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La plebe, parte IV

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Märgi loetuks
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– Egli vuole che d'ora innanzi quel poco almeno non vi manchi più: riprese a dire: e perciò mi ha consegnato una somma da darvi da parte sua, che tengo qui e che ho piacere di rimettervi all'istante.

– Una somma! per me! esclamò la vecchia. Lo ho sempre detto io che aveva un gran cuore… Oh che cuore è il suo!

Don Venanzio trasse dal taschino del panciotto il rotolo di marenghi avviluppato nella carta, quale gli aveva dato Gian-Luigi; e tenendolo fra il pollice e l'indice lo porse alla Margherita.

– Ecco qua, disse, mille lire.

La vecchia si fece indietro sulla seggiola quasi spaventata; battè le mani insieme e poi levò le palme in atto di indicibile stupore.

– Mille lire! esclamò; proprio mille lire!

– Sì, in altrettanti napoleoni d'oro.

– E tutto questo per me? soggiunse la donna ritraendo le mani dal rotolo che il parroco le porgeva, come se avesse paura a toccarlo. Non è possibile. Che cosa debbo io fare di tanto denaro?

– Dovete usarne a seconda dell'intenzione del vostro figliuolo: rispose Don Venanzio col suo sorriso amorevolmente paterno; val quanto dire procurarvi con esso quelle cose necessarie di cui maggiormente abbisognate. Avete addosso appena di che coprirvi non che ripararvi dal freddo; non vedete che i vostri piedi nudi s'intirizziscono e irrigidiscono ne' zoccoli umidi dalla neve? Nel vostro stambugio appena se ci avete, raccolto stentatamente su pei greppi, tanto di legna da potervi cuocere una magra minestra. Potrete adunque comperarvi panni caldi, e calze di lana, e legna da ardere per iscaldarvi; potrete procurarvi un cibo migliore e più sostanzioso di quello che ora vi fornisce l'andare elemosinando.

E quasi di forza mise il rotolo di monete nella mano della vecchia che ne rifuggiva, poco meno che paurosa di toccarlo. Quando però l'ebbe tra le magre, ossee dita, essa lo palpò quasi con amore, lo soppesò, lo strinse forte in pugno, e poi se lo recò alle labbra e v'impresse su un grosso bacio.

– E' mi viene dal mi' figliuolo: disse come per ispiegare la ragione di quell'atto: dal mi' figliuolo: ripetè trovando una cara dolcezza nel pronunziare quelle parole che fino allora non aveva osato adoperare… Ah lo vorrò custodire come una sacra reliquia… Spenderlo, mai più!.. Forse che ho bisogno di nulla io?.. Sono sempre vissuta in mezzo alle privazioni, io… La gente è buona per me e non mi lascia mancare un tozzo di pane… E andrei ora a farmi carezze a questo vecchio carcame per quattro giorni che gli rimangono da vivere? Che! che!

Il parroco la volle persuadere che per soddisfare al desiderio di chi glie li mandava ed anche al dovere che ha ciascuno verso di se stesso, la doveva impiegare quei denari nella guisa che le aveva detto; ma la vecchia, pur non osando contrastare alle parole di lui, ben mostrava coll'aria del suo sembiante che quelle ragioni non la scuotevano per nulla dal suo proposito, e ch'ella avrebbe fatto a suo senno.

Margherita approfittò d'una pausa che fece Don Venanzio nel suo discorso per entrare a parlare di quello che più le premeva. Il rotolo di monete seguitava ella a stringere nel pugno e questo aveva nascosto nella tasca della sua misera vestaccia.

– Lei mi disse, interruppe adunque, che io il mio Giannino l'avrei visto… Per carità la mi dica in che modo e quando!.. Se la sapesse quanto lo desidero!.. Ed io non ho gran tempo da aspettare. Non converrebbe che tardasse di troppo a darmi questa consolazione, se vuol trovare ancora insieme queste grame quattr'ossa.

– No, no, rispose il parroco, non tarderà molto tempo. Forse la settimana ventura, forse sul finire di questa medesima, a quanto egli ha detto, verrà qui per vedervi.

– Verrà qui? Per veder me? esclamò la poveretta giungendo le mani e sollevandole verso il cielo con atto d'inesprimibile gratitudine e soddisfazione. Oh! sia lodato Iddio! Sia ringraziata la Madonna dei dolori!.. È Lei che mi fa questa bella grazia! L'ho pregata tanto, tanto, tanto!.. Ancora questa sera io la pregavo che mi concedesse questa grazia e poi mi togliesse pure dal mondo. E vuole che glie la dica, sor Prevosto? Questa sera medesima, là in chiesa quando ho visto entrar Lei e andarsi inginocchiare alla balaustra, io ho sentito una voce in cuore che mi diceva: «Ecco là di ritorno quel sant'uomo del parroco che ti ha da dir di sicuro qualche buona novella.» Era la Santissima Vergine che mi faceva avvertita avermi accordata la grazia che domandavo… Oh! voglio mostrargliene la mia gratitudine a quella pietosa Madonna… Ecco a che mi serviranno i denari mandatimi dal mio Giannino… Comprerò due bei cuori d'oro, proprio d'oro, da offrire alla sua immagine…

Don Venanzio fece un moto d'impazienza, ma essa non se ne accorse e continuava tutta infervorata:

– E il resto vo' darlo a Lei, perchè la mi dica o faccia dire tante messe…

Qui il parroco la interruppe non senza qualche vivacità:

– Ma no, ma no, che così non istà bene, e siete matta a credere che ciò voglia la Madonna o le faccia piacere… Non è l'offerta d'una cosa di valore che possa contentare Quei di lassù… Che credete che loro importi dei vostri cuori d'oro e d'argento?.. È il cuor vero che vogliono, quello che abbiamo nel nostro petto e che dobbiamo presentar loro pieno di bontà, di carità, di adorazione e di fede… Ecco!.. Non dico mica che chi può, chi è in caso d'aver da spendere senza torne ai suoi bisogni nè alla beneficenza, che deve esercitare, piuttosto che gettar via altrimenti il superfluo, non faccia bene ad ornare la casa del Signore; ma voi siete in questo caso, poveretta? Non sapete che uno dei primi doveri che ci sono imposti è quello di conservarci noi stessi? E se pecca chi ha troppi riguardi, e troppo amore per la sua persona, pecca eziandio chi ne ha troppo poco?.. Quanto alle messe, di certo la è una buona cosa… Ma io vi contemplerò nelle mie preghiere in tutte le messe che sarò per dire ancora, senza che vi abbia da costare un centesimo.

– Ella è un santo… l'ho sempre saputo… Io la ringrazio; ma mi sembra pure che le messe dette apposta devono piacere di più colassù e farci più favorevoli quelli di cui domandiamo la protezione e l'offerta di qualche cosa…

Il parroco interruppe con più impazienza di prima:

– Eh! voi misurate i Celesti alla nostra povera misura umana. Credete ch'e' sieno come i potenti della terra, che si rendono propizii coi regali?

Se fossero stati soli, il parroco e la vecchia contadina, forse il primo non avrebbe parlato con tanta vivacità; ma in presenza dell'incredulo Maurilio (che tale era il giovane nel concetto del buon sacerdote) questi provò una certa irritazione, che non seppe dominare, nel vedere una sua parrocchiana dare una così patente prova di erroneo concetto nel suo sentimento religioso.

La vecchia, meravigliata e un po' intimorita del tono con cui le parlava il parroco, in lui affatto nuovo, disse umilmente:

– La scusi… Credevo far bene… Ma Lei la sa più lunga di me… E se Lei dice di no, è segno che gli è no… E io sono pronta a far tutto a suo senno.

– Bene, bene: riprese il parroco tornando di subito al suo bonario sorriso ed al suo benigno accento. L'intenzione è quella che dà il carattere ad ogni atto; e la vostra intenzione è la migliore del mondo, lo so. Ma credete a me, e spendete quei denari a sollievo de' vostri bisogni… Ora andate, e Dio vi mandi una buona notte.

La vecchia si levò di fretta.

– Oh! la sarà buona di sicuro: disse. La si figuri se dopo una novella simile!.. Già non potrò dormire: ma che importa? Sono la più felice donna del mondo… La buona notte anche a loro… ed a Lei, sor Prevosto, tutte le benedizioni di Dio!..

Uscì. Don Venanzio e Maurilio la seguitarono collo sguardo. Quando rimasero soli i due uomini, successe un silenzio, i loro pensieri giravano intorno ad una grave quistione; ma l'uno e l'altro pareva che si peritassero ad affrontarla. Fu Don Venanzio il primo che francamente l'abbordò. Immaginava egli le ragioni e gli argomenti che la incredulità di Maurilio dovesse agitare seco stesso contro la religione di cui egli era ministro, suscitati da quell'occasione in cui la donnicciuola ignorante aveva manifestato la natura della sua fede: e parvegli che non andare incontro egli stesso a quelle obiezioni e distrurle, non isfidare la disputa, fosse una specie di viltà, fosse un mancare al proprio dovere. Levò arditamente la sua bella fronte canuta, come un valente guerriero che si prepara a combattere, e disse al giovane che gli sedava muto e pensoso dinanzi:

– Quella donna ha seco una forza… Per questa potè reggere ai travagli della sua vita infelice; per essa resiste ora ai mali della vecchiaia e della miseria. Ha la fede! È una fede da semplice, da ignorante, offuscata, se vuoi, da nebbie superstiziose; ma è pure una fede – ed è la vera.

Maurilio volse lentamente la sua grossa testa verso il parroco; lo guardò con una indicibile espressione di calma riflessiva, di convinzione profonda, di fermezza di proposito, e rispose colla sua voce affranta e posata:

– Anch'io ho una fede!.. E nelle linee principali, generalissime, s'assomiglia, s'accosta, è forse anco la medesima di quella della povera Margherita; ma nel suo complesso, nel modo di formularsi all'intelligenza, di estrinsecarsi ed attuarsi, è diversissima. Ma Ella afferma che quella della donna ignorante è la vera; e quindi la mia, quella di chi la pensa come me, dev'essere falsa. Qui sta il punto…

Fu interrotto dalla fantesca che recando in tavola una terrina fumante, disse:

– Eccoli serviti.

– Bene: esclamò Maurilio sorridendo; cominciamo per cenare, e dopo, se la vuole, discuteremo.

Don Venanzio fece un atto di acquiescenza sorridendo del pari, ed ambedue si accostarono al desco. Il parroco stette un momento in piedi colla sua berretta in mano, pronunziando a mezza voce il Benedicite. Maurilio rimase dritto ancor egli con aria di rispetto, ma non disserrò le labbra: finita la preghiera, sedettero, spiegarono le serviette che sentivano un buon odore di bucato, e si posero allegramente a mangiare.

 

CAPITOLO XV

Quando ebbero finito, e la tavola fu sparecchiata, i nostri due amici, le gomita appoggiate sul tappeto, l'uno in faccia dell'altro, avviarono animosamente la discussione che aveano lasciata in sospeso.

Non ripeterò che sommariamente le cose che furono dette dall'una parte e dall'altra, e risparmierei affatto questa noia al lettore, se non credessi opportuno far conoscere anche da questo lato lo spirito del mio protagonista, il quale rappresenta meglio che altri le audacie e le ispirazioni del pensiero moderno; epperciò con alquanto maggior estensione, benchè in sunto, riferirò le ragioni da lui addotte nella disputa.

Don Venanzio si appigliò senza ritardo alla, secondo lui, indiscutibile autorità della rivelazione e della ininterrotta tradizione. La Chiesa cattolica ebbe direttamente da Dio la cognizione della verità e la capacità e la facoltà di diffonderla, spiegarla, affermarla. La mente umana è troppo debole per affrontare colle sole sue forze la terribilità del quesito religioso, di cui pure è necessario uno scioglimento al bisogno intimo che Iddio medesimo ha voluto porre nella natura dell'uomo. Senza un appoggio solido e potente la nostra ragione si smarrisce nella ricerca di questo vero che è di tanto superiore alla sua sfera d'azione, alla sua efficacia. La rivelazione è venuta a porgere questo punto di appoggio, a dare il caposaldo alle aspirazioni religiose dell'anima. Della verità della rivelazione poi non è da dubitarsi, perchè la tradizione medesima, la incontestabile autorità dei testi sacri la stabiliscono, anche sotto il rispetto storico, in modo definitivo, ed è empio proposito e più empio attentato il volerla rivocare in dubbio soltanto. Vi sono in quel complesso di credenze che costituisce la fede a cui Don Venanzio apparteneva, alcune cose che l'infausto e diabolico orgoglio della povera ragione umana, aiutata e spinta dall'arte e dall'influsso dell'eterno nemico, vuol trovare assurde, impossibili ed anche puerili. Ma vi è pure una quistione principale e, come si suol dire, pregiudiziale, che tronca affatto e rimove del tutto ogni simile obiezione. Come volere la ragione nostra giudice della possibilità di cose che di tanto stanno al di là del debole arrivo delle sue forze? Anzi tutto quello che può servire di buon argomento nel campo della sua azione, cessa di aver effetto e si converte in argomento a contrario per la ragione umana, quando la vuol recare i suoi metodi logici e le sue deduzioni là dove ella non ci ha più nulla da vedere, perchè non vi basta la cortezza della sua vista. In questo senso fu detto il motto sublime: Credo quia absurdum! E ad ogni modo con che fronte, con che speranza di vittoria può la ragione umana cimentarsi colla rivelazione? Questa è la parola diretta di Dio: quando ella ha suonato chi non vede che si ha l'elemento supremo della verità? E per promessa di Dio medesimo, non è una continua rivelazione la parola della Chiesa legittimamente costituita, pronunziata da' suoi legittimi rappresentanti? Una delle prove più perspicue della verità di quella fede che egli professava, secondo il buon prete, era la dolcezza, la tranquillità che ne sente chi in essa acquieta l'anima sua; era il gran conforto che glie ne viene, anche nei maggiori travagli a chi, appoggiato alla medesima, s'erge al Cielo sull'ali della preghiera: speciali grazie e ricompense queste che Iddio concede appunto ai veri credenti.

Maurilio la prese da quest'ultimo argomento, ritorcendolo di questa guisa:

– Ma allora perchè tanti e tanti, allevati appuntino nella più stretta e rigorosa ortodossia, sentono ad un tratto levarsi nell'animo loro le più crude incertezze, i più ansiosi dubbi su quelle credenze, contro alcuna delle quali protesta la loro ragione venuta a maturanza? E costoro son quelli d'ordinario cui più volle favorire la Provvidenza di forza d'intelletto. Perchè i tormenti di questi dubbi che sono quasi il risvegliarsi della ragione? perchè questo ribellarsi e ripugnare dell'intelligenza sviluppatasi contro le credenze insinuate fin dalla prima età nell'animo nostro, così da essersi fatte per tutti come cosa sacra da non isfiorarsi neppure coll'audacia dello spirito d'esame? Se quella è la verità assoluta od anche solo quale è acconcia al nostro intelletto, questo in tutti, e tanto più in quelli che l'hanno maggiore, dovrebbe aderirvi tenacemente pago e soddisfatto. L'acquiescenza poi dei credenti alle cose insegnate come verità indiscutibili, e la pace e la beatitudine che l'anima loro ne risente, non sono un privilegio dei fedeli della sua Chiesa; lo si ritrovano presso tutti quelli che hanno una forte e profonda credenza radicata nell'animo, sieno essi protestanti, giudei, maomettani, anche idolatri. È questo un effetto mirabile certo, ma non esclusivo d'una sola religione; è effetto della fede in genere, della sostanza di questo attributo dell'uomo, la facoltà di credere nel mondo sovrumano, non della forma in cui questo attributo si esplica e manifesta.

«Sì, caro padre mio, anche in ciò si ha da distinguere la sostanza e la forma, e da tenerne conto. Quella è immutabile, e consta in realtà di poche verità generali, cui la forma poi interpreta, spiega, applica od offusca a seconda. Quella eterna come il vero assoluto, sta al di sopra, all'infuori d'ogni azione dell'umano intelletto, delle circostanze di condizioni morali e civili in cui l'umanità si trovi; questa, la forma, come cosa puramente umana che ella è, partecipa della sorte di tutte le cose umane, si viene scambiando, migliorando, purificando, elevandosi a sempre più perfetto grado, a misura appunto che lo spirito umano si migliora, si perfeziona, vede ingrandirsi innanzi a sè il campo del vero ed acquista forza e capacità maggiore a contemplarlo. Questa forma è adunque, più d'ogni altra cosa ancora, l'espressione del grado di coltura, di sapere, di civiltà a cui gli uomini sono arrivati, e riflette eziandio i caratteri delle nazioni e delle razze. Gli è per ciò che il mondo moderno è cristiano, che i selvaggi sono idolatri, che i latini sono cattolici.

«Quindi si fa che non è solo un errore, ma è cosa empia quella che tutte le religioni positive commettono, di confondere la forma variabile e la sostanza eterna, di voler dare alla prima le qualità e l'autorità della seconda, d'imputar così alla religiosa essenza le colpe e gli errori degli uomini che di quella si profittano. Da ciò avviene eziandio che in certi momenti la forma invecchiata non si adatta più convenientemente allo stato presente degli spiriti; e la sostanza medesima della fede, per non essere intaccata essa stessa, per non correr rischio di perire nel naufragio della forma diventata insufficiente e ripugnante alla ragione progredita, lavora ella medesima a distrurla. Allora si accusano di empietà e d'incredulità coloro che rifuggono da certi dogmi e da un culto che non soddisfano più la loro coscienza religiosa divenuta più delicata e più illuminata, e i quali, fors'anco inconsciamente, lavorano a preparare la modificazione della forma in una fase novella.

«La sua Chiesa medesima, Don Venanzio, benchè riluttante ad ogni cambiamento, benchè acremente tenace d'ogni sua parte, non segue ella questa legge naturale e necessaria dell'umano progresso? Quanto non si è ella venuta modificando nel corso dei secoli? Quanto non ha ella cambiato insegnamento, disciplina e i dogmi perfino? Dalla Chiesa primitiva alla presente, chi le paragonasse, quale immenso divario! Senza volerlo, senza confessarlo, ha pur dovuto camminare coi secoli.

«Ma la ragione umana che ha sempre camminato più di lei, l'ha lasciata indietro di molto, ed ora, mentr'essa non solo vuole immobilitarsi, ma anzi regredire, la ragione invece ha preso slancio maggiore e più ardita foga verso il vero. Di qua il quasi necessario divorzio e l'irrimediabile contrasto fra l'una e l'altra.

«La ragione voi la negate; la volete, se non altro, sottomessa ad un'autorità indiscutibile di cui non si hanno da esaminare il valore e le prove. Contro la coscienza della ragione moderna voi urtate pel metodo, per la dottrina, per la morale e pel culto; non proponete, imponete, insegnate il sopranaturale e lo sostenete col mistero appoggiato al miracolo, spiegate l'incomprensibile coll'inammessibile; ordinate per morale un'obbedienza interessata agli ordini d'una volontà estrinseca; ponete negli atti esteriori del culto, in certi mezzi meccanici, in simboli, in operazioni materiali la condizione della vita religiosa delle anime.

«Il vostro insegnamento dottrinale si fonda in gran parte sopra un concetto dell'Universo, del principio dell'Universo, di un rapporto fra questo e quello, cui la scienza ha dimostrato erronei…

– Ma la rivelazione: interruppe Don Venanzio.

– La rivelazione cui voi affermate sempre ma di cui non date prove che possa la severa critica disaminare, ma cui non volete sottoposta a questa disamina; la rivelazione da questo lato affermerebbe come vere, cose che una certezza positiva ha dimostrate assolutamente false. La scienza ha distrutto i miracoli, e la ragione, più robusta, ripugna ai misteri. Il mondo è pieno di fatti inesplicati, fors'anco per noi inesplicabili, ma non di fatti essenzialmente inintelligibili: volendo fondarvi sull'assurdo e sull'impossibile non potete trovare un punto d'appoggio saldo e valevole: il vostro edificio traballa al primo urto del dubbio. Perciò siete costretti a proibire addirittura il pensiero. I misteri che voi m'imponete, sono soltanto superiori alla ragione senza contraddirla, oppure la contraddicono? Sono essi assolutamente inintelligibili? Ma ciò che è inintelligibile non è: ciò che la nostra intelligenza non può apprendere non è fatto per noi. Quello a cui contraddice la ragione, dono di Dio, non può essere del pari; a meno che la ragione ci sia data per vedere il falso. Empietà questa maggiore d'ogni eresia.

«La vostra morale ci comanda non di fare il bene, ma di obbedire ad una allegata volontà superiore manifestataci per certi intermediari: voi mettete fuori di noi il nostro salvamento. La giustizia per voi è quel che vuole l'Ente supremo quale voi ce lo presentate: ma invece la giustizia è per se stessa…

– Disgraziato: interruppe qui il buon vecchio, sgomento, afflitto, disperato, direi quasi, di udire una tal filza di parole che per lui erano tutte empietà. Oh come hai tu imparato tante orrende dottrine? Come hai tu fatto ad aprir l'animo a questi diabolici sofismi? E tu dicevi di aver pure una fede! Ma no; non è punto vero: tu sei un ateo.

– No: esclamò Maurilio con forza, levando la fronte. Credo e credo fermamente: veggo nell'opera il creatore, sento Dio nell'universo. Glie lo dissi e lo ripeto: Ho una fede ancor io.

– Ma quale?

– Mi ascolti.

Si raccolse un momento, e poi riprese il discorso.

– Ho detto che la forma estrinseca del sentimento religioso si scambia a seconda collo scambiarsi del grado intellettuale a cui è giunto lo spirito dell'uomo. Ecco le varie e principali fasi per cui ella passa e deve passare.

«A tutta prima l'uomo, rozzo affatto e selvaggio, adora la natura. Ha già fatto un passo immenso dallo stato assolutamente primitivo a quello in cui si crea una religione qualsiasi, per quanto grossolana e puerile ella sia, e nella storia dell'umanità chi sa quante sequele di secoli dovettero passare, innanzi a che si giungesse a questo primissimo grado dello sviluppo religioso dell'anima umana. Ma pure allora l'uomo è tuttavia incapace di elevarsi al concetto della natura universale: egli non rimane colpito che dagli oggetti che gli son prossimi e non va al di là dei limiti del suo ristretto orizzonte. Gli oggetti del suo culto per ciò si fanno quelli di cui si serve, che gli sono utili, che ama, di cui ha timore: un albero, un masso, una montagna, un fiume, una belva, un animale qualunque. La speranza ed il timore ispirano sopratutto il suo culto grossolano. Siamo in pieno feticismo.

«Nel secondo grado l'uomo levandosi col pensiero al di sopra dei bisogni e dei ristretti limiti della sua vita giornaliera, onora certi oggetti maggiori, più belli, più brillanti: la luna, il sole, gli astri, la vôlta celeste in cui si movono. Questi oggetti gli sembrano contenere un grado di perfezione superiore a quanto trovasi sulla terra. È il sabeismo; e l'intelligenza umana in esso possiede già una vaga nozione dell'universo.

«Più tardi quest'intelligenza, progredita d'alquanto, giunge a concepire sotto gli oggetti che mostra la natura, le forze che l'animano, che si agitano nel seno della medesima natura, che danno ad ogni cosa il movimento e la vita. Dietro gli elementi indovina le leggi alle quali essi obbediscono e ne fa delle potenze dotate d'una esistenza personale e indipendente; è costituito il politeismo. Poco a poco arriva in seguito a comprendere l'ordine morale e lo fa entrare a sua volta nel concetto delle sue divinità, attribuendo loro tutte le qualità che trova nell'uomo stesso e tutte le perfezioni di cui può concepire l'idea. Di questa guisa il politeismo già si trasforma e veste un carattere filosofico. La religione comincia a passare dal tempio alla scuola; si fa a studiare i problemi della nostra natura, del nostro fine, del nostro destino. L'umanità è pronta per una religione metafisica, che è il quarto grado del suo sviluppo.

 

«Questa religione metafisica, lascia in disparte la natura, non cura più il mondo fisico, fissa i suoi sguardi sull'essere divino medesimo, studia i suoi attributi e li vuole determinare e definire nel dogma. Ma nel dogma s'incatena la ragione; si cristallizza, per dir così, il progresso mentale dei tempi precedenti e si vuole immobilitare lo svolgimento dell'umano pensiero. È la servitù: l'uomo è dichiarato incompetente a nulla cambiare a simboli comunicati direttamente dal cielo. A guardia di codesti simboli si pone un sacerdozio gerarchico che per sua natura ed istituto e necessità logica delle premesse dovrà sempre più isolarsi dal laicato. Questa casta si perpetuerà man mano con delle reclute che si formerà ella medesima: costituirà un'associazione potente con interessi proprii, stranieri e talvolta contrari a quelli degli altri uomini; lavorerà tenacemente nel proposito di vantaggiar sempre se medesima, senza tener conto dei voti e dei bisogni della società cui vorrà anzi tutto dominare, e in conseguenza impedirà ogni progresso, respingerà ogni innovazione, timorosa sempre la sua potenza non ne venga a scapitare.

«La sua divinità, qual essa la presenterà all'uomo, sarà inaccessibile all'intelligenza terrena; sarà tale da doversi ignorare dalla ragione quali disegni abbia essa sugli uomini e ciò che da essi esiga. Quindi per servirla a dovere, questa divinità, converrà affidarsi del tutto alla casta che si propone e s'impone intermediaria fra essa e l'uomo, che si spaccia sola interprete della volontà divina, ed accettare senza esame i suoi decreti. La casta sacerdotale diventerà così l'arbitra assoluta del pensiero umano. Mercè quella oscurità impenetrabile in cui avvolgeranno il loro Dio invisibile, essa comanderà sacrifici ed offerte, spaventerà gli animi e le immaginazioni, fulminerà coll'anatema i suoi avversari, punirà i nemici colla maledizione tradotta anche nei supplizi materiali.

«Ma questa è schiavitù, e l'anima umana e l'intelligenza umana non possono durare a lungo in questo stato di violenza il quale le condurrebbe addirittura alla distruzione. Per quanto si faccia, la ragione comincia a protestare. Invano si moltiplicano le persecuzioni, il grido della libertà del pensiero scoppia qua e là. L'umanità, stanca, che si sente sminuita nella sua parte più essenziale, vuole rigettare la cappa di piombo che l'opprime. Anche presso coloro che non avventurano di cimentare le credenze autoritativamente loro imposte alla corte della ragione, la materialità degli atti esteriori perde il suo significato; il pensiero che si adombrava nei simboli se n'è staccato perchè questi non valevano più ad esprimerlo e rimangono come vuote spoglie prive di corpo e d'anima. La coscienza si risveglia: opinioni indipendenti, pensieri di libertà s'infiltrano da ogni parte e corrodono le basi dell'edificio da cui il vero spirito divino si viene man mano ritirando: un giorno sopraggiunge, in cui le pareti crollano da ogni parte e rimane su quelle rovine la coscienza dell'uomo levata e potente nella sua libertà. Si è arrivati allora al grado più perfetto dell'evoluzione religiosa che mente d'uomo possa ora concepire: il regno della libera coscienza.

«Allora la fede non è più l'accettazione dell'assurdo, che è un'abdicazione ingenerosa della propria ragione, ma diventa il rationabile obsequium di San Paolo; allora si verifica la parola del Cristo, che si deve adorare Iddio in ispirito e verità; allora sarà compiuto il ciclo della contrastata missione del Nazzareno, e l'uomo sarà posto senza intermediario in relazione coll'Eterno, e sarà, secondo la promessa di Cristo, in comunicazione col Padre di tutti.

«L'umanità trovasi sparsa su per la via del progresso, in tutti questi gradi della manifestazione religiosa, dai selvaggi che sono ancora nelle tenebre del feticismo (e forse ve ne ha tuttavia di quelli in cui il sentimento religioso non è neppure nato) ai più avanzati delle classi colte presso le nazioni incivilite, i quali già hanno posto il piede su quell'ultimo gradino della libera coscienza.

«Io mi vanto d'essere fra costoro.

«Credo all'infinito, credo all'assoluto, credo all'eterno, credo alla intelligenza regolatrice delle forze del creato, credo ad una evoluzione del destino umano che non si compie nella breve vita su questo miserabile globo, credo alla giustizia ed alla responsabilità d'ogni libero volere; ma credo a ciò, perchè la mia ragione me ne persuade, non perchè altri voglia impormene la fede con un'autorità che non vuole dar le prove di sè stessa, o con una violenza morale o materiale. E non penso che sieno empii, maledetti, da condannarsi, da disprezzarsi, da infamarsi coloro a cui la ragione persuase altre credenze…»

Maurilio avrebbe continuato chi sa per quanto tempo ancora; Don Venanzio avrebbe ribattuto, chè già mulinava nella testa una filza d'argomenti ed una dozzina di citazioni da confondere il miscredente, e la disputa si sarebbe protratta chi sa fin quando, se la fantesca, per quell'interesse che aveva al padrone, con quella un po' brusca ma affettuosa domestichezza che le davano i tanti anni passati in quella casa ed in compagnia del vecchio parroco, non fosse venuta ad interrompere.

– Scusino, ella disse, ma per questa sera m'è avviso che s'è abbastanza taroccato. Oh non sanno che ora è? Presto la mezzanotte. E dunque gli è gran tempo di andare a dormire, Lei, sor Prevosto, sopratutto che la mattina vuol sempre alzarsi al canto del gallo ed aver detta la sua brava messa prima che sia giorno chiaro.

I due disputatori si guardarono sorridendo. Don Venanzio s'alzò primo e tese la mano al suo giovane avversario che ne aveva imitato l'esempio.

– Neppur io, disse, non odio, non disprezzo quelli che la pensano diverso da quel che vuole la Santa Madre Chiesa… ma li compiango. Un giorno o l'altro – io seguito sempre a sperarlo e prego tanto per ciò! – un giorno verrà che anche tu ti accosterai e riparerai al più sicuro porto della nostra fede e rimpiangerai allora le eresie e peggio che ora ti stanno in mente.

Maurilio non rispose che col sorriso: e tutti due andarono a dormire.

Il nostro protagonista non dormì molto, ma passò quiete più che non si pensasse le poche ore della notte nella modesta cameretta della canonica. Le memorie del suo passato, evocate più vive dal trovarsi in quel luogo, s'intrecciavano colle condizioni del suo presente ad occupare in un lavoro di meditazione e di fantasticheria la sua mente: ma ora quell'amarezza, quel tormento che i suoi pensieri avevano prima, erano sminuiti. Perfino la immagine di Virginia, persino il ricordo che la era sua sorella, affacciandoglisi alla fantasia, gli parevano in quel punto meno dolorosi, gli eccitavano men crudo turbamento: ma egli però si affrettava a scacciarli, e riparava sollecito l'animo nelle memorie della età della fanciullezza.