Tasuta

Il Killer della Rosa

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Märgi loetuks
Il Killer della Rosa
Il Killer della Rosa
Tasuta audioraamat
Loeb Caterina Bonanni
Lisateave
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Capitolo 20

La sedia era comoda e l'ambiente era elegante, ma la leggera luce nell'ufficio di Mike Nevin non migliorò affatto l'umore di Riley. Cindy risultava ancora scomparsa. Soltanto Dio sapeva che cosa le stava accadendo in quel momento. La stava torturando? Nello stesso modo in cui lo era stata Riley?

Gli agenti che stavano setacciando il quartiere non l'avevano ancora trovata, neanche dopo ventiquattro ore. Questo non sorprendeva affatto Riley. Lei sapeva che stavano cercando nell'area sbagliata. Il problema era che né lei né nessun altro aveva alcun indizio che li conducesse nella zona giusta. Non voleva continuare a ripetersi quanto tempo tempo prima l'assassino l'aveva rapita e macerarsi nel dubbio se fosse ancora viva.

“La perderemo, Mike” Riley disse. “Ad ogni minuto che passa, lei soffre sempre di più. Si sta avvicinando alla morte”.

“Che cosa ti rende così sicura che abbiamo preso l'uomo sbagliato?” lo psichiatra forense Michael Nevins le chiese.

Pettinato sempre in modo perfetto, con indosso una camicia costosa e un gilè, Nevins aveva una personalità meticolosa ed esigente. A Riley piaceva soprattutto per questo. Lo trovava    rinfrescante. Si erano conosciuti oltre dieci anni prima, quando lui era un consulente in un grosso caso dell'FBI, su cui lei lavorava. Il suo ufficio era a Washington D.C., e, per questo, non avevano occasione di vedersi spesso. Ma nel corso degli anni, si erano spesso trovati a lavorare insieme, unendo gli istinti di lei con la profonda conoscenza di lui, realizzando un'unica teoria su menti infide. Lei aveva guidato per vederlo al mattino presto, quel giorno.

“Dove comincio?” Riley rispose con un sussulto.

“Prenditi il tempo necessario” le rispose lui.

Lei sorseggiò una tazza del delizioso tè caldo che lui le aveva dato.

“L'ho visto” lei disse. “Gli ho fatto alcune domande, ma Walder non mi ha lasciato passare altro tempo con lui.”

“E non corrisponde al tuo profilo?”

“Mike, questo Darrell Gumm è un imitatore” la donna proseguì. “Ha una sorta di fantasia diafanatico sugli psicopatici. Lui vuole essere unico. Vuole essere famoso per questo. Ma non ha quel che serve. E' viscido, ma non è un assassino. E' solo che proprio ora agisce per mettere completamente in atto la sua fantasia. E' il suo sogno divenuto realtà”.

Mike si massaggiò il mento in modo pensieroso. “E non pensi che il vero assassino voglia la fama?”

Lei rispose: “Potrebbe essere interessato alla fama, e potrebbe persino volerla, ma non è questo che lo fa scatenare. E' qualcos'altro, qualcosa di più personale. Le vittime rappresentano qualcosa per lui: gode per il loro dolore, proprio per la persona o la cosa che rappresentano. Non sono scelte a caso.”

“Allora come?”

Riley scosse la testa. Avrebbe voluto esprimersi meglio a parole.

“Ha qualcosa a che fare con le bambole, Mike. L'uomo ne è ossessionato. E le bambole hanno qualcosa a che fare con il criterio con cui sceglie le donne.”

Poi sospirò. A quel punto, questo non le sembrava nemmeno convincente. Eppure era sicura che quella fosse la pista giusta.

Mike restò in silenzio per un istante. Poi, disse: “So che hai talento nel riconoscere la natura del male. Ho sempre avuto fiducia nel tuo istinto. Ma se hai ragione, questo sospetto che hanno in custodia ha ingannato tutti. E non tutti gli agenti dell'FBI sono degli sciocchi”.

“Ma alcuni lo sono” Riley disse. “Non riesco a togliermi dalla testa la donna che ha preso ieri. Continuo a pensare a quello che sta passando in questo momento”. Poi, venne al motivo  della sua visita allo psichiatra. “Mike, potresti lavorare su Darrell Gumm? Vedresti attraverso di lui in un secondo”.

Mike apparve stupefatto. “Non hanno richiesto il mio intervento su questo caso” lui disse. “Ho verificato il caso stamattina, e mi è stato detto che il Dottor Ralston l'ha interrogato ieri. Apparentemente, concorda sul fatto che Gumm sia l'assassino. Gli ha fatto persino firmare una confessione scritta. Il caso è chiuso, per quanto riguarda il Bureau. Pensano che ora hanno soltanto bisogno di trovare la donna. Sono certi che faranno parlare Gumm”.

Riley roteò gli occhi con esasperazione.

“Ma Ralston è un ciarlatano” lei disse. “E' un adulatore di Walder. Giungerà a qualsiasi conclusione che desideri Walder”.

Mike non disse nulla. Si limitò a sorridere a Riley. Quest'ultima era piuttosto sicura che Mike considerasse Ralston nel suo stesso modo. Ma era troppo professionale per dirlo.

“Non sono riuscita a risolvere il caso” Riley disse. “Leggerai almeno i file e mi dirai che cosa ne pensi?”

Mike sembrò profondamente assorto nei suoi pensieri. Poi, disse: “Parliamo un po' di te. Da quanto tempo sei tornata a lavorare?”

Riley dovette pensarci. Quel caso l'aveva consumata, ma era ancora nuovo.

“Da circa una settimana” lei rispose.

Curvò la testa con preoccupazione. “Stai spingendo forte. Lo fai sempre”.

“L'uomo ha ucciso una donna in quell'arco temporale, e ne ha presa un'altra. Avrei dovuto restare sul caso, sin da quando ho visto la prima volta il suo lavoro ben sei mesi fa. Non avrei mai dovuto lasciare il mio posto”.

“Sei stata interrotta.”

Lei sapeva che si stava riferendo alla sua cattura e alle torture che aveva subito. Aveva trascorso ore a descriverlo a Mike, e lui l'aveva aiutata a superare la cosa.

“Ora sono tornata. E un'altra donna è nei guai”.

“Con chi stai lavorando ora?”

“Di nuovo con Bill Jeffreys. E' formidabile, ma la sua immaginazione non è così attiva come la mia. Neanche lui è giunto ad alcuna conclusione”.

“Come sta andando per te? Stare con Jeffreys ogni giorno?”

“Bene. Perché non dovrebbe essere così?”

Mike la guardò in silenzio per un istante, poi le si avvicinò con un'espressione di preoccupazione dipinta in volto.

“Intendo, sei certa che la tua testa sia lucida? Sei sicura di poter stare in questo gioco? Beh,  quello che voglio sapere da te è, quale criminale stai davvero inseguendo?”

Riley strizzò gli occhi, un po' sorpresa da questo apparente cambio di argomento.

“Che cosa vuoi dire con quale?” lei chiese.

“Il nuovo o il vecchio?”

Un silenzio cadde tra loro.

“Penso che forse tu sia qui in realtà per parlare di te” Mike disse in tono calmo. “Penso che tu abbia sempre avuto difficoltà nel credere che Peterson sia morto in quell’esplosione”.

Riley non seppe che cosa dire. Non se l'era aspettato; non si era aspettata che le carte si rivoltassero contro di lei.

“Questo va oltre la questione” Riley disse.

“Che mi dici delle tue medicine, Riley?” Mike le chiese.

Riley non rispose di nuovo. Non prendeva il tranquillante che le era stato prescritto, ormai da giorni. Non voleva sminuire la sua concentrazione.

“Non sono certa che mi piacerà dove tu vuoi arrivare con questo” Riley esclamò.

Mike prese un lungo sorso dalla sua tazza di tè.

“Stai trasportando un grosso bagaglio emotivo” lui disse. “Quest'anno hai divorziato, e so che i tuoi sentimenti legati alla questione sono conflittuali. E, naturalmente, hai perso tua madre in un modo orribile e tragico, tutto anni fa”.

Il volto di Riley espresse irritazione. Non voleva entrare nella questione.

“Abbiamo parlato delle circostanze del tuo stesso rapimento” Mike proseguì. “Sei andata oltre i limiti. Ti sei presa un rischio enorme. Le tue azioni sono state davvero molto spericolate”.

“Ho tirato fuori Marie” lei disse.

“A che prezzo”.

Riley fece un respiro lungo e profondo.

“Forse stai dicendo che l'ho attirato io” lei disse. “Perché il mio matrimonio è fallito, a causa dell'omicidio di mia madre. Stai dicendo che forse lo meritavo. Allora, sono stata io ad attirare questo. Mi sono messa da sola in questa situazione”.

Mike le sorrise in modo comprensivo.

“Sto soltanto dicendo che ti serve guardarti bene dentro. Chiediti che cosa sta succedendo dentro di te".

Riley lottò per respirare, respingendo le lacrime. Mike aveva ragione. Si era chiesta tutte queste cose. Ecco perché le sue parole la stavano colpendo tanto. Ma aveva ignorato quei pensieri mezzi sommersi. Era proprio ora di scoprire se quelle cose erano vere.

“Stavo facendo il mio lavoro, Mike” lei disse con voce strozzata.

“Lo so” lui disse. “Niente di tutto questo è stata colpa tua. Lo sai questo? Mi preoccupo del fatto che ti incolpi. Attrai ciò che senti di meritare. Crei le tue circostanze di vita”.

Riley restò in silenzio, incapace di ascoltare oltre.

“Non sono stata presa, dottore, perché l'ho attratto” lei disse. “Sono stata presa, perché là fuori ci sono dei pazzi”.

*

Riley corse all'uscita più vicina, diretta al giardino esterno. Era una splendida giornata estiva. Fece diversi respiri lunghi e lenti, calmandosi un po'. Poi, si sedette su una panchina, e si coprì la testa con le mani.

In quel momento, il suo cellulare vibrò.

Marie.

Lo stomaco le suggerì subito che quella chiamata era urgente.

Riley rispose e non sentì altro che un forte ansimare.

“Marie” Riley rispose, preoccupata, “che cosa c'è?”

Per un istante, Riley sentì soltanto singhiozzare. Marie era ovviamente in uno stato ben peggiore del suo.

“Riley” Marie sussultò infine, “'l'hai trovato? L'hai cercato? Qualcuno l'ha cercato?”

L'umore di Riley sprofondò. Naturalmente, Marie stava parlando di Peterson. Voleva rassicurarla che fosse davvero deceduto, morto in quell'esplosione. Ma come poteva dirlo apparendo così sicura, mentre dubitava di se stessa? Ricordò quello che l'agente della scientifica Betty Richter le aveva detto alcuni giorni prima, sui dubbi legati alla morte di Peterson.

Direi novantanove per cento.

 

Quel pensiero non aveva dato a Riley alcun conforto. Ed era l'ultima cosa che Marie voleva o aveva bisogno di sentire in quel momento.

“Marie” Riley disse tristemente, “non c'è nulla che io possa fare”.

Marie emise un verso di disperazione, che fece venire un brivido a Riley, fin nelle ossa.

“Oh Dio, allora è lui!” lei urlò. “Non può essere nessun altro".

I nervi di Riley si tesero. “Di che cosa stai parlando, Marie? Che cos'è successo?”

Marie parlò a grande velocità.

“Ti ho detto che ha continuato a chiamarmi. Ho eliminato la linea fissa, ma, in qualche modo, è riuscito a scoprire il mio numero di cellulare. Continua a chiamarmi tutto il tempo. Non dice niente, si limita a telefonare e respirare, ma so che è lui. Chi altri potrebbe essere? Ed è stato qui, Riley. E' stato in casa mia”.

La preoccupazione di Riley aumentava ogni secondo che passava.

“Che cosa intendi?” lei chiese.

“Sento dei rumori la notte. Lancia delle cose alla porta e contro la finestra della mia camera. Ciottoli, credo”.

Il cuore di Riley sussultò, ricordando i ciottoli sulla scalinata davanti alla sua porta d'ingresso. Peterson era davvero vivo? Lei e Marie erano di nuovo entrambe in pericolo?

Sapeva di dover scegliere le parole da usare, in modo attento. Marie era chiaramente in un pericolo estremamente grande.

“Sto venendo da te ora, Marie” lei disse. “E farò intervenire il Bureau.”

Marie esplose in una risata stridula, disperata e amara.

“Intervenire?” lei ripeté. “Lascia perdere, Riley. L'hai già detto. Non c'è nulla che tu possa fare. Non farai nulla. Nessuno farà nulla. Nessuno può fare nulla".

Riley entrò in auto, e mise il telefono in vivavoce, così da poter parlare e guidare.

“Resta al telefono” lei disse, mettendo l'auto in moto, diretta a Georgetown. “Sto arrivando da te".

Capitolo 21

Riley si destreggiò nel traffico, tentando di far stare ancora Marie al telefono, al tempo stesso. Ad un incrocio bruciò un semaforo rosso; guidava pericolosamente e lo sapeva. Ma che cosa altro poteva fare? Era nella sua auto, non in un veicolo dell'agenzia, perciò non aveva lampeggianti e sirena.

“Butto giù, Riley” Marie disse per la quinta volta.

“No!” Riley gridò di nuovo, lottando contro un'ondata di disperazione. “Resta al telefono, Marie".

Ora la voce di Marie sembrava esausta.

“Non posso più farlo” lei disse. “Salvati se puoi, ma io davvero non posso farcela. Non ne posso più. Vi porrò fine subito".

Riley si sentì pronta ad esplodere per il panico. Che cosa intendeva Marie? Che cosa avrebbe fatto?

Puoi farcela, Marie” Riley disse.

“Addio, Riley".

“No!” Riley gridò. “Aspetta. Aspetta! E' tutto quello che devi fare. Sto arrivando.”

Stava guidando più velocemente rispetto al flusso di traffico, spostandosi tra le corsie come una matta. Diverse volte, altri autisti suonarono il clacson contro di lei.

“Non riagganciare” Riley le chiese violentemente. “Mi senti?”

Marie non disse nulla. Ma Riley riuscì a sentirla singhiozzare e piangere.

I suoni erano rassicuranti in maniera assurda. Almeno, Marie era ancora lì. Ma come poteva Riley rassicurarla? Sapeva che la povera donna stava piombando in un abisso di puro terrore animale. Marie non riusciva più a formulare un singolo pensiero razionale; sembrava essere quasi folle a causa della paura.

Riley cominciò a rivivere i suoi stessi ricordi nella mente. Giorni terribili in uno stato  bestiale in cui il mondo dell'umanità semplicemente non esisteva. Buio totale, il senso della vera esistenza di un mondo al di fuori dell'oscurità che stava scivolando via, e una completa perdita di ogni senso del trascorrere del tempo.

Devo combatterlo, lei disse a se stessa.

I ricordi la inondarono …

Con nulla da sentire o vedere, Riley provò a sfruttare gli altri sensi. Sentì l'acido sapore della paura tornarle in gola, salirle fino alla bocca, fino a diventare un formicolio elettrico sulla punta della lingua. Grattò sul pavimento sporco su cui era seduta, esplorandone la sua umidità. Annusò la muffa e la ruggine che la circondavano.

Quelle sensazioni erano tutto quello che la manteneva nel mondo dei vivi.

Poi, nel bel mezzo dell'oscurità, si vide una luce accecante e si sentì il rumore della torcia al propano di Peterson.

Un forte balzo scosse Riley, tirandola fuori dai suoi odiosi ricordi. Le ci volle un secondo per realizzare che la sua auto era finita contro un cordolo, e che lei ora rischiava di perdere il controllo nel bel mezzo dei flussi di traffico. Clacson suonarono.

Riley ritrovò il controllo della sua auto e si guardò intorno. Non era distante da Georgetown.

“Marie” lei gridò. “Ci sei ancora?”

Di nuovo, sentì soltanto un singhiozzo smorzato. Il che era un buon segno. Ma che cosa poteva fare Riley ora? Lei esitò. Poteva chiamare l'FBI di Washington D.C. in aiuto, ma nel tempo che avrebbe impiegato a spiegare il problema, per non parlare di quello in cui gli agenti sarebbero stati inviati all'indirizzo, soltanto Dio avrebbe saputo che cosa poteva accadere. Inoltre, questo avrebbe significato interrompere la telefonata con Marie.

Doveva farla stare al telefono, ma come?

Come avrebbe tirato Marie fuori dall'abisso? Ci era quasi precipitata lei stessa.

Riley ricordò qualcosa. Tempo prima, era stata preparata a tenere utenti in crisi al telefono. Non aveva mai dovuto utilizzare la sua preparazione prima di allora. Si sforzò di ricordare che cosa avrebbe dovuto fare. Aveva seguito quelle lezioni molto tempo prima.

Parte di una lezione le tornò in mente. Non le era stato insegnato a fare nulla, a dire nulla, per mantenere l'utente al telefono. Non importava quanto potesse essere insignificante o irrilevante.  Ciò che contava era che l'utente continuasse ad ascoltare una voce umana preoccupata.

“Marie, c'è qualcosa che ho bisogno che tu faccia per me” Riley disse.

“Che cosa?”

Il cervello di Riley stava operando freneticamente, formulando quello che doveva dire man mano che proseguiva.

“Ho bisogno che tu vada in cucina” lei disse. “Voglio che tu mi dica esattamente quali erbe e spezie ci sono sul tuo scaffale".

Marie non rispose per un momento. Riley si preoccupò. Marie era nel giusto stato mentale per accettare una tale irrilevante distrazione?

“Va bene” Marie disse. “Ci sto andando ora".

Riley fece un sospiro di sollievo. Forse, questo le avrebbe dato dell'altro tempo. Riuscì a sentire un tintinnio dei barattoli delle spezie al telefono. La voce di Marie ora sembrava alquanto strana, isterica e robotica al contempo.

“Ho dell'origano essiccato. E peperoncino in polvere. E noce moscata".

“Eccellente” Riley disse. “Che altro?”

“Timo essiccato. E zenzero. E grani di pepe nero".

Marie stette in silenzio. Come poteva Riley tenerla ancora al telefono?

“Hai del curry in polvere?” Riley chiese.

Si sentì un tintinnio di bottiglie, e poi Marie disse: “No".

Riley parlò lentamente, come se stette dando istruzioni di vita o di morte, perché, in effetti, era esattamente quello che stava facendo.

“Bene, ora prendi un foglio di carta e una matita” Riley disse. “Scrivi. E' la lista della spesa".

Riley sentì il suono della matita che scriveva.

“Che altro hai?” Riley domandò.

Allora, giunse una pausa terrificante.

“Questo non va bene, Riley” Marie disse con tono disperato.

Riley balbettò  disperatamente. “Solo, solo, fatti coraggio, va bene?”

Ci fu un'altra pausa.

“Lui è qui, Riley.”

Riley sentì un forte nodo alla gola.

“Lui dov'è?” lei chiese.

“E' in casa. Lo sento ora. E' stato qui tutto il tempo. Non c'è niente che tu possa fare".

I pensieri di Riley si agitarono, mentre provava a trovare un senso a quanto stava accadendo. Marie poteva essere in preda ad allucinazioni paranoiche. Riley capiva tutto fin troppo bene, a causa delle sue stesse lotte con il PTSD.

D'altra parte, poteva essere che Marie dicesse la verità.

“Come fai a saperlo, Marie?” Riley chiese, cercando una possibilità di sorpassare un furgone lento.

“Lo sento”, Marie disse. “Sento i suoi passi. E' di sopra. No, è nel corridoio di sotto. No, è in cantina".

Sta avendo delle allucinazioni? Riley si chiese.

Era possibile. Riley stessa aveva sentito più volte rumori inesistenti nei giorni successivi al suo rapimento. Anche recentemente, a volte non riusciva a fidarsi dei suoi cinque sensi. Il trauma giocava brutti scherzi alla sua immaginazione.

“E' ovunque nella casa” Marie disse.

“No” Riley rispose fermamente. “Non può essere ovunque".

Riley riuscì a sorpassare un lento camion. Un senso di futilità la investì, come una grossa ondata. Fu una sensazione terribile, quasi come annegare.

Quando Marie parlò di nuovo, non stava più singhiozzando. Ora sembrava rassegnata, persino misteriosamente tranquilla.

“Forse, è come un fantasma, Riley. Forse è questo che è successo quando l'hai fatto esplodere. Hai ucciso il suo corpo, ma non hai eliminato il suo male. Ora, può trovarsi in una miriade di posti diversi contemporaneamente. Ora, non si potrà più fermare. Mai. Non si può lottare contro un fantasma. Arrenditi, Riley. Non puoi fare niente. Nemmeno io. Tutto quello che posso fare è non lasciare che la stessa cosa mi accada di nuovo".

“Non riagganciare! Ho bisogno che tu faccia un'altra cosa per me.”

Ci fu un momento di silenzio. Poi, Marie disse: “Cosa? Che cosa vuoi adesso, Riley?”

“Voglio che resti in linea, ma ho bisogno che chiami il 911 dal telefono fisso.”

La voce di Marie si trasformò in un leggero brontolio. “Gesù, Riley. Quante volte devo dirti che ho levato la linea fissa?”

Nel suo stato confusionario, Riley l'aveva dimenticato. In realtà, Marie era sembrata un po' irritata. Il che era un bene. La rabbia era meglio del panico.

“Inoltre” Marie continuò, “perché dovrei chiamare il 911? Che cosa possono fare per aiutarmi? Nessuno può aiutarmi. Lui è ovunque. Mi prenderà prima o poi. Prenderà anche te. Dovremmo entrambe rassegnarci".

Riley si sentì in grave difficoltà. Le allucinazioni di Marie stavano creando una sorta di logica del tutto ingestibile. E non aveva il tempo di persuadere Marie che Peterson non fosse un fantasma.

“Siamo amiche, giusto Marie?” Riley disse infine. “Una volta mi hai detto che faresti qualsiasi cosa per me. Era vero?”

Marie riprese a piangere.

“Certo che è vero".

“Allora riaggancia, e chiama il 911. Non dev'esserci una ragione. Non deve avere alcuno scopo. Fallo solo perché voglio che tu lo faccia".

Ci fu una lunga pausa. Riley non riuscì nemmeno a sentire respirare Marie.

“Lo so che vuoi arrenderti, Marie. Lo capisco. E' una tua scelta. Ma io non voglio arrendermi. Forse è stupido, ma è così. Ecco perché ti sto chiedendo di chiamare il 911. Perché hai detto che faresti qualunque cosa per me. E voglio che tu lo faccia. Ho bisogno che lo faccia. Per me".

Il silenzio continuò. Marie era ancora in linea?

“Lo prometti?” le chiese.

La telefonata terminò con un clic. Che Marie chiamasse per ricevere aiuto o no, Riley non poteva lasciare nulla al caso. Prese il cellulare e chiamò il 911.

“Sono l'Agente Speciale Riley Paige, dell'FBI” lei disse, quando un operatore rispose. “Chiamo in merito a un possibile intruso. Qualcuno di estremamente pericoloso".

Riley comunicò all'operatore l'indirizzo di Marie.

“Manderemo subito una squadra” l'operatore disse.

“Bene” Riley disse, e pose fine alla telefonata.

Riley poi provò di nuovo a digitare il numero di Marie, ma non ci fu alcuna risposta.

Qualcuno deve arrivare lì in tempo, lei pensò. Qualcuno deve arrivare lì subito.

Nel frattempo, lottò contro una nuova ondata di ricordi oscuri. Doveva ottenere il controllo di se stessa. Qualunque cosa fosse accaduta, aveva bisogno di tenersi su di morale.

Quando la casa di mattoni rossi di Marie apparve, Riley sentì un'onda di allarme montarle dentro. Non erano arrivati veicoli d'emergenza. Lei sentì le sirene della polizia a distanza. Stavano arrivando.

Riley lasciò l'auto in doppia fila, e corse verso la porta d'ingresso, rendendosi conto di essere stata la prima ad arrivare. Quando mosse la maniglia della porta, questa era aperta. Come era possibile?

Entrò nell'edificio e prese la sua pistola.

“Marie!” Riley gridò. “Marie!”

Non ci fu alcuna risposta.

Riley sapeva per certo che qualcosa di orribile era accaduto o che stava accadendo lì in quel momento. Si diresse verso il corridoio anteriore.

 

“Marie!” gridò di nuovo. La casa restò silenziosa.

Ora le sirene della polizia erano più vicine, ma non era arrivato ancora alcun aiuto.

Riley stava iniziando a temere il peggio ora, che Peterson fosse stato lì, e forse si trovava ancora nella casa.

Si fece largo nel corridoio scarsamente illuminato. Continuò a chiamare Marie, studiando ogni porta. Forse era nell'armadio a sinistra? O dietro la porta del bagno sulla destra?

Se avesse incontrato Peterson, non l'avrebbe presa di nuovo.

Avrebbe ucciso il bastardo una volta per tutte.