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La plebe, parte IV

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Märgi loetuks
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Margherita aveva sempre ascoltato a bocca ed occhi larghi, immobile come una statua.

– Avete capito? le domandò il giovane.

Ella accennò di sì.

– Sareste capace di ripetermi questa storiella? Su via, provatevici.

La vecchia ripetè dal principio alla fine, senza sbagliare d'un punto.

– Benissimo! Ma converrà che la riteniate ben bene a memoria, e che ogni qualvolta possa occorrere, voi siate in grado di dirla come adesso, senza imbrogliarvi e confondervi.

– Me la ripeterò fra me stessa, mattina e sera, tutti i giorni.

– Brava! E se vi domanderanno come avvenne che il medico pagandovi secondo quello che dite, voi siate pur sempre rimasta nella miseria, risponderete che spendevate ogni vostro danaro a giuocare in segreto al lotto.

Margherita espresse per la prima volta un po' di scontentezza.

– Ah! questa è una ben grossa bugia.

– Non più grossa delle altre: rispose asciuttamente Gian-Luigi guardandola con quel piglio che ne imponeva a qualunque: e conviene dirla se il bisogno lo vuole.

La vecchia curvò il capo.

– E se, continuava il giovane, vi domandano eziandio perchè non avete detto nulla mai a nessuno di codesto, risponderete che avevate giurato di conservare su ciò il più assoluto silenzio, ma che ora, avendo prestato un altro giuramento: quello di dire la verità a chi v'interroga, siete costretta a svelare quello che non avete mai detto.

Margherita sollevò di nuovo in volto al figliuolo gli occhi che aveva chinati a terra.

– Come! diss'ella: un altro giuramento? Non capisco.

– Sì: rispose Gian-Luigi con qualche impazienza. Molto facilmente se ciò avviene – e potrebbe anche darsi che nulla di ciò avvenisse – prima di interrogarvi vi faranno giurare di dire la verità…

– Ed io, interruppe la donna spaventata: dopo aver giurato di dire il vero, non direi che bugie?.. Un giuramento falso… Oh mai!

Un lampo passò negli occhi di Gian-Luigi.

– È questo dunque l'amore che diceste avere per me? diss'egli frenando il subito moto della sua ira: è questo quello zelo che vantavate di voler fare qualunque cosa per util mio?

– Qualunque cosa, sì… son pronta… Ma perdere l'anima poi!..

Quercia stette un momento a riflettere se gli convenisse meglio ricorrere ai mezzi violenti per rompere quell'inaspettata opposizione della vecchia, oppure agli amorevoli. Si decise per questi ultimi. Prese ambedue le mani di Margherita, le strinse nelle sue, e disse con quello sguardo ammaliatore e con quella sua voce soave che erano tutta una seduzione:

– Sentite, mia buona e cara madre. Si tratta per me di tutto il mio destino, di onore o disonore, di vita o morte. Ho confidato in voi: vorreste ora mancarmi? Quando mi vedeste assolutamente perduto, che rimorso non sarebbe il vostro, dicendovi: «io poteva con una mia parola salvarlo, e nol feci!» L'anima si salva facendo opere buone: e qual opera migliore, quale più doverosa per una madre – e voi siete una vera madre per me – che quella di togliere alla rovina, all'onta, alla disperazione suo figlio?

La donna vacillava; non era la forza degli argomenti usati da Gian-Luigi che la sommovesse: ella era in quel momento così turbata, che appena se capiva le parole di lui; era la voce, era lo sguardo del giovane che le penetravano così dolcemente e potentemente nell'anima: era il suo sterminato affetto che la dominava e stava per superare ogni contraria ragione.

– Mi consulterò con Don Venanzio: diss'ella timidamente.

– No; proruppe con vivacità il giovane. Con nessuno conviene che vi consultiate, e meno con lui che con altri. Ah! non avrei aspettato in voi tanta esitazione, sì poco amore!..

La misera a questo rimprovero crudelmente ingiusto non rispose che con un gemito e con uno sguardo; ma e lo sguardo e il gemito dicevano di molte cose, per cui Gian-Luigi avrebbe avuto da arrossire e gettarsele in ginocchio dinanzi a domandarle perdono. Egli mostrò non aver pure avvertito quella muta, eloquente protesta, e continuò nel suo dire, e tanto seppe colle melate parole e colle preghiere circonvenire l'animo di quella povera donna che ne ebbe ottenuta solenne promessa, ella farebbe tutto a senno di lui, non si ritrarrebbe innanzi al falso giuramento, non farebbe parola di nulla al parroco.

Gian-Luigi uscì per recarsi da Don Venanzio: Margherita disse che sarebbe andata a ritrovarlo colà fra poco tempo per vederlo ancora, per rimanere ancora un po' di tempo prima ch'egli ripartisse; ora la infelice aveva bisogno di esser sola. Il giovane nell'abbandonar la capanna le fece la grazia di abbracciarla; e poi si allontanò col suo passo franco, l'aspetto allegro e sicuro, lo sguardo vivace e dominatore; e nessuno avrebbe detto che gravi cure lo travagliavano e più grave pericolo incombeva sul suo capo.

Margherita, appena fu uscito il figliuolo, cadde in ginocchio sul freddo pavimento della sua miserabile capanna, e serrando le mani in atto di fervente preghiera, esclamò:

– Dio mio! Dio mio! Ho fatto tanti sacrifizi per quel ragazzo; ed avessi anche da far questo? Risparmiatemi voi, Santa Vergine dei dolori; risparmiatemi questo peccataccio mortale… Che se sarà necessario, dopo avergli sacrificato la mia vita terrena… ebbene, gli sacrificherò anche l'anima.

Gian-Luigi con Don Venanzio e Maurilio fu del più libero e lieto umore del mondo, tanto che riuscì perfino a dissipare alquanto le nubi che erano raccolte sulla fronte del suo compagno d'infanzia: disse che per quella volta non aveva potuto procurarsi il piacere d'una più lunga dimora al villaggio, ma che sarebbe tornato prossimamente e per rimanervi alcuni giorni. Fu ameno, amorevole, piacevolissimo come sapeva essere quando volesse. Margherita sopraggiunse: ma una mestizia di cui Don Venanzio non sapeva darsi ragione offuscava in lei la gioia di rivedere il figliuolo: essa lo guardava fiso, fiso, in silenzio, alcuna volta le lagrime venivanle agli occhi. Quando però il giovane partì, ella seppe rattenere il pianto.

– Ricordatevi: le susurrò Gian-Luigi all'orecchio, dandole l'ultimo abbraccio.

Ella rispose con un cenno affermativo del capo.

– Che cosa avete? domandò il parroco alla vecchia, quando il giovane fu partito. Mi par di scorgere in voi la mostra d'un nuovo dolore.

– Nulla, nulla: rispose sollecitamente la poveretta, e s'affrettò ad allontanarsi.

Gian-Luigi, tornato a Torino, trovò a casa sua un altro bigliettino di quel suo anonimo avvisatore; non v'erano scritte che queste parole:

«Affrettatevi. I sospetti crescono. Si tende una rete intorno a voi. Il conte L. fu pregato di un abboccamento dal Direttore generale della Polizia.»

Quercia stette un istante con questo biglietto in mano, le sopracciglia aggrottate, la sua ruga caratteristica incavata sulla fronte; poi si riscosse, e stracciando a minuti pezzi la carta che poi gettò ancora sul fuoco, disse fra sè:

– Mi affretterò… Il conte poi, ne sono sicuro, non dirà nulla che mi possa pregiudicare.

CAPITOLO XVI

Era il vero che il conte Langosco di Staffarda aveva ricevuto dal generale Barranchi un biglietto con cui lo pregava a recarsi da lui in quell'ora e in quel momento che gli fosse più comodo.

La determinazione di scrivere questo biglietto il Comandante dei Carabinieri l'aveva presa dopo un colloquio avuto col signor commissario Tofi; e per esporre tutto per ordine ciò che avvenne e le cagioni di questi abboccamenti, torniamo indietro un momento, a quel punto, in cui partitisi ambedue da quel funesto luogo in cui si esponevano i cadaveri degli sconosciuti e dove s'erano incontrati innanzi alla salma di Ester annegatasi, il medichino e Macobaro s'erano recati, il primo a casa sua, il secondo nel riposto quartierino dove Barnaba stava guarendo dalla ferita avuta dallo stile di Graffigna.

Entriamo anche noi in quella piccola, modesta e oscura stanza, dove giaceva il poliziotto.

Come già fu accennato, il miglioramento della sua salute era tale ch'egli già poteva starsene seduto sul letto, le spalle appoggiate ai cuscini. Più che l'arte del medico, più che i farmaci dello speziale, ad affrettare la guarigione del ferito erano la forza, la tenacità, il meraviglioso vigore del suo volere costante e fisso in un pensiero solo. Le guancie aveva pallidissime, e il volto, già magro abitualmente, in quei pochi giorni di malattia eragli diventato così scarno e macilento che più non potrebbe un tisico nell'ultimo periodo del suo male; ma gli occhi, che dapprima aveva sempre per ordinario come velati da una nube, ora brillavano di un nuovo splendore che pareva ed era in vero il riflesso del fuoco interiore d'una passione che vegliava continua, e cui nulla avrebbe deviata dal camminare verso il suo appagamento.

Accanto al letto, quasi accoccolato sopra un basso sgabello, i gomiti puntati sulle grosse ginocchia e la testaccia arruffata nascosta nelle mani che parevano quelle di un gigante, stava Meo, il quale era mutato ancor egli d'assai da quello che appariva nella taverna di mastro Pelone, ed avreste detto esser malato eziandio. E lo era diffatti; aveva un male che si poteva paragonare a quello della nostalgia; e n'era cagione il non aver più visto da parecchi giorni, che a lui parevano tantissimi, la faccia grassotta, rubiconda, rubesta, e gli occhi assassini della Maddalena.

Meditavano tuttedue; Meo ad un punto avea rotto il silenzio facendo questa domanda:

– Se io andassi a vederla solamente un minuto, che male ci sarebbe?

Barnaba era così affondato ne' proprii pensamenti che non gli diede retta.

Meo ripetè la sua interrogazione. Il giacente udì, ma non comprese, e vedendo la grossa faccia del giovinastro volta verso di lui con ansiosa aspettazione gli domandò che cosa avesse detto.

– Dico che non ci potrebbe esser punto male s'io andassi a vederla un minuto. Proprio solamente tanto da vederla. Ho bisogno di vederla io quella donna.

 

Barnaba ebbe un lieve fremito nelle sue fibre. In mezzo alle tante, varie, molteplici, aggrovigliate fantasticherie della sua mente compariva anche per lui un'immagine di donna: degli occhi ora chiari e sereni, ora scuri e torbidi, delle labbra carnose color di sangue, delle chiome fulve, una persona di forme voluttuosamente procaci.

– Vederla! esclamò egli, il quale sentiva nel suo intimo vivissimo pure il desiderio di avere innanzi reale quella bellezza che vagheggiava colla immaginazione. Chi vedere? Di che donna parli tu?

– Di Maddalena.

Barnaba fece un atto d'impazienza.

– Ci sarebbe male e di molto: rispos'egli. All'osteria ti si tratterrebbe, ti si interrogherebbe, tu non sapresti dissimulare… e la nostra vendetta ci sfuggirebbe di mano… Non vuoi tu più giungere a far tua quella donna?

La sciocca faccia di Meo divenne rossa, e le pallottole di vetro che aveva nelle occhiaie ebbero un bagliore, che pareva lume d'intelligenza.

– Oh sì! diss'egli con forza.

– Non vuoi tu più vendicarti di quell'altro?

– Oh sì: ripetè egli con più forza e con più vivo luccicar degli occhi.

– Abbi dunque pazienza alcuni giorni ancora, ed avrai l'una e l'altra soddisfazione… Sì pochi giorni soltanto, e poi potrò agire: lo sento, lo voglio.

In quella entrava il vecchio rigattiere ebreo, la faccia terribilmente sconvolta; stampata entro la mente l'immagine del volto di sua figlia annegata che aveva visto poc'anzi.

Barnaba comprese tosto che il momento era venuto di apprendere tutto quello che desiderava.

– Jacob, diss'egli, ora mi sento abbastanza forte per cominciare l'impresa che deve procurarci a tuttedue una desiderata vendetta. È tempo che favelliate.

– Sì, rispose il padre di Ester, guardando torbidamente intorno. Sono venuto apposta.

Meo fu mandato nell'altra stanza, e Macobaro fece a voce bassa al poliziotto un lungo racconto, che durò quasi un'ora.

Quando il vecchio ebbe finito successe un lungo silenzio; ambedue stavano meditando. Fu Arom che ricominciò a parlare:

– Ella mi salverà, non è vero?

– Sì: rispose Barnaba che tutto aveva già fissato in mente il modo di agire. Vi farò assicurare, come a propalatore, la impunità.

Un'altra idea s'affacciò in quella alla mente del vecchio usuraio pel quale la passion del denaro era sempre la prima.

– Ah! esclamò egli: non vorrei perderci in codesto i miei poveri denari che ho dati a quello scellerato dietro una cambiale coll'avallo della contessa di Staffarda.

Queste parole fecero nascere un nuovo pensiero in Barnaba. Avvisò che anche di codesto poteva trar profitto pel conseguimento del suo scopo. Gli influenti personaggi con cui il medichino aveva attinenza e che lo proteggevano, avrebbero forse pensato a sottrarlo, anche per riguardo a se stessi, alla giustizia; sarebbe stato opportuno far nascere in quei medesimi il desiderio eziandio di vederlo perduto, e forse quella cambiale gli porgeva il destro da ciò.

– Quel titolo, diss'egli a Macobaro, vorreste voi affidarlo a me?

Il vecchio fece una smorfia che dinotava chiaramente come questo partito poco gli piacesse.

– Voi siete nelle mie mani, e potrei imporvelo con assoluto comando; vi consiglio però a farlo di buon grado, assicurandovi che non sarete defraudato dell'aver vostro.

Jacob capì che bisognava rassegnarsi; e di quel giorno medesimo consegnava sospirando nelle mani di Barnaba la cambiale in quistione.

Ora, il giorno dopo, capitava giusto nella stanza del ferito il commissario Tofi, il quale veniva a narrargli tutto ciò che era avvenuto a proposito del dottor Quercia e che abbiamo visto nei capitoli precedenti.

Barnaba ascoltò silenziosamente a suo modo, e poi disse:

– Ciò che vi ha di pregiudizievole in codesto si è che così venne data a quel briccone la sveglia, e ch'ei penserà a porsi in salvo. Conviene farlo custodire ben bene perchè non fugga.

– Ho già dato gli ordini opportuni per ciò… Ah! l'avrei fatto arrestare senz'altro. Ma il conte Langosco, che a dispetto di tutto lo protegge sempre, sarebbe andato dal generale Barranchi, e mi si sarebbe fatto un rabbuffo.

– Il conte Langosco non lo proteggerà più. Se l'affare dei diamanti non ha bastato, ce n'è qui un altro che lo indegnerà vivamente contro quel cotale e gli farà nascere una maledetta voglia di vederselo torre per sempre dai piedi. Agendo con prudenza si può ottenere d'avere il conte dalla nostra.

Diede la cambiale che sappiamo al Commissario e gli espose quello che a suo avviso doveva farsi, e come. Il signor Tofi approvò tutto e tolse commiato per andar tosto a mettere in pratica i datigli suggerimenti.

– Fra cinque o sei giorni potrò stare in piedi: disse a mo' di conclusione Barnaba, i cui occhi brillavano fieramente: potrò procedere io stesso all'arresto ed alla perquisizione di chi so io e dove so io.

Delle rivelazioni fattegli da Macobaro intorno alla cocca ed al suo capo, non aveva ancora voluto dir nulla al Commissario perchè a sè desiderava serbato l'onore e la soddisfazione dell'importante cattura.

Il signor Tofi si recò dal conte Barranchi, e fu dietro il colloquio avuto insieme che il generale domandò al marito di Candida quell'abboccamento che abbiamo detto.

Barranchi, quando Langosco fu da lui, non fece che ripetergli le parole che destramente gli aveva suggerito il Commissario e che da costui erano state combinate con Barnaba.

– Vengo a darvi un'altra prova, conte, del come la mia polizia si faccia: disse con importanza il generale. Noi sappiamo tutto! E sappiamo qualche cosa che vi riguarda, che forse non sapete nemmeno voi.

– Che cosa? domandò torbidamente il conte che da qualche giorno, per le buone ragioni che conosciamo, non era di umore nè ciarliero nè tollerante.

– Fra noi, amici da lungo tempo, della stessa classe, delle medesime idee, possiamo parlarci francamente, non è vero? D'altronde voi lo sapete che io non ci ho mai valuto niente nelle diplomaticherie. Sono un militare, tutto d'un pezzo, e basta. Ecco dunque di che si tratta. Vostra moglie si è lasciata abbindolare così da mettere la sua firma per avallo ad una cambiale del valore di 52 mila lire.

Il conte sussultò, ma non disse nulla.

– Chi le ha carpita questa firma, continuò Barranchi, forse voi potrete indovinarlo…

– Lo indovino: interruppe con accento cupo Langosco, alle cui guancie saliva un lieve rossore. Ebbene? e con ciò?

– Noi non si vuole che una famiglia come la vostra sia esposta a certe pubblicità, a certi commenti…

Il marito di Candida fece un atto che significava nello stesso tempo un ringraziamento e il desiderio di veder troncate quelle parole.

– La disgraziata cambiale abbiamo trovato modo di averla in poter nostro.

– Sì? proruppe vivamente il conte di Staffarda. Lasciatemela vedere, vi prego.

Barranchi la prese da uno dei cassettini della scrivania e glie la porse. Langosco esaminò attentamente la firma della moglie, e più amaro del solito gli sfiorò le labbra il suo ghigno.

– Ebbene, diss'egli al generale porgendogli il foglio, non vedo qui che ci sia nulla da fare. All'epoca della scadenza la contessa farà onore alla sua firma.

– Legalmente ella non poteva obbligarsi…

– La contessa ha firmato: disse con vibrato accento Langosco; e la contessa pagherà.

– Ma quell'uomo a cui favore diede il suo nome è uno sciagurato, indegno d'ogni riguardo.

Il conte scosse la testa come per dire che ciò non ci aveva nulla da fare nella quistione.

– Voi non lo conoscete ancora bene, continuava Barranchi. Abbiamo dati positivi per credere che quel cotale è capace di tutto… Si hanno i più gravi sospetti sul conto di lui… Volete che ve lo dica?.. E guardate quanto bisogni davvero andar guardingo nello stringere attinenze fuori della nostra classe… Si dubita che quell'individuo sia complice degli assassini dell'usuraio Nariccia.

Langosco, a cui questo brutto sospetto si era già presentato eziandio, impallidì, ma non disse verbo.

– Sapete, continuava Barranchi, che il nostro diligente commissario Tofi aveva già pensato farlo arrestare e perquisire la sua abitazione?

– Ciò non dev'essere, disse vivamente il conte di Staffarda, il quale mise una mano sul braccio del generale come per chiamarne vieppiù l'attenzione sulle sue parole. Siamo amici, generale, ed io per rendervi un servizio che salvasse il decoro della vostra famiglia farei tutto quello che fosse in mio potere. Conviene che ci sosteniamo e ci aiutiamo a vicenda noi che lo spirito rivoluzionario moderno minaccia… Quel cotale non conviene sia arrestato e gli si faccia un processo.

Abbassò la voce e disse lentamente:

– Fra una settimana sarà fuori di Stato, ve ne do la mia parola… Aspettate una settimana a farlo arrestare.

Barranchi fece gravemente un segno negativo e Langosco aggrottò le sopracciglia.

– Mi neghereste ciò, anche s'io ve lo chiedessi come un favore?

– Ve lo negherei, perchè così vuole il vantaggio del pubblico.

Il conte di Staffarda fece un brusco movimento cui tosto però represse: il generale continuava:

– Perchè così vuole eziandio il vostro medesimo interesse.

– Oh come?

– Nella stessa guisa che quel mariuolo ottenne questa cambiale, può avere ottenuto altre carte, altri documenti, lettere… o che so io, per cui possa rimanere compromessa qualche persona… qualche persona, voi mi capite… che non da me certo, e nemmeno da voi, si vorrebbe potesse venire in ballo. Ora siffatte carte in una perquisizione cadrebbero in potere degli agenti della polizia…

– Ed è ciò che vuolsi evitare: proruppe vivamente Langosco.

– No: disse il generale sorridendo furbescamente, e tenendosene d'un'accortezza che non era sua: no, perchè – (e qui abbassò ancor egli la voce) – quelle carte, qualunque siensi, venute nelle mani d'un uomo acconcio, a cui si daranno le opportune istruzioni, del medesimo commissario Tofi, per esempio, fidatissimo e intelligentissimo, potranno passare senza ritardo qui nel mio studio, e di qua a voi medesimo che ne potrete fare ciò che più vi aggradirà.

Il marito di Candida prese vivamente la mano del Comandante dei Carabinieri e glie la strinse forte per muto attestato di riconoscenza.

– E ciò, seguitava il generale trionfante, varrà sempre meglio che lasciare in potere di quello sciagurato, ancorchè se ne vada in altri paesi, un'arma che potrà rivolgere a vostro danno quando che sia.

– Avete ragione: disse con voce soffocata il conte di Staffarda.

– E pensate che se gl'indizi non c'ingannano, e son tali da poter essere omai sicuri di ciò, colla cattura di costui avremo in mano le fila di quella iniqua setta di malandrini, cui si devono i tanti misteriosi delitti che ebbero luogo ultimamente. Quanto a quella cambiale poi…

– Quella sarà pagata: interruppe con una certa alterigia Langosco, e prese quindi commiato dal generale.

– Contessa; disse poscia con severità quasi sprezzosa il conte a sua moglie, appena fu solo con lei: conviene che vi procuriate al più presto le cinquantadue mila lire da pagare quella cambiale che avete firmata.

Candida levò la testa e gli occhi verso il marito; e senza parlare lo guardò coll'aria smemorata ed offesa di chi non capisce ciò che gli vien detto, e crede d'esser fatto mira d'uno stupido ed insolente scherzo.

Il conte seguitava:

– A me è assolutamente impossibile procurarmele; ma con tutto ciò esigo e pretendo che in pochi giorni quella somma sia pagata. Se non ci avete altro modo, ricorrete a vostro padre, il quale per l'onore della sua figliuola non vorrà, spero, far la menoma difficoltà a venirvi in aiuto.

La contessa guardava sempre il marito di quella guisa, se non che nei suoi occhi scuri si accresceva ogni minuto più la fiamma dello sdegno.

– Vorrete voi avere la compiacenza di por termine a questo che io non so come chiamare, se sciocco scherzo, o temeraria menzogna? Proruppe ella con accento pieno d'ira contenuta e con voce che vibrava profondamente agitata. Siete voi che avete bisogno ancora di tal somma ed avete inventato questo bel metodo per estorcerla alla mia condiscendenza stata troppa finora?

Langosco mandò un'esclamazione soffocata in cui c'erano collera, dolore, vergogna, e si trasse indietro d'un passo come se dal colpo d'una mano robusta al petto fosse stato respinto.

– Ah voi mi calunniate ed insultate! diss'egli con una specie di ruggito.

Candida, che fin allora era rimasta a sedere, si drizzò in piedi, e la faccia dritta levata, fulminando il marito con uno sguardo superbo esclamò:

 

– E voi che state facendo verso di me? Insulti e calunnie sono le vostre parole, ed io sono una donna, signor conte.

Il marito represse quell'ira che sentiva nel suo petto presso a prorompere. Sapeva quella donna troppo fiera per abbassarsi a mentire ed abbastanza audace per non isconfessare qualunque sua azione. Un sospetto che ancora non gli era balenato alla mente glie ne nacque di botto. Quell'uomo di cui egli aveva creduto scoprire pochi giorni prima che giuocava di baro, che era ritenuto complice d'un assassinio, non era egli capace di tutto? Il conte tornò accostarsi a sua moglie, e guardandola ben bene entro gli occhi, la sua faccia magra e giallognola a un palmo appena di distanza dal viso di lei, di qualche tempo patito e pallido, le disse con parola lenta e spiccata:

– Voi dunque non avete firmata a favore di quell'uomo una cambiale di 52 mila lire?

– Nessuna: rispose seccamente la contessa.

– Ebbene: disse con feroce crudeltà il marito: quella cambiale col vostro nome, l'ho veduta io stesso poc'anzi; e ciò vuol dire che il vostro amante, signora contessa, è tutt'insieme un baro, un assassino ed un falsario.

Le guancie di Candida si fecero d'un rosso cupo e impallidirono poi tosto; gli occhi lampeggiarono e ratto si spensero; le labbra frementi s'aprirono e s'agitarono come sotto la pressione di fiere parole che stessero per prorompere, ma non una voce ne uscì. Da parecchi giorni troppe e troppo fiere erano le emozioni onde quella misera donna era colpita: a quest'ultima non resse. Credette ella o non credette la terribile accusa? Non ebbe campo a sceverare ella stessa nella confusione della sua mente le proprie impressioni. Sentì uno sdegno indicibile e insieme, in fondo all'anima, una segreta, tremenda paura. Il cuore cessò di batterle, il cervello fu oppresso dall'èmpito del sangue che vi salì vorticoso: agitò le braccia, mandò un rantolo, e su quella poltrona da cui s'era drizzata poc'anzi ricadde pallida come un cadavere.

Il conte le fu presso senza premura, senza interesse, senza pietà nessuna, e la esaminò attentamente.

– Animo! diss'egli coi denti stretti: non è tempo di svenimenti; fatevi coraggio ed udite tutto il vero.

Le prese una mano e la trovò inerte e fredda poco meno che quella d'una morta; la lasciò ricadere, e guardò un istante la donna svenuta con più amaro che mai sulle labbra il suo ghigno; poi diede una forte tirata al cordone del campanello.

– La vostra padrona è svenuta: disse alla cameriera che si presentò: soccorretela, mettetela a letto, e si mandi tosto per un medico.

E lento e tranquillo rientrò nelle proprie stanze.

Dopo uno svenimento di mezz'ora, Candida risensava e in mezzo alla confusione delle idee in cui si trovava tuttavia e all'indolorimento generale del corpo, il suo primo pensiero era quello della orrenda novella appresa dal marito. Che questi era incapace di mentire e calunniare troppo ella sapeva. La cambiale falsa era dunque un fatto reale. Delle altre accuse in quel momento non si ricordava, non si preoccupava. Non aveva tempo nè spirito da indegnarsi, da soffermarsi a considerare l'infamia e la scelleraggine della cosa; al suo animo di donna fatalmente posseduto da una tenace, indomabile passione, un solo oggetto premeva, un solo si presentava: quello di salvare il suo amante. Per ciò non v'era che un modo solo, e il conte medesimo glie lo aveva additato: ricorrere a suo padre, farsene dare la somma occorrente, pagar tutto, ottenere coll'influsso del barone La Cappa che in ogni modo l'affare rimanesse soffocato, a Quercia non si desse molestia. La cosa premeva, bisognava correre senza indugio, Candida volle scendere di letto e non potè; le parve d'essere inchiodata in mezzo alle coltri; fece uno sforzo, e tutte le idee le si smarrirono di nuovo, l'intelligenza le si offuscò e tornò a perdere la cognizione, non in uno svenimento, ma nel parosismo d'una febbre gagliarda sopraggiuntale.

Il conte, avvertitone, corse al capezzale di Candida, e siccome rotte e tronche parole uscivano dalle livide, aride labbra della giacente, timoroso ella nel delirio parlasse, allontanò dal letto ogni altro, per rimanerci egli solo, oggetto di meraviglia ai servi che non lo avrebbero creduto mai così tenero della moglie.

Il medico, fatto venire, annunziò che quella era una grave malattia, e che per allora non poteva predire quali ne sarebbero state le conseguenze.

La cameriera della contessa, che sappiamo avere intime relazioni con Gian-Luigi, si affrettò di quella sera medesima a recargli l'annunzio di quel caso.

– Anche questa è per me un'avversa circostanza: disse il medichino dopo congedata la fante con larga rimunerazione. Questa malattia toglie di agire a costei che in certe contingenze, guidata da me, avrebbe potuto essermi d'un aiuto efficace. Conviene davvero che io m'affretti il più che si possa e me ne vada sotto altro cielo.