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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11

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A. D. 1098

A tale eccesso di sciagure condotti, raccolsero quante forze lor rimanevano, e usciti della città, con una vittoria delle più memorande, distrassero e spersero in un sol giorno tanta copia di Turchi e d'Arabi, che i vincitori poterono, senza tema di essere contradetti, calcolare a seicentomila uomini482 il numero. Porterò fra poco le mie indagini su quella parte di tal vittoria che al soccorso di confederati soprannaturali venne attribuita; ma l'intrepida disperazione de' Franchi fu la cagione naturale della vittoria di Antiochia, e aggiungasi ancora, la sorpresa, la discordia, e forse gli abbagli degl'ignoranti e presuntuosi loro avversarj. La confusione di quella giornata si è frammessa ne' racconti di chi l'ha descritta: non passeremo nullameno sotto silenzio quanto vi si narra intorno alla tenda di Kerboga, vasto palagio ambulante, ricco di tutto il fasto dell'Asia, ed atto a contenere oltre duemila persone. Dalle stesse descrizioni udiamo ancora che le guardie di Kerboga, in numero di tremila, andavano, non meno de' lor cavalli, tutte coperte di un'armadura di acciaio.

Finchè durarono l'assedio e la difesa di Antiochia, i Crociati, or mostraronsi inorgogliti per la vittoria, ora oppressi dalla disperazione, or notavano nell'abbondanza, or la fame e gli stenti stremavanli. Un filosofo contemplativo avrebbe ragione d'immaginarsi che la fede de' Crociati grandemente sugli atti loro operasse, e che i soldati del vessillo della Redenzione, i liberatori del Santo Sepolcro, con una vita sobria e virtuosa, si apparecchiassero alla palma del martirio, ognor presente ai lor guardi. Ma la pia illusione vien dissipata dalla esperienza: onde rade volte la storia delle guerre profane offre scene di dissolutezza e di prostituzione da paragonarsi con quelle che sotto le mura di Antiochia avvenivano. Il boschetto di Dafne non era più, ma, tuttavia infetto delle antiche corruttele l'aere della Sorìa, i Cristiani non resistettero nè alle tentazioni inspirate dalla natura, nè a quelle che la natura respinge483; sprezzando essi l'autorità de' lor Capi, e sermoni ed editti nulla poteano contra disordini che alla disciplina militare, e alla purezza evangelica parimente opponeansi. Così ne' primi giorni dell'assedio, come ne' primi di Antiochia occupata, i Franchi dissiparono con tutta la prodigalità della spensieratezza quelle vettovaglie, che una frugale economia avrebbe fatto durare per molte settimane e per molti mesi; que' devastati dintorni non poteano più somministrar loro alcuna cosa, nè andò guari che l'esercito de' Turchi dal quale erano circondati, li privò d'ogni comunicazione coll'interno del paese. Le infermità, compagne inseparabili della fame, acquistarono maggiori gradi di malignità dalle piogge del verno, dai calori della state, dal mal sano nudrimento, dall'affollamento stesso della moltitudine. Le schifose pitture della peste e della fame essendo sempre le medesime, la nostra immaginazione può facilmente additarci, quai fossero i patimenti di questi sciagurati, quali le misere provvisioni per cui si studiavano di alleviarli. Quanto rimanea de' tesori e delle prede veniva da essi con larga mano adoperato a procacciarsi i più vili alimenti. Quali saranno state le angosce del povero, se il conte di Fiandra e Goffredo, dopo avere pagato quindici marchi d'argento per una capra, e altri quindici per un cammello etico,484 si videro costretti l'uno a mendicare un pranzo, l'altro a cercare in prestito un cavallo! Sessantamila cavalli passati dianzi in rassegna nel campo, trovavansi prima del terminar dell'assedio, ridotti a soli duemila. L'infiacchimento del corpo, e i terrori dell'immaginazione, avendo ammorzato l'entusiasmo de' pellegrini, l'amor della vita485 divenne più forte de' sentimenti dell'onore e della religione. Fra que' Capi nullameno possono annoverarsi tre eroi, da tema e demerito serbatisi immuni. Goffredo di Buglione che la sua pietà magnanima sostenea; Boemondo per impulso d'ambizione e di personale interesse; e Tancredi, il quale, siccome verace Cavaliere, protestò che sintantochè gli sarebbero rimasti quaranta compagni per seguirlo, non avrebbe abbandonata la spedizione della Palestina. Ma il conte di Tolosa e di Provenza infermò, e finta ne fu sospettata la malattia; le censure della Chiesa richiamarono dalle coste marittime il Duca di Normandia. Ugo il Grande, benchè comandasse l'antiguardo dell'esercito, si valse di un pretesto equivoco per ritornarsene in Francia: Stefano di Chartres abbandonò obbrobriosamente lo stendardo nelle sue mani affidato e il Consiglio cui presedeva; i soldati ogni coraggio perdettero in veggendo partire Guglielmo Visconte di Melun, che i colpi vigorosi della sua azza da guerra avean fatto soprannomare il Carradore; i devoti rimasero scandalezzati della caduta di Piero l'Eremita, che dopo avere armata tutta l'Europa contro dell'Asia, alle molestie d'un forzato digiuno tentò sottrarsi. I nomi di tant'altri guerrieri che mancarono di coraggio, vennero cancellati, come si esprime uno storico, dal libro di vita; e coll'epiteto ignominioso di ballerini da corda furono qualificati que' tanti che, per fuggire da Antiochia, ne scalarono di notte tempo le mura. L'Imperatore Alessio che pareva movesse in soccorso de' Latini486, atterrì in udendo come ad estremo caso fosser ridotti. Tutti in preda ad una tetra disperazione, quasi aspettavano omai con tranquillità il loro destino. Vane tornarono le prove de' giuramenti e delle punizioni, talchè per costringerli i soldati a difender le mura, fu di mestieri metter fuoco alle case ove stanziavano.

Eppure quello stesso fanatismo, che a quasi inevitabile distruzione gli aveva condotti, li fece uscire vittoriosi di un tal pericolo. In una tale spedizione, in mezzo ad un esercito di simil natura, frequenti e famigliari esser doveano le visioni, le profezie ed i miracoli. Questi, nel durare de' patimenti che i Cristiani soffersero in Antiochia, si ripeterono con maggior forza e con istraordinario buon successo. Ora sant'Ambrogio aveva assicurato un pio Ecclesiastico che il momento della grazia e della liberazione esser dovea preceduto da due anni di prova. Or narravasi di alcuni disertori arrestati da Cristo comparso in persona per rampognarli; i morti si erano obbligati ad uscire fuor dalle tombe per combattere a fianco de' proprj fratelli. La Vergine aveva ottenuto ai Franchi il perdono de' lor peccati, e la confidenza di ognuno fu invigorita dalla fausta e luminosa scoperta della Santa Lancia487. In tali estremità, molto lodata venne la politica di que' duci, e certamente almeno meritevole era di scusa. Ma di rado, una pia frode in mezzo ad un numeroso consiglio può concertarsi; bensì un impostore volontario avea di che fondarsi sull'appoggio degli uomini istrutti e sulla credulità popolare. Un prete, nomato Pietro Bartolommeo, della diocesi di Marsiglia, fornito di un ingegno rozzamente artificioso, e de' cui costumi era sospetta la fama, si mostrò alla sala del Consiglio per rivelare ivi, come Sant'Andrea gli fosse apparso per tre volte durante il sonno, e dopo minacciategli terribili punizioni, se ai comandi del Cielo osava resistere, così gli avesse parlato: «In Antiochia, nella chiesa di mio fratello, San Pietro, vicino all'Altar Maggiore, si troverà, scavando sotterra, il ferro che percosse il costato del nostro Redentore. Fra tre giorni, questo strumento dell'eterna salute verrà manifestato ai suoi discepoli, e la liberazione de' medesimi opererà. Cercate, e troverete. Sollevate questo mistico ferro in mezzo all'esercito, e andrà a ferire fino nell'anima i miscredenti». Il vescovo di Puy, Legato del Papa, mostrò di ascoltare, con indifferenza e poca fiducia, la rivelazione del prete marsigliese; ma avidamente l'accolse il Conte Raimondo, che questo suo fedele suddito aveva prescelto, a nome dell'appostolo, per essere guardiano della Santa Lancia. Deliberatosi di tentare l'esperimento, nel terzo giorno indicato dalla profezia, il messo di S. Andrea, dopo essersi, com'era convenevole, a ciò preparato col digiuno e colla preghiera, introdusse nel tempio dodici spettatori di sua confidenza, nel cui novero il Conte Raimondo e il Cappellano di lui computavansi; sbarrate vennero le porte per evitare l'affoltamento delle turbe impazienti di verificare il prodigio. Si cominciò lo scavamento nel luogo che era stato accennato; ma gli operai che si davano la muta, dopo essere scesi co' loro ordigni fino alla profondità di dodici piedi, non quindi rinvenivano quanto cercavasi. Solamente la sera, allorchè il Conte si fu ritirato alle sue stanze, e quando gli spettatori, stanchi incominciavano a bisbigliare, Bartolommeo in camicia, e dopo essersi levate le scarpe, si calò coraggiosamente entro la fossa. L'oscurità dell'ora e del luogo, gli agevolò l'artifizio di celare in quella cavità il ferro di una lancia che a qualche Saracino avea appartenuto. Al primo suono, al primo scricchiolar dell'acciaro, venne salutato fra acclamazioni di divozione e di gioia. Toltala quindi dal luogo ov'era stata nascosta, la Santa Lancia venne avvolta in un velo di seta ricamato, ed esposta alla venerazione de' Crociati. Da quel momento le angosce loro in grida di giubilo e di entusiasmo si convertirono, e il rinato entusiasmo restituì alle scoraggiate truppe l'antico valore. Qualunque sia stata la parte che a tale avvenimento ebbero i Capi, e che che si pensassero della cosa, certamente un sì felice cambiamento, per tutte le vie suggerite dalla disciplina e dalla Religione, protessero. Rimandati vennero ai loro alloggiamenti i soldati, raccomandatosi ai medesimi di affortificare il corpo e l'anima per essere in tutto apparecchiati al prossimo combattimento; consumassero senza tema le ultime vettovaglie e i foraggi, aspettando allo schiarire del nuovo giorno il segnale della vittoria. Ricorrendo alla domane la festa de' SS. Pietro e Paolo, le porte di Antiochia si apersero, ed una processione di preti e monaci uscì cantando il salmo di guerra.

 

La battaglia fu ordinata in dodici corpi ad onore de' dodici Appostoli; il cappellano di Raimondo ebbe, a nome e vece del suo Signore, l'incarico di portare la Santa Lancia. La possa di questa reliquia, o trofeo, si fece sentir fortemente non solo ai servi di Cristo, ma forse anche a quelli che nemici ne erano488. E ad invigorirla contribuì il caso, o uno stratagemma, o la voce sparsasi di un nuovo miracolo. Tre cavalieri vestiti di bianco e di splendenti armadure coperti, furono veduti uscire delle montagne. Ademaro, Legato pontifizio esclamò essere eglino i martiri San Giorgio, San Teodoro e San Maurizio. Il tumulto delle pugne non avendo lasciato il tempo nè di dubitare, nè di avverare le cose, favorevole si fu la creduta apparizione ad abbagliare gli occhi e la fantasia, di un esercito di fanatici. Così ne' momenti del pericolo, come ne' primi della vittoria, non vi fu chi sulla veracità della rivelazione di Bartolommeo Marsigliese mostrasse dubbio; ma in mezzo alla calma che venne dopo, gli onori e le copiose elemosine che la dignità di guardiano della Santa Lancia al Conte di Tolosa produsse, nel moverli ad invidia, risvegliarono la ragione nelle menti de' suoi rivali. Un Cherco normanno osò esaminare con occhio filosofico le credibilità della leggenda, le circostanze della scoperta, la riputazione del Profeta: per lo che il pio Boemondo meramente ai meriti e all'intercessione di Gesù Cristo attribuì la liberazione dei Crociati. I clamori e l'armi de' Provenzali, per qualche tempo, questo Palladio di lor nazione difesero; e nuove visioni annunziavano la morte e la dannazione degli empj che con scettica esitanza si facessero solamente lecito di movere indagini sul merito, o sulla realtà della scoperta. Ma l'incredulità prevalse, e costrinse Bartolommeo ad assoggettare ad un Giudizio di Dio la verità delle cose che avea rivelate e la propria vita. Innalzatasi in mezzo al campo una catasta di fascine secche, alta quattro piedi e lunga quattordici, e mentre l'impeto delle fiamme a quattordici cubiti le sollevava, il prete marsigliese venne obbligato ad attraversare un sentiero non più largo d'un piede che in mezzo alla fornace lasciato erasi aperto. A malgrado di sua destrezza ed agilità, lo sciagurato ne riportò il ventre e le coscie arrostite, onde in termine di ventiquattro ore spirò, sempre protestandosi e veritiero, e innocente, le quali proteste saranno forse di qualche peso appo le menti, a credere molto inclinate. Indarno i Provenzali si adoperarono a sostituire una croce, o un anello, o un tabernacolo alla Santa Lancia, la cui sola ricordanza fatta erasi argomento a dileggio489. Pur chi il crederebbe? Gli storici de' secoli successivi hanno con gravità attestata la rivelazione di Antiochia, e tali progressi può fare la credulità, che miracoli de' quali fu dubitato ne' tempi, e nelle contrade ove nacquero, dalle età più lontane, e in luoghi da queste contrade remoti, con implicita fede vengono accolti.

La prudenza o la buona sorte de' Franchi fatto avea che differissero la loro spedizione sino al momento che l'Impero de' Turchi declinava490. Sotto il vigoroso governo de' tre primi sultani la pace e la giustizia tenea i reami dell'Asia congiunti. Gli innumerabili eserciti che quei principi conduceano in persona, pareggiavano in valore quelli de' Barbari dell'Occidente, in disciplina li superavano; ma ne' giorni delle Crociate, quattro figli di Malek-Sà, se ne disputavano scambievolmente il retaggio. Intesi affatto alle cure di personale ambizione, poco il rischio pubblico li commovea: e la variabilità de' successi di questi pretendenti, rendea incerti, e non curanti i principi lor vassalli sulla parte cui serbar dovevano fedeltà. I vent'otto Emiri che sotto gli stendardi di Kerboga pugnarono, o suoi rivali erano, o suoi nemici. Quell'esercito vedeasi composto di soldatesche raunate affrettatamente nelle città, e nelle tende della Sorìa e della Mesopotamia, intanto che le vecchie bande interteneansi di là dal Tigri in civili guerre struggendosi. Tal momento di debolezza e discordia sembrò opportuno al Califfo d'Egitto per ricuperare gli antichi possedimenti. Il suo sultano Afdal, dopo avere assediate Tiro e Gerusalemme, scacciati i figli di Ortok, restaurò nella Palestina l'autorità civile ed ecclesiastica de' Fatimiti491. Intesero con sorpresa come numerosi eserciti di Cristiani fossero passati d'Europa in Asia, e si allegrarono di assedj e combattimenti, atti a distruggere la possanza de' Turchi, persecutori della lor setta, avversi alla lor monarchia: ma questi Cristiani medesimi erano nemici giurati del Profeta, e dopo avere conquistata Nicea ed Antiochia, doveano per lo scopo di loro impresa, i cui motivi già cominciavano ad essere palesi, trasferirsi sulle rive del Giordano, e su quelle forse del Nilo. La Corte del Gran Cairo entrò co' Latini in corrispondenza di lettere e messaggi, il cui stile, giusta le variate vicende della guerra mansueto, o superbo mostravasi, e lo scambievole orgoglio di questi negoziatori, dall'ignoranza e dall'entusiasmo degli uni e degli altri, prendeva origine. I ministri del sultano d'Egitto, or con tuono imperioso chiarivano, or con più cortesi modi rimostravano, che il lor monarca, vero e legittimo comandante de' Credenti, avea dalla tirannide de' Turchi liberata Gerusalemme, e poter liberamente i pellegrini visitare il Sepolcro di Gesù Cristo, ove con modi oltre ogni dire amichevoli verrebbero accolti, purchè disarmati, e in successivi drappelli, vi sì trasportassero. Vi fu un istante, che il Califfo Mostali, credendoli inevitabilmente perduti, ne sprezzò l'armi, e fece imprigionare i loro messaggieri; ma la conquista e la vittoria di Antiochia la costui alterigia repressero, onde reputò espediente cosa il procurare di affezionarsi questi formidabili campioni, presentandoli di cavalli, di vesti di seta, di vasellami, e di borse d'oro e d'argento. Giusta l'idea che il ridetto Califfo erasi fatta del merito e della autorità de' medesimi, Boemondo teneva la prima sede, Goffredo la seconda. Non cambiando cuore per varietà di vicissitudini, i Crociati stettero fermi in rispondere, che alieni dall'esaminare i diritti particolari di ciascun settario di Maometto, l'usurpatore di Gerusalemme, qualunque ne fosse il nome, o il paese, aveano per nemico; quindi lo consigliavano, che invece di additar loro i modi, o i patti del pellegrinaggio, si attenesse al più prudente partito di consegnare, come lor sacro e legittimo retaggio, ai Crociati la città e la provincia: e aggiungevano non aver egli altra via per serbarseli amici, e sottrarsi alla rovina che lo minacciava492.

 

Ciò nulla meno, mentre questa meta gloriosa della loro impresa vedean sì vicina, che toccarla quasi pareano, non assalirono la città di Gerusalemme, che dieci mesi dopo sconfitto Kerboga. Nel momento della vittoria si affievolirono lo zelo e l'ardor de' Crociati, i quali, anzichè profittare, col maggiormente innoltrarsi, del terrore che aveano per ogni dove diffuso, solleciti apparvero di sbandarsi per godere meglio le molli delizie della Sorìa. Forse un sì inconcepibile indugio, non meno a mancanza di subordinazione, che ad estenuata forza, vuol essere attribuito. Nelle penose e variate fazioni dell'assedio di Antiochia, avean perduta tutta la loro cavalleria, e migliaia di guerrieri d'ogni grado, o disertori, o rimasti vittime della penuria e delle infermità. L'abuso stesso che fecero dell'abbondanza, una terza carestia generò; onde l'avvicendarsi della fame e degli effetti della dissolutezza, portò nel campo un morbo pestilenziale, cui cinquantamila pellegrini soggiacquero. Pochi in istato di comandare, tutti ricusavano d'obbedire. Le private querele, in mezzo al comune rischio sopite, con maggior impeto, o certamente colla stessa acerbità di astio, rinnovellaronsi: i buoni successi di Baldovino e di Boemondo, la gelosia de' lor colleghi aizzavano: i più valenti cavalieri arrolavansi per correre in difesa de' nuovi acquisti: il conte Raimondo, inteso ad una spedizione inutile nelle parti interne della Sorìa, le sue genti e i suoi tesori stremava. Così il verno tra le discordie e la confusione trascorse: alcune scintille d'onore e di religione si ridestarono in primavera, perchè i semplici soldati meno scossi dalle passioni dell'ambizione e della invidia, mandando grida d'indignazione, scossero i duci dall'indolenza in cui si giacevano. Nel mese di Maggio (A. D. 1099), gli avanzi di questo esercito poderoso, ridotti a quarantamila uomini (e fra questi, sol ventimila di fanteria, e mille cinquecento a cavallo, in istato erano di servire) s'innoltrarono da Antiochia a Laodicea, senza incontrare ostacoli nel cammino, che tennero tra la costa marittima e il monte Libano. Abbondantemente li fornirono di vettovaglie i legni di commercio genovesi e pisani che, lungo il mare, li secondavano, oltre alle forti contribuzioni che ritrassero dagli Emiri di Tripoli, Tiro, Sidone, Acri e Cesarea, da' quali ottennero il passaggio e la promessa di uniformarsi al destino che avrebbe corso Gerusalemme. Da Cesarea si portarono fino in mezzo al paese, ove i cherci riconobbero le tracce della geografia sacra di Lidda, Ramla, Emaus, e Betlemme; ma non sì tosto scoperta ebbero la Santa Città, i Crociati, tutt'altra cura dimenticando, pensarono a chiedere la ricompensa delle loro fatiche493.

A. D. 1099

Dal numero e dalla difficoltà de' suoi memorabili assedj, Gerusalemme un qualche lustro ha ottenuto. Sol dopo lunghi e sanguinosi combattimenti, Babilonia e Roma trionfarono un giorno dell'ostinatezza del popolo, e degli ostacoli che opponea loro un terreno sì discosceso, da rendere inutile ogni altra fortificazione; e aggiungasi che le mura erano munite di torri, valide a difendere la più accessibil pianura494. Però nel secolo delle Crociate, una parte di questi ostacoli non incontravasi. La rovina assoluta di quei baloardi, mal emendarono le nuove restaurazioni. Certamente, la dominazione de' Giudei, e del loro culto, era sbandita da Gerusalemme per sempre, ma la natura non cambia cogli uomini, e il sito di quella città, benchè spianati alquanto ne fossero gli ingressi, potea tuttavia dar lungo indugio agli sforzi di un assalitore. La esperienza di un assedio recente, e tre anni di possedimento, aveano fatti accorti i Saracini d'Egitto sui difetti di una Fortezza, che l'onore e la religione, vietavano ad essi di abbandonare, e sui modi più giovevoli ad assicurarsela. Aladino, o Istikar luogotenente del Califfo, comandante di Gerusalemme, adoperavasi a tenere in freno i Cristiani, che entro quelle mura abitavano, col minacciare distruzione ad essi e al Santo Sepolcro; il valore de' Musulmani eccitava colla speranza della ricompensa che in questo, e in un miglior Mondo, aspettavanli. Viene assicurato, che la guernigione era composta di quarantamila Turchi, o Arabi, e se fosse vero che il comandante potè armare inoltre più di ventimila abitanti, certamente l'esercito degli assediati avrebbe superato in numero quello degli assalitori495. Supposto ancora che i Latini fossero stati tanti, da potere circondare la città, che avea quattromila verghe (circa due miglia inglesi e mezzo) di circonferenza496, a qual pro sarebbero essi discesi nella valle di Ben-Himmon, e verso il torrente di Cedron497? A qual pro guardare i precipizj di ostro e di levante, d'onde non aveano cosa da temere o sperare? Si attennero al partito di fare scopo principale d'assedio, le parti settentrionali e occidentali della città. Goffredo collocò il suo stendardo sulla prima eminenza del monte Calvario. Verso sinistra, e sino alla porta di S. Stefano, la linea degli assalitori prolungavano i due Roberti e Tancredi: nell'intervallo posto fra la rocca e il monte Sion, non più parte interna della città, il Conte Raimondo accampò. Nel quinto giorno i Franchi diedero assalto generale, mossi dalla fanatica speranza di rovesciare le mura, senza il ministerio di macchine, e di scalarle, privi di scale. L'impeto degli operati sforzi li fe' padroni del primo steccato, ma poi respinti vennero con perdita fino al loro campo. Il troppo frequente abuso de' pii stratagemmi avendo distrutta la possanza delle visioni e delle profezie, ognun si persuase che il valore, le fatiche e la perseveranza, erano le sole vie per conseguir la vittoria. L'assedio non durò più di quaranta giorni, ma furono quaranta giorni di stenti e di calamità. Per vero dire l'appetito vorace ed improvvido dei Latini, avrà avuta parte nelle lamentanze di penuria, così spesso rinnovellate; ma gli è anche certo che il suolo sassoso di Gerusalemme non somministra acqua, pressochè di sorta alcuna, e le tenui sorgenti e i rivi che vi sono, l'ardor della state avea disseccati: nè poteano a questo inconveniente rimediar gli assedianti con acquidotti o cisterne, vantaggio di cui godeano gli assediati. Que' dintorni mancavano parimente d'alberi per ripararsi dal Sole, o fabbricare capanne; i Crociati, nondimeno, scopersero in una caverna alcuni pezzi di legno di una considerabile dimensione. Venne inoltre tagliato presso a Sichem, un bosco che è la foresta incantata del Tasso498. Tancredi, continuo nel dar prove di coraggio e di abilità, giunse a far trasportare nel campo, i materiali opportuni; e artefici genovesi, trovatisi per ventura nel porto di Giaffa, costrussero le macchine per condurre a fine l'assedio. Il Duca di Lorena e il Conte di Tolosa, fecero innalzare a proprie spese, e ne' loro campi, due torri sulle ruote, che condotte furono, non ai luoghi i più accessibili delle fortificazioni, ma verso quelli che erano i più trascurati. Il fuoco degli assediati incenerì la torre di Raimondo; ma il collega di lui fu ad un tempo più vigilante e felice. Giunti i suoi arcieri a fare sgombri di nemici i baloardi, i Latini abbassarono il ponte levatoio, e in un venerdì, a tre ore pomeridiane, giorno e tempo della morte del Redentore, Goffredo Buglione, si mostrò vincitore sulle mura di Gerusalemme. Da ogni banda i Crociati cui si facea sprone il valore del duce, l'esempio di lui imitarono, e quattrocento sessant'anni dopo la conquista di Omar, i Cristiani tolsero al maomettano giogo la Santa Città. Patteggiato aveano gli assedianti, che nel saccheggio della città e delle ricchezze di privati, avrebbero rispettato il diritto di possesso del primo occupante; e le spoglie della grande Moschea, settanta lampade, e molta copia de' vasellami d'oro e d'argento, divenute compenso alle gloriose fatiche di Tancredi, diedero campo di segnalarsi alla generosità dell'eroe. I servi del Dio de' Cristiani, essendosi nel loro accecamento avvisati, che sanguinosi sagrifizj gli sarebbero accetti, il loro furore implacabile e dalla resistenza irritato, non perdonò a debolezza, di sesso e di età. Durata per tre giorni la strage499, l'infezione de' cadaveri un morbo epidemico generò. Dopo avere passati a fil di spada settantamila Musulmani, e arsi vivi nelle lor sinagoghe gli Ebrei, i Cristiani conservarono ancora un grande numero di prigionieri, che l'avarizia o la stanchezza di tanto macello, persuase loro di risparmiare. Fra questi feroci eroi della Croce, Tancredi fu il solo che desse a divedere alcun sentimento di compassione: benchè non possiamo negare qualche encomio alla interessata clemenza di Raimondo, che concedè una capitolazione e un salvocondotto, alla guernigion della rocca500. Così liberato finalmente il Santo Sepolcro, i vincitori, tinti ancora di sangue, a sciogliere il voto si prepararono. Con capo e piedi ignudi, col cuor contrito e in umil postura, ascesero il Calvario in mezzo alle antifone, intonate ad alta voce dal Clero; nè potendo staccare le labbra dalla pietra che avea coperto il Salvatore del Mondo, questo monumento della lor redenzione, di lagrime di gioia e di penitenza innondarono. Due filosofi hanno riguardato sotto aspetti diversi, questa stravagante mescolanza di passioni, le più feroci e le più tenere; l'un d'essi, facile e naturale la trova501, l'altro assurda e incredibile502, e ciò forse dipende dall'averla questo secondo, attribuita ai medesimi individui, nè distinti i momenti. La pietà del virtuoso Goffredo, destò quella de' suoi compagni, che purificando i corpi, le proprie anime ancora purificarono; ma duro fatica a credere, che quelli fra essi più feroci nell'ora del saccheggio e della strage, si mostrassero poi i più esemplari nella processione al Santo Sepolcro.

A. D. 1099

Otto giorni dopo questo memorabile avvenimento, cui andò innanzi la notizia della morte di Papa Urbano, i duci Latini procedettero all'elezione di un Re, che difendesse e governasse le conquiste della Palestina. Ugo il Grande e Stefano di Chartres, per la loro ritirata molto scapitarono di rinomanza, e vi volle in appresso una seconda Crociata, e la illustre morte alla quale soggiacquero, perchè la lor gloria riguadagnassero. Baldovino avea posta in Edessa, Boemondo in Antiochia la sua residenza; i due Roberti, il Duca di Normandia e il Conte di Fiandra503, ad incerte pretensioni e a troni mal saldi, i loro Stati ereditarj dell'Occidente anteposero. Per sua ambizione e gelosia fu biasimato dai compagni Raimondo; per lo che l'esercito, con una scelta libera, giusta e necessaria acclamò Goffredo di Buglione, il primo e il più degno campione della Cristianità. L'eroe accettò un deposito, cui pericoli non minori della gloria si univano; ma in una città, ove il Salvatore dell'uman genere, era stato coronato di spine, ricusò il titolo e gli onori della monarchia; e fondatore di un regno, si contentò del modesto nome di difensore e barone del Santo Sepolcro. Il regno del medesimo che per mala ventura de' sudditi suoi, non durò oltre un anno504, corse gravi pericoli, quindici giorni dopo fondato, per l'avvicinarsi del Visir o Sultano d'Egitto, che, non avendo potuto giugnere in tempo per impedire la caduta di Gerusalemme, affrettavasi coll'ansietà di trarne vendetta. Ma nella giornata di Ascalon (A. D. 1099), egli ebbe tal rotta, che fe' più salda la dominazione de' Latini nella Sorìa, e apportò nuovo lustro al valore de' duci Franchi, i quali, dopo questa azione campale, per lungo tempo dalla Palestina e dalle sante guerre si congedarono. Nella battaglia di Ascalon, poterono i Crociati gloriarsi parimente della sterminata sproporzione di numero, che fra le due parti combattenti osservavasi. Nè mi arresterò a noverare le migliaia di soldati, così di cavalleria come di fanteria, che formavano l'esercito de' Fatimiti; perchè, eccetto tremila Etiopi, o Negri armati di staffili di ferro, i Barbari meridionali, dopo il primo impeto, datisi alla fuga, dimostrarono quanto immensa differenza vi fosse, fra l'intrepido valore de' Turchi, e l'effeminata viltà de' nativi Egiziani. Dopo avere appesa dinanzi al Santo Sepolcro, la bandiera e la spada del Sultano, il nuovo Re (o almeno l'eroe ben meritevole di questo titolo), abbracciò per l'ultima volta i compagni delle sue fatiche, e il solo d'essi ch'ei potè serbarsi appresso per difendere la Palestina, fu il prode Tancredi con trecento uomini a cavallo, e duemila fanti. Ma si vide ben tosto assalito da quel solo nemico, contro il quale mancasse di coraggio, Goffredo. Morto per l'ultima peste di Antiochia Ademaro, uomo rilevantissimo nelle azioni e nei consigli, gli altri Ecclesiastici non serbarono della propria indole che l'avarizia e l'orgoglio, talchè per via di sediziosi clamori, avean fatto valere le lor pretensioni, affinchè prima d'un Re un vescovo si eleggesse. Avendo il Clero latino usurpate le rendite e la giurisdizione del Patriarca, le accuse di eresia e di scisma mosse a danno de' Greci, e degli abitanti della Sorìa, valsero ad escludere questi dal concorso505; per lo che, oppressi dal ferreo giogo de' loro liberatori, i Cristiani orientali la tolleranza de' Califfi arabi si augurarono. Damberto, Arcivescovo di Pisa, da lungo tempo iniziato ne' segreti della romana politica, avendo condotta in soccorso de' Crociati una flotta di suoi concittadini, fu nominato, senza trovare opposizione, Capo temporale e spirituale della Chiesa506. Cotesto nuovo Patriarca non tardò ad impadronirsi dello scettro, che era prezzo del sangue e delle fatiche de' pellegrini guerrieri; e Goffredo, e Boemondo, si sommisero a ricevere dalle mani di costui l'investitura dei loro possedimenti. Questo omaggio ancora sembrò poco a Damberto, che la proprietà immediata di Giaffa e di Gerusalemme voleva per sè. Invece di opporre all'ingiusta pretensione un franco e assoluto rifiuto, il guerriero negoziò col Sacerdote; la Chiesa ottenne una quarta parte delle due città, il modesto Prelato, riserbò a sè il diritto contingibile sul rimanente, ogni qual volta o Goffredo morisse privo di figli, o la conquista del Cairo o di Damasco un nuovo regno gli assicurasse.

482La maggior parte degli Storici latini (l'Autore delle Gesta, p. 17; il monaco Roberto, p. 56; Baldric, p. 111; Foulcher di Chartres, p. 392; Giberto, p. 512; Guglielmo di Tiro, l. VI, c. 3, pag. 714; Bernardo il Tesoriere, c. 39, p. 695) nel descrivere l'esercito di Kerboga si limitano alle espressioni vaghe di infinita multitudo, immensum agmen, innumerae copiae o gentes, che combinano coll'altre μετα ανοριθμητων χιλιαδων, innumerabili migliaia di migliaia, di Anna Comnena (Alexias, l. XI, p. 318-320). Alberto d'Aix fa sommare il numero de' Turchi a dugentomila uomini di cavalleria (l. IV, c. 10, p. 242), e Radolfo a quattrocentomila (c. 72, p. 309).
483V. la fine tragica e scandalosa di un arcidiacono di stirpe reale, ucciso dai Turchi, mentre stavasi in un verziere giocando ai dadi con una concubina della Sorìa.
484Il prezzo di un bue da cinque solidi (quindici scellini) salì a due marchi (quattro lire sterline), indi anche di più; un capretto, o un agnello da uno scellino a quindici o diciotto lire tornesi all'incirca. Nella seconda carestia, una pagnotta, o una testa d'animale, vendeansi una piastra d'oro. Molti altri esempj si potrebbero citare; ma sono i prezzi ordinarj non gli straordinarj che meritano l'attenzione del filosofo.
485Alii multi, quorum omnia non tenemus, quia deleta de libro vitae, praesenti operi non sunt inserenda (Guglielmo di Tiro, l. VI, c. 5, p. 715). Giberto, pag. 518-523, cerca di scusare Ugo il Grande ed anche Stefano di Chartres.
486V. il seguito della Crociata, la ritirata di Alessio, la vittoria di Antiochia, e la conquista di Gerusalemme nell'Alessiade, l. II, pag. 317-327. La Principessa greca era tanto propensa alla esagerazione, che neppure narrando le geste dei Latini, ha potuto farne di meno.
487Non è da maravigliarsi, che in quei tempi, ed in quelle circostanze sia ciò avvenuto: ciò nulla ha relazione colla sostanza della religione cristiana. (Nota di N. N.)
488Nel raccontare le cose che alla Santa Lancia si riferiscono, il maomettano Abulmahasen (V. de Guignes, t. II, parte 2, p. 95) è più esatto de' due storici Cristiani, Anna Comnena e Abulfaragio. La Principessa greca confonde la Lancia con un Chiodo della Croce, (l. XI, p. 366); e un primate giacobita col pastoral di S. Pietro (p. 242).
489I due antagonisti che si mostrano meglio istrutti, e più fortemente convinti, l'un del miracolo l'altro della frode, sono Raimondo d'Agiles e Randolfo di Caen, il primo appartenente al seguito del Conte di Tolosa, il secondo al Principe normanno. Foulcher di Chartres osa dire: Audite fraudem et non fraudem! indi invenit lanceam, fallaciter occultatam forsitan: il rimanente della turba sostenea con fermezza e forza la veracità del miracolo.
490V. De Guignes (t. II, part. 2, p. 223 ec.) e gli articoli di Barkiarok, Mohammed, Sangiar, nel d'Herbelot.
491L'Emiro, o sultano Afdal ricuperò Gerusalemme e Tiro nell'anno dell'Egira 489 (V. Renaudot, Hist. patriarch. Alexand., p. 478, de Guignes, t. I, p. 249, indi Abulfeda e Ben-Schounah). Jerusalem ante adventum vestrum recuperavimus, Turcos ejecimus, diceano gli ambasciatori dei Fatimiti.
492V. le transazioni tra il califfo d'Egitto e i Crociati in Guglielmo di Tiro (l. IV, c. 24; l. VI, c. 19) e in Alberto d'Aix (l. III, c. 39), i quali scrittori, a quanto apparisce, meglio de' contemporanei, valutavano l'importanza delle medesime.
493La maggior parte del cammino trascorso dai Franchi trovasi con esattezza descritta nel Viaggio di Maundrell da Aleppo a Gerusalemme (p. 11-67), uno, senza dubbio, dei migliori documenti che abbiasi su tale soggetto (D'Anville, Mémoire sur Jerusaleme, p. 27).
494V. l'ammirabile descrizione di Tacito (Hist. V, 11, 12, 13), il quale pretende che i legislatori degli Ebrei si fossero prefissi di mettere il loro popolo in istato di ostilità perpetua col rimanente del genere umano.
495Il senno e l'erudizione dell'autore francese dell'opera Esprit des Croisades, contrabbilanciano fortemente l'ingegnoso scetticismo del Voltaire. Il predetto scrittore osserva (t. IV, p. 386-388) che, giusta i calcoli degli Arabi, gli abitanti di Gerusalemme oltrepassavano i dugentomila; che nel tempo di Gerusalemme assediata da Tito, Giuseppe li faceva ascendere ad un milione trecentomila; che Tacito stesso tenea per fermo sommassero a seicentomila, onde fatta anche la massima sottrazione, atta a giustificare l'accepimus di questo Storico, ad ogni modo superavano in numero l'esercito dei Romani.
496Maudrell, che fece esattamente il giro delle mura, calcolò una circonferenza di seicentotrenta passi, o quattromila cento sessantasette verghe inglesi (pag. 109-110). Fondatosi sopra una pianta autentica, il d'Anville, nel suo breve e prezioso Trattato, ammette un'estensione di circa mille novecento sessanta tese francesi (p. 23-29). Quanto alla topografia di Gerusalemme, V. Reland (Palestina, t. II, p. 832-860).
497Gerusalemme non trae le sue acque che dal torrente di Cedron, asciutto durante la state, e dal picciolo ruscello di Siloè (Reland, t. I, p. 294-300). E nativi e stranieri, parimente lagnavansi dalla scarsezza di acque, incomodo che in tempo di guerra, i nemici si studiavano accrescere. Secondo Tacito, erano entro la città una fontana, che non inaridiva in veruna stagione, un acquidotto, e cisterne per raccogliere le acque che venivan dal cielo; l'acquidotto le ricevea dal ruscello Tekoe, o Etham, di cui parla anche Boadino nella vita di Saladino (p. 238).
498Gerusalemme liberata, Cant. XIII e XVIII. Non possiamo qui dispensarci dall'osservare con quanta cura il Tasso abbia conservate ed abbellite le più piccole particolarità di questo assedio.
499Oltre agli storici Latini che di narrare questo macello non si vergognano. V. Elmacin (Hist. Saracen., pag. 363), Abulfaragio (Dynast., pag. 243), e il de Guignes (t. II, part. II, p. 9) fondato sulle testimonianze di Abul-Mahasen.
500L'antica torre di Psefina, detta Neblosa nel Medio Evo, incominciò a chiamarsi Castellum Pisanum dopo che Damberto fu nominato patriarca. Essa è tuttavia residenza e rocca di un Agà turco. Da questa torre si scoprono il mar Morto, una parte della Giudea e dell'Arabia (d'Anville, p. 19-23). Venne chiamata parimente πυργος παμμεγεθεςατος, torre di David.
501Hume, Storia dell'Inghilterra, vol. I, p. 311, 312, ediz. in 8.
502Voltaire, Essai sur l'Histoire générale; t. II, c. 54, p. 345, 346.
503Gl'Inglesi attribuiscono a Roberto di Normandia, i Provenzali a Raimondo di Tolosa, la gloria di avere ricusata la corona di Gerusalemme; ma la voce sincera della tradizione ha conservata la ricordanza dell'ambizione e della vendetta del Conte di San-Gille (Villehardouin, n. 136). Morì all'assedio di Tripoli, città posseduta dai successori di questo Conte.
504V. l'elezione di Goffredo e la battaglia di Ascalon in Guglielmo di Tiro, l. IX, c. 1-12, e nella conclusione delle Storie Latine della prima Crociata.
505Renaudot, Hist. patr. Alexand., p. 479.
506V. le rimostranze del patriarca Damberto in Guglielmo di Tiro (l. IX, c. 15-18, l. X, c. 4, 7, 9), il quale scrittore con maravigliosa buona fede sostiene l'independenza dei conquistatori e de' re di Gerusalemme.