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La plebe, parte IV

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Märgi loetuks
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– Morire io, si disse, e morire questi scellerati miei compagni, sta bene; ma perchè la nostra morte avrebbe da costare quella di onesti e di innocenti?

In quella vide altresì la faccia sconvolta del padre della povera Ester, e gli parve che uno sguardo di quegli occhi, i quali parevano sul punto di schizzar fuori delle orbite, si rivolgesse e posasse su di lui, pieno di mortale rancore, di implacabile accusa e rampogna. Si sentì una commozione che non aveva provato mai; credette vedere i lineamenti del vecchio rigattiere, contratti dallo spasimo dell'agonia, cambiarsi in quelli di sua figlia annegata ch'egli aveva visti irrigiditi dalla morte. Un qualche cosa di nuovo che pareva un rimorso, che si accostava ad un pentimento della sua condotta ne assalì l'animo. Credette suo massimo dovere impedire che Graffigna potesse consumare su quel vecchio il suo orribil proposito di vendetta. Si gettò dunque in mezzo la sala, gettando colla sua voce fatta per dominare il tumulto come le volontà umane quel cenno di comando.

Stracciaferro, richiamato da quella voce all'ubbidienza passiva che il suo capo aveva saputo imporgli coll'autorità morale ed anche colla superiorità fisica del coraggio e della forza accompagnata dall'agilità, come ci avvenne di vedere, guardò senza nemmanco stupore nessuno il suo capo come per discernere se quello era proprio il suo comando, vide un gesto risoluto che confermava le parole, e senz'altro lasciò cader l'arma e s'incrociò le braccia, lasciandosi afferrare e legare dai quattro carabinieri che gli furono addosso; Marcaccio era caduto morto; gli altri condannati, non preavvisati, all'inatteso fatto erano rimasti incerti e quando parvero decidersi a secondare la mossa dei tre primi, gli agenti della pubblica forza erano già in contegno ed in numero da tostamente opprimerli; Graffigna percosso sul capo non abbandonò pur tuttavia il collo di Macobaro finchè non sentì l'ultimo rantolo uscire da quella gola ch'ei serrava, finchè non vide spento l'ultimo raggio da quegli occhi che venivan fuori della testa, finchè non s'accorse di sostenere, colle sue mani omicide, un cadavere; allora lo abbandonò, e il misero strangolato cadde strammazzoni per terra come un sacco di cenci.

– Ora egli ha avuto il fatto suo: disse con maligno trionfo la voce sottile dell'omiciattolo, della quale appena se ora rimaneva un filo: ora nè anco il diavolo può più tornarlo in vita.

E barcollando sotto il dolore delle percosse ricevute sul capo, venne tranquillamente presso il medichino, al cui comando pareva così obbedire ancor egli, e là si lasciò, senza il menomo contrasto, ammanettare.

Tutti i condannati furono legati, eccetto Gian-Luigi. Quando gli si accostarono per mettere le manette anche a lui, quell'individuo straordinario li guardò in un certo modo, che, senza pur dire una parola, gli agenti della forza pubblica se ne rimasero e si contentarono di dirgli, quasi con rispetto:

– La venga.

Il medichino, colla sua solita aria di superiorità imponente, prima di muoversi volse uno sguardo verso i due caduti.

– Quegli uomini? domandò egli.

– Morti tuttedue: gli fu risposto.

Egli guardò un momento il cadavere di Jacob Arom, la cui figura, contratta dallo spasimo di quella morte tormentosa e violenta, era orribile a vedersi, e mandò un sospiro che pareva un rincrescimento, una pena, un rimpianto.

– La è finita anche per lui… Mormorò: forse gli è meglio.

– Giannino! Giannino! esclamò in quella debolmente ma con infinita passione una voce soffocata e piena di lagrime.

Il medichino si volse e vide tese verso di sè le secche mani tremolanti della povera vecchia Margherita, cui trattenevano dal gettarsi addosso al suo diletto.

Gian-Luigi le si accostò.

– Mia buona Margherita! diss'egli: madre mia!

Ed usò in queste parole il più melodioso e dolce suono di quella sua voce incantatrice. Poscia volgendosi ai carabinieri:

– Permettete, disse, che questa buona donna mi abbracci.

I carabinieri la lasciarono, e Margherita gettò al collo del giovane con mossa piena di passione le sue braccia magre e stecchite.

– Oh mio figlio!.. Mio povero figlio… Oh figliuol mio!

Non seppe dire altre parole; ma quanto affetto, quanto dolore, quanto trasporto contenevansi in questi pochi accenti!

– Addio madre mia! le disse il condannato, rispondendo con alcuni suoi ai tanti baci ond'ella copriva la fronte, le guancie, gli occhi del giovane. Noi non ci vedremo forse più… Abbi coraggio: la vita, vedi, non è per nessuno, e fu meno ancora per me tal cosa che si debba rimpiangere. Sii tu benedetta ad ogni modo per le tante cure che avesti di me, e pel tanto amore che mi porti. Anche quando sarò passato da questa miserabile scena del mondo, tu ti ricorderai di me, ed è questo l'unico modo con cui possa un uomo sopravvivere alla morte.

Quest'ultima parola colpì la povera donna che di tutto il resto non pareva comprender nulla.

– La morte! la morte! esclamò ella. Questo è impossibile… Tu non puoi morire, tu non devi morire… Hanno bisogno d'una vita? Prendano la mia… Io sono vecchia… Ma tu che sei sì giovane, sì robusto… sì bello… No, no, non è possibile… È una cosa che grida vendetta.

Qui i carabinieri s'intromisero.

– Or via, è tempo di finirla. Voi, buona donna, siete libera; e il condannato ha da venire con noi.

– Calmati, Margherita: disse allora Gian-Luigi. Torna nel tuo villaggio e consolati colla religione… tu che così puoi. La speranza è tutto ciò che ha di più felice l'uomo; e tu vivi nella speranza che ci rivedremo un giorno.

Accompagnò queste parole con un sorriso che indicava quanto fosse lontana da lui una simile speranza, ma cui fortunatamente la vecchia non comprese; poi si sciolse con dolcezza dall'abbraccio della donna e si voltò ad un'altra che faceva per avvicinarglisi ancor essa con viva mostra d'immenso desiderio.

– Addio anche a te, Maddalena: le disse: t'ho tratta meco nel precipizio; ma tu mi perdoni.

– Ti amo! rispose con una specie d'entusiasmo la popolana. Ti ho giurato tante volte che avrei data la vita per te… Oh potessi darla mille volte per salvarti!..

Il medichino ringraziò con un amoroso sorriso e s'avviò con passo fermo verso l'uscita. Quando fu per varcar la soglia di quella, si fermò un istante e voltandosi indietro gettò uno sguardo sulla scena che stava per abbandonare.

Somma era tuttavia la confusione. Gli spettatori non si partivano, ma dritti in piedi, agitati, raccolti a gruppi tumultuanti discorrevano, gestivano, pascevano cogli occhi desiosi la curiosità di quello spettacolo di sangue: i giudici s'erano ritratti; intorno ai cadaveri di Marcaccio e di Macobaro si curvavano uomini dell'arte medica, chiamati lì per lì ad esaminarli; i condannati, chi colle sembianze abbattute, chi indifferente, chi feroce, stavano serrati in un cerchio di ferro in mezzo alle baionette dei carabinieri, che li circondavano. Gian-Luigi scorse collo sguardo tutto ciò, e poi fissò un momento i suoi occhi in un punto, e le sue pupille brillarono con più viva e speciale significazione. Guardò la Zoe, che stava china sul suo banco, intenta tutta a lui a seguirne ogni mossa, parlandogli coll'anima traverso gli occhi.

– Conto su di te: disse quella suprema occhiata di Gian-Luigi.

– Non dubitare: rispose la nera pupilla della cortigiana: io non ti mancherò.

Il medichino fu ricondotto in carcere; e un quarto d'ora dopo udì egli aprirsi i catenacci della sua porta, e vide entrargli nella segreta un uomo.

Era Barnaba.

Que' due uomini stettero un poco a fronte l'un dell'altro, guardandosi senza parlare.

Fu il medichino che ruppe di poi il silenzio.

– Siete stato di parola: diss'egli con accento in cui suonavano insieme una specie di superiorità indifferente, d'ironia e di superbia. Sono condannato, e voi siete venuto.

Il poliziotto rispose con voce sorda:

– Sono sempre di parola. Quando prometto a me stesso o ad altrui di ottenere una cosa, ci arrivo, o soccombo.

Ebbe luogo di nuovo un istante di silenzio.

Que' due evidentemente si studiavano, come fanno due lottatori, prima di venire alle mani.

– Voi dunque avete vinto, e compiutamente vinto: riprese a dire il condannato. Su di me fu pronunziata la sentenza di morte. E voi siete venuto qui per null'altro che per godere della dolcezza feroce del vostro trionfo.

– Forse! disse Barnaba con un ghiacciato sorriso. E voi, desiderando vedermi, qual è la vostra intenzione?

Gian-Luigi affondò i suoi occhi penetranti in quelli del suo interlocutore e rispose lentamente:

– Quello di cercare un perchè.

– Quale?

– Il perchè del vostro accanimento a mio riguardo.

Barnaba continuò a sorridere di quel suo modo.

– È facilissimo a capirsi: voi siete la lepre, io sono il segugio.

– Una lepre! proruppe il medichino, e la sua voce vibrò: vi pare?.. Ma accettando anche l'infelicità di questo paragone, fra il lepre ed il cane v'è antipatia di razza; e fra noi c'è comunanza di origine. D'onde uscite voi? Di certo da quella plebe ch'io mi sdegnai di veder preda senza rimedio alla miseria.

Il volto del poliziotto, che di solito non aveva mai espressione veruna e sapeva nascondere ogni sensazione dell'animo sotto una maschera immutabile d'apatia, per caso straordinario, si rimbrunì e lasciò scorgere una traccia di amarezza come di un antico dolore.

– Sì: diss'egli: voi avete detto il vero. Io esco proprio dalla più infima plebe, dal fango della piazza pubblica. Da chi nasco? Non lo so. Non so nemmanco se son frutto d'un legittimo matrimonio o d'una fortuita unione prodotta dall'amore o dal vizio. Mi ricordo vagamente d'un tempo lontano lontano, nei miei primi anni, che vivevo con un uomo e con una donna che si battevano fra di loro e battevano me. Erano mio padre e mia madre?.. Forse!.. Conobbi il benefizio del loro amore dalle percosse e dalla fame. Un bel giorno mi abbandonarono sopra una strada. Fui raccattato piangente ed affamato da un saltimbanco. Orrori d'ogni fatta videro la mia adolescenza e la mia giovinezza. Non avevo nulla di mio, nè anco una fede di battesimo. Mi si addestrò colle percosse a far ridere il pubblico; per molti e molti anni, non fui più che Pagliaccio. Ecco la mia origine, ecco la mia vita, ecco ciò che mi diede, ciò che fece per me questa società ch'io ora difendo, e non senza merito mi pare.

 

Amarissima era, nel dir queste parole, l'ironia del suo accento e del suo sogghigno.

Gian-Luigi stette un istante considerandolo in silenzio.

– Strano! Strano! Pensava egli frattanto. Costui, nato di miserabili, doveva mettersi a difendere quell'ordine sociale, dal cui sovvertimento i pari suoi non hanno che da guadagnare; mentre io doveva assalire e minacciare quelle istituzioni che fanno la grandezza e la superiorità del ceto da cui ho avuto origine. È un gran burlone il caso!

– E dunque, diss'egli poscia ad alta voce, siete soddisfatto della vostra parte, e dei risultamenti dell'opera vostra? Non vi è mai venuto in mente il pensiero che avreste fatto meglio per vostro interesse e per la verità delle cose a prender posto nel campo nemico, e recare la vostra attività, la vostra accortezza e il vostro coraggio a quelli che ora combattete come avversarii? Supponete che le nostre due abilità si fossero incontrate, poste d'accordo ed unitesi in uno scopo comune. Oh! non vi pare che di grandi cose avremmo potuto ottenere?

Barnaba scosse il capo.

– Prendendo una falsa strada, dove volete che si arrivi se non ad un precipizio?.. E per quella strada della ribellione sociale ho cominciato ancor io… Anch'io fui un giorno un eslege, posto al bando dal Codice Penale… Ed io pure pensai allora di gittarmi a capofitto nella demoniaca baraonda dei ribelli sociali. Sapete che cosa me ne trattenne? Fu l'odio che avevo contro il mio carnefice il saltimbanco. Quell'uomo mi aveva non solamente torturato e guasto il corpo, ma insudiciata, invelenita, adulterata, deturpata l'anima. Ogni fiore di soave e dilicato affetto che vi spuntasse, egli l'ha inesorabilmente schiacciato e calpesto. L'uomo in generale ed il povero, il plebeo in particolare, mi apparve in lui la più trista creatura, un mostro da' più turpi istinti, dalle più infami tendenze, una belva feroce che doveva esser domata. L'onestà in me naturale si suscitò nell'orrore che provai per quell'abbiezione in cui non la mia volontà, ma le circostanze mi avevano precipitato, per quella scellerata corruzione del volgo che s'incarnava per me nella persona di quel miserabile. Preferii passare nella schiera dei domatori che rimanere in quella delle belve. Mi parve che in ogni scellerato ch'io concorressi a far punire vendicassi ancora la mia innocenza, la mia infanzia, la mia debolezza conculcate da quell'iniquo. Non mi sfuggì nessuna delle ingiustizie dell'attuale società: ma mi domandai spaventato che sarebbe dell'umanità, che sarebbe del mondo, se un giorno prevalessero mai contro l'ordine stabilito le scellerate passioni, le rozze nature e i brutali impulsi della plebe. Mi posi per convinzione e a poco andare per diletto a quell'opera cui avevo intrapresa dapprima per necessità. L'ardore della lotta e il soddisfacimento del trionfo si aggiunsero a determinare viemmeglio la mia vocazione… E chi meglio di voi rappresentò mai il genio del mal sociale che noi siamo chiamati a combattere?

Il medichino crollò il capo con sulle labbra un sorriso da incredulo.

– Gli è dunque per solo amore del vostro mestiere che voi foste così implacabile mio cacciatore. È un bel zelo. Ed ora godete del vostro pieno trionfo. Io sono condannato a morte; e voi siete venuto a gioire della dolcezza di mirare in volto un uomo che avete tratto fino ai piedi del patibolo. Non avete più nulla da desiderare nè da operare…

– No: interruppe Barnaba: l'opera mia a vostro riguardo non è ancora finita. Io sono risponsabile della vostra persona fino all'ultimo. Ho da consegnarvi vivo alle mani del boia.

Gian-Luigi ebbe un lieve sussulto e lanciò al suo interlocutore uno sguardo che era una saetta di fuoco; Barnaba lo sostenne immoto.

– Questo pensate che eziandio vi riuscirà; e veramente gli è ora il più facile.

– Penso che voi tenterete ogni cosa per sottrarvi a quell'onta; ma io veglierò…

Gian-Luigi ebbe nello sguardo un'espressione di ferocia da sbigottire chiunque, e nella fronte gli si disegnò la ruga caratteristica del suo furore.

– Non avete immaginato ch'io vi potrei strozzare qui stesso in questo momento? diss'egli coi denti stretti.

Barnaba d'un balzo fu all'uscio a cui non si erano tirati i paletti, e socchiudendolo lasciò vedere che quattro uomini stavano là appostati.

– Vedete se non ci ho pensato! diss'egli rabbattendo di nuovo l'imposta.

– Sta bene! Tutte le carte buone sono nel vostro giuoco. La società è ben felice d'avere in voi un così previdente ed appassionato difensore. Vi si darà una gratificazione.

Ciò detto il medichino volse le spalle a Barnaba, come per significare che non aveva nulla più da chiedergli nè da dirgli e che non desiderava più nulla a lui si chiedesse o si dicesse.

Barnaba tuttavia non si partì; sembrava che alcuna cosa ancora gli rimanesse da dire, ma fosse di un argomento cui ripugnasse dall'abbordare.

Gian-Luigi di colpo fu preso da un'idea, che si può dire un indovinamento. Si ricordò delle lunghe fermate di questo cotale sotto alle finestre della casa abitata dalla Zoe, e dell'impressione che in lui aveva creduto notare una volta al nome di quella donna. Gli si voltò di bel nuovo ad un tratto e gli disse osservandolo bene:

– Voi dunque avete incominciato coll'abbandono dei vostri parenti, per esser vittima d'un malvagio saltimbanco? È una strana rassomiglianza dei vostri casi con quelli della celebre cortigiana, la Zoe.

A questo nome un lieve scotimento, un batter di ciglia manifestarono un'interna impressione; fu mossa lievissima, ma Gian-Luigi la scorse.

– Voi la conoscete? domandò egli.

Barnaba esitò un momento.

– No: rispose poi con voce dimessa.

Stettero in silenzio per un poco ambedue, guardandosi come prima entro gli occhi: ma questa volta Barnaba dopo alquanto chinò i suoi.

– Quella donna vi ama di molto: diss'egli quindi con una falsa indifferenza nell'accento.

– Sì: rispose con alquanto d'enfasi il medichino.

– So che ha tentato di tutto per salvarvi; e la si lusinga vanamente che la protezione del suo Principe valga a qualche cosa.

– Per giovarmi quella donna darebbe ogni cosa che possiede, e se stessa…

Gian-Luigi s'accorse d'un nuovo sussulto di Barnaba tostamente represso.

– Ella s'è rivolta a demoni ed a santi di sicuro… Mi stupisco che la non sia venuta a cercare anche di voi.

L'emozione sempre validamente contenuta di Barnaba divenne tuttavia ancora più visibile.

– No: diss'egli colla voce sorda: da me non è venuta.

– E se ci venisse?

– Ascolterei quello che la mi domanderebbe.

– E fareste?

– Ciò che mi permette il mio dovere.

– Ella desidererà certo vedermi e parlarmi…

– È impossibile.

– Forse la eloquenza di lei, se l'ascoltaste, saprebbe convincervi che un uomo come voi può eseguire quest'impossibilità senza violare nessuno dei suoi doveri.

Barnaba non aggiunse verbo, ed accennò ritirarsi.

– E la conclusione del nostro colloquio? gli domandò ironicamente Gian-Luigi quando era già sulla soglia.

– Nessuna: rispose con tono di trionfo il poliziotto: oppure se vi piace meglio, che voi siete un'altra volta sconfitto, ed io esco di qua con una nuova vittoria. Io vi ho letto nell'anima; voi volevate penetrare nel mio segreto, ed io parto di qua ancora un enimma per voi.

Uscì dopo queste parole.

– Un enimma! mormorò il medichino, guardando l'uscio che si era chiuso dietro di Barnaba. Ne ho ben travisto il motto, ma lasciamogli credere di no… Ah perchè Zoe ha obliato di rivolgersi a costui?.. Egli era forse l'uomo da salvarmi.

E la Leggera allora appunto pensava precisamente a riparare quell'oblio.

Gian-Luigi aveva perfettamente indovinato il pensiero della Zoe: ella, uscita appena dalla sala in cui aveva udito condannato a morte il suo amante, s'era messa tosto all'opera per ottenere licenza di poter parlare col medichino. Per prima cosa, come facilmente si può indovinare, erasi recata dal Principe. Questi, a cui ella di frequente ricordava la fattale promessa, la qual cosa cominciava ad essergli uggiosa, l'accolse e le rispose colle mostre dell'impazienza e del fastidio; al che la non troppo mite natura della cortigiana contrappose lo sdegno e la minaccia. Badasse bene S. A. R. a non dimenticare il giuramento che a lei aveva fatto, imperocchè se fosse per mancarci mai, ella era tal donna da farne pagare al traditore, tuttochè principe, il fio. Il Duchino sorrise, e volendosene liberare le diede tutte le assicurazioni ch'essa volle e la congedò. Ella attese tutto il giorno e tutta la sera il permesso di visitare il condannato, e non vedendolo arrivare ed essendo corsa a palazzo per sollecitare, per richiamare ancora il Principe all'esecuzione della fatta promessa, trovò che S. A. aveva dato ordine non la si lasciasse più penetrare sino a lui.

Allora si ricordò di Barnaba, e volò alla carcere, domandando di potergli parlare. Il sotto-ispettore la fece aspettare un quarto d'ora e poi ordinò la s'introducesse in sua presenza.

La camera in cui la Zoe fu condotta non era illuminata che da una lucernetta, i cui raggi erano ripercossi in giro da un coprilume. Barnaba nascondeva la pallidezza della sua faccia nell'ombra che stendevasi tutt'intorno a quel cerchio di luce riflesso dal cappelletto della lampada.

– Signore, disse la cortigiana senza esitare, senza preamboli, senza preparazione veruna, voglio vedere Luigi, e Lei può concedermi questo favore… Non mi dica di no: lo so: e di ciò la prego, come chi crede prega Iddio e la Madonna… Bisogna ch'io lo veda stassera medesima… Ci sono mille incombenti da fare per ottenerne regolarmente licenza… Non ho tempo… Sono venuta da Lei… Ella ci ha fatto tanto male; ci faccia questo po' di bene… Le giuro ch'Ella non sarà compromessa per nulla… Nessuno ciò saprà mai… si tratta di un condannato a morte… d'un infelice che non ha più che un giorno da vivere… Lasci che un'amica, forse la sola che gli è rimasta, possa recargli alcun conforto… Io glie ne sarò grata eternamente… Nella mia debolezza di donna ho forse più influsso e potenza che altri non creda; farò di tutto per esserle utile; qualunque cosa la mi chiedesse io sarei pronta a fare per Lei.

La Leggera pronunziò tutte queste parole colla foga della passione, e con una certa impazienza della risposta; quando si tacque, attendendo la decisione di quell'uomo, ella vide nell'ombra luccicare stranamente gli occhi di lui ed udì una voce soffocata dirle con un tremore d'emozione:

– Qualunque cosa?.. Ella farebbe qualunque cosa per me?

Zoe era troppo esperta degli uomini per non comprendere tutta la significazione di quello sguardo e di quell'accento: si trasse indietro d'un passo, e parve sulla sua fisionomia accennarsi un sentimento d'indignazione: ma fu un momento fugacissimo soltanto; si riaccostò a quell'uomo, e levando verso di lui il suo fronte senza pudore, guardandolo co' suoi occhi di cortigiana, gli disse con impudente franchezza:

– Faccia Ella quel ch'io voglio; ed io farò quel che vuol Lei.

Barnaba si coprì colla mano gli occhi, come se quello sguardo della donna gli fosse penoso, e stette un istante in silenzio; quando poi abbassò la destra disse alla Zoe, schivandone la vista come se avesse paura di guardarla:

– La sa che l'avvocato difensore è ricorso alla grazia sovrana, e il medichino avrà forse ancora due giorni di vita?

– Voglio vederlo stassera, subito: esclamò la Leggera.

Venne presso presso a lui, gli pose una mano sul braccio, e lo fulminò colle fiamme più accese del suo sguardo promettitore di voluttà.

– E voglio parlargli da sola a solo: soggiunse abbassando la voce ed assumendo un tono carezzevole come si farebbe per una confidenza amorosa.

Un brivido corse per tutte le fibre di Barnaba. Tolse il suo braccio dal contatto della mano di lei, e si fece in là; atterrò gli occhi e stette immobile e muto nell'atto di una profonda meditazione.

– Quanto lo ama! pensava egli. Ebbene voglio udire una volta che accenti ha sulle labbra d'una donna un amore come questo; vo' darmi questo spasimo, io che non fui, che non sono, che non sarò amato mai!..

 

– Che cosa mi rispondete? domandò Zoe impaziente.

– Comincierò ad attenere i patti da parte mia: farò quel che volete voi, e voi vi ricorderete la vostra promessa… Parlerete da sola col condannato.

Due minuti dopo, il medichino veniva introdotto in quella stanza dove la Leggera era rimasta sola; ma Barnaba trovavasi appostato in un segreto stanzino fatto a bella posta ed in modo che tutto quanto poteva udirsi di quello che si dicesse nella camera del colloquio anche a bassissima voce, e tutto pure poteva scorgersi di quanto vi avvenisse per certi bucherelli con arte nascosti.

Ed ecco ciò che Barnaba vide ed udì.

Il medichino entrò colla sua solita aria di superba indifferenza; ma appena lasciato solo colla donna, questa gli si gettò al collo con indicibile espansione d'amore, rompendo in lagrime ed altro non potendo dire che chiamarlo per nome; e la faccia di lui espresse allora una riconoscente e commossa tenerezza, mentre con qualche calore rispondeva agli abbracci di lei.

– Calmati, calmati: diss'egli poi; qui conviene por tosto a profitto il tempo che ci viene lasciato e che temo pur troppo non sarà lungo. Lo sapevo che tu avresti compreso il mio sguardo e saresti venuta: lo sapevo che avresti saputo superare ogni ostacolo… Tu hai sedotto il misterioso poliziotto…

– Venni a pregarlo, ed egli accondiscese…

– In esso avevamo uno strumento in nostro vantaggio, e non l'abbiamo saputo adoperare… Quell'uomo ha per te una passione tanto più forte, quanto più è nascosta.

Barnaba nel suo ripostiglio trasalì, strinse i pugni da piantarsi le unghie nella carne delle palme e si morse le labbra.

– Parliamo di noi, Luigi, parliamo di te.

– Sì: è quello appunto ch'io voglio… L'hai udita la fatale parola… Per me la è finita… Ma ad ogni costo io non vo' salire l'infame scala dell'infame patibolo, e tu mi ci hai da sottrarre… Tu sola lo puoi oramai, e confido in te sola.

– Hai ragione, ed io ti salverò: son venuta apposta per dirtelo… No, non credere che tu abbia da morire… È impossibile. Piuttosto darei fuoco alla città… Quel Barnaba mi ama; ebbene me gli venderò a prezzo della tua fuga… Il Principe è un infame… ma pure mi ha giurato che t'avrebbe salvo… Andrò a ricordargli il suo giuramento in mezzo a tutta la Corte… Andrò a gettarmi ai piedi del Re, ed esso ti accorderà la grazia…

Il medichino scuoteva tristamente il capo.

– No, diss'egli, la fuga è impossibile, la grazia non la voglio: questa mia vita è giunta proprio al suo termine, così dev'essere, e così mi piace che sia. Prima ancora della sentenza dei giudici io mi era condannato da me medesimo alla morte; ma questa non ha da essere lo spettacolo d'un volgo feroce, che accorra a bearsi, come ad una festa, della mia ignominiosa agonia; l'ultimo mio sguardo non ha da fermarsi sopra una fitta di faccie avidamente tese da una curiosità infame. Vo' liberarmi da onta siffatta, e sei tu che devi recarmi questa libertà.

Pose le sue labbra sull'orecchio della Zoe, e timoroso che altri potesse udir mai, le parlò così sommesso che a Barnaba non giunse più che un bisbiglio confuso: le parlò a lungo, ed ella mostrò orrore, ripugnanza, parve riluttare, scongiurare; ma all'insistenza calorosa di lui finì per cedere.

– Ebbene, si lasciò ella sfuggire di poi a voce abbastanza alta da essere intesa. Se non ti potrò recare la salvezza, farò quello che vuoi.

– Ricordati che di grazia non ne voglio!.. Ti attendo adunque all'estremo momento… Tu me lo prometti sull'anima tua?

– Te lo giuro.

– Ed io ti benedirò per quell'ultimo bacio.

Zoe gettò le braccia al collo di lui, ed appoggiando il viso al petto ruppe in pianto, e pianse a lungo disperatamente, mentr'egli con amorose parole cercava confortarla. Non era più la vile cortigiana, era la donna che ama. Egli chinò il volto sul capo di lei e le susurrò colla sua voce incantevole dolcissime parole d'amore. Quella loro mutua, tenera effusione fu interrotta ad un punto dallo scalpito d'un passo: si voltarono e videro la scialba figura di Barnaba dritta sulla soglia.

Luigi si sciolse dall'amplesso di Zoe, e disse freddamente:

– Il nostro colloquio ha da esser finito… Addio e coraggio: è tempo di separarci.

– Di già? esclamò la donna addolorata; e volgendosi verso Barnaba, gli domandò: è egli vero? Voi venite a disgiungerci?

Il poliziotto fece gravemente cenno di sì.

– Ma vi lascierete tuttavia impietosire dalle mie preghiere, e ci concederete ancora un po' di tempo, una mezz'ora solamente, un quarto d'ora?

Barnaba scosse la testa in segno inesorabilmente negativo.

La Leggera avrebbe forse pregato ancora: ma il medichino non gliel permise.

– È superfluo insistere: diss'egli vivamente: separiamoci… E tu, Zoe, ricorda le mie parole!.. Conto assolutamente su di te per l'ultimo addio, per l'ultimo amplesso!

Pronunziò queste parole con ispeciale espressione, e senza volgere a Barnaba uno sguardo, nè un cenno, camminò verso l'uscio, dove comparvero i soliti quattro secondini.

– Sia ricondotto alla sua carcere, comandò il sott'ispettore.

Zoe e Gian-Luigi scambiarono ancora uno sguardo in cui mille cose si contenevano, e il prigioniero scomparve nell'oscurità del corridoio, in cui metteva l'uscio di quella stanza. S'udirono per un poco i passi di lui e de' suoi accompagnatori suonare cupamente sotto le vôlte, poi tutto ridivenne silenzioso come la tomba.

Barnaba e la Zoe erano di nuovo faccia a faccia e soli in quel silenzio notturno.

Ambedue avevano ancora qualche cosa da dirsi e capivano che una maggiore spiegazione era necessaria fra di loro, e provavano una difficoltà grandissima a trovar le parole.

Fu Barnaba che incominciò. Venne presso alla donna e le disse con voce sommessa, come se avesse vergogna egli stesso d'udire le sue parole:

– Io feci quel che voleste; a voi ora il mantenere la vostra promessa.

La cortigiana lo guardò con un superbo disdegno.

– Voi volete per un picciol merito un troppo ghiotto compenso.

Ad un tratto cambiò espressione di fisonomia e d'accento, prese vivamente le mani di Barnaba, le strinse forte, ed accostando a quella di lui la sua faccia illuminata dal più vivo riflesso d'una fiamma che parea quella dell'amor sensuale, le sue pupille brillanti d'una luce diabolicamente affascinante, gli susurrò con tono di violenta passione:

– Salvatemelo… fatelo fuggire… ed io vi darò tutte le voluttà del paradiso… e dell'inferno…

Barnaba chiuse gli occhi per sottrarsi all'ardenza di quella vampa seduttrice; tutto l'esser suo fu riscosso fino nell'intimo; le guancie gl'impallidirono per la soverchia emozione. Liberò quasi con isgomento le sue mani da quelle di lei, e se ne allontanò palpitante senza avere per un poco fiato e forza a rispondere. Ella accennò voler muovere un altro assalto e rinnovare la sua tentazione; ed allora egli con un gesto le comandò si ristesse e con voce commossa, senza guardare verso la donna, così parlò:

– Codesto è inutile mi domandiate… Non posso acconsentirvi… e non voglio… E voi sarete mia pur nullameno.

Zoe fece un risoluto segno di diniego: ed egli con forza:

– Sì, sarete mia, ripetè, se pur non volete vedere salire sul patibolo infame l'uomo che amate, se pur volete mantenere il solenne giuramento che a lui avete fatto qui stesso testè.

Quell'uomo in dire queste parole s'era tutto trasmutato: l'incertezza, quell'esitazione che pareva una timidità, quella specie di contegnoso riserbo che aveva avuto sino allora, erano affatto spariti; la maschera di umiltà, di sommessione e di apatia che soleva tenere sul volto eragli caduta, e nei lineamenti, che direi commossi e frementi, appariva pur finalmente la violenza della passione tanto tempo contenuta e soffocata.

La Leggera fu sovraccolta, quasi sbigottita da questo cambiamento, da questa rivelazione d'un uomo nuovo in colui, d'un uomo, quale ella non aveva ancora mai sospettato sotto quelle fredde apparenze.

– Qual giuramento? balbettò ella, quasi non sapendo che dirsi nella sua attonitaggine.