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Il bacio della contessa Savina

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E in quel punto mi rammentavo d'aver promesso davanti l'altare d'essere fedele a mia moglie, e poi avevo giurato sulla medaglia di mia madre, e sulla vita di mia figlia, di mantenere la promessa. Mio Dio!.. la vita di mia figlia!.. al solo pensiero di esporre ad un pericolo la vita della mia creatura, di attirare la vendetta del cielo sul suo capo innocente, di colpire con una colpa due vite in una volta… perchè l'Agata sarebbe morta se avesse perduta la Giuseppina!.. mi si dirizzarono i capelli sulla fronte, mi sentii i brividi della febbre… Corsi tutto ansante nella stanza della bambina che terminava di vestirsi, mi parve di vedere l'Agata col suo sorriso e il suo sguardo, le baciai teneramente la fronte, e sentii che la coscienza soddisfatta mi rendeva forte contro ogni pericolo.

Rientrato nella mia stanza, scrissi una lettera affettuosa a mia moglie, nella quale le parlava del viaggio, della nostra bambina, e del desiderio di ritornare nel mio nido tranquillo… e felice!

Quel giorno mi recai al collegio in compagnia di mio zio, e, prese le debite informazioni, venni a sapere che, mancando molti oggetti necessarii al completo corredo dell'educanda, era costretto di trattenermi a Milano più di quanto avrei desiderato.

Scrissi nuovamente all'Agata annunziandole l'indispensabile ritardo, pregandola d'aver pazienza, perchè gli operai non sono sempre esatti nella consegna dei loro lavori.

Intanto io andavo sollecitando le commissioni, mentre Veronica conduceva la Giuseppina a spasso e a fare le spese minute.

Le ore che mi restavano libere girovagavo per la città visitando le strade nuove, o passeggiando negli antichi quartieri per rammentarmi le cose vecchie. Poi andavo a riposarmi sul canapè della mia cameretta, e colà ricostruivo la passata gioventù. L'inveterata abitudine d'affacciarmi alla finestra mi vi spingeva sovente senza pensarci; l'affetto per l'Agata e la paura della contessa mi allontanavano, la curiosità di contemplare sul volto della vedovella le modificazioni prodotte dagli anni e dalle prove della vita mi veniva contrastata dal timore di compromettermi, e mi pareva debolezza tanto il cedere quanto il resistere, perciò i miei brevi riposi venivano paralizzati da una continua lotta, e quei giorni passati a Milano dopo una lunga assenza, che avrebbero dovuto formare la mia delizia, furono invece un continuo tormento. Non volendo espormi ad un'imprudenza, cadevo in una sguaiataggine: tutto mi faceva ombra, ogni accidente mi si presentava come un pericolo.

Quando udivo aprire una finestra del palazzo Brisnago, io chiudeva rapidamente le gelosie; quando vedevo un movimento dietro le invetriate, mi ritiravo in fretta abbassando le tendine; era una pantomima continua, che poteva dare negli occhi e suscitare sospetti.

O non sarebbe stato meglio abbandonare addirittura la finestra?..

È più facile il dire che il fare: e dice anche il proverbio che la lingua batte dove il dente duole. Chi si propone di non rivolgere lo sguardo ad un oggetto qualunque, si trova spinto dalla parte vietata con irresistibile impulso. Ignoro il nome di quella forza arcana che mi faceva roteare nello spazio, ma è positivo ch'io mi trovavo nell'identica condizione di un pianeta che gira intorno a due stelle.

Per determinare la mia orbita bisognerebbe calcolare le forze complesse che lottavano fra loro. Io amavo l'Agata sinceramente, essa aveva tutto il vantaggio dell'attrazione e tutto il danno della distanza, la contessa Savina perdeva nell'attrazione in forza della mia onestà, ma la distanza quasi nulla che mi divideva da lei le dava un grande vantaggio. E credo che, se l'uomo fosse costretto di subire le leggi che trascinano gli astri, io sarei caduto come un bolide nel palazzo Brisnago.

Per buona sorte non fu così, ed anche per quella volta la profezia di mia moglie non si è avverata; il creditore fuggiva la debitrice morosa, la quale forse, come molti debitori, non aveva nessuna volontà di pagare.

È però vero altresì che finchè vivono i debitori, e finchè sono solventi, non è tolta la possibilità di riscuotere, quantunque certe partite, che passano agli arretrati, vadano scemando di continuo il valore.

Avendo finalmente collocata la figliuola in collegio, mi decisi di partire immediatamente per la Valtellina, sollecitato anche da lettere pressanti dell'Agata, che mi annunziavano un progressivo peggioramento nella salute di suo padre.

Desideravo sinceramente rivedere mia moglie, rientrare nella mia casa, riprendere le mie tranquille abitudini; ma devo confessare con pari franchezza che al momento di lasciare la mia cameretta mi sentii una spina al cuore!.. O perchè?.. Domandatelo a chi può conoscere a fondo gli atomi più riposti del nostro fango!.. io non comprendevo me stesso. Qual legame poteva sussistere ancora fra me e la casa Brisnago, se io con deliberato proposito aveva fuggito il benchè minimo rapporto, cancellata ogni traccia del passato, spento, o supposto di spegnere, ogni lievito che potesse minacciare il futuro?.. Misteri incomprensibili!

Mia moglie aveva dunque ragione co' suoi presagi? ed io tentavo invano di far scomparire intieramente le traccie della gioventù; nè la probità, nè le oneste intenzioni, nè gli affetti domestici potevano assicurarmi la pace dell'età matura.

Quel primo amore, così esile in apparenza, resisteva a tutte le vicissitudini della vita, come quelle sementi minute, impercettibili, che gettate una volta sul terreno, sfidano l'inclemenza delle stagioni, e presto o tardi germogliano.

Dunque la spada di Damocle pendeva continuamente sul mio capo, ed era vana ogni speranza di liberarmene?..

Dunque quel bacio fatale stava sempre scritto nel libro della vita come una partita da liquidarsi?.. Io aveva rinunziato fermamente ad ogni pretesa, io non voleva nulla… che cosa poteva restarmi nel cuore?.. c'è forse al mondo qualche cosa di più forte d'una volontà indipendente?..

Ma!.. l'antica sapienza giudicava inutili gli sforzi umani contro i decreti del fato!..

XXIII

Giunto al villaggio, trovai l'Agata che piangeva nella braccia di sua madre; il mio povero suocero era agli estremi, tuttavia mi riconobbe, mi sorrise tristamente, e con voce semispenta mi chiese nuove di Giuseppina.

L'amor figliale davanti al letto del padre moribondo assopiva tutti gli altri sentimenti nel cuore dell'Agata, la quale mi domandò poche cose di Milano, che non avessero diretto rapporto con nostra figlia, e si tenne paga delle mie risposte sommarie.

Il dottore mi avvertì che ogni speranza di salvare il signor Nicola era perduta, l'Agata non abbandonava più la camera dell'infermo, nè il giorno nè la notte, prodigandogli le cure più affettuose insieme alla madre.

Una mattina egli volle ricevere i sacramenti, circondato da tutti i suoi cari. Sono momenti solenni, che si scolpiscono indelebilmente nella memoria.

Eravamo tutti inginocchiati intorno al suo letto, le lagrime ci offuscavano la vista, e quando il sacerdote uscì dalla stanza, il moribondo ci chiamò da vicino, e con voce fioca ed interrotta pronunciò poche parole d'addio:

– Sono rassegnato… – ci disse, – quantunque mi dolga lasciarvi, per non vedervi più sulla terra… vi ho sempre amati teneramente… ero felice con voi… Giovanna, perdona il mio carattere e ricordati il mio cuore… Daniele, ti raccomando mia moglie… e l'Agata… sii fedele… e vogliatevi bene. Agata, tu fosti sempre la delizia della mia vita… tu parlerai alla nostra bambina del suo povero nonno… Vivete in famiglia uniti, e modestamente… sarete felici… Io vi benedico tutti… e spero di rivedervi nell'eternità…

Poco dopo entrò nell'agonia, che pareva un'estasi consolata da soavi visioni. Sulla sera, quando l'ultimo raggio del sole illuminava il suo pallido volto, spirò tranquillamente, come un fanciullo che s'addormenta.

Tutto il villaggio seguì la bara che trasportava al cimitero le spoglie mortali del buon padre di famiglia. Alcuni devoti cantavano le preci dei morti con aria distratta, ma il mio caro Bitto seguiva il corteo in attitudine di profonda tristezza.

Il testamento nominava l'Agata erede di tutta la sostanza, assicurava alla vedova una rendita vitalizia, destinava a me l'orologio del defunto in ricordo, e fissava alcuni piccoli legati a parenti lontani e ai domestici.

L'eredità risultò superiore di molto a quello che lasciavano supporre i semplici costumi conservati da mio suocero nella famiglia. Eravamo ricchi, e siccome l'amministrazione della sostanza richiedeva le assidue mie cure, rinunziai alla scuola, e appigionato il casino al maestro mio successore, fissammo la nostra dimora in casa Bruni, insieme colla vedova.

Se fui arcicontento di sbarazzarmi delle noie scolastiche, lasciai invece con rammarico la casa che parlava al mio cuore con dolci memorie. Mia moglie raccomandò caldamente le piante al nuovo maestro, e sofferse al pari di me nell'abbandonare il piccolo nido.

Gli affari attirarono tutta la mia attenzione, e la nostra vita prese un andare tranquillo ed uniforme come la superficie d'un lago in bonaccia.

Le lettere dello zio e della Giuseppina ci annunziavano la buona salute d'entrambi, e ci assicuravano dei progressi di nostra figlia.

Ogni anno facevamo una gita a Milano per visitare la nostra bambina; ma la corsa era così rapida e piena d'occupazioni, che non mi lasciava il tempo d'arrestarmi davanti le finestre del palazzo Brisnago… cosicchè il bacio della contessa Savina restava sempre iscritto a suo debito senza ch'io pensassi più a reclamarlo.

Intanto gli anni passavano, e quantunque il cuore si conservasse sempre giovane, tuttavia i capelli bianchi che spuntavano, e le rughe che mi solcavano la fronte, sembravano un buon antidoto contro la gelosia: infatti mia moglie aveva deposti i sospetti, e non mi parlava più della mia contessa.

 

Dico deposti, non spenti, chè guai se, prevedendo il futuro, taluno le avesse detto: – Verrà un giorno nel quale il debito contratto alla finestra del palazzo Brisnago sarà pareggiato… il bacio verrà restituito a vostro marito dalla contessa Savina! – Guai!.. Guai!.. Eppure doveva essere così… Ma chi può prevedere il futuro?!

L'educazione di nostra figlia era finita, e stavamo facendo i preparativi per recarci a Milano a levarla dal collegio, quando una lettera pressante venne a precipitare il nostro viaggio. Eravamo minacciati da una nuova disgrazia. Il nostro medico di Milano mi scriveva che mio zio era stato colpito da un accidente apoplettico, e che lasciava poche speranze. Giunti ad una certa età, siamo sorpresi sovente da così dolorose notizie. È la generazione antecedente che cade negli abissi dell'eternità e ci scopre le sponde del precipizio. Invitati a raccogliere gli estremi aneliti dei nostri cari, i battelli a vapore e le ferrovie ci sembrano lenti, e pur troppo noi siamo giunti a Milano troppo tardi. Al nostro arrivo la Veronica ci accolse singhiozzando, col triste annunzio della morte del povero zio.

Interrotta dalle lagrime, essa ci faceva l'elogio del suo padrone, e conchiudeva dicendomi:

– È morto esattamente, come ha vissuto, avendo chiusi gli occhi al sonno eterno all'ora precisa che li chiudeva ogni sera per dormire una notte!..

Il capitolo della cattedrale l'onorò di solenni funerali ed io gli feci collocare sulla tomba una lapide che ricorda il suo nome e le sue virtù; ma non potevo consolarmi di non esser giunto in tempo di chiudere gli occhi al mio benefattore, del quale conserverò fin che vivo la più grata ed affettuosa memoria.

Nominato erede universale, col solo obbligo d'una pensione vitalizia alla Veronica, anche questa volta mi sono trovato più ricco di quanto poteva supporre. Il buon vecchio metteva a mutuo i suoi risparmi a benefizio del nipote, e ne aveva raccolto un bel gruzzolo.

Il denaro capita quasi sempre quando non se ne ha bisogno. In gioventù, col cervello pieno di sogni e col cuore riboccante di desiderii, io avevo le tasche vuote. Quando l'età matura venne a consigliarmi la sobrietà in ogni cosa, mi son trovato a nuotare nell'abbondanza. È una delle tante ironie della vita!

Dopo la morte del povero zio avendo fatta uscire di collegio la Giuseppina, ci siamo decisi di passare l'inverno a Milano per regolare i diversi interessi della successione. Mia suocera si rassegnò ad attenderci in Valtellina, avendo potuto ottenere che una lontana parente andasse a tenerle compagnia durante la nostra assenza.

La Veronica, quantunque potesse vivere indipendente colla sua pensione, desiderò rimanere con noi, e così ci siamo accomodati nella casa ereditata, mia moglie ed io nella stanza dello zio, e nostra figlia nella mia cameretta di studente.

La natura aveva prodigato i suoi doni alla nostra ragazza; ell'era leggiadra di forme, e vispa come uno spiritello. Aveva i capelli biondi, gli occhi azzurri, e la candida pelle di sua madre, ma il tipo s'era perfezionato e raddolcito, presentando i lineamenti d'un antico cameo. In quanto ai doni morali, mostrava molta intelligenza, e l'umore un po' bizzarro e gioviale del babbo, con qualche reminiscenza degli impeti del nonno.

Le modiste e le sarte di Milano, con arte elegante, ne avevano fatto spiccare le grazie native della persona, mettendo in rilievo le forme agili e snelle. Il bruno delle vesti dava gran risalto alla delicatezza del volto ed una certa gravità all'aspetto giovanile.

Dovunque si andasse, il suo passaggio attirava la simpatia e l'ammirazione, e l'Agata ed io ne andavamo superbi.

Abbiamo passato l'inverno mestamente, occupandoci degli affari, visitando i monumenti della città, e facendo lunghe passeggiate. Il vuoto lasciato nella casa dalla morte del povero zio mi aveva prodotto una profonda tristezza, e fatto dimenticare intieramente la contessa Savina. Mia moglie, partecipando al mio lutto, aveva abbandonato le ubbie sospettose, e fidente nella mia onestà, mi lasciava tranquillo. Tutti gli affetti s'erano concentrati sull'unica figlia, che colla sua vivacità giovanile leniva le nostre afflizioni. Avevamo adottato delle usanze urbane regolari e casalinghe, ma quando gli aliti primaverili ci apportarono gli effluvi delle prime violette, ci si ridestò il desiderio dei monti. Oramai io era avvezzo da tanti anni a respirare l'aria libera della campagna, che a lungo andare i muri della città mi opprimevano: poi le memorie, le abitudini, gli affari ci creano bisogni ai quali non è facile sottrarsi.

Mia moglie assai più di me anelava al ritorno, desiderosa di riabbracciare la vecchia madre che ci aspettava ansiosamente, di rivedere i fiori, gli alberi e gli animali che reclamavano le sue cure, e di rimettersi alle occupazioni domestiche, alle quali doveva iniziare la figlia. Aggiungasi che, sbrigati gli affari pressanti, s'incominciava a sentire la noia della vita disoccupata, che ci spingeva al ritorno; ma la Giuseppina ci tirava in lungo con sempre nuovi progetti. Un giorno voleva ritornare alle gallerie di Brera, un'altra volta desiderava rivedere il Museo, o risalire sul Duomo o rivisitare qualche chiesa, o passeggiare in piazza Castello fino all'Arco della Pace, o fare il giro dei bastioni.

Il nostro affetto ci portava alle concessioni, eravamo felici di sacrificarci per contentarla e si diventava schiavi de' suoi capricci.

Talvolta, sorpreso da domande di nuove dilazioni, le chiedevo con impazienza:

– Come mai non desideri ancora di rivedere il tuo paese?.. e la buona nonna che ti aspetta con tanta impazienza per stringerti finalmente al seno?..

– Anzi, lo desidero moltissimo, – mi rispondeva, – ma abbiamo tempo… la vita è così lunga!..

– Ma chi ti ha detto che la vita è lunga?

– Lo sento io… il tempo non passa mai!.. a te dunque non parvero lunghi i sei anni che ho passati in collegio?.. a me sembrarono eterni!.. chiusa in prigione… e lontana da voi!..

– Ma ora che sei libera, che hai veduto tre o quattro volte tutti i monumenti, i giardini, i passeggi, i corsi di Milano, non sei ancora sazia di questa vita scucita, scioperata, monotona?

– Io la trovo deliziosa!.. non mi stancherei mai di Milano, sento che ho del sangue milanese nelle vene… questo movimento continuo, questa vita romorosa e svariata mi occupa immensamente. Ogni giorno si vedono novità interessanti, le industrie fanno un'esposizione perenne dei loro prodotti, le vie sono popolose, allegre, la musica echeggia da ogni parte, tutto si muove, sorride, cammina, svolazza; qui si sente di far parte d'una società intelligente, elegante, vivace.

– Ma bisogna pure una volta o l'altra rassegnarsi a partire.

– Pur troppo!.. – conchiudeva con un sospiro, e alzando gli occhi al cielo. Poi mi supplicava con tanta grazia di concederle ancora qualche giorno, che non era possibile resistere. Sua madre, che era la prima vittima di tale sacrifizio, diventava il suo avvocato patrocinante, ed io cedeva, sempre rassegnato ad aspettare senza limiti.

Non sapevo però spiegarmi tanta renitenza al ritorno, quando una catastrofe impreveduta venne a sciogliermi l'enigma.

Un giorno ch'io ero uscito solo di casa, rientravo col naso in aria, guardando sbadatamente la nota finestra del palazzo Brisnago, quando – oh meraviglia!.. vedo un mazzetto di fiori che vola attraverso la strada, e partendo dal palazzo va a cadere sulla finestra della mia antica cameretta.

Sbigottito, commosso, confuso, mille pensieri mi assalgono, e mi par di sognare. Dopo tanti anni!.. il mio mazzetto ritorna indietro!.. che cosa significa questo mistero?.. Mi agito, mi scuoto, mi decido a voler vedere che cosa succede, mi colloco in posizione opportuna per osservare nella stanza del palazzo… e vedo con sorpresa il figlio della contessa Savina, il conte Saverio di Montegaldo, il giudice conciliatore, che gettava baci alla mia finestra, e li gettava con tale entusiasmo, che pareva diventato cieco e insensibile a quanto lo circondava.

Balzo rapidamente dalla parte opposta, e vedo mia figlia che, tenendo in mano il mazzetto di fiori, lo copriva di baci, e poi li soffiava dall'altra parte!..

Gli occhi mi si offuscarono, le gambe mi traballarono come se dovesse mancarmi il terreno sotto ai piedi, dovetti appoggiarmi al muro per non cadere. Il mondo mi pareva trasformato, capovolto. Una volta… ai miei tempi… la contessa era fuggita… adesso mia figlia rimane… e ricambia i baci… ah civettuola!.. non c'è dunque più ritenutezza, nè pudore, nè modestia… nemmeno nelle fanciulle!.. ed io pensavo alla mia timidità giovanile… alle mie esitazioni!.. È vero che io non ero stato educato in un collegio femminile… ma tuttavia!.. o poveri genitori!..

Mi feci coraggio, rientrai, salii rapidamente le scale, e senza chiedere ove fosse mia moglie, corsi difilato verso la mia antica cameretta, e spalancata la porta con un calcio, comparvi improvvisamente davanti a mia figlia.

Allo strepito della mia entrata il conte sparì, Giuseppina diede un guizzo, ed esclamò:

– Oh Dio!.. papà… mi hai fatto paura!..

Era pallida, ed appoggiandosi una mano sul cuore, con l'altra sosteneva impassibilmente il suo mazzolino.

La fissai per qualche istante in silenzio, chiusi la porta, indi proruppi con accento severo reso più grave dalla situazione:

– Giuseppina!.. so tutto!..

– Che cosa sai, papà?.. – mi rispose tranquillamente.

– O come?.. Osi ancora mostrarti indifferente alla desolazione di tuo padre?.. dopo esserti lasciata sedurre dalle moine del conte di Montegaldo?..

– Allora vedo che non sai proprio niente!.. – mi rispose con imperturbabile calma.

– Come!.. oseresti ancora negare?

– Sicuro!.. devo negare ciò che non è… non è il conte Saverio che mi ha sedotta… sono io che ho sedotto lui!..

Tale risposta mi parve d'un cinismo così rivoltante… che mi venne la tentazione di darle uno schiaffo… e feci due passi avanti col volto tanto sconvolto, che essa ne ebbe paura e fece due passi indietro. Allora procurai di moderarmi, chiusi anche le invetriate, tirai le tendine, e sentendo che le forze mi venivano meno, mi gettai sopra una sedia, mi tersi il sudore dalla fronte, e le dissi:

– La vostra impudenza richiede una spiegazione…

Ed essa di rimando:

– Ecco la spiegazione: i primi giorni che abitai questa cameretta mi alzavo per tempo, come è mio costume, e mi mettevo a ricamare al balcone. Il conte Saverio veniva a fumare il suo sigaro alla finestra dirimpetto e mi salutava cortesemente…

– Egli ti salutava?.. e tu?

– Ed io naturalmente rispondevo al saluto…

– Ma dunque in collegio non ti hanno insegnato che una ragazza onesta non deve rispondere al saluto d'un uomo che non conosce?..

– Me l'hanno insegnato benissimo… come mi hanno anche insegnato che non è creanza non rispondere al saluto di chi si conosce. Ed io che conosco il conte Saverio…

– Come?.. tu conosci il conte Saverio?

– Eh eh!.. lo conosco, non solo, ma siamo vecchi amici!

– Amici da quanto tempo?

– Da sei anni; cioè dall'epoca che siamo venuti a Milano, quando mi hai condotto in collegio.

– Allora tu eri una fanciulla di dieci anni, ed egli ne poteva aver dodici… e come avete fatto a conoscervi?

– La Veronica, vedendo che io ammiravo dalla finestra gli alberi e i fiori, promise di condurmi a vedere il giardino Brisnago, a condizione che tenessi la cosa in segreto, perchè altrimenti sarebbe stata sgridata da Monsignore, che non voleva aver relazione con quei signori. Io giurai di star zitta, e tenni la mia parola fino a questo momento!.. Quando tu e il povero zio canonico eravate andati pei fatti vostri, Veronica scendeva a far conversazione col portinaio che era suo amico, e mi faceva entrare in giardino.

Io non la vedevo più per un pezzo, mi diceva che andava a far la spesa, e veniva a prendermi più tardi.

Colà conobbi Saverio, egli mi fece gli onori di casa guidandomi intorno a quelle belle piante, poi mi propose di saltare la corda e di giocare a gatta cieca, e così ci siamo divertiti più volte.

Un giorno me ne tornavo a casa colla Veronica, mentre rientrava la contessa Savina. La Veronica volle ch'io baciassi la mano alla signora quando discese dalla carrozza. Avendo udito chi fossi, mi diede un bacio e mi accarezzò lungamente i capelli, guardandomi con bontà, e facendo il mio elogio. Mi fu subito molto simpatica, e la rividi sempre con piacere in collegio quando veniva con suo figlio a visitare una mia compagna loro parente. Portava sempre dei bomboni anche per me, dicendo: povera ragazzina che ha i genitori lontani!.. E la contessa mi dava dei baci!.. Ma che cosa hai, papà, che ti vengono gli occhi rossi?..

 

– Io?.. t'inganni, non ho altro che il dolore di scoprire tanti intrighi, che finiscono con un altro amore impossibile!..

– Impossibile!.. e perchè?.. se ci amiamo, l'amore non è impossibile!.. infatti…

– Infatti come è finita?..

– Ma!.. devo ripeterlo… è finita che l'ho sedotto!..

– Ma come diamine l'hai sedotto?

– Oh bella!.. non sai come si seduce?.. Stando seduta al lavoro. Egli mi guardava lungamente… io fingevo di non vederlo, e lo facevo aspettare un bel pezzo… poi alzavo la testa con aria indifferente e gli davo un'occhiata. Poi le occhiate divennero più frequenti… e più lunghe…

– Tutte compagne!.. – dissi fra me, ed essa continuò:

– Finalmente un giorno mi disse ch'io l'avevo sedotto!..

– Ma che!.. vi parlate dunque attraverso la strada?..

– Oh!.. come puoi credere ad un simile scandalo?..

– Ma dunque?..

– Diavolo!.. ci scriviamo.

– Come?.. avete anche l'audacia di scrivervi?

– L'audacia!.. perchè l'audacia?.. A che cosa servirebbe l'aver imparato a scrivere, se non fosse per esprimere i propri pensieri?.. a che cosa servirebbe la posta, se non fosse incaricata di trasportare i segreti di chi non è in caso di parlarsi?..

– Ma ricevi le sue lettere per la posta?

– È il mezzo più sicuro… e più economico.

– Ma tua madre non legge le tue lettere?

– Vuoi che mi faccia un simile oltraggio!.. non siamo più ai tempi dell'inquisizione… la mamma mi domanda chi mi scrive… io nomino una compagna di collegio, che mi scrive realmente… accompagnandomi, per favore, le lettere di Saverio.

– Una volta non si osava tanto!.. i tempi sono cambiati.

– Sono cambiati in bene, lo sai!.. lo dicono tutti!..

– Ma non ti è mai venuta l'idea che la tua condotta fosse censurabile?

– Altro che!.. m'è venuta sovente questa idea…

– E dunque?

– E dunque ho pensato di attendere i consigli dal tempo, per scegliere con maturità e con sicurezza il partito da prendersi.

– E non sarebbe stato meglio, prima di abbandonarti a simili avventure, di pensarci sopra, e di consultare tua madre?..

– È vero… è verissimo… ti assicuro che queste cose me le sono ripetuta le cento volte… ma che vuoi?.. quella maledetta finestra… io non so che cosa abbia… c'è un'attrattiva fatale… irresistibile che mi trascinava al suo davanzale, che mi obbligava a girar la testa… e allora vedevo Saverio dall'altra parte… e tutte le ragioni svaporavano!..

– È una vera fatalità!.. – io esclamai abbassando il capo, e meditai lungamente questo pensiero.

Si dice che Napoleone I, avendo saputo che ogni notte una sentinella si suicidava nella stessa garetta, l'abbia fatta abbruciare, e non si ebbero più a deplorare suicidii in quel posto. Ci sono ancora tanti misteri inesplicabili nella vita!.. Se dopo la mia partenza mio zio avesse fatto murare il balcone della mia camera, mia figlia, molti anni dopo, non sarebbe rimasta vittima della stessa malìa…

Sentii compassione di lei, e le dissi:

– Se non fossi tuo padre, potrei burlarmi della tua leggerezza e riderti in faccia!.. figlia d'un povero maestro, tu aspiravi dunque a diventare contessa?.. vergognati del tuo orgoglio, e rassegnati al destino che ti condanna a non guardar tanto in alto!.. Procura d'aver coraggio… e rinunzia a questa prima affezione!..

– È troppo tardi!.. – mi rispose con voce solenne.

Diedi un guizzo sulla sedia, feci un salto fino a lei, presi le sue mani nelle mie, e fissandole gli occhi in faccia, le chiesi con ansia convulsa:

– Oh perchè è troppo tardi?.. rispondi la verità… subito… tutta la verità…

Rimase imperturbabile, e mi rispose tranquillamente:

– Perchè il mio primo amore sarà anche l'ultimo!..

– Mi parve di udire ne' suoi accenti la voce dell'Agata quand'era ragazza, dopo d'aver sentito nelle sue rivelazioni il mio cuore giovanile rivivere in lei!..

Dopo una breve pausa ripresi il mio posto, e le dissi:

– Non hai dunque pensato mai alla distanza che divide la tua modesta famiglia dal nobile casato dei Montegaldo?

– Oh papà, queste sono idee vecchie!..

– Benissimo!.. e il denaro?..

– Ebbene, del denaro ne abbiamo anche noi… dicesti l'altro ieri che siamo ricchi.

– Sì, relativamente alla mia passata miseria… ma in confronto dei Montegaldo… e dei Brisnago, le nostre rendite non basterebbero a comperare il fieno pei loro cavalli.

– Tanto meglio… Sarò sicura che non mi sposerà per la dote!..

– In quanto poi alle qualità personali del conte Saverio non le conosco, ma ti faccio osservare che è figlio d'un scialacquatore, d'un giocatore, d'un vizioso, che rese infelice la moglie, lasciando di sè una triste memoria!..

– I figli – mi rispose gravemente – non sono responsabili dei torti dei genitori. Saverio è un ottimo ragazzo, mi vuol bene e sarà mio marito!..

– Non fidarti!.. – le dissi. – Quando i giovani hanno rette intenzioni, si presentano i genitori. Non ti dirò che cosa io pensi d'un signorino che getta baci dalla finestra alle ragazze… sono cose che si sono vedute ancora… ma non si è mai veduto che una fanciulla onesta li accetti… e li rimandi!..

– Credi dunque che il caso sia nuovo?..

– Se non è nuovo, non merita d'essere imitato…

– A venti passi di distanza!.. ne ho avuto l'assoluzione dal confessore… e tu non sarai più severo di lui!..

– Non lo so, – risposi bruscamente, – ma intanto apparecchiati a fare la penitenza, perchè domani partiremo per la Valtellina…

Uscito dalla stanza mi recai subito a partecipare all'Agata la mia scoperta. Essa ne rimase colpita ed esclamò:

– Maledetta finestra!.. sentivo dentro di me che mi doveva essere fatale!..

Corse subito dalla Giuseppina, che si gettò nelle braccia materne piangendo.

Piansero insieme, mentre io faceva i preparativi della partenza.

Alla mattina seguente, lasciando la casa in custodia alla Veronica, prima del levar del sole eravamo in vettura.