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Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 3

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Martini (Giov. Paolo), nato a Freystatt nel Palatinato, passò nel 1757 all'università di Friburgo per istudiarvi filosofia, dopo di avere appreso la lingua latina e la musica. Portossi quindi in Francia, e fermatosi a Nancy il suo talento per la musica e la franchezza del suo carattere gli fecero molti amici, che presero particolar cura di lui. Quivi applicossi mercè la meditazione, e i libri classici de' tedeschi sulla composizione a perfezionarsi nella sua arte. Sotto la direzione di M. Dupont costruttore di organi ebbe la fortuna di aver parte alla costruzione dell'organo della chiesa primaziale di Nancy, di 50 registri, dalla prima disposizione de' materiali sino al compimento totale del medesimo: ecco quel che gli somministrò l'idea della sua opera intitolata École d'orgue, a Paris 1804. Ella è divisa in tre parti, ed ha per iscopo di propagare i talenti degli organisti dietro i sistemi de' più celebri tra costoro dell'Italia e dell'Allemagna; con tanto più di ragione in quanto quest'istromento richiede molta scienza musicale e contribuisce maggiormente a render musica un'intera nazione. M. Martini, dopo una lunga esperienza e i giornalieri esempj, sostiene che l'esecuzione ed il sentire i capi d'opera della musica di chiesa, possono soli formare de' compositori, de' cantanti e delle voci. Nel 1764 egli venne a stabilirsi in Parigi e vi compose una solenne messa a grande orchestra, ch'egli stesso riguarda come una delle migliori sue opere per lo stile, e che si è eseguita per più anni a Vienna per la festività di S. Stefano patrono di quella cattedrale. Entrò quindi come direttore di musica al servigio del principe di Condé, e ne perdette gli onorarj nella funesta rivoluzione del 1789. Nell'erezione del Conservatorio fu egli uno de' cinque ispettori di quella scuola, ed ha composta molta musica sì per chiesa, che per teatro applauditissima in Francia. Egli è il primo che abbia introdotto l'uso di ridurre la musica di più parti a due sole di violino e basso per il forte-piano, il che ne rende più facile e l'esecuzione e l'acquisto, e contribuisce vie più a diffondere il gusto della musica nelle famiglie, e a dilatarne il commercio, che oggidì ne fa uno de' suoi rami principali; ed in ciò è stato egli imitato in tutta l'Europa. Martini diè ancora al pubblico nel 1790, La Mélopée Moderne.

Marzio (Giac. Federico), maestro di musica a Erlang, nel 1786 pubblicò a Norimberga Taschenbuch etc. o Manuale per gli amatori di musica dell'uno e l'altro sesso. Nell'introduzione egli promette di dare in ciascun semestre una collezione di arie, minuetti, wals e di altri pezzi per forte-piano: ed un'altra di brevi dissertazioni su varii oggetti di musica, di biografie e aneddoti di musici, di lettere ec.

Mascardio (Guglielmo) viveva in Italia circa 1400. Bendemaldo in un manoscritto del suo comento al libro di Muris, che si conserva nella libreria del P. Martini, fa di costui menzione come di un musico di grido a' suoi tempi, ma le cui opere sono state avvolte insieme con tanti altri depositi delle umane cognizioni nella irreparabile dimenticanza dei secoli. V. Arteaga T. 1.

Masson, maestro di cappella in Francia sulla fine del sec. 17, di cui abbiamo: Nouveau Traité des regles pour la composition de la musique, 1699, 2 ediz. in 8vo. Quest'opera veniva riguardata come classica all'epoca, in cui non vi era in Francia verun trattato ragionevole sulla composizione, quindi ebbe molte edizioni, di cui la quarta è del 1738.

Mattei (Stanislao), nato in Bologna nel 1750 da un artigiano, dopo di avere studiato la lingua latina e la geometria, entrò in età di 15 anni nell'ordine de' conventuali, e dal 1767 sino al 1784 applicossi alla composizione sotto la direzione del dotto P. Martini. Sin dal 1772, era stato nominato di lui successore nella cappella di S. Francesco in Bologna, e ne esercitò le funzioni dopo il 1784, epoca della morte del suo precettore, sino alla soppressione del suo convento nel 1798. Divenuto prete secolare, fu scelto nel 1805 maestro di contrappunto della Società Filarmonica di Bologna. Tutte le composizioni del Mattei sono per chiesa senza stromenti, sullo stile del Martini. Costui morendo lasciò al Mattei molti materiali per compire la Storia della musica, e già ne aveva terminato il quarto volume sulla musica degli Etruschi, allorchè ne fu impedita la pubblicazione per i disastri politici sopraggiunti in Italia. Puossene leggere un Saggio nelle Memorie del Martini (pag. 38 e seg.). Nel 1786, trovandosi in Roma il Mattei, gli venne offerta la cappella di Loreto e quella di Padova, ch'egli ricusò non potendo rinunziar quella di Bologna: in Torino scrisse una solenne messa per il giorno di S. Francesco, che piacque moltissimo. Quest'abile professore dal 1784 sino al giorno d'oggi conta circa 150 allievi.

Mattei (Saverio), letterato di gran merito ed avvocato in Napoli, ha reso molti importanti servigj alla musica con le sue dotte opere, e con la sua poetica traduzione eziandio de' salmi imitando perfettamente la dolcezza e la fluidità della poesia lirica del suo intimo amico il gran Metastasio. Alla sua versione de' Salmi pubblicata in Padova nel 1780, in 8 volumi fa egli precedere delle Dissertazioni, alcune delle quali debbonsi a giusto titolo quì annoverare. Nel 1º vol. Della musica antica, e della necessità delle notizie alla musica appartenenti, per ben intendere e tradurre i salmi. Nel 2º vol. Salmodia degli Ebrei. Nel 5º vol. La filosofia della musica, o sia la musica de' salmi, che Metastasio chiama dottissima. In questa si lagna a ragione il Mattei di non esservi tra' moderni, come non vi è stata per l'innanzi, una buona scuola di musica. “S'insegna a' giovani il contrappunto, egli dice, e questo si crede bastare a fare un gran maestro di cappella: il contrappunto in musica corrisponde alle concordanze, e il saperle giova per non fare errori piuttosto. Ma non ci è chi insegni la Rettorica e la Poetica (dirò così) della musica, e restiamo solo nella Grammatica. Alla rettorica della musica apparterrebbe l'insegnare a' giovani, che ogni sinfonia, ogni aria, ogni composizione costi delle sue parti: che vi ha da essere il proemio, e questo dee trarsi ex visceribus causa; che sussiegue la proposizione e divisione de' punti, o sia de' motivi principali, che poi si dilateranno nel corso del componimento; che questa dilatazione de' motivi forma la narrazione: che indi ne viene una specie d'Argomentazione, o sien conseguenze, che da quella deduconsi, cioè i passaggi da un tuono all'altro, le proposte e le risposte, e un certo contrasto fra gli stromenti; che poi riunendosi formano l'epilogo di tutto il componimento. Alla poetica della musica apparterrebbe insegnare a' giovani le diversità degli stili, il tenue, il mediocre, il sublime, e fare osservare, come i migliori scrittori si son serviti in diverse maniere di essi stili: che il Sublime del Sassone, per esempio non è il sublime del Jommelli e del Piccini, e che in quel primo ci è un'epica maestà, gravità, sobrietà, e saviezza simile allo stile dell'Eneide di Virgilio, niente ci manca, niente soverchia, e scorre qual fiume reale, che non altera il corso. Nel Jommelli ci è un fuoco, una fantasia lirica simile allo stile delle odi d'Orazio, anzi di Pindaro: scorre qual impetuoso torrente, che allaga i campi, e seco porta tutto nel mare: maraviglioso nell'uscite inaspettate, improvvise, e veramente Pindariche: nuovo nell'invenzione de' motivi, nuovo nell'esprimerli, nuovo nell'union delle parti. Nel Piccini all'incontro, come era nel Pergolesi la sublimità non va mai disgiunta dall'amenità, e dalla venustà. Qual è il miglior di costoro? Ecco lo spirito di pedante. Tutti son ottimi nel lor genere: e bisogna lasciar andare i giovani per quella via, ove il genio e la natura gli guida, e non ridurli a forza di servile imitazione ad esser attaccati più a questo, che a quello.” Nell'ottavo volume de' salmi si trova finalmente un erudito carteggio del Mattei col Metastasio e con Mons.^{r} Pau sulla celebre questione della musica de' Greci dottissimamente da tutti e tre agitata: ma non sono tutte che congetture, come ne conviene lo stesso Mattei, sostenendo egli la superiorità dell'antica musica sulla moderna contro di loro. “Le vostre conghietture, egli scrive, e le mie son tutte egualmente fondate sopra incerti supposti, e per quanto si vogliano fortificare con riflessioni, sempre saran conghietture” (Lett. a Metast. del 1770). Intorno a tal questione supera tutti l'ab. Requeno dandone le più convincenti prove tratte dagli sperimenti, e dal testo medesimo de' greci scrittori di musica, a cui non giunsero mai tutti coloro che prima di lui avevano trattato siffatta materia, e che era frattanto l'unica maniera di pervenire allo scioglimento della questione. Dà in oltre il Mattei de' migliori rischiaramenti sull'antica musica de' Greci nella Dissertazione ch'egli scrisse sul nuovo sistema d'interpetrare i Tragici Greci. La malevolezza de' suoi emuli pretese pur nondimeno di porre in ridicolo questo grand'uomo sulle scene di Napoli, coll'allusivo dramma burlesco del Socrate immaginario, messo in un'assai bella musica da Paisiello. Negli Elogj del Metastasio e del Jommelli da lui pubblicati nel 1785, si trova una storia esatta del rinnovamento della musica, e de' progressi ch'ella ha fatto specialmente nel genere drammatico mercè i sforzi di quel divino Poeta: e dei compositori di musica, che dirsi possono alla di lui scuola formati. Vi ha finalmente pubblicata in Napoli, Se i maestri di cappella son compresi fra gli artigiani, probole di Sav. Mattei, in occasione di una tassa di fatiche domandata dal maestro Cordella, in 4.º 1784. Forkel ne ha dato l'estratto nel suo Almanacco di musica del 1789. Mattei è morto in Napoli nel 1802.

 

Mattheson (Giov.), canonico e maestro di cappella della cattedrale di Hamburgo, è celebratissimo del pari come scrittore e come compositore di musica. Ebbe egli dal padre suo, che in lui riconobbe delle gran disposizioni per quest'arte, la più felice educazione. Hanff, Woldag, Brunmüller, Pretorio e Kerner furono i maestri, ch'egli gli diede, e all'età di 17 anni compose la sua prima opera per teatro. Strinse egli poi la più intima unione col cel. Hendel, e molto profittò de' consigli di questo gran musico. Datosi allo studio delle leggi e delle lingue inglese, francese, ed italiana divenne soprintendente all'educazione del figlio dell'ambasciadore d'Inghilterra, e fece con esso diversi viaggi a Amsterdam, a Lubecca, e a Brunswick: allora fu che cominciò a provare un grande infiacchimento all'udito, che nello spazio di 30 anni degenerò in una totale sordità. Nel 1706 quell'ambasciadore il nominò segretario di legazione. Si capisce appena com'egli badar potesse a tante fatiche insieme. Insegnava ad un tempo stesso la musica a più di venti scolari, serviva più chiese per l'organo; applicavasi al dritto, e alle lingue; scriveva per teatro: a ciò si aggiungano le sue occupazioni come secretario di legazione, e come direttore di musica alla cattedrale. Ciò non ostante compose egli per quel che concerne solo la musica 88 opere, e lasciò alla morte assai manoscritti e sufficienti materiali per la pubblicazion d'altrettante, oltre al gran numero di musica pratica per teatro e per chiesa. Morì egli nel 1764, in età di 83 anni, e lasciò alla chiesa di S. Michele di Hamburgo una somma di 44 mille marche per la costruzione di un organo, che secondo il di lui piano fu costruito da Hildebrand con 64 registri, e tre tastiere lavorate di madreperla. Ecco il catalogo delle di lui opere teoretiche da lui scritte in latino o in tedesco. Critica musica, Hamb. 2 vol. in 4º, 1722-1725. La grande scuola del basso continuo, in 4º, 1719-1731. De eruditione musicâ, schediasma epistolicum, Hamburgi 1732 in 4º. L'arte della melodia, 1737 in 4º. Progetto e principio d'un Archivio di musica contenente la vita e le opere de' più celebri maestri, e compositori, 1740 in 4º. Esame delle nuove opere, in 4º. Aristoxeni jun. Phthongologia systematica, ossia Trattato sulla teoria del suono, 1748 in 8vo. Nuova accademia musica, più vol. in 8vo. Riflessioni sul rischiaramento di un problema di musica, in 4º. Il Patriota musico, in più volumi. Quest'opera è rimarchevole per molti curiosi dettagli, e meriterebbe una nuova edizione. Il perfetto maestro di cappella, 1739 in fol. ec. Omettiamo a bello studio le sue opere polemiche sulla musica, perchè piene d'ingiurie grossolane, che fanno rivoltare i lettori. (V. Walther, Heumann et Fabric.)

Maupertuis (Pier-Luigi Moreau de), nativo di San Malò, cel. geometra, membro delle accad. delle scienze di Parigi e di Berlino, morì in Basilea nel 1759. Nelle memorie dell'accademia di Parigi per l'anno 1724 vi ha di lui un'opera relativa agli strumenti di musica, alle corde e a' suoni.

Maurolico (Francesco), nato di nobil famiglia in Messina; abbate di S. Maria del porto in Sicilia passò la più gran parte di sua vita nella patria; ove fu pubblico professore di matematiche. Egli era così profondo in questa scienza che divenne celebratissimo in tutta l'Europa. Carlo V, l'onorò in Messina della sua amicizia, e molti forestieri di distinzione vi si recarono per conoscerlo: coltivò in oltre le belle lettere, e la musica; riconcentrato sempre in se stesso ed assorto nella più profonda meditazione, se gli strappava a stento qualche parola sopra altri soggetti oltre a quello de' suoi studj. Benchè fosse stato di una complessione mal sana, giunse non per tanto sino all'età di 80 anni, e morì in una casina di campagna nel 1575. Tra le sue opere di matematica stampate in Venezia nel 1573 vi ha un suo trattato sulla Scienza musicale (V. Tiraboschi, e Landi Hist. de la litterat. d'Ital. t. 4. Martini Stor. t. 1).

Mayer (Giov. Simone), nato in Baviera è stato pur nondimeno educato in Italia, e quivi dalla prima età stabilito ha saputo destramente unire il brio ed il gusto dell'armonia tedesca con la dolcezza e l'espressione del canto italiano. Nella sua musica egli ha preso per modello lo stile del gran Mozart, con adottarne spesso i più bei soggetti, ma in maniera a comparir veramente originale. Nel 1796 prese in moglie una sua scolara figlia di un ricco gentiluomo veneziano il Sig. Giuseppe Venturali, ed in quest'occasione l'abb. Rubbi impiegò il suo coltissimo estro in undici sonetti sull'armonia che servon di parafrasi al celebre sonetto sullo stesso argomento, del Mazza, e di epitalamio a quelle nozze. “Un fausto momento di vostra famiglia (scrive l'abb. Rubbi al padre della sposa) ha dettato alla mia amicizia alcuni sonetti che io vi trascrivo, e che d'ora innanzi son vostri. Nell'atto che io leggeva il bel sonetto del Mazza sull'armonia, mi vien data la nuova, che la Sig. Angioletta vostra primogenita è promessa sposa. Interrogando con chi, mi si rispose, col Sig. Simone Mayer celeberrimo giovine compositore di musica. Parve che le circostanze della lettura concorressero ad aumentare la mia allegrezza. Un'amabil donzella che ha tanta parte nel regno musicale, un valente calcolatore di note, ammirato in Italia e fuori, che seppe al tempo medesimo ispirarle scienza ed amore, fanno l'oggetto dolcissimo e fertile de' miei versi. Mi rinserro nei limiti del sonetto del Mazza, che abbraccerebbe volentieri un lungo poema, ec.” Questi eccellenti sonetti del Rubbi possono leggersi nel Mercurio Storico-Letterario d'Italia per l'anno 1797. Mayer è maestro di cappella a Bergamo: le sue composizioni per teatro, che sono giunte a nostra cognizione, e che trovansi nel Magazzino del Ricordi in Milano, sono Adelasia ed Aleramo, che ebbe il più gran successo nel teatro della Scala di Milano, e che si trova disposta anche per il forte piano presso M. Le Duc impressa in Parigi; Ginevra di Scozia; Adelaide; la Lodoiska; i misteri Eleusini, e l'Elena che si è rappresentata in quest'anno nel nostro R. teatro Carolino. Le opere buffe di Mayer sono in oltre: L'equivoco; Nè l'un, nè l'altro; un pazzo ne fa cento; il venditor d'aceto, farsa; un vero originale; amor non ha ritegno; le due giornate; il pazzo per la musica, eseguita con sommi applausi in Parigi nel 1805 e le finte rivali nel 1810. Altre di lui farse sono: Il pittore astratto; l'Elisa; l'intrigo della lettera; l'amor conjugale.

Mazza (Angelo), rinomatissimo poeta italiano di Parma, tra le cui poesie oltre al sonetto, del quale si è parlato nello scorso articolo, vi sono di lui Tre Odi sull'armonia. In una sua lettera scritta da Parma, al di lui amico Cesarotti, del 1772, “Tre odi sull'armonia, egli dice, mi fanno istanza di presentarsi a voi, del cui favorevole orecchio ove possan gloriarsi non ambiranno che altri le ascolti. Sentirò volentieri, anzi vi prego a non la mi tacere, l'opinion vostra ec.” Alla quale così rispose il cel. professore di Padova. “Le tre vostre Odi hanno tutte le ragioni di andarsene superbette anzi superbissime; ed io lungi dallo sgridarle, mi compiaccio d'incoraggiarle maggiormente, e di farle conoscere ed applaudire da chiunque ha gusto in queste materie.” Altre ne scrisse poi il Mazza sullo stesso soggetto, e nel 1793 chiesene con un'altra lettera il giudizio dell'amico Cesarotti: “Due Signori Bolognesi, han riprodotto alcune Odi mie sulla Musica fiancheggiate dall'autorità del vostro giudizio: ne riceverete un esemplare ec.” Tradusse egli ancora le odi di Pindaro in versi italiani, e lagnavasi col Cesarotti de' pochi lumi che si hanno della greca musica, da cui tanto dipender dovette il buon esito di quel poeta-musico. “Vivo mi punge il desiderio (scrive egli al medesimo) di ascoltar Pindaro ragionare tra noi. Ben mi fa pena lo sconosciuto musicale andamento della espressione e del numero, da cui risultava un precipuo vantaggio alle odi di quell'Immenso. Se i principj della musica greca fossero meno oscuri, sarebbe men duro l'indovinarlo. Ma io credo che vaneggiasse largamente Brazzuolo, e seco lui il Tartini, quando l'uno colle attitudini affannate della persona, e gli sfinimenti della voce, l'altro co' variati e insensibili ricercamenti del violino si adulavano di riuscirvi.”

Mazzanti (Ferdinando), rinomatissimo cantante di soprano, compositore di gusto e buon sonator di violino, dopo aver cantato con incredibili applausi su i primi teatri di Europa, andò a stabilirsi in Roma. Molti vi ha tuttora viventi in Palermo, che son testimoni dell'entusiasmo ch'egli vi produsse per la bellissima voce, per l'eccellente sua maniera di cantare, e di rappresentare con singolar espressione sulla scena, sicchè rapiva, e trasportava fuor di se i suoi ascoltanti. Il dott. Burney afferma di avere avuto occasione di applaudire a' suoi talenti, ed alle sue vaste cognizioni in diversi rami dell'arte, allorchè il vide in Roma nel 1770. Egli possedeva una considerevolissima biblioteca di libri impressi e manoscritti. La sua collezione di opere pratiche era per la più parte composta delle composizioni del Palestrina. Egli mostrò al dot. Burney un Trattato di musica che era già sul termine di compire. Compose in oltre la musica di più opere, mottetti, e trio, quartetti, quintetti, ed altri pezzi pel violino. Morì egli in Roma circa 1786.

Mazzocchi (l'Abbate) fu verso il 1779 in Italia l'inventore di un nuovo strumento di musica, consistente in una cassa di due piedi di lunghezza, e la cui larghezza è in proporzione di quella de' campanelli che contiene, essendo in arbitrio dell'artista il dare alla cassa come a' campanelli qualsivoglia posizione. Il suono si tira da questi per mezzo di un arco da violino, di cui il crine è impiastrato o con pece, o con trementina, o con cera, o con sapone. In tal maniera si ottengono non che de' suoni così dolci come quelli che se ne traggono colle dita sull'armonica, ma si fa render suono eziandio da' campanelli, che non ne darebbero del tutto sotto le dita. L'abb. Mazzocchi si è provato in oltre di sostituire alle campane di vetro altre campane di metallo, ed anche di legno, e quest'ultime, per quanto si assicura, rendono de' suoni poco diversi da quelli del flauto. Questo strumento può sonarsi con uno o due archetti. Lo stromento di musica fatto in Italia dall'Abate Mazzocchi, dice M. Chladni, mi fè concepire l'idea di servirmi d'un arco di violino, per esaminare le vibrazioni de' differenti corpi sonori. (Prefac. a l'Acoustiq.)

Mazzocchi (Domenico), maestro della scuola romana sulla prima metà del sec. 17, fu il primo a far uso del semituono enarmonico, e dei segni di crescere, diminuire, del piano, del forte nell'esecuzione della sua musica d'onde passarono ben presto nella musica di chiesa. “Raffinandosi l'arte nel procedere degli anni, nel sec. 17 apparve un genere nuovo: come esemplare in tal genere io eleggo fra tutti Domenico Mazzocchi: il suo stile è limpidissimo, i pensieri sono espressivi molto, e ben distinti. L'armonia è gratissima, e il movimento di ciascuna voce tanto comodo e decente, che il più delicato orecchio de' moderni non vi trova cosa da riprendere, anzi dirò meglio, da desiderare in due bellissime di lui operette stampate in Roma, l'una delle quali ha per soggetto un tratto di Poesie italiane, e l'altra diverse Poesie latine di Urbano VIII. L'ultima è una parafrasi poetica del cantico de' tre fanciulli composta a sei voci, così bene stabilita nel principio suo, e condotta poi con tale avvedimento, che se io avessi a mostrare altrui, in che consiste l'unità del disegno in un lavoro musicale, e come le varie parti di esso a formare un tutto unico e indivisibile si riducono, non crederei di potere usare altro esempio alcuno più opportuno, e più utile di questo.” Sacchi lett. al Conte Riccati.

Mehul (Stef. Arrigo), membro dell'Istituto nazionale, e professore di composizione nel Conservatorio di musica in Parigi, nacque a Givet nel 1763; apprese il contrappunto da Hauser professore allemanno, assai valente contrappuntista. Essendo venuto in Parigi all'età di 16 anni, fu dopo due anni presentato a Gluck, che degnossi iniziarlo nella parte filosofica e poetica dell'arte musicale. Sotto la direzione d'un sì sublime genio cominciò egli a scrivere per teatro, e sino al 1811 più di trenta drammi e serii e buffi aveva egli composto, e fatto eseguire in più teatri di Parigi. L'energia e l'eleganza caratterizzano la musica di M. Mehul. Nel rapporto all'Istituto per il gran premio di seconda classe alla musica delle opere comiche, ecco il giudizio che vien dato di quella di questo compositore: “M. Mehul particolarmente vi si è distinto per alcune composizioni di un talento non men pieghevole che brillante. Stratonice ed Euphrosine si accostano al sublime della tragedia, Ariodant nel 1790 è d'un tuono cavalleresco, e Joseph nel 1807 di un carattere religioso; l'Irato nel 1801 è un'opera buffa che per alcun tempo fu creduta una produzione italiana. Une folie nel 1802 è una commedia, che richiama alla memoria il genere vivace di Gretry.” (Rapport et Discussions etc. a Paris 1810). Vi sono in oltre di Mehul sonate di forte piano, e sei sinfonie impresse ed eseguite con successo nel Conservatorio. Egli ha pubblicati i due rapporti, che ha letto all'Istituto, il primo Sur l'état futur de la musique en France, e 'l secondo Sur les travaux des élèves du Conservatoire, qui sont pensionnaires à l'Académie des Beaux-Arts, à Rome.

 

Mei (Girol.), nobile fiorentino e letterato a' suoi tempi non ispregevole; di cui si è parlato all'artic. di Gio. de' Bardi (T. 1, p. 82), nel 1602 diè alla luce in Venezia un libro col titolo di Discorso sopra la musica antica e moderna, in 4.º ed un altro più considerevole De modis musicis inedito finora (V. Notiz. letter. dell'Accad. Fiorent.). Questi libri “quantunque abbondino di errori (dice a ragione l'Arteaga), rispetto alla musica antica a motivo, che gli autori greci appartenenti a siffatte materie non erano tanto illustrati in allora quanto lo sono al presente; pure sono molto pregevoli per quella età.” (Tom. 1, p. 225)

Meibomio (Marco), filologo, a cui si dee l'eccellente edizione greco-latina de' sette antichi autori di musica con sue annotazioni in 2 vol. in 4.º Amsterdam 1652; un'Epistola in oltre de scriptoribus variis musicis (nelle lettere di Gudio) e nel 1694 Vitruvio in fol., ove nelle sue note applicossi principalmente a spiegare i passaggi di quest'autore, che hanno rapporto alla musica: finalmente Plutarchi dialogus de musicâ cum vers. lat. et gallicâ. M. Fayolle colla sua usata inesattezza aggiunge a' travagli di Meibomio, intorno all'antica musica, l'edizione di Tolomeo e di Briennio con la sua versione latina e note: ma ciò è falsissimo, dovendosi questa all'inglese geometra Wallis in supplemento alla collezione di costui de' sette greci scrittori di musica. Meibomio era uno de' letterati della corte di Cristina regina di Svezia, e fu obbligato a lasciarla per l'occasione di quell'avventura con Bourdelot da noi riferita al costui articolo tom. 1, p. 149. Egli morì in un'età molto avanzata a Amsterdam nel 1710. In quanto al merito delle sue fatiche su gli scrittori antichi di musica, noi rapporteremo il giudizio che ne reca il dotto critico Requeno, come di colui il quale più profondamente che ciascun altro ha disaminata siffatta materia. “Kirkero, egli dice, lasciò la rinnovazione dell'arte de' Greci al vanaglorioso suo rivale Meibomio, e questi in fatti ne assunse intrepidamente l'impegno: se non che desso cominciò bene, seguitò male, e terminò peggio l'impresa. La prima cosa, ch'egli fece, fu la raccolta de' greci scrittori di musica; la seconda la traduzione in latino de' medesimi; la terza le annotazioni per ischiarimento dell'antica melodia; terminate le quali, cantò un Te Deum in ringraziamento all'Altissimo per averlo illuminato a segno di poter notare la musica di quell'inno all'usanza de' Greci; e per istordire gl'ignoranti, acciò non lo capissero, lo premise alla sua opera. Se però siamo obbligati al Meibomio di averci data una raccolta benchè incompleta de' greci armonici, non possiam dire altrettanto relativamente alla sua traduzione, in cui non si accorse di esser stati gli originali di Aristosseno, da cui tradusse, viziati e confusi di modo, che parte del primo libro si trova nel secondo, parte del secondo e del terzo nel primo; onde sono i lettori obbligati a brancolar nelle tenebre. Nel giudizio de' greci armonici noteremo altre mancanze di osservazione di questo traduttore. Ov'egli però mi fa pietà, è nelle aggiuntevi annotazioni: tutte s'impiegano in correzioni grammaticali, in citazioni erudite, ma inutili all'intelligenza dell'autore interpretato, in riprensioni frequenti degli altri interpreti; cose tutte da dissimularsi a chi ricalcava le orme de' grammatici del seicento. Quello però, che non si può perdonare a Meibomio, e per cui egli meriterebbe un'acre riprensione, si è l'aver esso aggiunti, levati, cambiati gli originali in molti luoghi sotto pretesto di renderli intelligibili, e di corregere gli errori de' copisti: le note musiche de' Greci sparse quà e là ne' diversi autografi soffrirono un totale rovesciamento. Orgoglioso grammatico! Dopo d'essersi millantato d'avere il primo dilucidate le note del canto greco, stampa lo sproposito di non avere servito le due righe di note prescritte in ogni verso da tutti i greci armonici, che per i principianti, essendo l'una di esse a suo parere superflua. Del rimanente Meibomio niente arreca di lume a' greci scrittori per agevolarci la loro intelligenza. Meibomio certamente è autore di mediocre talento, d'una sufficiente e mal digerita erudizione, e d'una grande alterigia.” (Prefaz. a' Saggi). Puossene leggere la confutazione, che dottamente fa di lui il Requeno nel 2.º tomo pag. 165-180, 337-351.

Meissonnier (Antonio), nacque in Marsiglia nel 1783. I suoi parenti lo destinavano al commercio, ma amante dell'indipendenza preferì di seguire la carriera musicale. In età di 16 anni partì per l'Italia, e dopo aver percorso tutto questo paese, venne in Napoli, e presentossi al famoso Interlandi, che degnossi di dargli de' consigli sì per la lira, che per la composizione. Egli fece sentirsi ben tosto in Napoli nelle più distinte compagnie. Il nostro principe di Butera, che amava le belle arti, con ispezialità la musica, e proteggeva gli artisti, fecegli comporre un'opera buffa la Donna corretta, che eseguita nel suo palazzo in Napoli fu moltissimo applaudita. Lasciò egli non per tanto quella città, e si stabilì in Parigi, ove ha pubblicato Méthode de lyre, e molti Capricci, Divertimenti ed Ariette italiane, da lui composte per quest'istromento.

Melanippe di Cuma, abilissimo non solo nel maneggio del flauto, ma della lira eziandio. Pausania fa di lui menzione (in Phocid.) e loda una composizione cantabile di questo maestro da esso con le tibie pronunziata in lode di Opi. Secondo Ferecrate citato da Plutarco (Dialog. de Music.), egli aumentò le corde negli strumenti, accrescendo quelle della lira fino al numero di dodici, mentre era prima di due tetracordi. Tale novità dispiacque allora ai severi Greci. I seguenti versi che mette in bocca Ferecrate alla musica: Melanippide fu d'ogni mio male – Prima cagion; m'indebolì costui, – Dodici corde sopra me ponendo, due cose provano, come osserva il Requeno: 1. che Melanippe sia stato il primo, che inventasse il sistema de' tre tetracordi; 2. che li suonasse a mano, il che è lo stesso che avere rivolta la lira in cetra; non distinguendosi questa da quella, che nel numero delle corde e nel suonarsi senza plettro. Sono più molli i suoni delle corde suonate con la mano, di quello che sieno quelli delle corde ferite col plettro. Questa mollezza dispiacque dunque sul principio a' Greci, i quali, avendo destinata la musica alla virile educazione, temettero, non si snervassero gli animi de' giovani con la blanda cetra. Melanippe impiegossi in educare giovani nell'arte musica: Filosseno fu suo discepolo (Saggi t. 1). Egli fiorì presso a quattro secoli innanzi G. C.

Melone (Annibale), dotto contrappuntista in Bologna circa 1550; si è reso utile alla storia della musica con la sua opera: Desiderio di Allemano Benelli, che è l'anagramma del suo vero nome. Si credette prima che Bottrigari ne fosse l'autore, e tanto più di verisimiglianza acquistò allora quest'opinione, in quanto costui in cambio di contradirla, fecene anzi pubblicare sotto il suo nome una seconda edizione. Oltre la confutazione di un certo Patricio, quest'opera in forma dialogistica, tratta principalmente de' concerti di musica, che cominciavano ad essere allora in voga presso le persone del primo rango, con ispezialità a Venezia e a Ferrara. Si resta sorpreso nel leggervi il prodigioso numero di musici, che il duca di Ferrara aveva allora al suo servigio, come eziandio la quantità e varietà d'instromenti che facevasi sentire ne' suoi concerti. Nel progresso dell'opera, l'autore analizza, a proporzione de' lumi di quel secolo eruditamente, i principj dell'antica musica de' Greci e della moderna, riguardando questa come a quella preferibile, secondo il pregiudizio di coloro che comparar pretendono le cose note alle incognite.