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Il bacio della contessa Savina

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XVII

Il tempo, la lontananza, il soffio continuo dei gelidi aquiloni del polo, rappresentati dalle lettere di mio zio canonico, il quale coglieva ogni occasione favorevole per gettarmi una doccia d'acqua fredda sul dorso, finirono collo spegnere quasi intieramente la fiamma che mi abbruciava fino dai primi giorni della mia gioventù. Io contemplavo con tristezza le ultime faville che salivano al cielo, pensando che, spenta la fiamma, manca la luce e il calore e non resta che fumo, cenere e carboni.

Dentro di me sentivo il vuoto, di fuori vedevo buio, la vita mi sembrava un viaggio notturno in globo areostatico, sotto un velo di nuvole che copriva le stelle. Con tali disposizioni entravo nella stagione d'inverno.

Un dopo pranzo mi riscaldavo al fuoco del mio focolare deserto, quando udii che picchiavano all'uscio. La Rosa corse ad aprire e mi apportò un viglietto. L'Agata m'invitava a nome de' suoi genitori a passare il Natale con loro, e aggiungeva che c'era un posto anche per la Rosa, fra la Menica e Martino, quel giorno nessuno dovendo star solo. Bitto non aveva bisogno d'essere invitato, avendo sempre conservata la sua abitudine di pranzare in casa Bruni. Tale invito era un omaggio alla scuola rurale, rappresentata dalla mia piccola famiglia colla triade del maestro, la donna ed il cane: cioè la mente ed il cuore che insegnano… e la bestia che ascolta. Era qualche tempo che non passavo un'intiera giornata in quella eccellente famiglia, e il giorno di Natale entrai in casa Bruni con l'animo lieto e riconoscente dalla costante e cortese amicizia. Essi mi accolsero come un fratello, con cordiale domestichezza, scambiando i più sinceri auguri di felicità per il vicino capo d'anno.

Li trovai tutti seduti intorno al fuoco, e si restrinsero per farmi posto.

– Così mi piace il focolare, – io dissi, – circondato da parenti ed amici, non deserto come il mio.

Il ceppo e i tizzoni ardevano crepitando, mentre girava nello spiedo il più grasso tacchino delle stie. La pace spirava da tutti quei volti, e la serenità predisponeva al buon umore.

Il signor Nicola si burlava di Martino, il quale non osava appressarsi al fuoco per timore che le scintille prodotte dallo scoppiettare della legna gli abbruciassero l'abito nuovo d'inverno, che dovendolo preservare dal freddo, lo obbligava intanto a star lontano dal caldo. Dunque lo scopo de' suoi lunghi risparmi era mancato.

– Se tu avessi il vestito vecchio, – gli diceva il signor Nicola, – staresti qui vicino a noi a godere la fiammata, e invece sei schiavo del lusso!..

Martino rideva come un imbecille, perplesso nel dubbio, se dovesse andar superbo delle vesti nuove, o rimpiangere la libertà dei suoi stracci, cosicchè quando credeva d'aver raggiunto la meta delle sue aspirazioni, un rammarico impreveduto gli avvelenava la gioia. Ecco la vita!.. la speranza è sovente più bella della realtà. L'orchidea quando vegeta in aria sembra un portento, ma presa in mano non è che una cipolla. Martino lo sentiva al pari di me, ma non sapeva dirlo; ed entrambi stavamo cocciuti nell'opinione, egli di conservare i suoi abiti nuovi, ed io le mie vecchie illusioni.

Eppure in quel momento la realtà poteva bastare a tutti i nostri bisogni, ed era anche bella a vedersi. Avevamo appetito e quelle esalazioni gastronomiche che ci accarezzavano l'olfatto erano larghe di promesse. Quel dolce tepore, quel crepitare del fuoco, messi a raffronto colla temperatura esterna e il desolante spettacolo dell'inverno, ci confortavano le membra. Quella luce calda che inondava la cucina, che brillava sugli alari e sui rami lucenti ond'erano ornate le pareti, rischiarava una scena d'interna felicità. Intorno a quel focolare si raccoglievano le gioie facili e positive d'una buona famiglia. In quell'ambiente calmo e sereno io mi sentivo rinascere ad una vita nuova. Come alcuni animali che, giunti ad un certo punto del loro sviluppo, mutano la pelle, così io credo che l'uomo, passato l'ardore della prima gioventù, subisca una crisi che ne modifica l'organismo. Sembra ch'io fossi giunto a quel punto, perchè sentivo di subire una trasformazione importante. Ed è forse in quell'epoca della vita che le malattie ereditarie incominciano a manifestare i loro importanti sintomi insidiosi. Difatti, a misura che mi cadevano le spoglie dell'età giovanile, mi sentivo circolare nel sangue i gusti di mio zio canonico: – l'amore della pace… una stanza calda, una buona cucina, una cantina ben fornita… e una buona moglie!.. aggiungevo io.

Le mie aspirazioni mutavano indirizzo, l'idealismo svaporava ed incominciavo ad apprezzare i gusti moderni, a diventare seguace del realismo; e andavo rimuginando come fosse possibile di mettere insieme una famigliuola come quella che mi stava davanti: semplice, agiata, tranquilla, onesta, felice! Ripensando agli amori elevati ai quali avevo aspirato, mi ritornavano alla mente gli abiti da festa di Martino, che appena indossati gli apparecchiavano un disinganno, e dicevo fra me stesso: – Chi sa?.. forse sarebbe stata la mia sorte!.. e chi cade dall'alto s'ammazza. Sarebbe meglio contentarsi del poco, ma sicuro. Ora sarei contento d'una vita ragionevole, confacente ai miei casi, senza lusso nè sfarzo, senza pernici coi tartufi… Una moglie modesta, una cucina calda, e un tacchino arrosto!.. ecco i miei nuovi desiderii.

Pur troppo anche col realismo io ricadevo nei sogni… perchè per me era un sogno tutto quello che oltrepassava il valore d'un modico stipendio, e il ricavato di poca terra. La base del realismo è il denaro, quindi mancandomi la base del nuovo sistema, tornavo mio malgrado idealista.

Tuttavia per quel giorno l'arrosto non era un sogno!.. e la cucina calda nemmeno… per la moglie ci penserò dopo pranzo: dissi fra me. Intanto non mi stancavo mai di contemplare quel quadro che mi stava davanti, palpitante di vita nelle persone e nelle cose; tutto si muoveva in quello spazio fortunato, dall'uomo allo spiedo, e s'udiva un lieto e confuso mormorio di voci umane e di marmitte.

E mi figuravo se fossi io il sor Nicola!.. Egli mi rappresentava l'uomo felice. Riscaldato dalle fiamme della sua legna, consolato dalle emanazioni della sua cucina, amato da sua moglie, da sua figlia, circondato da' suoi amici, dissetato a tavola dai suoi vini, egli non aveva nulla a desiderare sulla terra che non fosse suo!.. e tutte le cose sue cooperavano alla sua felicità… Io non avevo nulla di mio, la casa era di mio zio, la scuola del Comune, e quando ero innamorato non era mia nemmeno la donna! nè poteva divenirla. Erano mie le noie dell'insegnamento… i miei debiti… i miei difetti… e il mio cane!.. Sì, questi era proprio mio, per l'affetto scambievole che ci legava. Un cane sembra poca cosa, ma io ero più soddisfatto di dire: « il mio cane, » che certe mogli di dire « mio marito, » certi ministri « il mio ministero, » certi sovrani « il mio trono! »

– Signori, la minestra è in tavola, – annunziò la Menica.

Caddi come al solito dalle nuvole, ove mi aveva trasportato la fantasia, per recarmi al posto che mi venne destinato.

Il salottino da pranzo faceva voglia a vederlo. La tovaglia e i tovaglioli sentivano il bucato, i cristalli limpidissimi brillavano alla luce delle candele; piattini d'acciughe, di prosciutto, di butirro fresco e di sedani ornavano il servito, mentre sui palchi della credenza le frutta di tutti i colori facevano corteggio ad un magnifico panettone di Milano, che pareva pavoneggiarsi della sua obesità, fra la mostarda e il torrone, come il Figlio del cielo chinese fra i Mandarini.

Io sedevo dirimpetto al signor Nicola, fra l'Agata e la signora Giovanna; la Rosa ci serviva, mentre in cucina la Menica e Martino approntavano le vivande, e Bitto passava in rivista i piatti di ritorno aspettando la sua parte.

La trasformazione morale apparecchiata dal tempo e dai disinganni e compiuta all'aspetto della pace domestica intorno d'un focolare lautamente ornato, mi aveva eccitato l'appetito. Come il baco da seta che dopo cambiata la pelle mangia con voracità, io faceva onore al banchetto, d'accordo con mio zio, che la coscienza tranquilla ci fa sentire lo stomaco vuoto e ci predispone favorevolmente al nobile ufficio di riparare le perdite della natura.

I fumi delle vivande e del vino rendono la conversazione vivace, lo spirito pronto, l'animo espansivo ed allegro. Quell'agape fortunata fu lieta dal principio alla fine, ed io me ne ricordo i più minuti particolari, perchè segna nella mia vita un punto memorabile.

Quel giorno, cadendomi un velo dagli occhi, ho potuto scoprire ciò che prima m'era sempre sfuggito alla vista.

Conversando con l'Agata m'avvidi per la prima volta che la bionda fanciulla aveva lo sguardo d'una soavità affascinante, una luce viva illuminava la sua pupilla, azzurra e profonda come le acque d'un lago. Sentivo dentro di me la sublime emozione del cieco che ritrova la vista, l'entusiasmo di Colombo davanti una terra ignota, la soddisfazione di Galileo che scopre i tesori del cielo.

La fede illumina i credenti, io mi sentivo convertito all'adorazione… delle donne bionde! Come mai non avevo ancora veduto quelle fossette impresse dalle Grazie su quella pelle di roseo candore? Come mai m'erano sfuggiti all'ammirazione quei lineamenti delicati, quella mobilità del volto che indica tutti i moti dell'animo? Come mai non ero rimasto colpito da quel raggio penetrante che brillava nel suo sguardo?.. Come potevo guardarla senza vederla, avvicinarmi a lei senza provare quel senso arcano che rivela la bellezza, sfiorare le sue vesti senza sentire un fremito al contatto della sua persona?.. Misteri del magnetismo e dell'amore!.. Forse le impressioni ricevute dagli occhi non sono che superficiali qualora un'immagine fissa nel cuore non permette l'ingresso a nuovi oggetti; o forse le emanazioni dell'animo offuscano la vista, come i vapori appannano i vetri?.. Fatto sta che nelle mie lunghe conversazioni con l'Agata io non aveva veduto i pregi di lei, e m'era sfuggita la bellezza di quegli occhi, che finalmente mi si rivelava con grata sorpresa.

 

Così senza aspettare gli aliti primaverili, proprio nel mezzo del verno, il mio cuore si schiudeva in serra calda, come una pianta forzata ad arte, come la semente dei bachi messa a prova, e da tale schiudimento nasceva un nuovo amore… quel tale antropofago destinato a mangiare il suo simile… già quasi morto di fame.

Passai qualche ora deliziosa e troppo rapida, in adorazione davanti alla mia scoperta, chiudendo dentro di me le sensazioni e i pensieri tumultuosi che succedevano ai loro antecessori, coll'inevitabile scompiglio d'un cambiamento di guarigione; e prima d'incominciare una nuova lotta sentivo il bisogno di riorganizzare la truppa.

I nostri dialoghi sulle cose più comuni mi giovarono ad apparecchiare il terreno, e furono come una prefazione in prosa davanti un nuovo volume di poesia.

Parlando degli incomodi della stagione, l'Agata mi domandò:

– Come passate le sere di queste lunghe notti d'inverno?

– Nel tedio della solitudine, – io risposi, – solo col mio cane!..

– E perchè non venite da noi a farci un po' di lettura?

– Volete che venga a leggervi l'Ortolano dirozzato?

– No, no, – mi rispose ridendo, – quello dovete leggerlo voi solo, come eccitante al lavoro dei campi… come calmante di certe passioni…

– E come sonnifero, – io soggiunsi, – più potente dell'oppio!

– Quanto ne avete letto finora?

– Cinque pagine.

– Cinque pagine in più d'un anno!..

– Che volete!.. non mi entra nel cervello.

– Avete dunque la testa dura?

– Sì, – risposi, – ma il cuore no…

E le piantai uno sguardo negli occhi come una lancia. Ne rimase sorpresa, confusa e ferita, perchè il sangue le salì al volto e si fece tutta rossa. Non era avvezza a quelle occhiate, abbassò le pupille, tacque per qualche istante, poi riprese il discorso.

– Vi assicuro che noi passiamo delle serate deliziose, in eccellente compagnia…

– Del dottore, del farmacista e del parroco?

– No, abbiamo abolito il tarocco; e i vecchi amici, fedeli alle loro affezioni per le carte da gioco, seguirono i re, i fanti e i cavalli, e portarono altrove le loro tende. Adesso vengono a farci qualche visita di complimento, alla sfuggita e di giorno, lasciando libera la sera alla nuova compagnia.

– Ma che razza di compagnia avete trovato al villaggio?.. Forse la rustica progenie dei montanari colle loro ubbie in testa e gli zoccoli ai piedi.

– V'ingannate. Godiamo d'una scelta società. Chiusi in salotto, con la stufa ben calda, una eccellente lucerna con un cappelletto che concentra la luce sul tavolo rotondo, noi evochiamo le ombre degli uomini illustri di tutti i tempi e di tutte le nazioni. Essi compariscono e spariscono ai nostri ordini senza cerimonie. Ci raccontano i loro viaggi, la loro storia, i romanzi, le poesie, le memorie che destarono il più vivo interesse nei paesi più colti del mondo… E le notti d'inverno ci sembrano brevi, perchè si va lontano da casa senza muoversi, e dalle steppe della Russia, dai pampas d'America, dai deserti africani si fa una scala e si trova il proprio letto.

– Benissimo!.. ho pensato sovente alle delizie della lettura in comune, in condizioni gradevoli; ma anche questo diletto, come tanti altri, è rimasto per me un vano desiderio… E che cosa leggete?

– Ve l'ho detto, ogni sorta di buoni libri… esclusi soltanto i noiosi!

– Come l'Ortolano dirozzato.

– Sicuro, perchè ci sono libri noiosi che possono tornar utili a chi li studia, ma non hanno diritto d'essere ammessi alle riunioni serali del circolo di famiglia. Essi devono limitarsi alla cattedra ed allo scrittoio dello studioso, ma per entrare in società bisogna deporre la toga dottorale, e vestire l'abito del gentiluomo, il quale si fa scrupolo d'annoiare gli amici, di far dormire le donne e i fanciulli

– E dove trovate i libri?..

– A Milano, a Firenze, a Torino, a Parigi. Ritornata dal collegio, ove una direttrice intelligente mi aveva fatto intendere che alla scuola s'impara soltanto a studiare, ma che in casa bisogna completare l'istruzione con una scelta lettura, ho voluto che mio padre mi promettesse d'introdurre nel bilancio domestico una somma annua per il pane intellettuale, necessario quanto il pane di farina. A che cosa serve la scuola, se l'educazione non continua? Forse che nei pochi anni di studio s'impara lo scibile? S'imparano appena appena gli elementi delle scienze più necessarie. Dunque la lettura è il complemento indispensabile d'una buona educazione, ed è strano che ogni famiglia non spenda ogni anno nei libri una somma proporzionata alle sue rendite. Eppure queste idee così naturali sembrarono strane a mio padre, che non aveva mai provato il bisogno di acquistare un libro, e leggeva appena un cattivo giornale… e il lunario. Essendo figlia unica e amata dai miei genitori più che non merito, mio padre accondiscese alla mia domanda, chiese ai librai i loro cataloghi, ed ogni mese acquistiamo le novità che c'interessano. Mio padre mi diceva l'altro giorno, che adesso gli sembra impossibile d'aver potuto vivere tanti anni senza libri, e senza sentirne il bisogno. La privazione dei libri sarebbe ora per lui il maggiore dei sagrifizii. La lettura serale forma la sua delizia, poi legge anche solo nella sua camera e sotto la pergola del giardino. Questo sistema è necessario per tutti, ma per chi abita la campagna è indispensabile quanto il lume a chi cammina di notte.

– Verissimo… avete sempre delle idee giuste che mi colpiscono… ed eccitano la mia ammirazione pel vostro buon senso, in età così giovanile. Ah! la lettura dei buoni libri, ecco la spiegazione dell'enigma. Ora non mi sorprenderò più udendo dalla vostra bocca opinioni, consigli, parole che non si possono intendere da certe donne mature, le quali dopo uscite di collegio non hanno letto che il giornale delle mode!.. Così in un villaggio deserto voi siete più colta di molte signore cittadine, che vivono in società come i fiori in un mazzo, cioè senza sostanziale alimento, corolle variopinte sopra un fusto di fil di ferro, belle una sera al ballo e al teatro, poi all'indomani avvizzite.

Agata m'ascoltava senza falsa modestia, continuando a mostrarmi i piaceri e i vantaggi della lettura, ed eccitandomi a far parte del loro circolo delle letture serali.

– Verrò di certo, – le risposi con riconoscenza, – e sono sicuro che le notti di quest'inverno saranno per me più belle dei giorni estivi, più utili di qualunque altro studio, più care d'ogni diletto cittadino.

Mi ringraziò con uno sguardo grazioso; io corrisposi con uno sguardo affettuoso, lungo, eloquente. I nostri occhi si scontrarono, e rimasero qualche tempo come legati fra loro da una forza irresistibile.

Ed io, che in amore non conoscevo altro linguaggio che quello degli occhi, rimproveravo a me stesso di non aver mai saputo leggere, prima d'allora, in quelle vaghe pupille.

Era quasi mezzanotte quando uscii di casa Bruni colla Rosa e con Bitto.

Spirava una di quelle brezze che arrestano l'acqua delle cascate cambiandole in cristallo, eppure io non sentivo il freddo, tanto era elevata la temperatura del mio cuore.

Strada facendo la Rosa mi raccontò che Beppo stava meglio e lo aveva saputo dalla moglie di lui che era venuta durante il pranzo a prendersi un cesto apparecchiato dall'Agata, nel quale c'era del brodo, del pane, del manzo, del vino e dei dolciumi pei bimbi. Così anche il povero convalescente e la sua famiglia avranno celebrato lietamente il Natale: e i miei ospiti avevano resa completa la loro letizia con un atto benefico, non essendo che gli egoisti che possano godere del loro bene senza farne parte a chi manca di tutto. A compiere la felicità d'ogni animo bennato è necessaria la soddisfazione d'aver alleviate le pene degli infelici.

A quella buona giornata tenne dietro una notte tranquilla, e al mattino mi svegliai col dolce presagio di giorni migliori.

I miei scolari mi trovarono ilare, indulgente, e ne approfittarono subito mostrandosi indisciplinati e tumultuosi. Ma quando il cuore è contento anche le scabrosità sembrano liscie, e pare che sorridano perfino gli sberleffi.

Alla sera accorsi in casa Bruni, e ritornandovi ogni giorno non tardai ad acquistare la più cara abitudine. Se c'era gente io ne approfittava per conversare con l'Agata, se la famiglia era sola si faceva la lettura in comune.

Allora incominciai ad interessarmi a nuove ed importanti scoperte. E in primo luogo, osservando l'Agata quando rideva, vidi che schiudendo le labbra fresche come rose, mostrava due file di candidi denti, che mi parvero un portento della natura; quando un raggio di luce batteva sui suoi capelli si vedevano brillare dei riflessi dorati, come in un campo di spiche mature; quando alzava il libro per avvicinarsi alla lucerna le dita delle sue piccole mani parevano trasparenti, tanta era la delicatezza della sua pelle; quando s'alzava per prendere qualche oggetto, il suo corpo flessibile si piegava colla grazia d'un fiore agitato dalla brezza, e il suo piedino snello camminava con tale leggerezza che appena toccava il pavimento. Quando leggeva delle pagine commoventi, degli atti generosi, delle azioni che onorano l'umanità, tutti i muscoli del suo viso si atteggiavano alle emozioni dell'animo con tale espressione, che io deploravo di non essere fotografo per poter fissare sulla carta con una riproduzione istantanea quelle sfuggevoli oscillazioni dei suoi lineamenti.

Quale stupenda immagine dell'anima sensibile sotto quella pelle agitata da un delizioso movimento nervoso, da una contrazione di muscoli ravvivata da un lampo degli occhi, o stemperata in una lagrima!.. Guardandola, io paragonava il suo viso a quei poemi che ci rivelano sempre nuove bellezze ad ogni lettura, e mi sorprendevo meno di non averla capita prima. Tornandomi poi alla mente tutto il suo contegno verso di me, la sua pietosa vigilanza, il buon senso, le virtù che ornavano il suo nobile carattere sotto il velo d'una apparente semplicità, lo spirito senza pretesa, l'umore uniforme e benevolo, io incominciavo a sentirmi preso da una seria ammirazione, da un affetto rispettoso, e andavo alimentando desiderii e speranze superiori alla mia povera condizione.

I Bruni non erano certo da paragonarsi ai Brisnago, non avevano nè milioni nè lusso; ma vivendo in campagna in agiata semplicità, con ordine ed economia, se la passavano egregiamente, e l'Agata, essendo figlia unica, assai bella, molto colta, e in pari tempo ottima massaia, aveva diritto di trovare un marito, se non superiore per ricchezza, almeno pari, e certo in posizione più elevata d'un povero maestro rurale, alloggiato per carità in casa d'uno zio canonico.

Questa volta il mio amore ragionava e faceva i suoi conti.

– Ahimè!.. cattivo segno, – dirà taluno.

– Niente affatto… io rispondo.

L'amore fantastico a diciott'anni conduce alle stelle, l'amore ragionevole dopo i venti conduce al matrimonio. Sovente il primo non è che un sogno, un'orchidea che vegeta e fiorisce in aria, il secondo è un fatto positivo, che ha per legittima conseguenza la moltiplicazione della specie, ed entra nei dominii del realismo.

E un misero maestro rurale incaricato d'istruire gli ignoranti non deve ignorare che il suo meschino stipendio lo condanna al celibato perpetuo se non trova una moglie più ricca di lui, o che almeno si guadagni il pane. L'associazione della miseria gli viene interdetta dal buon senso, che lo consiglia a non accrescere il numero degli spiantati che ingombrano la terra per loro disgrazia e a grande noia e desolazione del corpo sociale.

Tali ragionamenti mi conducevano ad apparecchiare il mio avvenire con qualche criterio; e valutando la mia educazione come un fondo produttivo, la mia professione come una rendita, e mio zio canonico come un capitale messo a mutuo, mi pareva d'aver diritto d'esigere una dote corrispondente dalla moglie.

Ah, questa volta la mia speranza non era un'orchidea!.. Io non aspiravo a voli pindarici, nè mi esponevo a precipizi. Deponevo la mia semente sulla terra e coltivandola secondo le norme dell'Ortolano dirozzato avevo motivo d'aspettarmi che germogliasse.

Che cosa nascerà?.. io chiedeva a me stesso… una quercia o una carota?.. Voglia il cielo salvarmi dalle risa sardoniche dei canonici.