Mariti Nel Mirino

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Sembrando allarmato, Kaul si alzò e disse bruscamente.

“Obiezione, Vostro Onore. Il Signor Scarlatti ha rinunciato ai suoi diritti volontariamente, e questo mutamento di atteggiamento era del tutto inatteso. L’Agenzia non ha avuto modo di presentare le prove per stabilire la sua inattitudine.”

Il giudice si espresse senza dare alcun spazio ad alternative, e sbatté il martelletto.

“Allora non ho alcun motivo per poter considerare altrimenti. La custodia è affidata al padre, con effetto immediato.”

Riley non riuscì a fare a meno di emettere un grido di disperazione.

Sta succedendo davvero, pensò.

Sto perdendo Jilly.

CAPITOLO CINQUE

Riley era quasi in iperventilazione, mentre provava a capire quello che stava accadendo.

Sicuramente, posso contestare questa decisione, pensò.

L’Agenzia e l’Avvocato potevano facilmente raccogliere solide prove del violento comportamento di Scarlatti.

Ma che cosa sarebbe successo nel frattempo?

Jilly non sarebbe mai rimasta col padre. Sarebbe scappata di nuovo, e stavolta sarebbe potuta davvero sparire.

Riley rischiava di non rivedere mai più la sua figlia minore.

Ancora seduto al suo banco, il Giudice si rivolse a Jilly: “Signorina, penso che dovresti andare da tuo padre ora.”

Con sorpresa di Riley, Jilly sembrava completamente calma.

Strinse la mano di Riley e sussurrò …

“Non preoccuparti, mamma. Andrà tutto bene.”

Si diresse dove Scarlatti e la sua fidanzata si trovavano. Il sorriso di Albert Scarlatti sembrava caldo e accogliente.

Appena il padre allargò le braccia per abbracciarla, Jilly disse: “Ho una cosa da dirti.”

Un’espressione curiosa attraversò il volto di Scarlatti.

La ragazza disse: “Hai ucciso mio fratello.”

“Che, che cosa?” Scarlatti balbettò. “No, questo non è vero, e lo sai. Tuo fratello Norbert è scappato via. Te l’ho detto tante volte—”

Jilly lo interruppe.

“No, non parlo di mio fratello maggiore. Non lo ricordo nemmeno. Sto parlando del mio fratellino.”

“Ma non hai mai avuto un …”

“No, non ho mai avuto un fratellino. Perché lo hai ucciso.”

La bocca di Scarlatti si spalancò e il volto divenne rosso.

Con la voce scossa dalla rabbia, Jilly proseguì: “Immagino che tu pensi che non ricordi mia madre, perché ero così piccola quando se n’è andata. Ma invece ricordo. Ricordo che era incinta. Ricordo quando le gridavi contro. L’hai colpita allo stomaco. Ti ho visto farlo, ancora e ancora. Poi, si è ammalata. E poi, non è stata più incinta. Mi disse che era un maschietto, e che sarebbe stato il mio fratello minore, ma tu lo hai ucciso.”

Riley fu spiazzata dalle parole pronunciate da Jilly. Non aveva alcun dubbio che fosse tutto vero.

Vorrei che me lo avesse detto, pensò.

Ma, naturalmente, per la ragazza doveva essere stato troppo doloroso per parlarne, almeno fino a questo momento.

Jilly ora stava singhiozzando. Disse: “La mamma piangeva tanto quando me l’ha detto. Disse che doveva andarsene, o l’avresti uccisa prima o poi. E così se n’è andata. E non l’ho mai più rivista.”

Il volto di Scarlatti fu trasfigurato da una brutta espressione. Riley vide che stava lottando con la sua rabbia.

L’uomo ringhiò: “Ragazza, non sai di che cosa stai parlando. Stai immaginando tutto.”

Jilly disse: “Lei indossava il suo bel vestito blu quel giorno. Quello che le piaceva davvero. Vedi, lo ricordo. Ho visto tutto.”

Le parole di Jilly vennero fuori in un torrente disperato.

“Uccidi tutto e tutti prima o poi. Non puoi farne a meno. Scommetto che hai persino mentito quando mi hai detto che la mia cucciola è scappata. Probabilmente hai ucciso anche Darby.”

Scarlatti ora tremava.

La ragazza continuò a parlare: “Mia madre ha fatto la cosa giusta ad andarsene, e spero che sia felice, ovunque si trovi. E se è morta, beh, meglio che stare con te.”

Scarlatti emise un ruggito infuriato. “Taci, puttanella!”

Afferrò la figlia per la spalla con una mano, e le diede uno schiaffo sul viso con l’altro.

Jilly gridò e provò a divincolarsi da lui.

Riley si alzò in piedi, precipitandosi verso Scarlatti. Prima che arrivasse, due guardie di sicurezza afferrarono l’uomo per le braccia.

Jilly si liberò e corse da Riley.

Il giudice sbatté il martelletto e tornò tutto in silenzio. Si guardò intorno nell’aula, come se non riuscisse a credere a quanto era appena successo.

Per un momento, restò seduto lì, respirando faticosamente.

Poi, guardò Riley e disse: “Signora Paige, penso di doverle delle scuse. Ho appena preso la decisione sbagliata, e la revoco.”

Guardò Scarlatti ed aggiunse: “Un altro suono da parte sua e la farò arrestare.”

Guardando gli altri presenti nell’aula, il Giudice disse fermamente: “Non ci saranno altre udienze. Questa è la mia decisione finale in merito a quest’adozione. La custodia è affidata alla madre adottiva.”

Sbatté il martelletto ancora una volta, poi si alzò e lasciò l’aula senza aggiungere altro.

Riley si voltò e guardò Scarlatti. I suoi occhi scuri erano furiosi, ma le due guardie di sicurezza erano immobili accanto a lui. L’uomo rivolse lo sguardo alla sua fidanzata, che lo guardò con orrore. Poi, Scarlatti piegò il capo e se ne stette lì in silenzio.

Jilly si lanciò tra le braccia di Riley, singhiozzando.

Riley la strinse e disse: “Sei una ragazza coraggiosa, Jilly. Non ti lascerò mai andare, qualunque cosa accada. Puoi contarci.”

*

A Jilly faceva ancora male la guancia, mentre Riley discuteva di alcuni dettagli con Brenda e l’avvocato. Ma sapeva che presto il dolore sarebbe svanito. Aveva svelato un evento che aveva tenuto per sé troppo a lungo. Ora, era libera per sempre dal padre.

Riley, la sua nuova mamma, la riportò alla loro camera d’albergo, dove rifecero rapidamente le valigie, e andarono all’aeroporto. Arrivarono in sufficiente anticipo per prendere il volo che le riportasse a casa, e imbarcarono così i bagagli per non trascinarli con sé in giro. Poi, andarono insieme alla toilette.

Jilly si guardò allo specchio, mentre sua madre era in una cabina vicina.

Un lieve livido si stava formando sulla guancia, dove il padre l’aveva schiaffeggiata. Ma sarebbe andato tutto BENE adesso.

Il padre non poteva più farle del male. E tutto perché aveva deciso di dire finalmente la verità sul fratello minore morto. Era stato tutto quello che ci era voluto per cambiare ogni cosa.

Sul suo volto le si dipinse un piccolo sorriso, mentre ricordava la mamma che le diceva …

“Sei una ragazza coraggiosa, Jilly.”

Sì, Jilly pensò. Penso di essere abbastanza coraggiosa.

CAPITOLO SEI

Quando Riley uscì dalla toilette, non vide Jilly da nessuna parte.

La prima cosa che provò fu un lampo di rabbia.

Ricordò di averle chiaramente detto …

“Aspetta fuori dalla porta. Non ti allontanare.”

E adesso sembrava sparita.

Quella ragazza, la donna pensò.

Non temeva che perdessero il volo. Avevano molto tempo a disposizione prima di imbarcarsi. Ma aveva sperato di prendere le cose con calma e tranquillità, dopo una giornata così faticosa. Aveva programmato che facessero i controlli di sicurezza, trovassero il loro gate e poi, trovassero un buon posto in cui mangiare.

Riley sospirò scoraggiata.

Persino dopo le coraggiose azioni di Jilly nell’aula, Riley non poté fare a meno di sentirsi delusa da questa nuova dimostrazione d’immaturità.

Sapeva che se si fosse messa a cercare Jilly nel grande terminal, probabilmente avrebbero continuato a mancarsi di continuo. Cercò allora un posto dove sedersi, e attese che la figlia tornasse, il che sarebbe certamente accaduto da un momento all’altro.

Ma, mentre Riley si guardava intorno nel grande edificio aperto del terminal, intravide Jilly attraversare una delle porte di vetro che conducevano all’esterno.

O almeno pensava che fosse lei, era difficile stabilirlo da dove Riley si trovava.

E chi era quella donna con cui la ragazza sembrava essere?

Assomigliava a Barbara Long, la fidanzata di Albert Scarlatti.

Ma le due persone sparirono rapidamente tra i viaggiatori che si radunavano fuori dall’edificio.

Riley si sentì un po’ in apprensione. I suoi occhi le stavano giocando dei brutti scherzi?

No, ora era piuttosto sicura di quello che aveva visto.

Ma che cosa stava succedendo? Perché Jilly sarebbe dovuta andare con quella donna?

Riley entrò in azione. Sapeva che non c’era il tempo per trovare un senso a tutto ciò. Iniziando a correre, mise istintivamente una mano sotto la giacca leggera, e spostò la pistola che indossava all’interno della fondina sulla spalla.

Fu bloccata da una guardia di sicurezza in uniforme, che si fermò dinnanzi a lei.

L’uomo parlò con una voce calma e professionale.

“Ha un’arma, signora?”

Riley emise un gemito di frustrazione.

Disse: “Signore, non ho tempo per questo.”

Intuì dall’espressione della guardia, che aveva soltanto confermato il proprio sospetto.

L’uomo impugnò la sua arma e si spostò verso di lei. Con la coda dell’occhio, Riley vide che un’altra guardia aveva scorto l’attività, e si stava avvicinando.

“Mi lasci andare” Riley scattò, mostrando entrambe le mani. “Sono un’agente dell’FBI.”

 

La guardia con la pistola non rispose. Riley immaginava che non le credesse. E sapeva che era stato addestrato a non crederle. Stava soltanto facendo il suo lavoro.

Ora sembrava proprio che la seconda guardia fosse intenzionata a perquisirla.

Riley stava perdendo del tempo prezioso. Dato il suo addestramento superiore, calcolò che avrebbe potuto probabilmente disarmare la guardia armata, prima che potesse sparare. Ma l’ultima cosa di cui aveva bisogno al momento era ritrovarsi in una situazione seccante con un paio di guardie di sicurezza.

Imponendosi di restare immobile, disse: “Ascoltate, lasciate che vi mostri la mia identità.”

Le due guardie si guardarono cautamente.

“OK” la guardia armata disse. “Ma lentamente.”

Riley estrasse attentamente il distintivo e lo mostrò loro.

Le loro bocche si spalancarono.

“Ho fretta” Riley disse.

La guardia che stava di fronte a lei annuì e rinfoderò la pistola.

Con riconoscenza, iniziò a correre per il terminal, e passò oltre le porte di vetro, per ritrovarsi all’esterno.

Riley si guardò intorno. Non riusciva a vedere Jilly e neanche la donna.

Ma poi, scorse il viso della figlia nel finestrino posteriore di un SUV. La ragazza sembrava spaventata, e stava premendo le mani contro il vetro.

C’era di peggio: il veicolo stava cominciando ad allontanarsi.

Riley scattò in una corsa disperata.

Fortunatamente, il SUV si fermò. Un veicolo dinnanzi ad esso si era fermato, per consentire il transito ad alcuni pedoni, e il SUV era bloccato dietro.

Riley raggiunse il lato guidatore prima che il SUV proseguisse il suo percorso.

E, alla guida, c’era Albert Scarlatti.

Estrasse la sua pistola e la puntò attraverso il finestrino, direttamente alla testa dell’uomo.

“E’ finita, Scarlatti” gridò con tutte le sue forze.

Ma prima che se ne accorgesse, Scarlatti aprì lo sportello, sbattendoglielo contro. La pistola le cadde dalla mano, e colpì il suolo.

Riley ora era furiosa, non solo con Scarlatti, ma anche con se stessa per aver sottovalutato la distanza tra di lei e lo sportello. Per una volta, lasciò che il panico avesse la meglio su di lei.

Ma si riprese nella frazione di un secondo.

Quest’uomo non se ne sarebbe andato via con Jilly.

Prima che Scarlatti richiudesse di nuovo lo sportello, Riley ci mise dentro il braccio per bloccarlo. Lo sportello la colpì dolorosamente ma non si chiuse.

Riley mantenne lo sportello spalancato e vide che Scarlatti non si era neanche preoccupato d’indossare la cintura di sicurezza.

Lei lo afferrò per il braccio e lo trascinò, imprecando e lottando, fuori dall’auto.

Era un uomo grosso, e più forte di quanto lei si aspettasse. Lui si liberò da lei, e sollevò il pugno per colpirla al viso. Ma Riley fu più veloce. Lo colpì forte al plesso solare, e lo sentì perdere fiato, mentre cadeva in avanti. Poi, lo colpì alla nuca.

L’uomo cadde sul volto a terra.

Riley recuperò la pistola dove le era caduta, e la rimise nella fondina.

In quel momento, diverse guardie di sicurezza la circondarono. Per fortuna, una di loro era l’uomo che aveva affrontato all’interno del terminal.

“Tutto OK” l’uomo gridò alle altre guardie. “E’ dell’FBI.”

Le guardie preoccupate mantennero obbedientemente la distanza.

Ora Riley sentì Jilly gridare dall’interno dell'auto …

“Mamma! Apri il portellone”

Quando Riley si avvicinò al veicolo, vide che la donna, Barbara Long, era seduta davanti, al lato passeggero, con uno sguardo terrorizzato.

Senza dire una parola, Riley toccò il pulsante di chiusura che controllava tutti gli sportelli.

Jilly aprì il portello e uscì fuori dall’auto.

Barbara Long aprì lo sportello al suo fianco; sembrava che sperasse di scappare via. Ma una delle guardie la fermò prima che facesse due passi.

Ormai sconfitto, Scarlatti stava provando a rimettersi in piedi.

Riley si chiese …

Che cosa dovrei farne di quest’uomo? Arrestarlo? E lei?

Sembrava una perdita di tempo ed energia. Inoltre, lei e Jilly avrebbero potuto restare bloccate lì a Phoenix per giorni, insistendo con le accuse contro di lui.

Mentre provava a rimettere insieme le idee, sentì la voce di Jilly dietro di sé …

“Mamma, guarda!”

Riley si voltò e vide Jilly stringere un grosso cane dalle grandi orecchie tra le braccia.

“Avresti potuto semplicemente lasciare andare il mio ex-padre” Jilly disse con un sorriso malizioso. “Dopotutto, mi ha riportato il cane. Non è stato gentile da parte sua?”

“E’ …” Riley balbettò con stupore, provando a ricordare il nome della cucciola di cui Jilly aveva parlato.

“Questa è Darby” Jilly replicò con orgoglio. “Adesso può venire a casa con noi.”

Riley esitò per un lungo istante, poi sentì disegnarsi un sorriso sul suo viso.

Si guardò intorno, in direzione delle guardie e disse: “Fate di quest’uomo quello che volete. E anche della sua donna. Io e mia figlia abbiamo un aereo da prendere.”

Riley si allontanò dalle guardie perplesse insieme a Jilly e alla cagnolina.

“Forza” disse alla figlia. “Dobbiamo trovare un trasportino. E spiegare tutto alla compagnia.”

CAPITOLO SETTE

Mentre il loro aereo scendeva verso Washington DC, Jilly sedeva rannicchiata contro la spalla di Riley, dormicchiando. Persino la cagnolina, nervosa e lamentosa all’inizio del volo, si era accucciata. Darby si era fatta palla e dormiva serena nel trasportino, che avevano frettolosamente acquistato dalla compagnia aerea. Jilly aveva spiegato a Riley che Barbara Long le si era avvicinata fuori dalla toilette, e l’aveva convinta ad andare con lei a prendere Darby, dichiarando che odiava i cani e voleva che Jilly l’avesse con sé. Quando era arrivata all’auto, Barbara l’aveva spinta all’interno e chiuso gli sportelli, e poi si erano allontanate.

Adesso che la disavventura era terminata, Riley si ritrovò a pensare di nuovo alla strana telefonata ricevuta ieri sera da Morgan Farrell …

“Ho ucciso il bastardo” Morgan aveva detto.

Riley aveva chiamato immediatamente la polizia di Atlanta, ma non aveva ricevuto altre notizie da allora, e non aveva avuto il tempo di controllare e scoprire che cosa fosse accaduto.

Si chiese se Morgan avesse detto la verità, o se avesse mandato i poliziotti a vuoto?

Ora Morgan era in custodia?

La sola idea che quella donna fragile avesse ucciso sembrava assurda a Riley.

Ma Morgan era stata alquanto insistente.

Riley ripensò alle sue parole …

“Sto guardando il suo corpo disteso a letto, ha ferite da coltello ovunque, e ha perso molto sangue.”

Riley sapeva fin troppo bene che persino le persone più miti potevano essere portate a compiere gesti estremi. Di solito, il delitto si manifestava a causa di distorsioni nella loro personalità, qualcosa di represso e nascosto che emergeva in circostanze estreme, inducendo imprevedibilmente a commettere atti apparentemente disumani.

Morgan le aveva anche detto: “Sono stata poco lucida ultimamente.”

Forse la donna aveva soltanto fantasticato o era stata vittima di allucinazioni per tutto il tempo.

Riley si disse …

Qualunque cosa sia accaduta, non è una mia preoccupazione.

Era ora che si concentrasse sulla propria famiglia … ora aveva due figlie e, inaspettatamente, una cagnolina.

E non era anche giunto il momento che lei tornasse a lavoro?

Ma Riley non poté fare a meno di pensare che, dopo l’udienza di oggi e i drammi all’aeroporto, forse meritava un buon periodo di riposo. Non avrebbe dovuto prendersi almeno un altro giorno prima di tornare a Quantico?

Riley sospirò, quando se ne rese conto …

Probabilmente no.

Il suo lavoro era importante per lei. E pensava che potesse esserlo anche per il mondo in generale. Ma quell’idea finì per preoccuparla.

Che genere di genitore lavorava, un giorno dopo l’altro, dando la caccia ai mostri più orrendi, e finendo talvolta per trovare qualcosa più di un po’ del mostro in se stessa durante la caccia?

Sapeva che, talvolta, non poteva fare a meno di portare il suo difficile lavoro a casa con lei, a volte nel modo più tragico. I suoi casi avevano messo in pericolo le vite delle persone che amava.

Ma è quello che faccio, pensò.

E, nel profondo, sapeva che era un buon lavoro che doveva essere fatto. In qualche modo, lo doveva persino alle sue figlie: era necessario che continuasse a farlo, non solo per proteggerle dai mostri, ma anche per mostrar loro come potessero essere sconfitti.

Aveva bisogno di continuare a farlo per essere un esempio per loro.

E’ meglio così, pensò.

Appena l’aereo si fermò sulla pista, Riley scosse leggermente Jilly.

“Sveglia, dormigliona” disse. “Siamo arrivate.”

Jilly borbottò e si lamentò leggermente, poi sul volto si disegnò un sorriso, quando vide la cagnolina nel trasportino. Darby si era appena svegliata, guardava Jilly, e scodinzolava felice.

Infine, la ragazza guardò Riley con la gioia negli occhi.

“Ce l’abbiamo fatta, non è vero, mamma?” disse. “Abbiamo vinto.”

Riley strinse forte Jilly e rispose: “Ce l’abbiamo fatta, cara. Sei davvero e definitivamente mia figlia ora e io sono la tua mamma. E nulla potrà mai cambiare questo.”

*

Quando Riley, Jilly e la cagnolina giunsero a casa, trovarono April sulla soglia. Dentro c’erano Blaine, il ragazzo divorziato di Riley, e la sua figlia quindicenne, Crystal, che era anche la migliore amica di April. Anche la governante guatemalteca della famiglia, Gabriela, era in attesa con loro.

Riley e Jilly avevano annunciato la buona notizia da Phoenix e avevano chiamato di nuovo, dopo essere atterrate, in auto dirette a casa, ma non avevano menzionato la cucciola. Erano tutti pronti lì per accogliere Jilly, ma, dopo un momento, April si avvicinò per guardare il trasportino che Riley aveva appoggiato sul pavimento.

“Che cos’è?” chiese.

Jilly si limitò a ridacchiare.

“E’ qualcosa di vivo” Crystal osservò.

Jilly aprì la parte superiore del trasportino e lì c’era Darby, con gli occhioni spalancati e un po’ preoccupata per tutti i volti intorno a sé.

“Oh mio Dio, oh mio Dio, oh mio Dio!” Crystal gridò.

“Abbiamo un cane!” April gridò. “Abbiamo un cane!”

Riley rise, ricordando quanto calma e composta fosse sembrata April, quando avevano parlato soltanto la sera prima. Ora tutta la maturità di ragazza adulta era improvvisamente svanita, ed April si stava comportando di nuovo da ragazzina. Fu meraviglioso da vedere.

Jilly tirò Darby fuori dal trasportino. Non ci volle molto prima che la cagnolina cominciasse a godere di tutta l’attenzione.

Mentre le ragazze continuavano a giocare allegramente con la cagnolina, Blaine chiese a Riley: “Com’è andata? E’ davvero tutto sistemato?”

“Sì” Riley gli rispose, sorridendo. “E’ davvero finita. Jilly è legalmente mia.”

Le altre erano troppo eccitate per la presenza della cagnolina per parlare dell’adozione al momento.

“Come si chiama?” April chiese, prendendo la cagnolina.

“Darby” Jilly rispose ad April.

“Da dove viene?” Crystal domandò.

Riley sorrise e disse: “Beh, è una lunga storia. Dacci qualche minuto per sistemarci, prima di raccontarla.”

“Di che razza è?” April chiese.

“In parte Chihuahua, credo” Jilly rispose.

Gabriela prese la cagnolina, sottraendola alle mani di April e la esaminò attentamente.

“Sì, in parte Chihuahua, ed ha anche altre razze in lei” la donna tarchiata disse. Quale parola in inglese si utilizza per descrivere un cane di razza mista?”

“Meticcio” Blaine disse.

Gabriela annuì saggiamente e disse: “Sì, avete un vero meticcio qui, auténtico, davvero. Un cane meticcio è la razza migliore. Questa deve ancora crescere un po’, ma resterà piuttosto piccola. ¡Bienvenidos! Darby. ¡Nuestra casa es tuya también! Questa è anche la tua casa!”

Poi, diede la cucciola a Jilly e disse: “Vorrà dell’acqua ora, e del cibo dopo che tutto si sarà quietato. Ho degli avanzi di pollo che possiamo darle più tardi, ma dovremo presto comprarle del vero cibo per cani.”

 

Seguendo le istruzioni di Gabriela su come trovare un posto per Darby, le ragazze si precipitarono di sopra, in camera di Jilly, per preparare un lettino e mettere a terra dei vecchi giornali, in caso la cucciola dovesse sfogare i propri bisogni fisiologici durante la notte.

Nel frattempo, Gabriela mise del cibo in tavola: un delizioso piatto guatemalteca, chiamato pollo encebollado, pollo in salsa di cipolla. Poco dopo tutti si sedettero a mangiare.

Blaine, che era uno chef e proprietario di un ristorante, elogiò il pasto e fece a Gabriela una marea di domande sulle ricette. Poi, la conversazione toccò quello che era accaduto a Phoenix. Jilly volle raccontare tutto lei stessa. Blaine, Crystal, April e Gabriela restarono tutti seduti con la bocca spalancata, mentre ascoltavano della folle scena nell’aula, e poi l’avventura ancora più assurda all’aeroporto.

E, naturalmente, tutti furono felici di sentire della nuova cagnolina che era entrata nelle loro vite.

Siamo una famiglia adesso, Riley pensò. Ed è fantastico essere a casa.

Era anche fantastico poter tornare al lavoro l’indomani.

Dopo il dessert, Blaine e Crystal tornarono a casa, ed April e Jilly andarono in cucina a dar da mangiare a Darby. Riley si servì da bere e si sedette in soggiorno.

Si sentiva sempre più rilassata. Era stata davvero una giornata folle, ma ora era giunta al termine.

Il suo telefono squillò, e vide che era una chiamata da Atlanta.

Riley ne rimase scioccata. Poteva essere di nuovo Morgan? Chi altri poteva chiamare da Atlanta?

Prese il telefono e sentì una voce maschile. “Agente Paige? Mi chiamo Jared Ruhl, e sono un ufficiale di polizia di Atlanta. Ho avuto il suo numero dal centralino di Quantico.”

“Come posso aiutarla, Agente Ruhl?” Riley chiese.

Con voce incerta, Ruhl disse: “Beh, non ne sono sicuro, ma … immagino che lei sappia che abbiamo arrestato una donna per l’omicidio di Andrew Farrell ieri sera. Si tratta della moglie, Morgan. Infatti, non è lei che ci ha chiamati?”

Riley si sentì nervosa.

“Sono stata io” rispose.

“Ho anche saputo che Morgan Farrell le ha telefonato dopo l’omicidio, prima di chiamare chiunque altro.”

“Esatto.”

Cadde il silenzio. Riley sentiva che Ruhl si stava sforzando di raccogliere le idee, prima di proseguire.

Infine, disse: “Agente Paige, che cosa sa di Morgan Farrell?”

Riley strabuzzò gli occhi, preoccupata, poi rispose: “Agente Ruhl, non so se spetta a me commentare. Non so proprio nulla di quanto sia successo, e non è un caso dell’FBI.”

“Lo capisco. Mi dispiace, immagino che non avrei dovuto telefonare …”

La sua voce si bloccò.

Poi, aggiunse: “Ma, Agente Paige, non penso che Morgan Farrell sia colpevole. Non ha ucciso il marito, voglio dire. Sono nuovo in questo lavoro, e so di avere molto da imparare … ma non penso proprio che sia il tipo da farlo.”

Riley rimase stupita da quelle parole.

Certamente non ricordava Morgan Farrell come il “tipo” di persona che potesse commettere un omicidio. Ma doveva prestare attenzione a quello che diceva a Ruhl. Non era affatto certa di avere il diritto di parlare.

Chiese a Ruhl: “Ha confessato?”

“Dicono di sì. E tutti credono alla sua confessione. Il mio partner, il capo della polizia ed il procuratore distrettuale, assolutamente tutti. Tranne me. E non posso fare a meno di chiedermi, lei …?”

Non terminò la domanda, ma Riley comprese.

Voleva sapere se credeva che Morgan fosse capace di commettere un omicidio.

Lentamente ed attentamente, disse: “Agente Ruhl, apprezzo il suo interesse. Ma non devo prendere una posizione. Immagino che sia un caso locale e, a meno che l’FBI non venga chiamata ad aiutare nelle indagini, beh … francamente, non sono affari miei.”

“Naturalmente, le porgo le mie scuse” disse educatamente Ruhl. “Avrei dovuto saperlo. In ogni caso, grazie per aver risposto alla mia chiamata. Non la disturberò più.”

L’uomo pose fine alla telefonata e Riley restò seduta a fissare il telefono, sorseggiando il suo drink.

Le ragazze le passarono dinnanzi, seguite dalla cagnolina. Erano tutte dirette in soggiorno per giocare, e Darby sembrava molto felice adesso.

Riley le guardò passare, con un profondo senso di soddisfazione. Poi, i ricordi di Morgan Farrell cominciarono a farsi strada nella sua mente.

Lei ed il suo partner, Bill Jeffreys, erano andate alla villa dei Farrell ad interrogare il marito di Morgan, per la morte di suo figlio.

Ricordò come Morgan era sembrata troppo debole anche solo per stare in piedi: si era retta al corrimano dell’enorme scalinata, per sostenersi, mentre il marito troneggiava sopra di lei, come se la donna fosse stata una sorta di trofeo.

Ricordò lo sguardo di vuoto terrore negli occhi della donna.

Ricordò anche ciò che Andrew Farrell aveva detto di lei quando era stata troppo distante per poter sentire …

“Una modella piuttosto famosa quando l’ho sposata, forse l’ha vista sulle copertine delle riviste.”

E riguardo a quanto più giovane Morgan fosse stata di lui, l’uomo aveva aggiunto …

“Una matrigna non dovrebbe mai essere più vecchia del figlio maggiore del marito. Me ne sono assicurato con tutte le mie mogli.”

Ora Riley sentì lo stesso brivido che aveva avvertito allora.

Ovviamente Morgan non era stata più di un ninnolo costoso che Andrew Farrell poteva mostrare in pubblico, non un essere umano.

Infine, Riley ricordò ciò che era accaduto alla moglie di Andrew Farrell prima di Morgan.

La donna si era suicidata.

Quando Riley aveva dato il suo bigliettino da visita dell’FBI a Morgan, aveva temuto che lei incontrasse lo stesso destino, o morisse in altre sinistre circostanze. L’ultima cosa che aveva immaginato era che Morgan uccidesse il marito, o chiunque altro.

Riley cominciò a sentire un formicolio familiare, del tipo che aveva ogni volta che l’istinto le diceva che le cose non erano affatto ciò che sembravano.

Normalmente, quel formicolio indicava che lei doveva approfondire di più la questione.

Ma ora?

No, non è affatto un mio problema, si disse.

Oppure sì?

Mentre si stava scervellando sulla questione, il suo telefono squillò di nuovo. Stavolta, vide che era una chiamata di Bill. Gli aveva scritto che tutto andava bene e che sarebbe stata a casa quella sera.

“Ciao, Riley” esordì l’uomo. “Ho chiamato soltanto per sapere come va. Quindi tutto è andato bene a Phoenix?”

“Grazie di aver chiamato, Bill” rispose. “Sì, l’adozione è definitiva adesso.”

“Spero che tutto sia andato liscio, senza intoppi” Bill replicò.

Riley non poté fare a meno di ridere.

“Non esattamente” rispose. “Infatti, non proprio. C’è stata, ecco, della violenza. E una cagnolina.”

Sentì anche Bill ridacchiare.

“Violenza e una cagnolina? Sono incuriosito! Dimmi di più!”

“Lo farò quando ci vedremo” Riley replicò. “La storia sarà senza dubbio migliore se raccontata faccia a faccia.”

“Non vedo l’ora di sentirla. Immagino che ci vedremo domani a Quantico, allora.”

Riley rimase silenziosa per un momento, sentendosi sull’orlo di una strana decisione.

Poi rispose a Bill: “Credo di no. Penso che forse prenderò un altro paio di giorni di pausa.”

“Certamente lo meriti. Congratulazioni di nuovo.”

Chiusero la telefonata, e Riley si diresse di sopra in camera sua. Accese il suo computer.

Poi, prenotò un volo per Atlanta per l’indomani mattina.