulità.

– Glie lo giuro! esclamò con forza l'oste mettendosi la manaccia sul petto: parola di Pelone, ch'io possa essere sbattezzato! E questa mattina già ero sulle mosse per venire a fare il mio dovere, quando Vossignoria mi ha mandato a chiamare… Questa è la verità vera, com'è vero che la mia protettrice è la Madonna della Consolata, che il diav…

Masticò fra le gengive le altre parole, e parve inghiottirle in mezzo ad uno sbruffo di tosse.

– No, no, signor Commissario, rispose poi. Non è Pelone che sia mai per fallire al suo dovere di buon suddito. Glie l'ho detto ancora l'altra sera a sor Barnaba.

Ma non ebbe appena pronunciato quel nome che si morse la lingua, ed avrebbe pagato non so che cosa per poterlo tirare indietro. Che c'era egli bisogno d'andare a trarre in mezzo la memoria di quel cotale? Non ne aveva abbastanza impicci per quell'incidente, senza andare a cacciarsi in quelli di possibili interrogazioni intorno a colui che avrebbe voluto obliato da tutto il mondo? S'interruppe, guardò ratto, di sbieco, la faccia del Commissario e si turbò vieppiù vedendo un certo guizzo negli occhi di lui: riparò, secondo il solito, il suo imbarazzo in un accesso di tosse.

Tofi guardava veramente il bettoliere con una nuova espressione e con nuova intentività osservatrice.

 

– Oh appunto: diss'egli; poichè avete nominato Barnaba, conviene che vi dica qualche cosa eziandio sul conto di lui.

Pelone era abbastanza scaltrito per non sapere sollecitamente nascondere il suo imbarazzo; assunse la più naturale aria da nesci, e stette colla mossa di chi si prepara ad ascoltare, riverentemente attento.

– Ne sapete voi alcun che de' fatti suoi? domandò il Commissario dopo una brevissima pausa.

– Io?.. Che ne ho da sapere? So quel tanto che sono obbligato per mio dovere… Ecco!

– Da quando non l'avete più visto?

– Dall'altra sera… Stette fino in sul tardi all'osteria.

– E ieri?

– Ieri non si lasciò vedere.

– E qual ragione pensate voi di questa sua mancanza?

– Non penso nulla… Non ci viene mica tutti i giorni da me.

– E l'altra sera non vi disse niente?

– Di che?

– Di cosa che lo riguarda.

– Niente affatto.

– Ebbene ve lo dico io. Sappiate che Barnaba, per cagione di certa sua imprudenza, incontrò la disapprovazione de' superiori, e dovrà partirsene di Torino per una più umile destinazione in altra città.

– Oh bella! esclamò Pelone con tono di maraviglia bastevole da far credere quella essere la prima notizia ch'egli ne ricevesse. Egli è pur tuttavia un brav'uomo…

– Basti di ciò: interruppe Tofi. Torniamo ai nostri polli.

Pelone s'inchinò in atto d'umile assentimento; ma fra sè pensava:

– Uhm! c'è qualche cosa qui sotto. Perchè dirmi codesto? Per levarmi il filo della camicia? Ma allora avrebbe insistito nelle interrogazioni e non dato di presente la volta al discorso… Direi quasi che si vuole vedere s'io ho sentore di qualche cosa che è capitato, e di cui si avrebbe più caro che io fossi al buio… All'erta Pelone!

E la malizia di quel vecchio trincato andava molto presso alla verità.

Il Commissario continuava:

– Or dunque badate bene a quello che si vuole da voi, e per cui vi si è mandato a chiamare.

– Sì signore.

– Voi avete da intromettervi fra i più caldi che sono sempre i più imprudenti di quei riottosi; e dovete mostrarvi più caldo e più imprudente di loro.

– Ah sor Commissario! Avrei da dir cose contro la mia coscienza…

Tofi non gli volse che un'occhiata, ma la fu tale che gli tappò la bocca meglio di qualunque parola. Pelone parve ringoiare non solo le parole, ma la lingua; e il Commissario, come se non fosse stato interrotto:

– Di questa guisa vi ficcherete tanto addentro nei loro armeggiamenti da scoprirne i piani e i mezzi e insomma quanto ci occorre… Avete capito?

– Sì signore.

– Possiamo contare su di voi?

Pelone tornò a mettere la sua manaccia sul curvo stomaco.

– La deve conoscere il mio zelo; le prometto di fare il possibile e l'impossibile.

Quella promessa era fatta con vera ed assoluta sincerità.

– Sta bene, rispose Tofi: ci conto su. Nomi e cose e propositi, vogliamo saper tutto appuntino… Badate che le vostre informazioni avranno riscontro con altre, e non datevi a credere di poterci dar lucciole per lanterne…

– Oh! esclamò l'oste coll'indignazione dell'onestà calunniata. Ella mi crederebbe capace?..

– Dunque siamo intesi… Andate. Appena avrete qualche cosa da comunicarmi, venite; e fate che sia presto. Quando io abbia qualche istruzione più particolareggiata da darvi, manderò per voi.

Pelone uscì tirando tanto di fiato; non credeva di cavarsene a così buon patto. Se ne tornò all'osteria dominato da una vera smania di far meravigliare di sè e dell'efficacia dell'opera sua il terribile Commissario Tofi: avrebbe denunziato in quell'accesso di ardore anche suo padre.

Come il signor Tofi fosse stato così sollecitamente e così bene informato di quanto era successo la sera innanzi nella taverna di Pelone, sapremo più tardi: ora seguiamo anche una volta sor Commissario in casa del suo superiore, il conte Barranchi, dove Tofi si reca, rigido al solito, le mani nelle larghe tasche del lungo soprabito, con passo di carica a cadenza militare.