Mariti Nel Mirino

Tekst
Loe katkendit
Märgi loetuks
Kuidas lugeda raamatut pärast ostmist
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

CAPITOLO DUE



Riley si sedette sulla sedia più vicina, con la mente in subbuglio, mentre le parole della donna riecheggiavano nella sua mente.



“Ho ucciso il bastardo.”



Morgan lo aveva detto davvero?



Poi Morgan chiese: “Agente Paige, è ancora lì?”



“Sono ancora qui” Riley rispose. “Mi dica che cos’è successo.”



Morgan sembrava ancora stranamente calma.



“Il fatto è che non ne sono esattamente sicura. Sono stata poco lucida recentemente, e tendo a non ricordare le cose che faccio. Ma l’ho ucciso, decisamente. Sto guardando il suo corpo nel letto, e ha ferite da coltello ovunque, e ha perso molto sangue. A quanto pare, ho usato un coltello affilato da cucina. Il coltello è proprio accanto al suo corpo.”



Riley si sforzò di trovare un senso a quanto stava sentendo.



Lei ricordò di quanto Morgan le fosse sembrata patologicamente magra. Aveva ipotizzato che fosse anoressica. Riley sapeva meglio della maggior parte delle persone quanto fosse difficile pugnalare una persona a morte. Morgan era fisicamente in grado di commettere un tale gesto?



Sentì la donna sospirare.



“Detesto volerla importunare, ma, onestamente, non so che cosa fare adesso. Mi chiedo se lei possa aiutarmi.”



“Lo ha detto a qualcun altro? Ha chiamato la polizia?”



“No.”



Riley balbettò: “Va… va bene, provvedo subito.”



“Oh, la ringrazio tanto.”



Riley stava per dire a Morgan di restare in linea, mentre faceva un’altra chiamata al cellulare. Ma la donna riagganciò.



Rimase seduta a fissare il vuoto per un momento, finché non sentì Jilly chiedere: “Mamma, qualcosa non va?”



Riley alzò gli occhi e vide che Jilly sembrava profondamente preoccupata.



Lei disse: “Nulla di cui preoccuparti, tesoro.”



Poi, riprese il cellulare e chiamò la polizia di Atlanta.





*





L’agente Jared Ruhl sedeva, annoiato ed irrequieto, nell’auto di pattuglia, guidata dal Sergente Dylan Petrie. Era notte, e stavano pattugliando uno dei quartieri più ricchi di Atlanta, una zona in cui di rado avvenivano crimini. Ruhl era nuovo del mestiere, ed era affamato d’azione.



Nutriva un grande rispetto per il suo partner e mentore. Il Sergente Petrie, afroamericano, in servizio da oltre vent’anni, ed era uno dei poliziotti più esperti e competenti esistenti.



Mi chiedo perché stiamo perdendo tempo così? Ruhl si domandò.



Come per rispondere alla sua domanda inespressa, una voce femminile interruppe il silenzio…



“Quattro-Frank-tredici, mi ricevete?”



L’attenzione di Ruhl si ridestò quando sentì la sigla identificativa del loro veicolo.



Petrie rispose: “Ti riceviamo, va’ avanti.”



La voce esitò, come se quasi non credesse a quello che stava per comunicare.



Poi disse: “Abbiamo un possibile centottantasette a casa Farrell. Andate sulla scena.”



La bocca di Ruhl si spalancò, e vide gli occhi di Petrie sbarrati per la sorpresa. Ruhl sapeva che 187 era il codice che stava per omicidio.



A casa di Andrew Farrell? Ruhl si domandò.



Entrambi non riuscivano a credere alle proprie orecchie.



“Ripeti” Petrie disse.



“Un possibile 187 a casa Farrell. Riuscite ad arrivarci?”



Ruhl vide Petrie strizzare gli occhi perplesso.



“Sì” Petrie disse. “Chi è il sospettato?”



La voce esitò ancora, poi aggiunse: “La Signora Farrell.”



Petrie sbottò, scuotendo il capo. “Uh … è uno scherzo?”.



“Per niente.”



“Chi è il mio RP?” Petrie domandò.



Che cosa significa? Ruhl si chiese.



Oh, certo …



Significava: “Chi ha riportato il crimine?”



La voce rispose: “Ha chiamato un agente del BAU da Phoenix, Arizona. So quanto sembri strano, ma …”



Calò il silenzio.



Petrie disse: “Risposta al Codice Tre?”



Ruhl sapeva che Petrie stava chiedendo se usare le luci lampeggianti e la sirena.



La voce chiese: “Quanto distate dal posto?”



“Meno di un minuto” Petrie ribatté.



“Meglio restare in silenzio allora. Tutta questa faccenda è …”



La voce svanì di nuovo. Ruhl immaginava che la donna non volesse attirare l’attenzione. Qualunque cosa stesse davvero accadendo in quel quartiere lussuoso e privilegiato, era senz’altro meglio tenere i media lontani il più a lungo possibile.



Infine, la voce ricomparve: “Fate un controllo, OK?”



“Ricevuto. Siamo diretti sul posto.”



Petrie pigiò sull’acceleratore e sfrecciarono lungo la strada, immersa nel silenzio.



Ruhl si guardò intorno stupito, mentre si avvicinavano alla villa dei Farrell. Non era mai stato così vicino. La casa si estendeva in ogni direzione, e a lui appariva più un country club che l’abitazione di qualcuno. L’esterno era illuminato con cura, per protezione, senza dubbio, ma anche per ostentare gli archi, le colonne e le grandi finestre.



Petrie parcheggiò l’auto nel vialetto circolare, e spense il motore. Lui e Ruhl uscirono dall’auto e si diressero verso l’enorme entrata. Petrie suonò il campanello.



Dopo alcuni istanti, un uomo alto e snello aprì la porta. Ruhl dedusse dallo smoking elegante e dalla sua espressione severa e boriosa, che fosse il maggiordomo della famiglia.



Sembrò sorpreso al vedere i due poliziotti, e per niente contento.



“Potrei chiedervi a cosa è dovuta la vostra presenza?” l’uomo domandò.



Il maggiordomo non sembrava avere alcuna idea del fatto che potesse esserci un problema all’interno della villa.



Petrie guardò Ruhl, che sentiva ciò che il suo mentore stava pensando …



Solo un falso allarme.



Probabilmente uno scherzo.



Petrie disse al maggiordomo: “Potremmo parlare col Signor Farrell, per favore?”



Il maggiordomo sorrise in maniera altezzosa.



“Temo che non sia possibile” l’uomo disse. “E’ profondamente addormentato, e ho ordini molto precisi”



Petrie lo interruppe: “Abbiamo ragione di essere preoccupati riguardo alla sua sicurezza.”



Il sopracciglio del maggiordomo si sollevò.



“Davvero?” disse. “Gli darò un’occhiata, se insistete. Proverò a non svegliarlo. Vi assicuro, si lamenterebbe in maniera piuttosto accesa.”



Petrie entrò seguendo il maggiordomo nella casa, senza chiedere permesso. L’abitazione era vasta: un colonnato marmoreo conduceva ad una scalinata coperta da un tappeto rosso, fiancheggiata da un corrimano rosso curvo. Ruhl trovava sempre più difficile credere che qualcuno vivesse davvero lì. Assomigliava piuttosto ad un set cinematografico.



Ruhl e Petrie seguirono il maggiordomo in cima alle scale, poi lungo un ampio corridoio fino ad un paio di porte doppie.



“La camera padronale” il maggiordomo disse. “Aspettate qui un momento.”



Il maggiordomo oltrepassò le porte.



Poi, sentirono un grido di orrore.



Ruhl e Petrie si precipitarono all’interno e si ritrovarono in un soggiorno; da lì entrarono in un’enorme camera da letto.



Il maggiordomo aveva già acceso le luci. Per un attimo Ruhl avvertì quasi un dolore agli occhi, dovuto al repentino cambio di illuminazione. Poi, lo sguardo gli cadde su un letto a balze. Come ogni altra cosa nella casa, anche questo era enorme: sembrava un elemento uscito fuori dalla scena di un film. Ma, per quanto fosse grande, era sovrastato dal resto della grandezza della camera.



Ogni elemento nella camera padronale era oro e bianco, ad eccezione del sangue sparso su tutto il letto.





CAPITOLO TRE



Il maggiordomo era poggiato alla parete e si guardava intorno con un’espressione gelida. Anche a Ruhl sembrò che l’aria fosse uscita dai polmoni.



L’uomo era lì, sul letto: il ricco e famoso Andrew Farrell era morto e coperto di sangue. Ruhl lo riconobbe avendolo visto molte volte in televisione.



Quello era il primo cadavere di un morto ammazzato che avesse mai visto. Non si sarebbe mai aspettato una scena simile, strana e irreale.



Quello che rendeva tutto particolarmente bizzarro era la donna seduta su una poltrona riccamente decorata, proprio accanto al letto. Ruhl riconobbe anche lei. Si trattava di Morgan Farrell, precedentemente nota come Morgan Chartier, una famosa modella, che ormai si era ritirata a vita privata. Il defunto aveva trasformato il loro matrimonio in un evento mediatico, e gli piaceva mostrare la donna in pubblico.



Indossava una vestaglia sottile e costosa, che era macchiata di sangue. Era seduta immobile, con in mano un grosso coltello dal manico intagliato, insanguinato, come la mano della donna.



“Merda” mormorò Petrie in tono stupito.



Poi, parlò nel suo microfono.



“Questa è una chiamata quattro-Frank-tredici da casa Farrell. Abbiamo un vero cento-ottantasette qui, davvero. Mandate tre unità, inclusa una squadra omicidi. Contattate anche il coroner. Meglio anche dire al Capo Stiles di arrivare.”



Petrie ascoltò la risposta nel proprio auricolare, poi sembrò riflettere per un istante.



“No, non fatelo diventare un Codice Tre. Dobbiamo mantenere quanto più possibile il silenzio intorno alla vicenda.”



Nel frattempo, Ruhl non riuscì a staccare gli occhi dalla donna. Aveva pensato che era bella, quando l’aveva vista alla TV. Abbastanza stranamente, gli appariva ancora bella persino ora. Sebbene avesse in mano un coltello insanguinato, sembrava delicata e fragile quanto una statuina di porcellana.



Era anche immobile, come se fosse stata fatta di porcellana, immobile quanto il cadavere, ed apparentemente inconsapevole delle presenze appena giunte nella stanza. Persino i suoi occhi non si muovevano, mentre continuava a fissare il coltello nella sua mano.

 



Mentre seguiva Petrie verso la donna, si rese conto che la scena non gli appariva più come un set cinematografico.



Sembra più l’allestimento di un museo delle cere, pensò.



Petrie toccò gentilmente la donna sulla spalla e disse: “Signora Farrell …”



La donna lo guardò, senza tradire neppure un po’ di stupore.



Sorrise e rispose: “Oh, salve, Agente. Mi chiedevo quando sarebbe arrivata la polizia.”



Petrie indossò un paio di guanti di plastica, subito imitato da Ruhl, tolse delicatamente il coltello dalla mano della donna, e lo porse a Ruhl, che lo mise delicatamente all’interno di un sacchetto.



Nel frattempo, Petrie si rivolse alla donna: “La prego mi dica che cos’è successo.”



La donna esplose in una risatina piuttosto musicale.



“Beh, che domanda sciocca. Io ho ucciso Andrew. Non è ovvio?”



Petrie rivolse uno sguardo a Ruhl, come per chiedere …



E’ ovvio?



Da un lato, non sembrava esserci una spiegazione alternativa che giustificasse questa scena bizzarra. Dall’altro …



Lei sembra così debole ed indifesa, Ruhl pensò.



Non riusciva proprio ad immaginarla mentre commetteva un atto così efferato.



Petrie disse a Ruhl: “Va’ a parlare con il maggiordomo. Scopri quello che sa.”



Mentre Petrie esaminava il corpo, Ruhl raggiunse il maggiordomo, che era ancora appoggiato alla parete.



Ruhl domandò: “Signore, potrebbe dirmi che cos’è successo qui?”



Il maggiordomo aprì la bocca, ma non emise alcun suono.



“Signore” Ruhl ripeté.



Il maggiordomo strabuzzò gli occhi, come se fosse colto da profonda confusione. Disse: “Non lo so. Siete arrivati e …”



Ricadde di nuovo nel silenzio.



Ruhl si chiese …



Sa davvero qualcosa?



Forse il maggiordomo stava fingendo shock e perplessità.



Forse era il killer.



Quell’idea ricordò a Ruhl del vecchio cliché …



“E’ stato il maggiordomo.”



L’idea avrebbe potuto essere persino buffa in altre circostanze.



Ma certamente non in quel momento.



Ruhl rifletté in fretta, provando a decidere quale domanda porre all’uomo.



Poi riprese: “C’è qualcun altro in casa?”



Il maggiordomo rispose con voce tediosa: “Soltanto il personale che abita nella casa. Sei persone oltre a me, tre uomini e tre donne. Certamente non pensate …?”



Ruhl non sapeva affatto che cosa pensare, almeno non ancora.



Domandò ancora al maggiordomo: “E’ possibile che qualcun altro sia presente da qualche parte all’interno della casa? Un intruso, forse?”



Il maggiordomo scosse il capo.



“Non vedo come” replicò. “Il nostro sistema di sicurezza è il migliore in circolazione.”



Questo non è un no, pensò Ruhl. Improvvisamente, si sentì allarmato.



Se fosse stato un intruso a uccidere, avrebbe potuto trovarsi ancora all’interno della casa?



O magari proprio in quel momento stava fuggendo?



Ruhl sentì Petrie parlare nel microfono: stava dando istruzioni su come trovare la camera da letto nell’enorme villa.



Pochi secondi più tardi, la stanza brulicava di poliziotti. Tra di essi, il Capo Elmo Stiles, un uomo corpulento ed imponente.



Ruhl rimase sorpreso quando vide anche il procuratore distrettuale della contea, Seth Musil, che - normalmente tranquillo e lucido - sembrava disorientato ed aveva un aspetto disordinato, come se fosse appena stato spinto fuori dal letto. Ruhl suppose che il capo lo avesse contattato, non appena ricevuta la notizia, fosse andato a prenderlo e lo avesse condotto lì.



Il procuratore distrettuale ebbe un moto di orrore dinnanzi alla scena del delitto, e si precipitò verso la donna.



“Morgan!” la chiamò.



“Ciao, Seth” la donna rispose, come se fosse piacevolmente sorpreso del suo arrivo. Ruhl non era particolarmente sorpreso che Morgan Farrell e un politico famoso come il procuratore distrettuale si conoscessero. La donna non sembrava ancora consapevole di quanto stesse accadendo intorno a sé.



Sorridendo, la donna si rivolse a Musil: “Beh, suppongo che sia ovvio quello che è successo. E sono sicuro che tu non sia sorpreso …”



Musil interruppe bruscamente.



“No, Morgan. Non dire nulla. Non ancora. Non finché non ti avremo procurato un avvocato.”



Il Sergente Petrie stava già organizzando le persone nella stanza.



Poi si rivolse al maggiordomo: “Spieghi loro la disposizione della casa, ogni angolo ed anfratto.”



Poi si rivolse ai poliziotti: “Voglio che setacciate tutto in cerca di intrusi o segni di effrazione. E controllate il personale residente nella villa, assicuratevi che tutti forniscano una descrizione accurata di come hanno trascorse le ultime ore.”



I poliziotti si radunarono intorno al maggiordomo, che si era rimesso in piedi. L’uomo diede loro istruzioni, e i poliziotti lasciarono la stanza. Senza sapere che altro fare, Ruhl si posizionò accanto al Sergente Petrie, osservando la scena inquietante.



Il procuratore distrettuale si era fermato accanto alla donna, ricoperta di sangue e sorridente.



Ruhl ancora non si capacitava di ciò che stava vedendo. Pensò che questo era il suo primo omicidio. Si chiese …



Avrò mai a che fare con un caso più strano di questo?



Sperava anche che i poliziotti che stavano perquisendo l’abitazione non tornassero a mani vuote. Forse, sarebbero tornati con il vero colpevole. Ruhl odiava l’idea che questa donna delicata e graziosa fosse davvero in grado di commettere un omicidio.



Trascorsero lunghi minuti prima che i poliziotti ed il maggiordomo tornassero.



Dissero di non aver trovato alcun intruso e neppure segni che qualcuno si fosse introdotto all’interno della casa. Aveva trovato il personale residente nell’abitazione addormentato, ognuno nel proprio letto, e non avevano alcun motivo di pensare che qualcuno di essi fosse responsabile del crimine.



Il coroner e la sua squadra arrivarono e cominciarono ad occuparsi del corpo. L’enorme stanza era davvero piuttosto affollata adesso. Finalmente, la donna insanguinata della casa sembrò essere consapevole della confusione dell’attività.



Si alzò dalla sedia e disse al maggiordomo: “Maurice, dove sono le tue buone maniere? Chiedi a queste brave persone se desiderano qualcosa da mangiare o bere.”



Petrie le si avvicinò, estraendo le manette.



Le disse: “E’ molto gentile da parte sua, signora, ma non sarà necessario.”



Poi, in un tono estremamente gentile e cortese, cominciò a leggere a Morgan Farrell i suoi diritti.





CAPITOLO QUATTRO



Riley non riuscì a fare a meno di preoccuparsi, mentre l’udienza cominciava.



Finora, tutto era parso procedere tranquillamente. La stessa Riley aveva spiegato il tipo di casa che stava provando a creare per Jilly; Bonnie ed Arnold Flaxman avevano testimoniato in merito al disperato bisogno di Jilly di avere una famiglia stabile.



Nonostante tutto, Riley si sentiva a disagio di fronte al padre della ragazza, Albert Scarlatti.



Non aveva mai visto l’uomo prima di oggi. A giudicare da quello che Jilly le aveva detto di lui, l’aveva immaginato come un grottesco orco.



Ma il suo vero aspetto la sorprese.



I capelli, che una volta erano stati neri, erano pesantemente ingrigiti e i lineamenti, come si era aspettata, erano segnati da anni di alcolismo. Nonostante tutto, sembrava perfettamente sobrio al momento. Era ben vestito ma non indossava abiti costosi, ed era gentile e affascinante con tutte le persone a cui si rivolgeva.



Riley si fece delle domande anche sulla donna seduta accanto all’uomo, mano nella mano. Anche lei sembrava aver avuto una vita difficile. Altrimenti, la sua espressione era difficile da interpretare per Riley.



Lei chi è? si chiese.



Tutto quello che Riley sapeva della moglie di Scarlatti e della madre di Jilly era che era scomparsa molti anni fa. Scarlatti aveva spesso detto alla figlia che, forse, la donna era morta.



Quella donna non poteva essere lei dopo tutti questi anni. Jilly non aveva mostrato affatto di conoscerla. Perciò, chi era?



Ora era il turno di Jilly di testimoniare.



Riley strinse la mano della ragazza per rassicurarla, e la giovane adolescente andò al banco.



Jilly appariva piccola nell’enorme sedia per i testimoni. I suoi occhi si spostarono nervosi, guardando all’interno dell’aula, osservando prima il giudice e poi il padre.



L’uomo sorrise con quello che sembrava un sincero affetto, ma Jilly evitò frettolosamente il suo sguardo.



L’avvocato di Riley, Delbert Kaul, chiese a Jilly come si sentisse per l’adozione.



Riley vide tutto il corpo di Jilly tremare per l’emozione.



“Lo voglio più di ogni altra cosa al mondo” Jilly disse con voce tremante. “Sono stata così, così felice di vivere con la mia mamma …”



“Intendi la Signora Paige” Kuhl disse, interrompendo gentilmente.



“Beh, lei è la mia mamma ora per quanto mi riguarda, ed è così che la chiamo. E sua figlia, April, è mia sorella maggiore. Prima di vivere con loro, non avevo idea di come fosse, avere una vera famiglia che mi amasse e si prendesse cura di me.”



Jilly sembrava soffocare coraggiosamente le lacrime.



Riley non era sicura di riuscire a fare la stessa cosa.



Poi, Kaul chiese: “Puoi raccontare un po’ al giudice di com’era vivere con tuo padre?”



Jilly guardò il genitore.



Poi, spostò gli occhi sul giudice e disse: “Era tremendo.”



Proseguì a raccontare alla corte che cos’aveva detto ieri a Riley, di quando il padre l’avesse rinchiusa in un armadio per giorni. Riley rabbrividì mentre ascoltava di nuovo la storia. La maggioranza dei presenti in aula sembrò profondamente scossa dal racconto. Persino il padre chinò la testa.



Quando terminò, Jilly era davvero in lacrime.



“Prima che la mia nuova mamma entrasse nella mia vita, tutti quelli che amavo se ne sono andati alla fine. Non sopportavano di vivere con papà, perché era così cattivo con loro. Mia madre, mio fratello maggiore, persino la mia cucciola, Darby, è scappata.”



A Riley si strinse la gola. Ricordò Jilly piangere, mentre parlava della cucciola che aveva perso tanti mesi fa. La ragazza si chiedeva ancora che cosa ne fosse stato di Darby.



“La prego” si rivolse al giudice. “La prego, non mi faccia ritornare lì. Sono felice con la mia nuova famiglia. Non mi porti lontano da loro.”



Poi, Jilly lasciò il banco e tornò a sedersi accanto a Riley.



Riley le strinse la mano e le sussurrò: “Sei stata molto brava. Sono orgogliosa di te.”



Jilly annuì e si asciugò le lacrime.



Poi, l’avvocato di Riley, Delbert Kaul, mostrò al giudice tutti i documenti necessari per finalizzare l’adozione. Sottolineò in particolare il modulo di consenso firmato dal padre di Jilly.



Riley si concentrò sul processo: Kaul stava facendo un lavoro ragionevolmente meticoloso. Ma la sua voce e il suo modo di fare non erano molto efficaci, ed il giudice, un uomo nerboruto, imbronciato, con piccoli occhi pungenti, non sembrava affatto colpito.



Per un momento, la mente di Riley tornò alla bizzarra telefonata che ieri aveva ricevuto da Morgan Farrell. Naturalmente, lei aveva contattato la polizia di Atlanta immediatamente. Se quello che la donna aveva detto era vero, doveva trovarsi ormai in custodia cautelare. Riley non poté fare a meno di domandarsi che cosa fosse davvero accaduto.



Realmente la donna fragile che aveva incontrato ad Atlanta aveva commesso un omicidio?



Questo non è il momento di pensarci, si disse.



Quando Kaul terminò, l’avvocato di Scarlatti si alzò in piedi.



Jolene Paget era una donna scrupolosa sui trent’anni, le cui labbra sembravano essere state scolpite per formare un lieve ma perpetuo sorrisetto.



Disse al giudice: “Il mio cliente si oppone a quest’adozione.”



Il giudice annuì e ringhiò: “So che è così, Signora Paget. Il suo cliente farà meglio ad avere una buona ragione per voler cambiare la propria decisione.”



Riley notò immediatamente che, a differenza del suo avvocato, la Paget non utilizzava appunti. E, a differenza di Kaul, la sua voce e il suo atteggiamento esprimevano sicurezza.

 



Il legale riprese: “Il Signor Scarlatti ha decisamente una buona ragione, Vostro Onore. Ha dato il suo consenso per costrizione. Stava attraversando un momento davvero difficile e non aveva un lavoro. E sì, allora beveva. Ed era depresso.”



Paget fece un cenno con il capo verso Brenda Fitch, anche lei seduta in aula, e proseguì: “Era preda facile per la pressione subita dai servizi sociali, specialmente da questa donna. Brenda Fitch l’ha minacciato di denunciarlo per crimini e reati fittizi.”



Brenda emise un forte sussulto di sdegno. Si rivolse alla Paget: “Questo non è vero, e lei lo sa.”



Il sorrisetto della Paget si allargò mentre riprendeva: “Vostro Onore, vorrebbe gentilmente chiedere alla Signora Fitch di non interrompere?”



“La prego di fare silenzio, Signora Fitch” il giudice intervenne.



La Paget aggiunse: “Il mio cliente desidera anche accusare la Signora Paige di rapimento, con la complicità della Signora Fitch.”



Brenda emise un udibile sussulto di disgusto, ma Riley si impose di restare in silenzio. Aveva immaginato che la Paget avrebbe sollevato la questione.



Il giudice disse: “Signora Paget, lei non ha presentato alcuna prova di rapimento. Per quanto riguarda la costrizione e le minacce da lei menzionate, non ha presentato alcuna prova. Non ha detto nulla per persuadermi che l’iniziale consenso del suo cliente non debba perdurare”



Albert Scarlatti si alzò in piedi.



“Potrei spendere due parole in mia difesa, Vostro Onore?” pregò.



Quando il giudice annuì in segno di consenso, la preoccupazione di Riley aumentò.



Scarlatti chinò la testa e parlò con voce bassa e tranquilla.



“Ciò che Jilly le ha raccontato in merito a quello che le ho fatto sembra orribile, lo so. E Jilly, sono tremendamente dispiaciuto. Ma la verità è, che non è esattamente quanto è accaduto.”



Riley dovette sforzarsi per non interromperlo. Era sicura che Jilly non avesse mentito a riguardo.



Albert Scarlatti sorrise un po’ tristemente. Un caldo sorriso si disegnò sui suoi tratti logorati.



“Jilly, sicuramente ammetterai di essere stata una ragazza difficile da crescere. Puoi essere una sfida, figlia mia. Hai un carattere irascibile, e qualche volta andavi completamente fuori controllo, e proprio non sapevo che cosa fare quel giorno. Per quel che ricordo, ero soltanto davvero disperato quando ti ho rinchiusa in quell’armadio.”



L’uomo alzò leggermente le spalle e continuò: “Ma non è andata come hai detto tu. Non ti avrei mai lasciata lì per giorni. Nemmeno per poche ore. Non sto dicendo che non stai dicendo la verità, ma solo che la tua immaginazione talvolta prende il sopravvento. E io lo capisco.”



Poi, Scarlatti rivolse la propria attenzione agli altri presenti in aula.



Disse: “Sono accadute molte cose da quando ho perso la mia piccola Jilly. Mi sono ripulito. Mi sono disintossicato e vado agli Alcolisti Anonimi regolarmente, e non bevo da mesi. Spero di non bere di nuovo per il resto della mia vita. E ho un’occupazione stabile, nulla di molto eclatante, faccio solo le pulizie, ma è un buon lavoro, e posso darle una referenza dal mio datore, secondo cui sto andando bene.”



Poi, toccò la donna misteriosa che gli era seduta accanto, sulla spalla.



“Ma c’è un altro grande cambiamento nella mia vita. Ho incontrato Barbara Long, la donna migliore al mondo, ed è la cosa migliore che mi sia successa. Siamo fidanzati, e questo mese ci sposeremo.”



La donna gli sorrise con occhi scintillanti.



Scarlatti ora si riferì direttamente a Jilly.



“Esatto, Jilly. Non c’è più una famiglia con un solo genitore. Avrai un padre e una madre, una vera madre dopo tutti questi anni.”



Per Riley fu come ricevere una pugnalata al petto.



Jilly ha appena detto che io sono la sua vera mamma, pensò.



Scarlatti poi rivolse la sua attenzione a Brenda Fitch.



Disse: “Signora Fitch, il mio avvocato ha appena detto cose piuttosto dure su di lei adesso. Voglio soltanto che lei sappia che non nutro alcun rancore. Ha fatto il suo lavoro, e ne sono consapevole. Desidero soltanto che lei sappia quanto sono cambiato.”



Poi, guardò Riley dritto negli occhi.



“Signora Paige, non nutro alcun rancore neanche verso di lei. Infatti, sono grato per tutto ciò che ha fatto per prendersi cura di Jilly, mentre provavo a rimettermi in sesto. So che non dev’essere stato facile per lei, essendo single e tutto il resto. E con una figlia adolescente di cui occuparsi.”



Riley aprì la bocca per protestare, ma Albert proseguì col suo schietto parlare. “So che le vuole bene, e non ha alcun bisogno di preoccuparsi. D’ora in poi, sarò un buon padre per Jilly. E vorrei che lei continuasse a far parte della vita di Jilly.”



Riley era stupita. Adesso comprendeva il motivo per cui l’avvocato dell’uomo avesse minacciato di accusarla di rapimento.



E’ una classica situazione del poliziotto buono e del poliziotto cattivo.



Jolene Paget si era presentata come avvocato spietato preparato ad andare fino in fondo pur di vincere il caso. Aveva spianato la via a Scarlatti, così che emergesse come l’uomo più gentile del mondo.



Ed era molto convincente. Riley non poté fare a meno di chiedersi …



Lui è davvero un brav’uomo dopotutto?



Stava davvero attraversando un brutto momento?



Cosa peggiore di tutte, forse si stava sbagliando a voler provare a portargli via Jilly? Non stava facendo altro che aggiungere un trauma inutile alla vita di Jilly?



Infine, Scarlatti guardò supplichevolmente il giudice.



“Vostro Onore, la prego, mi faccia riavere mia figlia. Lei è sangue del mio sangue. Non si pentirà della sua decisione. Lo prometto.”



Una lacrima gli scese lungo una guancia, mentre si risedette.



Il suo avvocato si alzò, sembrando più compiaciuta e sicura che mai.



Si rivolse a Jilly con un tono di melliflua e finta sincerità.



“Jilly, spero che tu capisca che tuo padre vuole soltanto ciò che è meglio per te. So che hai avuto problemi con lui in passato, ma dimmi la verità adesso, non è una cosa ricorrente per te?”



Jilly sembrava confusa.



La Paget continuò: “Sono sicura che non negherai il fatto di essere scappata via da tuo padre, ed è così che Riley Paige ti ha trovata.”



Jilly disse: “Lo so, ma il motivo è che …”



La Paget interruppe, indicando i Flaxman.



“E non sei anche scappata via da questa simpatica coppia, quando ti hanno presa in affidamento?”



Gli occhi di Jilly si spalancarono e lei annuì silenziosamente.



Riley deglutì rumorosamente. Sapeva quello che la Paget stava per dire.



“E non sei anche scappata dalla Signora Paige e dalla sua famiglia una volta?”



Jilly annuì e piegò tristemente il capo.



E naturalmente era vero. Riley ricordava troppo bene quando fosse stato difficile per la ragazza abituarsi alla vita nella sua casa, specie nei momenti in cui non si era sentita in grado di sostenere la situazione. In un momento in cui si sentiva particolarmente debole, Jilly era scappata verso un’altra fermata dei camionisti, pensando che vendere il proprio corpo sarebbe stata la sua unica possibilità.



“Non sono nessuno” Jilly aveva detto a Riley, quando la polizia l’aveva riportata indietro.



L’avvocato aveva svolto bene la sua ricerca, ma Jilly era cambiata tanto da allora. Riley era certa che quei giorni d’insicurezza fossero finiti.



Continuando a mantenere un tono di profonda preoccupazione, la Paget disse a Jilly …



“Prima o poi, cara, dovrai accettare l’aiuto delle persone che tengono a te. E adesso, tuo padre desidera più di ogni cosa al mondo, darti una bella vita. Penso che gli debba una possibilità di farlo.”



Rivolgendosi al giudice, la Paget aggiunse: “Vostro Onore, lascio a lei la parola.”



Per la prima volta, il giudice sembrò sinceramente commosso.



Disse: “Signor Scarlatti, i suoi commenti eloquenti mi hanno costretto a riconsiderare la mia decisione.”



Riley sussultò rumorosa