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La conquista della Sicilia era stata più gloriosa che utile a Roberto Guiscardo; nè i possedimenti della Puglia e della Calabria all'ambizione di cotest'uomo bastando, deliberò afferrare, o far nascere l'occasione d'invadere, e soggiogar forse l'Impero dell'Oriente219. Un divorzio, ottenuto sotto pretesto di consanguinità, lo avea separato dalla prima moglie, statagli compagna nell'umil fortuna, e Boemondo nato da queste prime nozze, si trovò alla condizione di imitar piuttosto il suo chiaro padre che di succedergli. La seconda moglie di Roberto, essendo figlia de' Principi di Salerno, i Lombardi acconsentirono a riconoscere per erede di lui Ruggero, nato dalla medesima. Cinque figlie parimente dalla Principessa di Salerno ebbe Viscardo, tutte onorevolmente accasate220, e una di esse fu promessa ancor fanciulla al giovine ed avvenente Costantino, figlio ed erede dell'Imperatore Michele221. Ma una rivoluzione crollò il trono di Costantinopoli: la famiglia reale di Duca nel palagio o nel chiostro fu confinata: e Roberto, trafitto l'animo dalla sciagura della figlia, e dall'espulsione del confederato, pensò a vendicarsi. Un Greco che diceasi padre di Costantino, mostratosi ben tosto a Salerno, mise insieme una novella di trono rassegnato per forza, e di fuga. Il Duca maravigliosamente pronto a ravvisare in quest'uomo il suo amico infelice, pomposamente lo accolse, e come verso persona della dignità imperiale insignita addiccasi. Questo Michele222 dunque trascorse in trionfo la Calabria e la Puglia fra le lagrime e le acclamazioni de' popoli: e il Papa Gregorio VII esortò i vescovi ad adoperarsi coi lor sermoni, i Cattolici col lor braccio, a ritornare questo principe in trono. Roberto e il Greco in famigliari e spessi colloquj vedeansi, e noti egualmente, il valor normanno e i tesori del greco Impero, pubblica fede alle reciproche promesse lor procacciavano. Nondimeno, a confessione de' Greci e de' Latini, cotesto Michele non era che un fantasma, un impostore, un frate scappato dal suo convento, o un servo della greca Corte. Lo scaltro Guiscardo immaginò questo artifizio, sperando che dopo aver dato un'apparenza di giustizia alle sue armi, il falso imperatore tornerebbe nella sua oscurità ad un cenno di chi da questa l'avea ritratto; ma sol la vittoria potea costringere la credenza de' Greci, nè l'ardor de' Latini per tale impresa la credulità de' medesimi pareggiava; i soldati normanni voleano godersi in pace il frutto di lor fatiche, e gl'Italiani fremevano alla sola idea di pericoli cogniti ed incogniti che ad una spedizione oltremare si congiungevano. A fine di far soldati, Roberto non risparmiò donativi, o promesse; nè minacce, così per parte dell'autorità civile, come per parte dell'autorità ecclesiastica; che anzi alcuni atti di violenza hanno dato origine al fattogli rimprovero di avere arrolati, senza distinzioni nè pietà, e vecchi, e fanciulli. Dopo due anni impiegati senza posa in tali apparecchi, l'esercito di terra e le forze navali si adunarono ad Otranto, ultimo promontorio dell'Italia, situato all'estremità del calcagno dello stivale. Roberto si trasferì, accompagnato dalla moglie che ai fianchi di lui combattea, dal figlio Boemondo, e dal greco impostore. Mille trecento cavalieri normanni223, o alla scuola de' Normanni educati, formavano il nerbo di questo esercito composto di circa trentamila uomini d'ogni arma224; cencinquanta navi vennero caricate di truppe da sbarco, di cavalli, di armi, di macchine da guerra, e di torri di legno coperte di cuoio non concio; navilio che era stato allestito in Italia, e la repubblica ragusea, divenuta confederata di Roberto, le galee aveva fornite. All'ingresso del golfo Adriatico le coste dell'Italia e dell'Epiro si avvicinano l'una all'altra. Lo spazio che disgiugne Brindisi da Durazzo, conosciuto sotto il nome di Passaggio Romano, non è largo più di cento miglia225. Rimpetto ad Otranto si restringe di cinquanta226, angustia che suggerì a Pirro, e a Pompeo l'idea sublime, o stravagante di unire con un ponte entrambe le rive. Roberto, prima di imbarcare le sue truppe e le sue munizioni, mandò innanzi quindici galee comandate da Boemondo, affine di soggiogare o minacciare l'isola di Corfù, riconoscere l'opposto lido, e assicurare ne' dintorni di Vallona un buon porto alle sue truppe. Boemondo compiè la sua traversata e il suo sbarco, senza accorgersi di nemici. Sperienza fortunata pe' Normanni, e che diè a divedere a quale scadimento l'incuria de' Greci avesse ridotta la loro marineria! Le isole e le città marittime dell'Epiro all'armi di Roberto, o al terror del suo nome cedettero, e poichè ebbe toccate le coste di Corfù (la quale isola accenno col suo nome moderno) condusse la sua squadra e il suo esercito ad assediare Durazzo. Cotesta città, dal lato di Occidente, chiave dell'Impero greco, dalla sua antica fama, da recenti fortificazioni, dal patrizio Giorgio Paleologo vincitore di diverse battaglie nell'Oriente, da un presidio tolto dalle province di Albania e di Macedonia, in ogni età vivai di eccellenti soldati, era difesa. Pericoli e sciagure d'ogni genere nel durar di questa impresa provarono l'animo di Guiscardo: nella stagione la più propizia dell'anno, la flotta di lui che stavasi lungo la costa, venne d'improvviso assalita da una fortuna di mare; e piogge miste a neve, e furiosi venti d'ostro ingrossarono l'Adriatico, talchè un nuovo naufragio la sinistra fama degli scogli Acroceraunj riconfermò227. Andati in pezzi o portati lontano e vele, e alberi, e remi, si videro coperti il mare, e le rive di frantumi di navigli, d'armi e cadaveri, e la maggior parte delle munizioni le acque inghiottirono o danneggiarono. Sottrattasi con grande stento al furore dell'onde la ducale galea, Roberto si fermò sette giorni sul vicino promontorio per raccogliere gli avanzi della sua flotta, e rianimare il depresso coraggio de' suoi soldati. I Normanni non erano più quegli audaci piloti che aveano scoperto nuove acque sull'Oceano, dalla Groelandia al monte Atlante, que' piloti che erano stati veduti sorridere sui perigli da poco che offre l'onda mediterranea. Piansero nel durare della procella, e tremarono all'avvicinare de' Veneziani, che mossi dalle preghiere e dalle promesse della Corte di Bisanzo venivano ad assalirli. Le pugne del primo giorno mal non tornarono a Boemondo, giovine imberbe228 che i legni del padre suo comandava, ma le galee veneziane rimasero tutta notte ferme sull'áncora, a guisa di mezza luna, ordinate. La maestria di loro fazioni, il modo vantaggioso onde collocati aveano i proprj arcieri, la forza delle lor chiaverine, il fuoco greco somministrato ad essi dall'Imperatore, li fecero nel secondo giorno padroni della vittoria. I legni pugliesi o ragusei alla costa si ripararono: molti videro tagliare le gomene, e in poter cadettero del vincitore; oltrechè, la guernigion di Durazzo, con una abile sortita, portò fin nelle tende di Roberto la strage e il terrore: vennero introdotti soccorsi entro la piazza, e appena gli assedianti più non padroneggiarono il mare, si videro privi de' tributi, e delle vettovaglie, che dianzi le isole, e le città marittime ad essi inviavano. Si arroge, che un contagioso morbo travagliò ben tosto l'esercito dei Normanni, onde perirono privi di gloria cinquecento cavalieri; e la perdita delle genti di Guiscardo non ascese a meno di diecimila uomini, sol che si voglia dedurla dal registro de' funerali, e supponendo che tutti i morti l'onor di esequie ottenessero. Solo, imperterrito, in mezzo a tante calamità, il Duca normanno, intantochè nuove forze dai lidi pugliesi e siculi ritraeva, conquassava colle sue macchine d'assedio, e tribolava, ora dando scalate alle mura, ora adoperandosi contro le fondamenta di queste, Durazzo. Ma la solerzia e il valore di lui, in un valore eguale, e in una solerzia superiore, scontraronsi. Avendo egli condotto a piè del baluardo una torre mobile che racchiudea cinquecento soldati, mentre stava per abbassarne la porta, o il ponte levatoio, una enorme trave lo arrestò nell'impresa, e il fuoco greco in un istante la sua torre gli consumò.
Intanto che i Turchi dal lato orientale, le truppe di Guiscardo dall'occidentale, il romano impero invadeano; il vecchio successore di Michele rassegnava lo scettro nelle mani di Alessio, illustre Generale e fondatore della dinastia de' Comneni. Anna, figlia di questo Alessio, e famosa per avere scritta la Storia del padre, dal suo stile ampolloso non rimovendosi, osserva che lo stesso Ercole alla doppia pugna non avrebbe saputo resistere, e su tal base fondandosi, approva la precipitosa pace che il ridetto Alessio concluse col Turco; la qual cosa il trasferirsi in persona a soccorrer Durazzo gli agevolò. Egli avea ben trovato vuoto di soldati il suo campo come di danari l'erario; ma tai furono il vigore, la sollecitudine delle sue provvisioni, che in sei mesi radunò un esercito di settantamila uomini229, e fece compiergli un cammino di cinquecento miglia. Ei tolse soldati dall'Europa e dall'Asia, dal Peloponneso infino al mar Nero; ostentava la pompa del grado imperiale nella magnificenza della guardia composta di cavalieri ricchi d'armadure, e di arredi d'argento, e nel numeroso corteggio di nobili e di principi che lo accompagnavano; e più d'uno di questi principi (il che prova una mansuetudine de' costumi di Bisanzio in que' tempi) nelle vicissitudini del palagio imperiale aveano vestita un istante la porpora, e ciò nulla meno vivean ricchi e insigniti di cariche ragguardevoli. Tutti i predetti Grandi, animati la più parte dal fuoco della giovinezza, avrebbero dovuto col loro esempio farsi sprone alla moltitudine: ma l'eccessivo amor de' piaceri, il disprezzo di ogni subordinazione, furono origine di disordini e di mali. Voleano questi essere condotti subito alla battaglia, e con importuni clamori misero a cattivo partito la prudenza di Alessio, che avrebbe potuto prendere in mezzo e tribolar colla fame l'esercito degli assedianti. L'enumerazione delle province greche a' que' giorni, offre un triste raffronto tra quel che furono gli antichi limiti dell'Impero, e quello che erano divenuti. Raccolti in fretta, e in mezzo al comune terrore, i nuovi soldati, non fu possibile il ritrarre dalla Natolia o Asia Minore le sue guernigioni, se non se col cedere ai Turchi le città che da queste istesse guernigioni erano custodite. Il nerbo dell'esercito greco stavasi ne' Varangi, e nelle guardie scandinave, il cui numero avea poco prima ricevuto rinforzo da una truppa di esuli e di volontarj venuti dall'isola di Tule, o della Gran Brettagna. I Danesi e gl'Inglesi parimente, sotto il giogo de' Normanni gemeano; laonde molti giovani venturieri vennero nella risoluzione di abbandonare una terra di schiavitù, e abbracciando lo scampo che ad essi il mare offeriva, peregrinarono lungamente a tutte le coste, ove qualche speranza di libertà e di vendetta allettavali. Il greco Imperatore a sè gli assoldò, e primieramente in una nuova città della costa d'Asia stanziarono; ma non andò guari che Alessio chiamatili al servigio immediato del suo palagio, e della imperiale persona, nella lor fedeltà e prodezza un bel retaggio preparò ai suoi successori230. Rammentando con indignazione questi guerrieri tutto quanto eglino pure aveano sofferto dai Normanni, marciarono contra un nemico di lor nazione, e giubilanti, e impazienti di ricuperar nell'Epiro la gloria che alla giornata di Hastings aveano perduta. I Varangi erano inoltre sostenuti da alcune bande di Franchi o Latini; tutti coloro che, per sottrarsi alla tirannide di Guiscardo, riparati eransi a Costantinopoli, agognavano l'istante di segnalare il loro zelo, e appagare in uno la sete della vendetta. In così ardue circostanze l'Imperatore non aveva avuti a schifo gli impuri soccorsi de' Paoliziani, o de' Manichei della Tracia e della Bulgaria; i quali eretici all'intrepidezza de' martiri l'operoso valore e la disciplina di eccellenti soldati aggiugnevano231. Un negoziato col Sultano avendo procurato all'Imperatore un rinforzo di mille Turchi all'incirca, si videro insieme in contrasto le frecce della cavalleria scitica, e le lance della normanna. Udite le prime voci del formidabile esercito che incontro venivagli, Roberto raunò un consiglio da' suoi primarj uffiziali composto. «Voi vedete, lor disse, in qual pericolo vi trovate: esso è incalzante, inevitabile. Le colline sono coperte di guerrieri e di stendardi: l'Imperator greco è accostumato alle guerre e ai trionfi. La disciplina e l'unione solamente ci possono far salvi, e sono pronto a cedere il comando ad un Generale più abile di me». Le acclamazioni generali, e persino de' suoi segreti nemici, avendolo in sì periglioso momento fatto certo della stima e della confidenza d'ognuno; «contiam dunque, esclamò, sui frutti della vittoria, e se vi è un vile, impediamogli ogni strada alla fuga, abbruciamo il nostro navilio e le nostre bagaglie, e combattiamo su questo suolo, come se fosse il luogo della nostra nascita, e del nostro sepolcro.» Approvata unanimamente siffatta risoluzione, Guiscardo che disdegnò cautelarsi fra mezzo alle file de' suoi soldati, si pose a capo dell'esercito ordinato in battaglia aspettando ivi di piè fermo il nemico. Un fiume poco largo gli guardava le spalle, l'ala destra prolungandosi sino al mare; la sinistra terminava alle falde delle colline: e Guiscardo forse ignorava che in questo campo medesimo Cesare e Pompeo disputati eransi l'Impero del Mondo232.
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Alessio avendo risoluto, contro il parere de' più saggi suoi capitani, di commettersi all'evento di una battaglia, insinuò alla guernigione di Durazzo il contribuire con una sortita a tempo operata alla liberazione della città. Con due divisioni egli marciò per sorprendere i Normanni innanzi lo schiarire del giorno, onde da due lati vedeasi la cavalleria leggiera dei Greci tener la pianura; la seconda linea era composta di arcieri, i Varangi serbarono a sè medesimi l'onore di combattere all'antiguardo. Al primo scontro, le azze da guerra degli stranieri portarono terribili botte all'esercito di Guiscardo, a soli quindicimila uomini allora ridotto. I Lombardi e i Calabresi, dandosi a vergognosa fuga, corsero, chi alle rive del fiume, chi a quelle del mare; ma il ponte era stato distrutto, per togliere un varco ai soldati della piazza, se tentavano una sortita; la costa vedeasi cinta di galee veneziane che fecero prova delle lor macchine da guerra in mezzo a questa disordinata moltitudine; la quale sarebbe inevitabilmente perita senza il valore e la condotta ammirabile de' suoi Capi. I Greci ne descrivono Gaita, moglie di Roberto, come una amazzone e una seconda Pallade, men abile nelle arti, ma non men della dea degli Ateniesi terribile nella guerra233. Benchè ferita da una freccia, rimase sul campo di battaglia, e colle esortazioni e coll'esempio le soldatesche disperse riordinò234; la sua femminile voce venia secondata dalla voce più forte e dal braccio più vigoroso di Guiscardo. Intrepido in mezzo all'azione, quanto magnanimo ne' consigli: «Dove fuggite voi, esclamò? avete che fare con un nemico implacabile, e la morte è meno crudele della servitù». Il momento era decisivo; i Varangi, nell'avanzarsi troppo, lasciarono scoperti i lor fianchi; gli ottocento cavalieri del corpo di battaglia del Duca, che non erano stati intrapresi, colla lancia in resta si precipitarono sul nemico, e gli Storici greci non rimembrano senza dolore l'impeto della cavalleria franca, cui non val resistenza235. Alessio non trascurò alcun dovere di generale e soldato; ma allorchè vide la strage de' Varangi e la fuga de' Turchi, e in niun conto avendo i proprj sudditi, della fortuna sua disperò. La principessa Anna, che versa una lagrima su questo infausto avvenimento, è ridotta a vantare la forza e l'agilità del cavallo di suo padre, e il vigore onde questi si difese contra un cavaliere che con una percossa di lancia aveagli fatto in pezzi il cimiero. Con disperato valore, si aperse varco per mezzo a uno squadrone di Normanni che la fuga impedivagli, e dopo avere errato due giorni e due notti in mezzo alle montagne, potè godere di qualche riposo, non d'animo, ma di corpo, entro le mura di Licnido. Si dolse Roberto delle sue truppe che, troppo mollemente e lentamente inseguendo Alessio, una tanto luminosa preda sfuggirsi lasciassero: ma nel confortarono i trofei e gli stendardi tolti al nemico, la ricchezza e il lusso del campo greco, e la gloria di aver distrutto un esercito cinque volte più numeroso del suo. Molti Italiani rimasero vittima del proprio spavento; pur questa memoranda giornata non costò a Guiscardo più di trenta de' suoi cavalieri. L'esercito imperiale perdè, fra Greci, Turchi ed Inglesi, cinque o seimila uomini all'incirca236, fra i quali si noverano molti nobili e guerrieri di sangue reale; l'impostore Michele trovò nello spianato di Durazzo una morte più onorevole che nol fu la sua vita.
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Ella è cosa molto probabile che Guiscardo non si affliggesse gran fatto della perdita di questo fantasma d'Imperatore, costatogli molto caro, nè con altro pro che di avventurarlo alla derisione de' Greci. Disfatti questi, la guernigione continuò nel difendersi: l'Imperatore aveva avuta l'imprudenza di richiamare Giorgio Paleologo, intanto che un Veneziano comandava nella città: le tende degli assedianti vennero cambiate in baracche, atte ad offerire riparo contra il rigore del verno; e ad una disfida fattagli dalla Fortezza, Roberto rispose che la sua perseveranza, l'ostinazione degli assediati almen pareggiava237. Già forse ei fondavasi sopra una lega segreta da lui stretta con un nobile Veneziano, che sedotto dalla speranza di un luminoso e ricco maritaggio, ebbe la viltà di tradire i confederati della sua patria. Nel più cupo della notte, furono gettate dall'alto delle muraglie le scale di corda, per le quali saliti tacitamente gli snelli Calabresi, sol dal nome, e dalle trombe del vincitore, i Greci furono desti. Ciò nullameno per tre giorni difesero le strade contra un nemico già padrone de' baluardi; si rendettero finalmente dopo un assedio di sette mesi, calcolati dal momento che la piazza fu circondata. Penetrò indi Roberto nelle parti interne dell'Epiro, o dell'Albania, e attraversate le prime montagne della Tessaglia, trecento Inglesi nella città di Castoria sorprese, a Tessalonica si avvicinò, fece tremare Costantinopoli. Ma un più incalzante dovere, il corso dei suoi ambiziosi disegni interruppegli. Già distrutti due terzi del suo esercito dal naufragio, dai morbi contagiosi e dal ferro nemico, e allorchè aspettavasi dall'Italia nuove reclute, dolorosi messaggi lo ragguagliarono delle sciagure, e de' pericoli ai quali, per la lontananza di lui, la stessa Italia era in preda, della ribellione delle città e de' Baroni della Puglia, dello stremo a cui trovavasi il Papa, dell'avvicinamento, o piuttosto dell'invasione di Enrico Re di Alemagna. Egli osò immaginarsi che la presenza sua basterebbe a rendergli sicuri gli Stati, e sopra un sol brigantino, rivalicò il mare, lasciando l'esercito sotto il comando di suo figlio e dei Conti normanni; e con esortazioni a Boemondo, di rispettare la libertà de' suoi eguali, ai Conti di obbedire l'autorità del lor Generale. Il figlio di Guiscardo sull'orme del padre suo camminò. I Greci paragonano questi due guerrieri al bruco e alla locusta, l'uno de' quali divora tutto quanto non fu sterminato dall'altro238. Dopo avere vinte due battaglie contra l'Imperatore, scese nella pianura della Tessaglia e assediò Larissa, capitale del favoloso regno di Achille239, ove l'erario e i magazzini del greco esercito si racchiudevano. Del rimanente debbonsi encomj alla prudenza e alla fermezza di Alessio, che contro la infelicità de' tempi coraggiosamente lottò. In mezzo alla penuria che disastrava lo Stato, ardì valersi degli arredi superflui delle chiese, provvide alla diffalta dei Manichei, col sostituir loro alcune tribù della Moldavia; settemila Turchi assunsero il luogo degli estinti fratelli e l'incarico di vendicarli; intanto i soldati greci, addestratisi nel cavalcare e nel lanciar frecce, si fecero abili al giornaliero esercizio delle fazioni militari e delle imboscate. Sapendo Alessio per esperienza che i cavalieri franchi, tanto formidabili sui lor corridori, non poteano nè combattere, nè quasi moversi a piedi240, ordinò ai suoi arcieri di far bersaglio de' loro dardi il cavallo anzichè il cavaliere, e seminava di punte di ferro ed altri impacci il terreno d'onde potea paventare un assalto. La guerra venne protratta ne' dintorni di Larissa ove i successi de' due eserciti, dubbiosi rimasero. In tutte le occasioni il coraggio di Boemondo in guisa luminosa, e sovente con fortuna, si dimostrò; ma i Greci immaginarono uno stratagemma per cui il normanno campo fu saccheggiato. Inespugnabile essendo la città, i Conti o disgustati, o corrotti dall'inimico, le bandiere del loro duce abbandonarono, e consegnati ai Greci i lor posti, le parti dell'Imperatore seguirono. Alessio riportò a Costantinopoli il vantaggio, anzichè l'onore della vittoria. Quanto al figlio di Guiscardo, rinunziando ad un territorio che non potea più difendere, veleggiò verso l'Italia ove ben accolselo il padre, che ne conoscea il merito, e ne compiagnea l'infortunio.
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Di tutti i principi latini confederati di Alessio, e nemici di Roberto, il più poderoso e zelante era Enrico III, o IV Re d'Alemagna, e d'Italia, che divenne in appresso Imperator d'Occidente. La lettera che il Principe greco indirissegli241, abbonda di sentimenti di verace amicizia e del desiderio onde ardea di consolidare la scambievole lega con vincoli di famiglia, e politici. Congratulatosi con Enrico pei buoni successi da esso ottenuti in una giusta e santa guerra, querelasi perchè le audaci imprese de' Normanni, la prosperità del suo impero hanno turbata. La nota de' donativi inviatigli dalla Grecia ai costumi del secolo corrisponde: una corona d'oro guarnita di raggi, una croce da petto adorna di perle, una scatola di reliquie coi nomi e titoli de' Santi cui perteneano, un vaso di cristallo, un vaso di Sardonica, balsamo, probabilmente della Mecca, e cento pezze di porpora; inoltre cenquarantaquattromila bisantini d'oro, con promessa di aggiugnerne altri dugento sedicimila, allorchè Enrico fosse venuto in armi sul territorio pugliese, e confermata, con giuramento, la loro confederazione contro il comune inimico. Il Principe alemanno242 che già trovavasi in Lombardia, Capo di un esercito e di una fazione, accettando tosto queste magnifiche offerte, al mezzogiorno immantinente si volse; e benchè il fermasse in cammino la notizia della giornata di Durazzo, ricompensò abbondantemente il dono avuto dall'Imperatore, poichè lo spavento che coll'armi sue e col suo nome inspirò, costrinse Roberto a ricercar precipitosamente la Puglia. Enrico detestava i Normanni, come confederati e vassalli di Gregorio VII, implacabile suo nemico, orgoglioso sacerdote, che col suo zelo ambizioso riaccese la lunga querela tra il Sacerdozio e l'Impero243: il Re, il Papa, si mandavano anatemi a vicenda, e ognun d'essi avea posto un rivale sul trono del suo antagonista. Dopo la sconfitta e la morte del ribelle della Svevia, Enrico si condusse in Italia per assumervi l'imperiale corona, e scacciare il tiranno della Chiesa dal Vaticano244245: ma la causa di Gregorio i Romani sostennero, e fermi in lor coraggio rendevangli i soccorsi d'uomini e di danaro che ad essi venian dalla Puglia, onde per tre volte l'Imperatore alemanno tentò indarno l'assedio di Roma. Nel quarto anno, Enrico si guadagnò, coll'oro dicesi di Bisanzo, i Nobili romani che i lor dominj e le lor castella a tutti gli orrori della guerra videro in preda. Gli vennero consegnate le porte, i ponti e cinquanta ostaggi: l'antipapa Clemente fu consacrato nel palagio di Laterano, e pieno di gratitudine incoronò in Vaticano il suo protettore. L'Imperatore Enrico, intitolatosi successore d'Augusto e di Carlomagno, chiarì il Campidoglio sua stabile residenza. Il nipote di Gregorio le rovine del Septizonio tuttavia difendea: assediato entro castel S. Angelo il Papa nel solo coraggio e nella fedeltà del suo vassallo normanno ponea la speranza. Ben vero è che ingiurie e reciproche lamentanze aveano interrotto il buon accordo fra questi due personaggi; ma in sì imminente pericolo Guiscardo i suoi giuramenti, il suo interesse più forte ancora dei giuramenti, l'amor della gloria, e l'odio che portava ai due Imperatori, sol calcolò. Dispiegata la santa bandiera, coll'animo deliberato di accorrere in soccorso al principe degli Appostoli, e dopo avere raunati seimila uomini a cavallo, e trentamila fantaccini, il più numeroso di quanti eserciti ebbe giammai, mosse da Salerno a Roma, e durante quel cammino i pubblici applausi, e le promesse di celeste soccorso, lui e le sue soldatesche accompagnarono. Vincitore in sessantasei battaglie, all'avvicinar di Guiscardo, Enrico tremò: mostrando ricordarsi d'alcuni indispensabili affari che la sua presenza volevano in Lombardia, esortò i Romani a conservarsi fedeli, e tre giorni prima che i Normanni giugnessero, affrettatamente partì. In men di tre anni, il figlio di Tancredi di Altavilla ebbe la gloria di liberare il Pontefice, e di vedere sparire dinanzi a sè le armi vincitrici degli Imperatori d'Oriente246, e d'Occidente. Ma lo splendore del trionfo di Roberto le sciagure di Roma oscurarono. Già i partigiani di Gregorio toccata aveano la meta di rompere, di scalare le mura, già si trovavano in Roma; non quindi inoperosa, o priva di forze era la fazione degli Imperiali: laonde il terzo giorno si accese una terribile sedizione, e un accento inconsiderato sfuggito al vincitore, per cui parea la difesa, o la vendetta essere comandate, divenne segnale d'incendio e di devastazione247. I Saracini della Sicilia, i sudditi di Ruggero, gli ausiliari di Guiscardo, colsero il destro per ispogliare e profanare la santa città de' Cristiani: migliaia di cittadini vennero oltraggiati, trucidati o ridotti in servitù, innanzi agli occhi e per opera de' confederati del loro padre spirituale. Un vasto rione che dal palagio di Laterano al Colosseo si estendea, le fiamme consunsero, sicchè anche ai dì nostri non offre più che un deserto248. Gregorio, abbandonata una città, che lo detestava e più nol temea, andò a terminare nel palagio di Salerno i suoi giorni. Senza dubbio, questo scaltro pontefice, colla lusinga della sovranità di Roma, o della Corona imperiale, Guiscardo adescò; ma un sì periglioso espediente, al certo, giusta ogni apparenza, opportunissimo ad infondere nuovo ardore nell'animo ambizioso del Duca normanno, coll'effettuarsi, avrebbe per sempre alienati dal Pontefice gli animi de' fedeli principi dell'Alemagna.
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Guiscardo liberatore e in un flagello di Roma, avrebbe potuto finalmente darsi al riposo: ma nel medesimo anno che egli aveva veduto fuggire l'Imperator d'Alemagna, il capitano instancabile agli antichi divisamenti delle orientali conquiste fece ritorno. L'entusiastico zelo, o la gratitudine di Gregorio, i regni della Grecia e dell'Asia al costui valore aveva promessi249. Le milizie del Normanno stavano in armi, fatte orgogliose dai buoni successi ottenuti, e preste a cercarne altri in mezzo alle pugne. La principessa Anna, valendosi delle parole di Omero paragona questi soldati ad uno sciame di api250: ma ho già fatto conoscere innanzi che maggior numero di forze il figlio di Altavilla non aveva mai radunate: cento venti navigli vi vollero ad imbarcarle, e innoltrata essendo di molto la stagione, il porto di Brindisi251, alla rada aperta di Otranto ci preferì. Alessio intanto, timoroso di un secondo assalto, a ristorare la marineria dell'Impero si adoperava, oltre al considerabile soccorso di trentasei legni da sbarco, di quattordici galee, e nove galeotte straordinariamente ampie e robuste che dalla Repubblica veneta aveva ottenuto: soccorso abbondantemente ricompensato col privilegio parziale di commercio conceduto alla repubblica, col dono fattole dall'Imperatore di molte botteghe e case nel porto di Costantinopoli, col pagamento di un tributo, tanto più gradevole ai Veneziani, che derivava da una tassa imposta ai cittadini di Amalfi loro rivali. La lega de' Greci coi Veneziani copriva di una squadra nemica il mare Adriatico. Ma fosse negligenza dei confederati, o abilità di Roberto, l'incostanza de' venti, o l'oscurità d'un nebbione, il Duca si aperse un varco, e i Normanni sani e salvi sulla costa d'Epiro sbarcarono. L'intrepido Capitano, comandando venti buone galee si pose immantinente in cerca dell'inimico, e benchè più avvezzo a guerreggiare a cavallo, commise la propria vita, e quella di suo fratello e de' suoi due figli all'evento di una battaglia navale. In tre successive pugne datesi a veggente dell'isola di Corfù, l'impero del mare fu disputato; e l'abilità e il numero de' confederati prevalsero nelle due prime: ma nella terza i Normanni riportarono una vittoria decisiva e compiuta252. Con ignominiosa fuga i brigantini leggieri de' Greci si spersero: più ostinata lotta sostennero le nove Fortezze mobili de' Veneziani; sette mandate a fondo, e due cadute finalmente in potere dell'inimico; duemila cinquecento prigionieri la pietà del vincitore indarno implorarono, e la figlia di Alessio fa ascendere a tredicimila uomini il numero de' Greci, o confederati, che in tale occasione morti rimasero. L'altezza d'ingegno avea tenuto luogo di esperienza a Guiscardo. In ognuna delle sere successive alle azioni, dopo avere sonato a ritratta, esaminava tranquillamente le cagioni della sconfitta, e immaginava nuovi stratagemmi che alla sua debolezza supplissero, e i vantaggi del Greco rendessero vani. Le fazioni marittime il verno sospese: col ritorno di primavera pensò nuovamente ad impadronirsi di Costantinopoli; ma in vece di attraversare i colli dell'Epiro, si trasferì nella Grecia, e nelle città dell'Arcipelago, le cui spoglie un maggior premio alle sue fatiche offerivano; oltrechè, in un tal campo i suoi eserciti di terra e di mare poterono più vigorosamente, e con migliore speranza di buon successo, accordarsi; ma tai disegni turbò un morbo contagioso che si diffuse per tutto il campo normanno nell'isola di Cefalonia, e del quale lo stesso Roberto fu vittima. Egli spirò entro la sua tenda in età di settant'anni: si sparse generalmente la voce che ei morisse avvelenato per opera o della moglie, o del greco Imperatore253. Questa inaspettata morte dà luogo alla immaginazione di spaziare per tutto il corso d'imprese che potevano ancora essere riserbate a Roberto, dall'esistenza del quale, ed è provato abbastanza, la grandezza dei Normanni pendea254. Un esercito vittorioso che non vedea più nemici attorno di sè, si sbandò e si ritrasse in preda al disordine della costernazione, ed Alessio, che palpitava pel proprio Impero credè appena a sè stesso di essere libero dal pericolo. La galea che portava i mortali avanzi di Guiscardo, naufragò alla costa d'Italia: pur questi, avendosi potuto ritirarli, deposti vennero nella tomba di Venosa255, luogo più celebre per essere stata culla di Orazio256, che come sepolcro del guerriero di Normandia. Ruggero, secondogenito e successore di lui, ridotto videsi alla modesta condizione di Duca della Puglia. Fosse stima, o spirito di parzialità, Guiscardo non avea lasciato al prode Boemondo altro retaggio che la sua spada. Le pretensioni di questo turbarono la pubblica tranquillità sino all'istante che la prima Crociata contro i Saracini d'Oriente, un campo più luminoso di gloria e di conquiste gli aperse257.