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Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 3

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O

Odington (Walter), benedettino d'Evesham in Inghilterra circa 1240. La sua opera de Speculatione Musicæ non contiene che un commentario della dottrina di Francone, con alcune spiegazioni per rapporto alla misura. Egli era un buon filosofo e matematico de' suoi tempi.

Odoardi (Gius.) d'Ascoli, cel. costruttore di violini morto in età di soli 28 anni. Galeazzi ne' suoi Elementi di musica (Roma 1791) nel primo tomo pag. 81 rapporta ch'egli ne aveva fatti duecento, molti de' quali non sono in nulla inferiori ai migliori di Cremona.

Oeder (Luigi), consigliere di finanze del duca di Brunswick, morto in questa città nel 1776, è autore di un trattato d'acustica col titolo: De vibratione chordarum, Brunswick 1746 in 4º.

Oelrichs (Conrado), dottore in dritto, e celebre in Germania per la quantità delle sue opere di letteratura, e di diplomazia. Nella sua gioventù si era egli proposto di scrivere una Storia generale della musica, e fornito si era di una numerosa collezione di opere sulla musica, nella quale molte rare dissertazioni trovavansi sopra diversi rami della medesima, di cui può vedersi il catalogo nel 3º vol. delle Lettere critiche; ma non recò a fine quest'idea, nè altro vi ha di lui su questo soggetto che Notizia istorica delle dignità accademiche nella musica, e delle accademie e società musicali, Berlino 1752 in 8vo.

Oettinger (Federico), abate di Murrhard, tra le sue opere si distingue per rapporto alla musica Eulerische ec. ossia Filosofia di Eulero e di Frick sulla musica, Neuwied 1761.

Oginski (Hettman), conte cavaliere di più ordini nella Lituania, da semplice amatore ha portato ad un grado eminente il suono del clarinetto, e nelle assemblee musicali di Pietroburgo nel 1764 eseguì dei concerti e degli a solo i più difficili in mezzo agli applausi universali. Egli era in oltre molto abile sull'arpa, sul violino e 'l piano-forte. Una rimarchevole particolarità della vita di quest'illustre dilettante si è l'avere concepita l'idea dell'oratorio della Creazione, ch'egli comunicò al famoso Haydn. Egli è autore dell'artic. Harpe nella prima Enciclopedia: morì a Pietroburgo circa 1789. Il conte Michele Oginski della stessa famiglia è tuttora un amatore distinto e passionato per la musica, e suona a maraviglia di violino e di forte-piano. Alcune sue composizioni sono state impresse a Pietroburgo negli anni 1807 e 1809. Dodici sue bellissime polacche, e molti romanzi musicali in Parigi 1811.

Oleno, nativo della Licia, celebre suonatore e cantatore fu il primo, secondo Pausania (in Phocid.), che diede oracoli a Delfo in vece delle poetesse. Erodoto afferma, che tutti gli anni si suonavano e si cantavano a Delo gl'inni di Oleno. Questo entusiasta, prima di ritirarsi a dare degli oracoli, era solito a fare ogni anno un viaggio al tempio di Apollo in compagnia di due pulite zitelle, le quali pregavano Lucina, acciocchè ritrovasse loro presto un buon marito, essendo questo il fine del loro viaggio. Oleno lavorò così belle composizioni, e con sì graziosa musica le stese, che cantate dalle due zitelle la prima volta nel tempio, gli scaltri sacerdoti pensarono approfittarne; e a questo effetto fondarono a Lucina un'annua festa detta dell'accelerazione, in cui si cantassero gl'inni di Oleno. Fiorì costui cinque secoli innanzi l'era comune (Requeno t. 1).

Olimpo, scolare di Marzia antichissimo musico della Grecia, di cui parla Omero, (V. l'art. di Marsia), lavorò molte cantilene, chiamate da' greci nomi, in onore degli Dei, che secondo Platone struggevano i cuori. Il celebre inno armazio, d'uso fino all'età di Plutarco, è da questo enciclopedista attribuito ad Olimpo. Aristosseno attribuì al medesimo l'invenzione del genere enarmonico, dicendo che quanto si era prima di Olimpo composto e cantato era stato lavorato nel genere diatonico. M. Burette seguendo Plutarco e Suida ha moltiplicato gli Olimpi fino a tre, ma come giudiziosamente riflette l'ab. Requeno, un Olimpo, ch'ebbe il merito di molti, diede origine a tanti celebrati racconti, e che, parendo incredibili tante invenzioni in un solo uomo, le attribuirono i Greci posteriori a tre diversi.

Onslow (Giorgio), nato a Clermont di parenti Inglesi, unì sempre a' studj più necessarj quello della musica con tale trasporto, che le si è abbandonato quasi del tutto. Egli ebbe successivamente lezioni da Dussek ed Hülmandel di forte piano, ch'è l'istromento più da lui coltivato: e studiò in Londra sotto Cramer la composizione musicale. Egli ha composto delle sonate per il piano, tre quintetti, e tre trio per il forte-piano, violino e violoncello impressi in Parigi da M. Pleyel, ne' quali Onslow ha saputo unire la scienza all'espressione ed al gusto.

Orgitano, figlio di un maestro di cappella napoletano, allievo del cel. Ferdinando Per, morì sul fior dell'età in Parigi nel 1812. Assai giovane egli era stato in Palermo, e qualche sua composizione, che vi fece sentire, dava molto a sperare che sarebbe egli divenuto eccellente. In Parigi nel 1811 scrisse alcuni pezzi nel Pirro, che piacquero moltissimo, e nel magazino di Ricordi vi ha di lui Amore intraprendente, farsa.

Orlandi, compositore vivente, allievo di Per; nel 1806 fu eseguita in Parigi con successo la sua musica del Podestà di Chioggia, e nel magazzino di musica del Ricordi si trovano di lui i seguenti drammi burleschi: le Nozze chimeriche; la Dama soldato; i Raggiri amorosi; l'Amor stravagante; la Pupilla scozzese; i Furbi alle nozze; il Sarto declamatore; e le farse l'Amico dell'uomo; il Baloardo; il Matrimonio per svenimento.

Ottani (Bernardo), nato a Torino nel 1748, studiò il contrappunto sotto il P. Martini, nel tempo del pubblico esercizio de' compositori di Bologna l'anno 1770, fecevi eseguire un Laudate pueri, che a parere del d.^{r} Burney ivi presente era pieno d'idee vivaci. Ottani fu ammesso tra' membri della società filarmonica di Bologna: e tornato in Torino divenne maestro di cappella della cattedrale. Vi ha di lui molte composizioni per teatro e per chiesa: la sua musica del dramma burlesco il Maestro di Cappella si eseguiva su i teatri di Germania verso il 1790. Ottani è nel tempo istesso un abile pittore.

Otto (Stefano), di Frieberg, è autore di più opere teoriche sulla musica, di cui non ne rammenteremo che quella riferita da Mattheson, col titolo di Principj della musica poetica, in 4 parti; la prima tratta della natura dell'armonia; la seconda della cognizione de' suoni; la terza delle divisioni, delle distinzioni, delle conclusioni, delle fughe ec.; e la quarta de' modi, e della loro trasposizione. Mattheson dice che quest'opera è stata scritta con molta profondità riguardo al tempo, in cui comparve al pubblico. L'autore fioriva nel secolo 17.

Ouvrard (Renato), maestro in Parigi della S. Cappella, e quindi canonico di S. Graziano di Tours, valentuomo nelle belle lettere, nella filosofia, nelle mattematiche, nella teologia e nella musica, morì a Chinon sua patria nel 1694. Le sue opere sulla musica sono: Secret pour composer en musique par un art nouveau, Paris 1660. Egli avrebbe fatto meglio, dice Laborde, di non svelare questo secret; Historia musices apud Hebræos, Græcos, Romanos. Quest'opera mediocre è rimasta manoscritta, come si vede dal catalogo dei MSS. della cattedrale di Tours, stampato nel 1706.

Overbeck (Giov. Daniele), rettore del ginnasio di Lubecca nel sec. 18. Tra il gran numero de' suoi scritti non citeremo, che i seguenti i quali hanno rapporto alla musica: Risposta al cantante Ruez sulle espressioni di M. Batten intorno alla musica, 1754. Vita di Gasp. Rung direttore di musica, Lubecca 1765, in fol. (V. Marpurg, Lett. crit, t. 1).

P

Pacchiarotti (Gaspare), soprano rinomatissimo nato in un villaggio presso Roma nel 1750; cominciò la sua carriera musicale nel 1770. I suoi talenti, la cultura del suo spirito, la sua bella figura lo fecero brillare successivamente su' teatri di Palermo, di Napoli, di Lucca, di Torino e di Londra. “Pacchiarotti, dice M. Bridon, vale moltissimo nel patetico, che troppo oggidì vien negletto sulla più parte de' teatri, più che altri dà egli dell'espressione alle arie, e fa maggiore impressione su i spettatori, perchè sente profondamente quel che dice: eccita le grida della sorpresa, e strappa le lacrime. Egli è cosa da rimarcarsi, come l'espressione non lo allontani mai dalla misura: ha ancora il merito di accentuar bene i recitativi.” Dopo essersi molto arricchito, nel 1801 è tornato in Italia, e risiede abitualmente in Padova.

Pachymeres (Giorgio), nato nel 1242 a Nicea, ove suo padre di una delle prime famiglie di Costantinopoli erasi rifugito, allorchè questa città fu presa da' Latini. Dopo la costoro espulsione tornò colà non avendo allora che 19 anni. Per più anni coltivato egli aveva tutte le scienze, ed entrato nello stato ecclesiastico pervenne tosto alle più eminenti cariche. Morì circa 1310. Oltre la sua storia ed altre opere interessanti, abbiamo di lui De armonicâ et musicâ. De quatuor scientiis mathematicis, arithmeticâ, musicâ, geometriâ et astronomiâ (v. Fabric. B. Gr. t. 6).

Paer, o Per (Ferdinando) nacque in Parma nel 1774; dopo aver fatti i suoi studj nel seminario di questa città, mostrando de' gran talenti e sommo trasporto per la musica, andò a studiarla in Napoli sotto Ghiretti, napoletano e compagno del cel. Sala, nel conservatorio della Pietà. Egli cominciò assai giovane a scrivere per i teatri d'Italia, in Venezia, a Padova, in Milano, a Firenze; a Napoli, a Roma, a Bologna ec. Il duca di Parma, suo patrino diegli una pensione, e gli permise di andare in Vienna, per comporvi delle opere. Alla morte di Naumann nel 1801, fu chiamato a Dresda come maestro della corte. La morte del duca di Parma lo mise in libertà di accettare quel posto che l'Elettore gli offrì per tutta la sua vita. Dopo la battaglia di Jena, Napoleone volle Paer presso di se, e la di lui moglie eccellente cantatrice: egli si è stabilito in Parigi in qualità di Direttore della musica e di compositor della corte. Paer oltrepassa appena i 40 anni di sua età; è membro dell'Accademia delle Belle-Arti di Napoli, e di quelle di Bologna e di Venezia, ed ha già compito oltre a 38 opere, senza numerarvi le cantate, le arie, le sinfonie, sonate ec. In Vienna egli scrisse Bacco ed Arianna; la Conversazione armonica; il trionfo della Chiesa; il S. Sepolcro; cantate per uso della difonta Imperatrice M. Teresa, figlia del nostro Sovrano Ferdinando III, con la quale egli aveva l'onore di cantarle, e quindi fu maestro per il canto della di lei figlia M. Aloisa, principessa nata per tutte le arti, e principalmente per la musica. Le sue opere per teatro sono note abbastanza per il pieno successo, che da per tutto han meritato, e specialmente nella Germania dopo i capi d'opera del Mozart. Noi ci dispensiamo di recarne il catalogo, non essendovi teatro in Europa dove non si siano eseguite. La facilità, che egli ha nello scrivere, mostra il genio, di cui a piene mani lo ha arricchito la natura. “Paer, dice il Carpani, celiando fra gli amici, parlando di mille cose, sgridando i domestici, disputando colla signora e co' figli, ed accarezzando il cane, scrisse la Camilla, il Sargino e l'Achille” (Lett. 13). Il suo primo figlio, che non ha al presente più di 13 anni, è già abilissimo sul forte-piano: a nove anni eseguiva le più difficili sonate di Dussek, e mostra di calcar le tracce di suo padre, ch'è insieme sonator valentissimo, e compositore di prima sfera.

 

Paesiello (cav. Giovanni), nacque a Taranto nel 1741, e studiò per cinque anni la musica in Napoli sotto il cel. Durante nel conservatorio di S. Onofrio. Nel 1763 scrisse la sua prima opera per il teatro di Bologna, e quindi molte altre e serie e buffe per quelli di Venezia, di Roma, di Napoli, di Milano, e finalmente nel 1766, partì per la Russia al servigio di Caterina II, con quattro mila rubbli di appuntamento, ed altri nove cento come maestro della gran duchessa, l'attuale imperatrice. Oltre a più composizioni per teatro, fece egli imprimere a Pietroburgo le sue Regole per l'accompagnamento sul forte-piano, per servigio di quella principessa. Di ritorno in Napoli, il Sovrano Ferdinando III lo nominò suo maestro di cappella, con 1200 ducati d'annuo stipendio. Dopo la rivoluzione in Napoli del 1799, venne egli in Palermo, e dopo alcun tempo col permesso della corte si portò in Parigi, dove era stato chiamato con le più magnifiche offerte, e dove fu direttore della cappella, ch'egli provide de' più celebri artisti, e per la quale scrisse sedeci gran messe, mottetti, ec. Dopo due anni e mezzo di soggiorno in Francia, gli fu d'uopo tornare in Napoli, non confacendosi il clima di Parigi alla sua salute; e tosto fu nominato membro di quell'Accademia delle Belle-Arti, presidente della direzione musicale del R. Conservatorio, con 1800 ducati d'onorario, e maestro della cattedrale di Napoli. Egli è anche membro di più dotte società, come dell'Accademia italiana residente in Livorno, di quella di Lucca, della società detta des Enfans d'Apollon di Parigi, e nel 1809 è stato adottato onorario dell'Istituto Nazionale di Francia. Le sue composizioni sono innumerabili sì per teatro, che per chiesa. “Il genere del suo talento, le qualità che caratterizzano la sua musica, sono una gran fertilità d'invenzione straordinaria, ed una facilità felicissima nel trovare de' motivi pieni di naturalezza insieme e di originalità, un talento unico a svilupparli per via della melodia medesima, e ad abbellirli di dettagli sempre interessanti; una condotta piena sempre di estro e di saviezza: un gusto, una grazia ed una freschezza di melodia, per le quali ha sorpassato di molto gl'altri compositori, ed ha servito di modello a tutti coloro, che han dopo di lui faticato. Il suo stile, semplicissimo e senza alcuna affettazione di scienza, è sempre corretto insieme ed elegante: i suoi accompagnamenti nitidi sempre e chiari sono ad un tempo stesso brillanti e pieni d'effetto. In riguardo all'espressione, comechè la soavità sembri essere il tratto principale e dominante del suo carattere, sa egli tuttavia variare perfettamente i suoi tuoni, abbracciare tutti i generi, e passare dal burlesco, dal semplice, dal ridicolo al grandioso, al serio, ed anche al terribile, senza perder mai nulla non pertanto della grazia e dell'eleganza, da cui par che non si sappia dipartire. Tali sono le qualità, che hanno riunito tutti i suffragi a suo pro, sì quelli del pubblico e degli amatori, come quelli de' dotti e degli artisti: e che gli hanno assicurato gli omaggi del suo secolo, e quelli della posterità” (Choron, elog. de Paesiello). Il cel. Paesiello, dice Carpani, quando aveva disposta la tessitura di una composizione, soleva dire come Cornelio stesso, che avesse lo scheletro d'una tragedia: L'opera è fatta: non mi resta che a scriverla. Egli inculcava a' suoi scolari che tutto sta nella condotta, e che nelle sue composizioni nulla gli costava più di essa. L'artificio di scegliere da principio un passo gradevole, ed adottarlo come caratteristico di tutta la composizione, è divenuto a lui tanto proprio, che quasi forma la base del suo stile. “Questa ripetizione dello stesso passo serve a dare un'unità, una tinta, un'armonia tale all'opera, sia sacra, sia profana, che l'orecchio e il buon senso ne restano ugualmente appagati.” (Lett. 9). Ho voluto a bello studio riferire questa dotta riflessione del Carpani, perchè molti ho inteso io lagnarsi scioccamente di tali ripetizioni del Paesiello, come di un difetto. Graziosa è in oltre la maniera usata da questo grand'uomo nello scrivere secondo lo stesso Carpani. “Il Paesiello, egli dice, non saprebbe staccarsi dal suo letto componendo, e nacquergli fra le lenzuola la Nina, il barbier di Siviglia, la Molinara, e tant'altri capi d'opera di quel genio inimitabile” (Lett. 13).

Palestrina (Gian Pierluigi), il più rinomato maestro della scuola Romana, nacque nel 1529 nella piccola città di Palestrina, che è l'antica Preneste. Dopo di avere studiata la musica, sarebbe egli rimasto nell'oscurità e nell'indigenza, se il suo genio non fosse concorso a metterlo nel primo rango dei compositori. Ecco quale ne fu l'occasione. Era allora la musica un vero arzigogolo, privo di significato intelligibile, un dottissimo romore che nulla diceva all'anima, e nulla poteva dirle: un armonioso problema acustico inestricabile per l'orecchio. Tutto era fuga, canoni, intrecci; nè vi era musica che nelle chiese. I compositori trascuravano assolutamente l'espressione, e non si occupavano che in quelle sole ricerche d'onde altro non risultavane che fracasso e buffonerie molto indecenti. Questi abusi eccitato avevano da gran tempo le lagnanze delle persone di pietà, e più volte si erano proposte di bandire interamente la musica dalle chiese, e ridurla al canto fermo. Finalmente, Papa Marcello II circa 1555 venne al punto di fulminare il decreto dell'abolizione, quando il Palestrina, cantore allora della cappella pontificia, il quale aveva certo fatta riflessione su i vizj della musica di quel tempo, e concepito aveva l'idea di un genere più convenevole alla maestà del luogo, chiese il permesso al Papa di fargli sentire una Messa da lui composta. Avendoglielo questi concesso, la di lui messa sembrò così bella e così nobile, che il Papa rinunziò al suo progetto, confermò la cappella pontificia purchè si cantasse su quel gusto del Palestrina. A questo genio immortale, dice il Carpani, devesi l'odierna melodia, fu egli che scosse il giogo della barbara scuola de' maestri fiamminghi, che solo signoreggiava in tutta l'Europa. “Profondo com'era nella sua scienza, semplificò, purgò, ingentilì l'armonia, ed introdusse nel contrappunto una cantilena, grave sì, ma sensibile, continuata e naturale. Il suo esempio fu seguito da altri, ed avvenne allora la felice rivoluzione della musica di chiesa, che in parte dura tuttora. Il vero bello non invecchia mai. Ho sentito io stesso in S. Pietro di Roma della musica sacra del Palestrina, che incanta e par fatta jeri.” (Letter. 9). Palestrina nel 1562 divenne maestro di cappella di S. M. Maggiore, e dopo la morte dell'Animuccia nel 1571, della chiesa di S. Pietro, che egli arricchì di un gran numero de' suoi capi d'opera. “La semplicità e naturalezza della modulazione colla giusta e varia distanza delle voci per rendere chiara e varia l'armonia sono le proprietà singolari, che faranno eterne le opere del Palestrina.” (Eximen. l. 3. c. 8). Morì egli a dì 2 febbrajo del 1594 e gli si fece l'onore d'esser sepolto nella chiesa medesima di S. Pietro con l'epitafio Musicæ Princeps. I più gran maestri han fatto somma stima delle di lui opere, Burney, Reichardt, Marpurg, Choron, Eximeno hanno di recente fatto imprimere alcune delle sue composizioni, e viene eziandio assicurato che un eccellente contrappuntista di Roma si occupa al presente di raccorre e pubblicare tutte le opere del Palestrina.

Palione (Giuseppe), nato in Roma nel 1781, applicossi alla musica sin dal 1792. Fontemaggi in Roma, e Finaroli a Napoli furono i suoi maestri di canto, di forte-piano e di composizione. Egli scrisse La Finta amante in Napoli; le Due rivali; la Vedova astuta; e la Villanella rapita per il teatro del principe Aldobrandini in Roma, che incontrarono moltissimo. Attualmente egli trovasi in Parigi, dove sin dal 1810 ha composto molta musica sì vocale, che stromentale.

Palma, compositore napoletano, di cui Martinelli racconta il seguente aneddoto. Un usurajo, al quale doveva egli una ragguardevole somma, essendo venuto per farlo arrestare, Palma gli si mise a cantare dinanzi accompagnandosi al cembalo. Il suo canto produsse tal effetto sul cuore del creditore, che in vece di riscuotere il pagamento della somma, consentì a prestargliene un'altra. Ciò che reca maggior maraviglia, come osserva il Martinelli, si è che Palma fè quel prodigio tuttocchè fosse infreddato: che non avrebbe egli fatto se avesse avuta la voce libera? il che prova abbastanza il potere della musica. Costui fioriva nella medietà dello scorso secolo. Vi ha vivente tuttora un altro cel. compositore, Silvestro Palma, che verso il 1802 scrisse la musica del dramma burlesco La Pietra Simpatica, nel quale si distingue una graziosa polacca Sento che son vicino: vi ha ancora di lui una farsa: la Sposa contrastata.

Paolucci (P. Giuseppe), scolare del Martini in Bologna, era come costui minor conventuale; fu dapprima maestro di cappella in Venezia e poi del suo convento in Assisi, dove morì nel 1775. Egli è autore dell'Arte pratica di contrappunto, 2 vol. in fol. Venezia 1765; che si ha in conto d'una eccellente opera: rapporta degli esempj cavati da' migliori maestri d'armonia, e vi unisce de' dotti comentarj. Eximeno, Sacchi, e Martini lo citano con elogio.

Parenti (Francesco), nato in Napoli nel 1764, studiò il contrappunto nel conservatorio della Pietà sotto Sala, l'ideale con Giac. Tritta, e l'accompagnamento col maestro Tarantina. Egli ha scritto in Italia della musica sopra drammi serj e burleschi, che ha avuto del successo, principalmente in Roma dove si giudica a tutto rigore dei Compositori: Antigono; il Re pastore; la Nitteti, e l'Artaserse; la Vendemia; il matrimonio per fanatismo; i Viaggiatori felici. Nel 1790 egli portossi in Parigi, e dopo avere scritto per il teatro dell'Opera Comica, nel 1802 ne divenne il maestro di cappella e direttor della musica. Egli dà quivi lezioni di canto secondo il metodo di la Barbiera, detto il Siciliano e maestro della Pietà.

Parran (Antonio), gesuita, diè al pubblico Traité de musique, contenant les préceptes de la composition, Paris in 4º, 1746. Quest'opera, male ideata e peggio compilata, non ebbe che un'efimera riputazione.

Pasquali (Niccolò) nel 1762 pubblicò in Amsterdam una mediocre istruzione sull'accompagnamento, col titolo: La Basse-continue rendue aisée. Lustig dopo dieci anni ne diè una seconda edizione con aggiungervi molti esempj, in francese ed in olandese. Comparve anche in Londra col titolo: The thorough Bass made easy, by Pasquali, in fog. 1780.

Passeri (Giov. Battista) nacque in Farnese nel 1694, fu discepolo del cel. Gravina in Roma; ed intimo amico del Metastasio, del Rolli, e d'altri de' primi ingegni, che fiorivano in que' tempi in Roma. Egli è celebre per le sue opere, noi non faremo menzione che di quella ch'egli pubblicò in Roma nel 1770, De Musicâ veterum Etruscorum. Tra gli altri suoi manoscritti lasciò un Lexicon musicum: fu anche l'editore delle opere di musica del cel. Giambattista Doni, stampate in Firenze nel 1763; absoluta studio et operâ Io. Bapt. Passerii. Morì in Pesaro nel 1780.

 

Pau (Monsign. Felice). Vescovo di Tropea nella Calabria, di cui abbiamo alcune eruditissime lettere sull'antica musica dirette al Sig. Saverio Mattei, nelle quali impugna la costui opinione sulla superiorità degli antichi in quest'arte su i moderni. Anche il celebre Metastasio, tuttochè amicissimo del Mattei, mostrò in alcune sue lettere le difficoltà che aveva di abbracciare il suo sentimento. Questo carteggio, nel quale da tre singolari ingegni viene discussa tal questione, si trova nel tom. 8 delle opere del Metastasio dell'edizione di Napoli 1782. Nelle lettere di Mons. Pau e nelle risposte del Mattei oltre alla pulitezza con cui vien agitato quel punto, si trova immensa erudizione e dottrina. “Sommamente mi son dilettato, scrive il Metastasio al Mattei, attentamente considerando il musico-filosofico carteggio, che si è compiaciuta comunicarmi. Ho ammirate ed invidiate le forze di due valorosissimi atleti, che non meno nell'assalire, che nello schermirsi mostrano il lor magistero nell'arte. Mi hanno obbligato ad ondeggiar lungo tempo fra le opposte loro sentenze: ciascuna di esse mi avrebbe rapito sola ma avendomi assalito unite, l'una mi ha difeso dalla violenza dell'altra: onde senza aver cambiato di sito, mi trovo tuttavia fra le stesse antiche dubbiezze, ec.” Era necessaria la sveltezza d'ingegno e la somma erudizione del savio Mattei per sciogliere le difficoltà proposteli da due sì potenti contradittori, dice a questo proposito l'Eximeno, presso il quale può vedersi dottissimamente trattata la medesima questione. (V. P. II. L. 1, p. 353.)

Pavesi, maestro di cappella vivente in Milano ha scritto molte opere, che hanno avuto gran successo in diversi teatri d'Italia. Nel magazino del Ricordi vi ha di lui I Cheruschi; Elisabetta d'Inghilterra, drammi serii. La festa delle rose; L'Incognito; Ser Marcantonio, buffi. L'Avvertimento ai gelosi; L'Amante anonimo; L'accortezza materna; La forza de' Simpatici, farse.

Pellegrini (Anna Maria Celoni). Romana, donna assai culta ha fatti de' profondi studj sulla musica: nel 1810 pubblicò ella in Roma Grammatica, o siano Regole di ben cantare, dedicata a S. A. S. il principe Federico di Saxe-Gotha, alla quale gli Editori hanno fatto precedere il di lei ritratto inciso in rame dove viene rappresentata in atto di cantare accompagnandosi al clavicembalo con l'epigrafe tratta da Virgilio, Cantu vocat in certamina Divos. Quest'opera porta seco l'approvazione di tre bravi maestri, del Guglielmi allora maestro della cappella Giulia in S. Pietro, del Caruso maestro della cappella di Perugia, e del Nicolini, dandole tutti e tre l'elogio di avere trovate regole perfette in tutte le sue parti, ed atte a formare un bravo cantante. La prefazione, che essa ha posto in fronte del libro è assai ben pensata e scritta, eccone un saggio. “Innumerabili sono i cantanti, essa vi dice, ma i Timotei sono rarissimi. Da due ragioni credo io, che dipenda la scarsezza de' buoni cantanti: la prima dall'essere eglino la maggior parte sforniti di quelle generali nozioni, le quali fanno discernere ciò, che si canta: e l'altra dalla non sana maniera, che tiensi da molti, i quali impunemente si arrogano il dritto d'insegnare l'arte divina del canto, alla quale una volta si dedicavano solo i filosofi ed i Poeti di non volgar nome dotati. Potrebbesi all'anzidette ragioni aggiungere ancora la terza, ed è la sensibilità di cuore, la quale non è certamente uno de' più frequenti doni, che fa la natura ad un essere. Ciò posto sarà di mestieri, che in uno, che canta riuniscansi le tre qualità succennate cioè buon senso, buona maniera, e cuore sensibile, ec.”

Penna (Lorenzo) da Bologna, carmelitano della congregazione di Mantova, si applicò con successo allo studio della musica, e divenne membro della società filarmonica di Bologna. Nel 1674, pubblicò quivi Gli primi albori musicali, in 4.º di cui vi ha la quinta edizione del 1696. L'opera è divisa in tre libri, contiene il primo 21 capitoli, ne' quali tratta del canto figurato. Il secondo di 24 abbraccia la dottrina della composizione. Il terzo in 17 capit. tratta del basso-continuo. Nel 1689, pubblicò ancora in Modena il suo Direttorio del canto, in 4.º (V. Notizie sugli Scrittori di Bologna, tom. 6).

Perez (David), figlio d'uno spagnuolo stabilito in Napoli, nacque colà nel 1711, e studiò la musica nel Conservatorio di Loreto sotto i maestri Gallo e Mancini. Terminati i suoi studj musicali con molto successo, il suo protettore Naselli, nobile palermitano ed intendentissimo anch'egli di musica (V. suo art.), lo condusse seco in Palermo, ove fu tosto eletto maestro della real cappella palatina, ch'egli arricchì di sue egregie composizioni. Tra queste distinguonsi particolarmente i Responsorj della settimana santa alla palestrina, dove si ammira la singolare espressione delle parole, e la vera musica di chiesa. Scrisse eziandio per il teatro di Palermo dal 1741 sino al 1748. Tornò in Napoli, ove la sua Clemenza di Tito ebbe il più gran successo nel teatro di S. Carlo; la riputazione ch'egli si stabilì, lo fece chiamare in Roma e in diversi teatri d'Italia. Nel 1752 fu invitato dalla corte di Lisbona al servigio del re Giuseppe. Il Demofoonte fu la prima opera, che egli vi compose: il celebre Gizziello era il primo uomo, e il gran Raff il tenore, la di lui musica ebbe gli applausi universali. Scrisse ancora molta musica di chiesa per quella cappella reale, che è rimasta celebratissima e con ispezialità i suoi Responsorj de' morti pei funerali di quel monarca, che incisi superbamente in rame furono pubblicati in Londra con in fronte la di lui effigie, dei quali egli stesso ne mandò in dono una copia a mio padre.

Pergolesi (Giambattista), detto così, perchè era di Pergoli nella Marca, ove nacque nel 1707, il suo vero nome di famiglia era Jesi. In età di 14 anni venne in Napoli, e studiò la musica nel Conservatorio di Sant'Onofrio. Gaetano Greco, che ne era allora il maestro, trovato avendo in lui delle grandi disposizioni presene una particolar cura, e fecegli fare particolarmente un profondo studio del contrappunto, e della composizione. Secondo il gusto di que' tempi imparato egli aveva dal maestro a non discostarsi in nulla dalla severità delle regole, ma questo genio nudrito dalle Grazie e dalle Muse ebbe il raro talento di trovarne a tempo le eccezioni. “Niuno meglio di lui ha saputo ottenere i fini, che dee proporsi un compositore: niuno ha fatto miglior uso del contrappunto, ove l'uopo lo richiedeva. Simile al Raffaello egli non ebbe altra guida, che la natura, nè altro scopo, che di rappresentarla al vivo, l'arte che tutto fa, nulla si scopre. Simile a Virgilio, ei maneggiò con felicità incomparabile i diversi stili, de' quali si fa uso nella musica, mostrandosi grave, maestoso, e subblime nello Stabat mater; vivo, impetuoso, e tragico nell'Olimpiade, e nell'Orfeo; grazioso, vario, e piccante nella Serva Padrona.” (Arteaga tom. 2). Si può dire che Pergolesi niente abbia lasciato che migliorare a' successori, e che da quell'epoca in poi abbia piuttosto la musica perduto, che acquistato vigore. Egli in breve tempo dal mediocre stato, in cui trovò la musica teatrale, la ridusse al sommo, al perfetto. Si riformò il gusto universale a quell'incanto, si cominciò a distinguere l'accento, il metro, la continuazione delle melodie, e il popolo corse presso ad un giovine, lasciando i vecchi più accreditati, da' quali perchè turpe putant parere minoribus, gli fu mossa un'orribile persecuzione, la quale giunse a tanto, che si è creduto, esser egli morto di veleno preparatogli da' suoi malevoli (Mattei, elog. di Jomm.). Quel ch'è certo si è, ch'egli morì di consunzione piuttosto dopo quattro anni d'uno sputo di sangue, per cui era andato a Pozzuoli, in età di 33 anni. Tuttavia è ancor certo, dice Arteaga, che Pergolesi fu il bersaglio della invidia, e che sembra essersi avverata nella sua persona quella severa e incomprensibil sentenza, che la natura in creando gli uomini singolari ha, come dice un poeta francese, pronunciato contro di loro: Sois grand'homme, et sois malhereux. Il suo Stabat mater, ammirato in tutta l'Europa come un capo d'opera di espressione e di sentimento, non invecchia mai, e finchè vi sarà musica sarà sempre immortale. Tutte le sue composizioni sono tuttora i modelli del buongusto, e della buona scuola, esse dovrebbero essere tra le mani di tutti i giovani studiosi, se aspirar vogliono al sublime ed al grande.