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Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 3

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Menestrier (Claudio Francesco), gesuita che allo studio degli antichi seppe unir con profitto i viaggi, ch'egli fece per l'Italia, la Germania, l'Inghilterra, e le Fiandre: morì in Parigi nel 1705. Tra le sue opere distinguonsi: 1. des Représentations en musique anciennes et modernes, Paris 1681, in 12º; 2. Des ballets anciens et modernes, 1682, in 12º.

Mengoli (Pietro), professore di Meccanica nel collegio de' nobili in Bologna, uomo distinto per la sodezza di sua dottrina, nel 1670 pubblicò colà Speculazioni di musica, in 4.º: si trova alla fine una tavola delle passioni, cui pretende l'autore, che ciascun modo, o ciascun tuono della musica di chiesa possa calmare. “Vi sono ancora molte cose, che io non ho potuto capire, dice M. de Boisgelou; per esempio, allorchè egli parla de' tuoni di musica rossi, neri, verdi ec.” Nel t. 8 delle Transaz. Filosofiche si trova un assai lungo estratto di quest'opera.

Mengozzi (Bernardo), nato in Firenze nel 1758, cantante pieno di gusto e pregevole compositore, era costantemente applaudito accanto de' Viganoni, de' Rovedino, de' Mondini. Nelle opere di Paesiello e di Cimarosa egli metteva alcuni pezzi di musica da lui composti, che figuravano non meno che quelli di que' celebri autori: tra questi sono principalmente da rimarcarsi un terzetto dell'Italiana in Londra, e la deliziosa aria Se m'abbandoni. Dopo il 1792 stabilitosi in Parigi pose in musica cinque opere buffe, e due comico-serie in quella lingua. Scelto per maestro di canto in una delle classi del Conservatorio formò molti buoni allievi. L'arte il perdette assai presto, essendo colà morto nel 1800 di 42 anni.

Mercadier de Belesta è autore di un'opera che ha per titolo, Nouveau Système de musique théorique et pratique, in 8º, Paris 1776. Secondo M. Chladni l'autore vi ha esposto molti oggetti intorno alla teoria numerica dei suoni, meglio che molti altri, ed ha ottimamente confutato alcune false asserzioni del Tartini sul fenomeno del terzo suono (V. Acoustiq. p. 15-254).

Mersenne (Marino), religioso minimo, cui la mordacità del Voltaire con ingiusto scherno chiama il minimissimo tra' minimi, diessi allo studio delle matematiche e della filosofia, e non lasciò di render loro de' gran servigj, per il commercio che tenne sempre co' più distinti uomini del suo secolo, di cui ne divenne il centro: a questo fine viaggiato aveva in Italia, in Germania e ne' Paesi-Bassi; il suo carattere dolce, pulito ed obbligante gli conciliò da per tutto degl'illustri amici. Tra le scienze egli si attaccò specialmente alle matematiche ed alla musica, e pubblicò molte opere in tutto o in parte relative a quest'ultima, come 1. Quæstiones in Genesim, dove a lungo tratta della musica e degli stromenti degli Ebrei, 2. Harmonie universelle contenant la théorie et la pratique de la musique, Paris 1636, 2 vol. in fog. con figure, opera oggidì assai rara, secondo M. Fournier (Dictionn. de Bibliograph. 1809), 3. Harmonicorum Libri XII de sonorum naturâ, causis et effectibus, Paris 1648, in fol., quest'è in parte una traduzione dell'opera precedente, che contiene molti pezzi, che non trovansi nell'originale. L'A. vi tratta di tutte le parti teoriche dell'arte, giusta le idee che a suo tempo avevasene in Francia, e nella quale dà una meschina idea della sua propria istruzione, e dello stato dell'arte in quell'epoca nella Francia. Quest'opera ebbe quivi gran corso, che essa dovette alla singolarità piuttosto che al merito. 4. Les préludes de l'Harmonie universelle, è una rapsodia, ove più si tratta di Astrologia giudiziaria che di musica. 5. Cogitata physico-mathematica de Musicâ theoreticâ et practicâ, in 4.º 1644. Mersenne giunse a conoscere la coesistenza de' suoni acuti col suono fondamentale di una corda, ma non l'ha spiegata bene (V. Chladni, Acoust. p. 250). Egli aveva il talento di dir poco in molte parole, e non mostra gran giudizio ne' suoi scritti. Morì in Parigi nel 1648 d'anni 60, tornando dalla casa del suo intimo amico Descartes, ove aveva bevuta molt'acqua fredda per dissetarsi.

Merula (Cavalier Tarquinio), uno de' più profondi contrappuntisti del sec. 17, e 'l più grave compositore per la musica di chiesa, non lasciò tutta volta di scrivere delle bambocciate musiche, e fu anche in questo genere il primo. “Immaginò una fuga di ragazzi che recitano, senza saperlo ben a mente, e declinano il pronome qui quæ quod. Gl'imbrogli, le confusioni, le sconcordanze, e i scerpelloni, che pigliano que' poveri ignorantelli, e il pedagogo che li sgrida, formavano il soggetto di questo componimento, e facevano smascellare delle risa cantori, ed uditorio. L'esito felice di questa prima prova diè coraggio al Merula di comporne una consimile sul hic hæc et hoc, che non riuscì men saporita.” (Carpani lett. 7). Nelle sue opere stampate in 10 vol. in Venezia nel 1635 si trova un duetto intitolato sopra la ciacona, detto così per imitar forse il canto limitato e monotono de' ciechi, d'onde è derivato il nome di ciacona, in francese chaccone. La cantilena è sopra un basso ristretto di 5 battute, che continua sempre a ripetersi mentre quella va cambiando. Ghiribizzi di que' tempi senza gusto (V. Encycl. méthod. p. 222).

Metastasio (Abb. Pietro) nacque in Roma l'anno 1698, all'età di 10 anni ebbe la fortuna di tirare a se, cantando per le strade con grazia, e con espressione alcuni versi da lui composti, l'attenzione dell'ab. Gravina celebre giureconsulto e letterato di prima riga: costui lo adottò in suo figlio, e gli diè un'educazione degna de' suoi talenti, ma contro al suo gusto lo destinò al foro, e non fu se non dopo la di lui morte che con maggiore trasporto tornò egli alle Muse. Nel 1729, egli fu nominato poeta laureato dell'imperial corte di Carlo VI amatore intendentissimo di musica, e che sosteneva con magnificenza il suo teatro lirico. Metastasio fissò la sua dimora in Vienna dall'età di un poco più di 30 anni sino alla sua morte. Egli aveva studiato a fondo anche la musica: e contribuì moltissimo co' suoi consigli a formar de' grand'uomini per la composizione, e a dare un nuovo aspetto a quest'arte. Haydn, Jommelli, il Sassone e più altri confessarono di aver più profittato della conversazione di questo grand'uomo, che dello studio e delle lezioni de' loro maestri. La musica è assolutamente debitrice della massima perfezione, a cui è giunta in quest'ultimi tempi, ai drammi dell'immortal Metastasio. Egli, dice l' ab. Andres, “ha avuta la malizia poetica e musicale di schivare tutte le parole meno acconcie pel canto, di studiare una felice combinazione di sillabe per la soavità ed armonia de' tuoni, di variare adattamente i metri nelle arie, di applicare dappertutto quella cadenza, quei salti, quei riposi, quegli accenti, che più lirica e cantabile rendono la poesia. I suoi versi sono di una tale fluidità, sonorità ed armonia, che sembra non si posson leggere che cantando. La rapidità del recitativo dà maggiore forza alle cose che vi si dicono, e maggiore fuoco e calore all'azione, e serve insieme di grande ajuto e facilità per il canto. La sua penna sembra intinta nel latte di Venere. Il Dio d'Amore se volesse discendere a parlare cogli uomini, non si servirebbe, no, d'altra lingua, che di quella del suo vate l'immortale Metastasio.” Egli ha posti i compositori di musica in quello stato che richiede Orazio nel Poeta per comporre di gusto. “Se i tuoi occhi si riempion di lacrime, dice a' giovani compositori il Rousseau, se tu senti palpitare il tuo cuore, se l'espressione ti soffoca ne' tuoi trasporti, prendi Metastasio e fatica, il suo Genio accenderà il tuo, tu a suo esempio diverrai creatore.” (Dictionn. art. Génie). Metastasio manteneva un commercio di lettere con Farinelli, Hasse, Diodati, Martini e con Sav. Mattei, nelle quali trovansi delle riflessioni sulla maniera di disporre la musica de' suoi drammi, di prepararne gli affetti, sulla buona scuola del canto, sugli abusi e la maniera di evitarli, sulla musica degli antichi comparata con quella de' moderni, ed altri soggetti relativi all'arte, che possono leggersi con profitto da' poeti e da' musici (V. Opere Postume del Metastasio, 3 vol. in 8vo 1796). Vi sono in oltre di lui due Lettere o piuttosto Dissertazioni sulla musica dirette da Vienna a Loudun nel 1765 al Caval. de Chastellux. Tratta ancora dottissimamente dell'antica musica de' Greci nel suo Estratto della poetica di Aristotele (v. cap. 1-4-26). Metastasio finalmente è anche autore di musica pratica. Vi ha di lui impressa in Vienna la musica di alcune Canzoni, d'Arie sciolte, e coro con sinfonia, e manoscritta a due la cel. palinodia Grazie agl'inganni tuoi. In una sua lettera del 1750 alla principessa di Belmonte, parla egli stesso della musica da lui composta sopra la partenza di Nice. “Sa già V. E. ch'io non so scriver cosa, che abbia ad esser cantata senza (o bene o male) immaginarne la musica. Questa che le trasmetto è musica per verità semplicissima, ma pure quando si voglia cantare con quella tenera espressione, ch'io ci suppongo, vi si troverà tutto quello, che bisogna per secondar le parole.” Malgrado le sue frequenti malattie egli giunse agli anni 84 di età, e morì in Vienna li dì 12 aprile del 1782. Tra' suoi biografi il migliore per lo stile, per l'esattezza delle notizie e per le riflessioni saggie sulla poesia e la musica con cui le accompagna, vien riputato Giov. Adamo Hiller, direttore e professore di musica in Lipsia, dove pubblicò questa vita nel 1786.

Meude-Monpas, letterato ed amatore di musica in Parigi, fece quivi imprimere verso il 1786, sei concerti pel violino a 9, da lui composti. Egli avrebbe dovuto non passar oltre, ma pensò di pubblicare ancora un'opera didattica col titolo di Dictionnaire de musique, piena da capo a fondo di errori, per cui meritò giustamente una severa critica di M. Framery nel num. 26 del Mercurio del 1788. Costui lo accusa, non ostante che si dica egli stesso partigiano della bella semplicità, di molte incoerenze, di espressioni ricercate, strane e fantastiche, oltre a più trivialità e difetti di lingua.

 

Meusel (Giov. Giorgio), dottore di filosofia, e professore di storia a Erlang, pubblicò un'opera in 8vo col titolo: Teutsches ec., ossia Dizionario degli Artisti allemanni, o Catalogo di tutti gl'Artisti viventi: la seconda edizione accresciuta è del 1787. In essa trovansi molte interessanti memorie su i principali musici della Germania. In un'altra sua opera intitolata Miscellanee per rapporto alle Arti, dal 1779 sino al 1786, si trovano delle biografie di molti musici, come ancora nel suo Museo per gli artisti ed amatori delle arti, a Manheim 1787.

Mezieres (M. de), è l'autore di un'opera col titolo: Effets de l'air sur le corps humain, considérés dans le son, ou de la nature du chant, 1760 in 12º. Questo libro non risponde in nulla al suo titolo, e non contiene che delle viste superficiali e false. (V. Journal des Savans).

Michaelis, dotto musico a Osnabruck, di cui nella gazzetta filarmonica di Lipsia 1805, n. 8 si trova l'eccellente trattato: Über frühe, ec. cioè Sulla prima formazione in musica, che vien molto commendato dal d.^{r} Lichtenthal (pag. 66).

Midia era maestro di musica in Atene quattro secoli innanzi G. C. Di lui ci narra il famoso oratore Demostene, che essendo egli incaricato dalla sua tribù di mandare a' giuochi pubblici, coll'occasione d'un premio proposto, i giovani più abili nel canto, scelto aveva Midia per perfezionarli nell'armonia. Era però costui un occulto nemico di Demostene, senza che questi, non ostante la sua penetrazione, se ne fosse mai accorto: egli invece di disporre i giovani pel concorso, e così aspirare al premio, trascurava la loro educazione per fare scomparire il suo rivale, e fargli incorrere la indegnazione della tribù. Ma avvertito Demostene del pravo suo animo, cacciò Midia da quella scuola, e sostituì a lui il bravo Telefano, come diremo nel suo articolo.

Milizia (Francesco) diè per la prima volta al pubblico nel 1771, in Roma il suo Trattato completo, formale, e materiale del teatro i di cui esemplari furono tutti ritirati per ordine del maestro del Sacro Palazzo, e passati in potere del Sig. Odescalchi, mecenate del libro a condizione di non fargli vedere più luce. L'autore dopo avervi corretto varj passi, e fattevi alcune aggiunte lo pubblicò in Venezia nel 1794, in 4.º. Egli impiega quattro ben lunghi capitoli sulla Musica dal quinto sino all'ottavo del suo libro. Fa dapprima la storia dell'opera in musica rinnovata in Italia sul cominciare del sec. 17. Tratta quindi dell'argomento di dramma in musica, e non trascura di fare il dovuto elogio al gran Metastasio, i di cui drammi, egli dice, sono le vere regole dello stile lirico, e che egli sarebbe in tutto un legislatore perfetto, se vi avesse sparso meno amore, e se avesse goduto più di libertà in condurre e snodare i soggetti tragici. Il cap. 7 tratta della musica, della sua origine, dell'influenza che ella ha grandissima sul fisico e sul morale dell'uomo: della sua essenza. Dopo queste preliminari nozioni della musica in generale, ne considera l'applicazione alle varie parti del Dramma: e nel cap. 8 tratta finalmente degli Attori. Noi rapporteremo alcune riflessioni dell'A. sullo stato dell'attuale dicadimento della musica teatrale. “Dacchè la nostra musica, egli dice, ha scosso il giogo della poesia, non è più imitativa, nulla più esprime, e niun effetto più produce. È divenuta una raccolta di pensieri, eccellenti bensì, ma senza connessione, senza significato, e senza convenienza, appunto come gli arabeschi vaticani di Raffaello tanto pregiati e tanto irregolari. La musica la meglio calcolata in tutti i suoi tuoni, la più geometrica ne' suoi accordi, se non ha alcuna significazione, sarà come un prisma, che presenta i più bei colori, e non fa quadro: divertirà l'orecchie, ed annojerà sicuramente lo spirito… Bisogna o che il Poeta sia Compositore o che il Compositore sia Poeta; e non riunendosi insieme questi due rari talenti abbia almeno il Compositore la docile discretezza d'intendersela col Poeta, e di persuadersi una volta per sempre, che la musica è un'espressione più forte, più viva, più calda de' concetti e degli affetti dell'animo espressi dalla Poesia… Un altro gran male dell'odierna musica italiana è nel troppo. Questo troppo ha cagionato ornati, ritagli, tritumi, bizzarrie, che hanno fatto perdere di vista l'oggetto principale della musica, il quale consiste in esprimere nella maniera più naturale e più semplice i sentimenti della poesia, affinchè ne sia il cuore più vivamente toccato. La bella semplicità può sola imitare la natura… L'altro malanno è quello d'una novità continua. Quella musica che piaceva venti anni addietro, ora più non si soffre. Fosse anche Apollo il compositore d'un'Opera, fatta ch'ella è una volta in un teatro, Dio vi guardi che vi ritorni la seconda nemmeno in capo a trent'anni. Questo è uno de' più grandi motivi, per cui essa musica è divenuta come una moda passeggiera, piena di arzigogoli, e di capricci; e viene tacciata, che sia caduta oggidì, come l'architettura nel Borrominesco, cioè che per desiderio di sorprendere colla novità abbia smarrito il dritto sentiero d'imitare la bella natura, per piacere e giovare.” L'ultima che rapporteremo delle riflessioni di questo scrittore filosofo è sulla bizzarria nuovamente introdotta di sostituire al recitativo musicale (invenzione che fece tanto onore a' nostri antichi musici) la declamazione parlante. “Eseguire il recitativo, dice il N. A., nella maniera consueta (cioè cantando e trillando), è un sonnifero; parlarlo semplicemente, no, un'Opera ora parlata, ora cantata, farebbe una discrepanza come tra gelo e fiamma.” Sarebbe desiderabile che i Compositori ed il pubblico per correggersi de' moderni sviamenti e rientrare nel buon cammino, seguissero i saggi consigli, e le vedute veramente filosofiche di questo autore.

Millico (Giuseppe), nato in Milano verso il 1739 è stato riguardato come uno de' migliori cantanti da teatro sulla fine del p. p. secolo per la sua maniera nobile insieme e piena di espressione e di sensibilità. A siffatte qualità dovette egli l'onore di essere scelto da Gluck, allorchè era in Vienna nel 1772, per insegnare alla sua nipote l'arte del canto, e sotto la di lui direzione divenne ella in pochissimo tempo oggetto dell'ammirazione di tutta la città. Da Vienna Millico fu a cantare in Londra nel 1774, e tornò alla sua patria come musico di camera del nostro sovrano Ferdinando III, nel 1780. Si dice che riunendo i suoi straordinari talenti all'astuzia e all'ambizione di cortigiano, egli perseguitava Marchesi e gli altri virtuosi esteri, che trascuravano di andare in cerca della sua protezione. Egli viveva ancora sino al 1790.

Millin (Albino-Luigi), membro dell'Istituto nazionale, e noto abbastanza per un gran numero di opere sulle arti e l'antichità. Egli sin dal 1795, ha la cura di compilare una collezione periodica assai preziosa per la storia delle scienze e delle lettere, intitolata le Magasin Encyclopédique, dove molti interessanti opuscoli si trovano relativi alla musica, e di M. Millin e d'altri autori (V. i num. di maggio e di agosto 1810). Egli è anche autore di un Dictionnaire des Beaux-Arts, in 3 vol. in 8vo 1806: ove si trovano molti articoli assai pregevoli sulla musica e sugli stromenti, che per lo più sono tradotti dalla teoria generale delle belle arti di Sulzer.

Minermo musico-poeta greco, di cui Ateneo (lib. 13) parla con somma lode. Inventò egli nelle tibie le diesis quadruntali per cantare il molle pentametro, dulces, reperit sonos, et mollis pentametri cantum. Properzio nella 9ª elegia del 1.º lib. lo fa superiore ad Omero ne' versi amatori. Da questo poeta e da Orazio si conchiude, che le composizioni di Minermo duravano ancora nel secolo di Augusto con gran credito; e Camaleone presso Ateneo (lib. 14) afferma, che i Greci eran soliti a cantare i versi di Minermo non men che quelli di Omero, di Esiodo, di Archiloco, e di Focilide. In un suo Poema egli introdusse il primo le nove muse celesti anteriori a Giove: invenzione, di cui Pausania (Beot.) fece gran conto, e di cui tanto parlarono i grammatici del cinque cento. Frequentando Minermo, benchè già vecchio, le allegre adunanze, e' conviti de' grandi, abbandonò la severità del costume propria allora sempre de' musici; e nella più inoltrata età fu colpito dall'amore della cantatrice Nano. Il povero vecchio sentendosi ringiovenire, acceso d'insolito fuoco ravvivò l'ardore pel canto, e compose e notò in vaga musica canzoni piene di quelle delicatezze, di cui abbondano i feriti cuori. Ma divenuto l'oggetto de' scherzi di spiritosi giovani disingannossi della sua sognata felicità, e diessi a comporre della musica sopra più serj soggetti; così Stobeo cita di lui un'egloga, il di cui argomento era non doversi in modo alcuno collocar negli amori la felicità dell'uomo; trovandosi nelle vicende di questa passione più tormento che piacere. Secondo Laerzio (in vitâ Solon.) fu egli contemporaneo di Solone, visse cioè sei secoli innanzi l'era comune (V. Requeno tom. 1).

Mingotti (Regina) nacque in Napoli circa 1726, da un padre uffiziale al servigio dell'Austria, che bambina di pochi mesi seco la condusse a Gratz nella Silesia; alla di lui morte un suo zio la mise in un Convento di Orsoline, dove apprese la musica: a 14 anni di sua età ella tornò in casa di sua madre, e la sua bella voce e la grand'arte con cui la regolava, fecele al mondo la più brillante fortuna. Sposò pochi anni dopo il Sig. Mingotti veneziano, impresario del teatro a Dresda: Porpora, che era allora al servizio del re, la produsse come una giovane delle più belle speranze, e per la sua raccomandazione le si offrì di cantare in quel teatro insieme con la cel. Faustina moglie del Sassone. Gli applausi e la riputazione, che quivi acquistossi pe' suoi talenti, la resero celebre anche fuori, e al di là delle Alpi. Essa fu invitata in Napoli a cantare sul gran teatro di S. Carlo nel 1750, e passando per Vienna ottenne dal Metastasio una commendatizia alla Principessa di Belmonte: egli la chiama nella sua lettera, uno dei più distinti ornamenti della schiera canora di Dresda. Ella si era applicata con tanto zelo allo studio della lingua italiana, che allorquando cantò per la prima volta la parte di Aristea nell'Olimpiade del Galuppi, sorprese gl'Italiani sì per la purezza della pronunzia, come per il suo canto melodioso, e la sua maniera espressiva e naturale. I teatri di tutte le grandi città della Germania, della Francia, dell'Inghilterra e dell'Italia risuonarono degli applausi dovuti alla sua arte. Nel 1763 ella ritirossi a Monaco nella Baviera, dove godeva della stima generale della corte e della città. Burney la sentì colà nel 1772, ella conservava ancora tutta la bellezza della sua voce, e ragionava sulla musica con molta profondità e giudizio: cantò dinanzi a lui per quattro ore intiere, accompagnandosi ella medesima sul forte piano. La sua conversazione era gaja e piacevole, parlava il tedesco, il francese e l'italiano con tanta perfezione, che riusciva difficile il distinguere qual fosse il suo patrio idioma. Nella galleria di Dresda vedesi il di lei ritratto dipinto da Rosalba a pastello ad essa rassomigliante mentr'era giovane (V. Burney's Travels, tom. II, p 111).

Minoja (Ambrogio), uno de' più celebri maestri d'Italia d'oggi giorno, e membro onorario del conservatorio di Milano, nacque a Lodi nel 1752. All'età di 14 anni cominciò per suo diporto a coltivare la musica, e la professò meno per necessità che per gusto. Fece il suo corso di studj in Napoli sotto la direzione di Sala; e tornato alla sua patria, fu il successore del cel. Lampugnani, come primo maestro di cembalo al teatro della Scala in Milano. Egli compose allora alcuni pezzi di musica strumentale, sei quartetti col titolo di Divertimenti della Campagna, e due opere serie, una pel teatro di Argentina in Roma, mentre colà soggiornava, e l'altra per quello della Scala, in Milano, ove al suo ritorno fu scelto maestro di cappella dei Padri della Scala, e diessi interamente alla musica di chiesa. Poco tempo dopo, l'armate francesi occupato avendo l'Italia, riportò egli il premio d'una medaglia d'oro del valore di 100 Zecchini, per una marcia e una sinfonia funebre in onore del gen. Hoche; scrisse ancora due messe di Requiem che si conservano negli archivj del governo: un Veni creator e un Te Deum, che fu eseguito nella cattedrale di Milano da un'orchestra di 250 musici. Egli ha fatta la musica di molti Salmi a più voci, con accompagnamento di pochi stromenti, in cui la scienza nulla pregiudica all'espressione ed al gusto. Minoja in oltre è autore di alcune Lettere sul canto, Milano 1813. L'opera è divisa in tre parti. Tratta la prima dello scopo del canto, quale, secondo lui, consiste in commovere, ed istruire gli uditori per mezzo dell'espressione. Nella seconda s'occupa egli del gusto che ha regnato nella musica vocale ad epoche differenti del secolo passato. Nella terza finalmente i principali ed i più proprj mezzi vengono esposti, atti a formare il canto, come l'intuonazione, il solfeggio, le grazie, la pronunziazione, e la qualità del tuono (V. Giorn. Italico, Londra dicembre 1813).

 

Mirabeau (Gabr. Riquetti, conte de). A questo grand'oratore vien'attribuito un opuscolo di 95 pagine relativo alla musica: Le Lecteur y mettra le titre, Londra 1777, in 8vo (Veggasi Dictionaire des anonymes de M. Barbier, t. num. 34, 27). Questo scritto è pieno di eccellenti viste sulla musica stromentale, e contiene l'analisi ragionata di una gran sinfonia di Raimondi col programma di Avventure di Telemaco eseguita in Amsterdam li 15 gennaro del 1777.

Mirabella (Vincenzo), nobile siracusano, dell'Accademie di Roma e di Napoli, assai dotto nelle belle lettere e nella musica, morì in Modica nel 1624. Molti de' suoi scritti sulla musica trovansi impressi in Palermo nel 1603; come nel 1606, il primo libro de' suoi madrigali.

Misliwechek (Giuseppe), detto il Boemo in Italia, era nato in un villaggio vicino a Praga, ove secondo l'uso delle scuole di campagna nella Boemia ebbe le prime lezioni di musica. Questa prima istruzione svegliò i suoi talenti e 'l suo amore per la medesima, cosichè immediatamente dopo la morte di suo padre portossi in Praga, per prendervi le lezioni del cel. Segert, che quivi allora dimorava. Egli si applicò a questo studio con tanto zelo e successo, che poco dopo compose sei sinfonie che furono generalmente applaudite. Animato da questo primo buon incontro, nel 1763 partì per Venezia, e vi studiò il contrappunto sotto il maestro Pescetti: quindi si rese a Parma, ove scrisse la sua prima opera, che piacque talmente che fu chiamato in Napoli. Il Bellerofonte, ch'egli vi scrisse per il giorno natalizio del re Ferdinando, lo rese così celebre, che per un intero decennio compose nove opere per quel teatro; tra le quali si distingue l'Olimpiade da lui scritta nel 1778, principalmente per l'aria Se cerca, se dice, che vien riguardata universalmente come un capo d'opera. A Venezia, a Pavia, a Monaco ebbe del pari una favorevole accoglienza. Ma la fortuna cominciò a voltargli le spalle nel 1780, allorchè diede in Milano la sua Armida che spiacque al segno, che dovette cambiarsi la musica sin dalla prima rappresentazione, nè altro si ritenne della sua che un'aria di bravura cantata dal Marchesini. Andò quindi in Roma, ed incontrò anche peggio nell'opera che vi scrisse: egli morì quivi nell'estrema miseria a' dì 4 febrajo del 1782 di 45 anni. In Italia aveva scritto oltre a 30 opere, molti oratorj, sinfonie e concerti. Dodici delle sue overture sono state impresse in Germania. Nelle biografie degli uomini celebri della Boemia e della Moravia si trova il suo ritratto.

Mitzler de Kolof (Lor. Cristiano), fece i suoi studj nel ginnasio di Anspach, e sin da fanciullo apprese i principj della musica e 'l canto sotto Ehrman. Dopo il 1734 consacrossi alle scienze nell'università di Lipsia, e due anni dopo vi diè un corso pubblico di matematiche, di filosofia, e di musica. La lettura degli scritti di Mattheson, l'assidua sua frequenza al concerto musicale di Lipsia, ma soprattutto la conversazione del gran Bach, formato avendo il suo gusto, egli volle innalzar la sua arte alla dignità d'una scienza mattematica. Nel 1734, pubblicò a tal disegno la sua dissertazione Quod musica scientia sit. Nel 1738, co' soccorsi del conte Lucchesini, e del maestro di cappella Bümler, stabilì una società corrispondente di scienze musicali, di cui fu nominato secretario: tutte le memorie dovevano indirizzarsi a lui. Il catalogo de' membri di questa società, e i di lei statuti trovansi nella Biblioteca di musica. Il primario scopo della sua biblioteca era la teoria musicale. Nel 1740, egli avventurò alcuni saggi d'odi da lui composte, la di cui mediocrità mosse le risa di tutti. In uno scritto di quel tempo per via di smodati encomj si misero in ischerno le sue composizioni musico-matematiche, ed egli ebbe tuttavia la debolezza di crederli sinceri, e di rispondere a quelle finte lodi con ringraziamenti nella sua Biblioteca. Finì costui i suoi giorni in Varsavia col titolo di matematico della corte di Polonia, nel 1778. Le sue opere di teoria musicale sono: Dissertatio quod musica scientia sit, et pars eruditionis philosophicæ, Lipsiæ 1734 in 4º. Biblioteca di musica, in tedesco, o notizie esatte ed analisi imparziali di libri e scritti sulla musica, 3. vol., in 4º 1738-1754. Gli elementi del basso continuo, trattati secondo il metodo matematico, e spiegati per mezzo di una macchina, inventata a tale effetto, Lipsia 1739 in 8vo. Lo speculatore in musica, che scuopre amichevolmente i difetti de' musici ec. Questa specie di Giornale comparve nel 1748, in 8vo. Alla fine del medesimo aggiunse egli la traduzione dall'Italiano dell'Avviso a' compositori ed ai cantanti di Riva, residente del duca di Modena in Londra. E la Traduzione dal latino del Gradus ad parnassum di Fux, con note, Lipsia 1742, in 4º.

Mojon (Giuseppe), dottore in medicina, membro dell'Istituto nazionale ligure, e professore di chimica nell'università di Genova; delle molte opere ch'egli ha dato alla luce non faremo menzione che di quella, cui diè il titolo di Memoria sull'utilità della musica, sì nello stato di salute, come in quello di malattia, Genova 1802. Il D. Muggetti, medico-chirurgo di Pavia, e membro corrispondente della società medica d'emulazione, e della galvanica di Parigi, ne ha pubblicata una traduzione francese, Parigi 1803, in 8vo con alcune sue annotazioni. Nella sua prefazione egli dice di avere intrapresa l'intera traduzione di quella Memoria, non essendo, suscettibile di estratto, a motivo dell'estrema sua concisione, che non permette di toglierne una sola parola; Io desidero che la mia fatica, le osservazioni e riflessioni dell'autore render possano più comune l'impiego della musica a preferenza delle droghe, a cui spesso ripugna la natura, e che il più delle volte ancora sono di notabil danno in certe malattie nervose, e soprattutto nell'ipocondria e in diverse altre specie di delirio; se questa massima fosse stata ben ponderata da' medici, il filosofo di Ginevra non avrebbe contro di loro avanzato quel sarcasmo, dicendo: Io non sò di quai mali ci guariscono; anzichè ce ne regalano dei più funesti ancora, la pusillanimità, la lassezza, la credulità, il terror della morte; se guariscono il corpo, essi uccidono il coraggio.

Molineux (d.^{r} Tommaso), inglese, di cui vi ha nelle Transazioni filosofiche del 1702, num. 283, a Letter etc., cioè Lettera al Rev. Saint-George, Vescovo di Clogher in Irlanda, sopra alcuni dubbj intorno l'antica lira de' Greci e de' Romani, colla spiegazione d'un passo oscuro di un'ode di Orazio.

Momigny (Girol. Gius. de), nato a Philippeville nel 1776, apprese sin da fanciullo la musica, e i suoi progressi furono sì rapidi che di nove anni egli improvvisava. Non lasciò frattanto di applicarsi alle scienze, e venne a stabilirsi in Parigi nel 1800, dove compose la musica di due opere, di alcune cantate, quartetti, sonate per forte-piano ec. La sua opera principale è Cours complet d'harmonie, et de composition, in 3 vol. in 8vo. Il suo corso è una nuova e compita teoria della musica, fondata in parte sul sistema di Ballière, sviluppato da Jamard, e sopra alcune vedute dell'ab. Feytou, come può vedersi all'artic. Cromatique (t. 1 de la musique dans l'Encyclop. méthod.). Le altre scoperte sparse in quel corso appartengono interamente a M. de Momigny. Sono esse diametralmente opposte alle idee ricevute, benchè non sian meno ingegnose, sovra tutto ne' capitoli sulla misura e il ritmo. Nel 1802 egli avea pubblicato il primo anno delle sue lezioni di forte-piano, che ha avuto buon incontro.