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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11

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A. D. 1101-1154

E le più splendide, e le più modeste speranze della vita, vanno tutte, e prestamente, a perdersi nella tomba. La discendenza maschile di Roberto Guiscardo, così nella Puglia, come in Antiochia, alla seconda generazione si estinse: ma l'ultimo tra' fratelli di lui, fu il ceppo d'una dinastia di Re, e il figlio del Gran Conte il nome, le conquiste, e il coraggio di Ruggero I eredò258. Nato egli in Sicilia, avea soli quattro anni, allor quando succedè al padre nella sovranità di questa contrada, retaggio che la ragione potrebbe invidiargli, se le fosse permesso un istante il desiderare i fastosi, e spesso chimerici diletti, che dal potere derivano. Se Ruggero si fosse contentato del fertile suo patrimonio, la gratitudine dei popoli avrebbe in lui ravvisato un benefattore, e mercè una saggia amministrazione, riconducendo i bei giorni delle Colonie greche259, potea la Sicilia venire in tanta ricchezza e possanza, quanta è lecito aspettarne dalle più vaste conquiste; ma l'ambizione del Gran Conte così nobili disegni non conoscea, e colle volgari vie della violenza e dell'artifizio pensò a disbramarla. Ansioso di regnar solo in Palermo, di cui la metà al ramo primogenito di sua famiglia aspettavasi, si sforzò di dilatare lo Stato della Calabria oltre i confini stipulati co' primi patti, e spiò con impazienza l'istante che declinasse la salute già debole del suo cugino Guglielmo della Puglia, pronipote di Roberto. Alla prima notizia della morte di esso partitosi Roberto con sette galee da Palermo, e nella baia di Salerno ancoratosi, ricevette, dopo dieci giorni di negoziazione, il giuramento di fedeltà della Capital de' Normanni, costrinse i Baroni a rendergli omaggio, e a concedergli investitura, i Pontefici, male atti a soffrire, così l'amicizia, come la nimistà di un sì poderoso vassallo. Rispettò nondimeno, qual patrimonio di S. Pietro, il territorio di Benevento; ma col ridursi a soggezione Napoli e Capua, mandò a termine i disegni concetti da Guiscardo suo zio, e tutte le conquiste de' Normanni si appropriò. Altero del sentimento della sua possanza e del suo merito, i titoli di Duca e Conte sdegnò, perchè pareagli che la Sicilia congiunta ad un terzo forse del continente d'Italia, potesse formar la base d'un reame260, alle monarchie di Francia e d'Inghilterra solamente inferiore. Ei venne coronato a Palermo, e i Capi della nazione che alla cerimonia assistettero, aveano senza dubbio il diritto di decidere sotto qual nome ei regnerebbe sovr'essi; ma l'esempio d'un tiranno greco, e d'un emiro de' Saracini non bastava a giustificare il suo titolo di monarca al cospetto di nove Re del Mondo latino261, che poteano ricusare di riconoscerlo, finchè la sanzione del Pontefice avesse ottenuta. L'orgoglio di Anacleto concedè di buon grado un titolo che l'orgoglio di Ruggero sottomesso erasi a chiedere262. Ma Anacleto medesimo trovavasi nella circostanza di veder contrastata la propria elezione, perchè nominato erasi un altro Papa sotto nome di Innocenzo II; e intanto che Anacleto stavasi sul Vaticano, il suo fuggitivo, ma più felice, emulo, dalle nazioni europee veniva riconosciuto. La monarchia di Ruggero fu crollata e quasi distratta per l'abbaglio che egli commise nell'eleggersi il protettore ecclesiastico; la spada dell'imperatore Lottario II, le scomuniche d'Innocenzo, le squadre di Pisa, lo zelo di S. Bernardo, alla perdizione del masnadiero della Sicilia si collegarono; onde Ruggero, dopo vigorosa resistenza, scacciato videsi dal continente dell'Italia; e alla cerimonia dell'investitura d'un nuovo Duca della Puglia, il Papa e l'Imperatore, tennero, ciascuno, una falda del gonfalone, per dare a divedere che sosteneano i loro diritti, e i litigi lor sospendeano. Ma durò per poco questa irrequieta amicizia, e le malattie e le diffalte non tardarono a distruggere gli eserciti dell'Alemagna263. Ruggero che di rado perdonava ai nemici, o morti, o vivi che fossero, il Duca della Puglia e tutti i partigiani del medesimo sterminò. Innocenzo, debole quanto vanaglorioso, divenne, al pari di Leone IX, suo predecessore, il prigioniero e l'amico de' Normanni; e la loro riconciliazione trovò per celebrarla l'eloquenza di S. Bernardo, fattosi allora pien di rispetto verso il titolo e le virtù del Re siciliano.

Ad espiare la sacrilega guerra contra il successor di S. Pietro intrapresa, Ruggero avea promesso di inalberare lo stendardo della Croce; nè fu lento nel compiere un voto che ai suoi interessi, e alle mire di sua vendetta si conformava. I recenti oltraggi che sofferti avea la Sicilia, lo sollecitavano a giuste rappresaglie sui Saracini; e i Normanni già unitisi di sangue con tante famiglie di quella antica parte di Grecia rimembrarono, e vogliosi si fecero d'imitare, le imprese marittime di quelli che erano divenuti i loro antenati; laonde nella maturità di lor forze lottarono contro la potenza affricana che allor declinava. Allorchè il Califfo Fatimita si partì per la conquista dell'Affrica, volle ricompensare il merito reale, e la fedeltà apparente di Giuseppe, uno de' suoi ufiziali presentandolo del proprio regio manto, di quaranta cavalli arabi, del suo palagio colle pregiose suppellettili che vi si trovavano, e per ultimo del governo de' regni di Tunisi e di Algeri. I Zeiridi264, discendenti di Giuseppe, dimenticando la sommessione e la gratitudine che a questo lontano benefattore dovevano, si erano impadroniti della suprema possanza, ed abusati del frutto di loro prosperità; già volgeano allo scadimento, dopo essersi mostrati, nè con abbagliante splendore, fra le dinastie d'Oriente. Oppressi per terra dagli Almoadi, principi fanatici di Marocco, vedeano le loro rive esposte alle correrie de' Greci e de' Franchi, che prima del finire dell'undicesimo secolo li sottoposero ad un tributo di dugentomila piastre d'oro. Le prime geste di Ruggero unirono alla Corona di Sicilia lo scoglio di Malta, che una colonia religiosa e militare in appresso illustrò; assalì indi Tripoli265, piazza forte situata sulla costa, ove trucidati i maschi, ridusse le donne a schiavitù: ma fa d'uopo ricordarsi che spesse volte i Musulmani egualmente della vittoria abusarono. La capitale de' Zeiridi nomavasi Affrica, come il paese, detta però talvolta Mahadia266, dal nome dell'Arabo che gettate ne aveva le fondamenta: città forte e fabbricata sull'Istmo; ma la fertilità della circostante pianura all'imperfezione del porto è lieve compenso. Giorgio, ammiraglio di Sicilia assediò Mahadia con una squadra di cencinquanta galee, di soldati e di strumenti da guerra ben provvedute. Già il sovrano avea presa la fuga, e ricusato il Governatore moro di capitolare; ma temendo avventurarsi all'ultimo assalto, fuggì secretamente coi Musulmani abbandonando ai Franchi i tesori e la città. Il Re di Sicilia e i suoi luogotenenti soggiogarono in diverse spedizioni Tunisi, Saface, Capsia, Bona, e una lunga estensione di littorale267; vennero posti presidj nelle Fortezze, assoggettata a tributo la contrada, onde non mancò apparenza di verità all'adulazione, allor quando asserì che la spada di Ruggero teneva Affrica sotto il giogo268. Ma lui morto, questa spada si ruppe e sotto il tempestoso regno del suo successore, i possedimenti oltramarini della Sicilia269, vennero trascurati, o abbandonati, o perduti. I trionfi di Scipione e di Belisario, hanno dimostrato non essere nè inaccessibile nè invincibile l'Affrica; pur grandi principi della Cristianità che possono gloriarsi della rapidità di loro conquiste, e della loro dominazione sulla Spagna, nel volersi armar contra i Mori incagliarono.

 

A. D. 1146

Dopo la morte di Roberto Guiscardo, i Normanni dimenticarono per sessanta anni i lor divisamenti sull'Impero di Costantinopoli. L'accorto Ruggero sollecitò, appo i greci principi, alleanze politiche e domestiche, che meglio il suo titolo di Re rialzassero; e chiesta in nozze una donzella della famiglia Comnena, le prime negoziazioni un esito favorevole prometteano. Ma il disprezzo con cui vennero accolti gli ambasciatori di Sicilia in Costantinopoli, irritò la vanità di Ruggero, e, giusta le leggi delle nazioni, un popolo innocente portò la pena dell'alterigia della Corte di Bisanzo270. L'ammiraglio siciliano, Giorgio, passò dinanzi a Corfù con una squadra di settanta galere. Poco affezionati alla Corte che governavali, e istrutti dall'esperienza che un tributo è meno disastroso ancor d'un assedio, quegli abitanti, posero la capitale e l'isola intera nelle mani de' conquistatori. Durante siffatta invasione, non indifferente negli annali del commercio, i Normanni si diffusero sul Mediterraneo e sulle province della Grecia; nè la rispettabile vetustà di Atene, di Tebe e di Corinto, oppose argine alla rapina, e alla crudeltà de' vincitori. Niun monumento della devastazione che Atene sofferse, è pervenuto insino a noi. I Latini scalarono le antiche mura, che ricigneano, senza difenderle, le ricchezze di Tebe, e i vincitori si ricordarono sol del Vangelo, per farlo mallevadore del giuramento a cui costrinsero i legittimi proprietarj di non avere sottratto alcun tesoro alla rapacità degl'invasori. All'avvicinar de' Normanni, la città bassa di Corinto rimase vota d'abitatori; i Greci si ripararono alla rocca, situata sopra un'eminenza, d'onde versava copiose le sue acque la fonte di Pirene, cotanto nota agli amatori dell'antica Letteratura; rocca invincibile, se i vantaggi dell'arte e della natura, la mancanza di valore potessero compensare. Gli assedianti non durarono altra fatica che inerpicarsi sulla collina: il loro generale, maravigliato egli medesimo della sua vittoria, ne manifestò al Cielo la propria gratitudine collo strappar dall'altare una immagine preziosa di S. Teodora, avvocata della Fortezza. La parte più preziosa del bottino si stette in fabbricatori di seta d'entrambi i sessi, che Ruggero nella Sicilia inviò; nella qual circostanza, instituendo confronto tra l'abile industria di quegli artigiani, e la dappocaggine de' suoi soldati, esclamò essere la rocca e il telaio le sole armi cui trattar sapessero i Greci. Due segnalati avvenimenti questa spedizione marittima contraddistinsero; la liberazione d'un Re di Francia, e l'insulto che a Costantinopoli i navigli Siciliani inferirono. I Greci avendo, contra tutte leggi di religione e d'onore, ritenuto prigioniero Luigi VII di ritorno dalla sua mal augurosa crociata, la flotta normanna lo incontrò, e toltolo di mano a costoro, alla Corte di Sicilia onorevolmente il condusse, d'onde poi, passando per Roma, a Parigi si trasferì271. Essendo altrove l'Imperator greco, indifesi trovavansi nè si credeano in sicurezza Costantinopoli e l'Ellesponto. Le galee siciliane venute a gittar l'áncora dinanzi all'imperiale città, il clero e il popolo empierono di spavento: soldati non eranvi, per aver questi seguite le bandiere di Manuele. Certamente l'ammiraglio Siciliano non trovavasi in forze bastanti per assediare o prender d'assalto una sì grande metropoli: ebbe nulla meno la soddisfazione di umiliare la greca arroganza, e di additare ai navigli di occidente il cammino della vittoria. Sbarcata una parte di truppe che devastarono i giardini imperiali, armò di punte d'argento, o cosa più verisimile, di sostanze ardenti le frecce che contro il palagio de' Cesari vennero lanciate272. Manuele finse non curare questo disadatto scherzo de' corsari della Sicilia, che un istante di sorpresa e di negligenza avea favorito; ma il suo coraggio e le sue forze, preste erano alla vendetta. Dalle squadre greche e veneziane coperti vidersi l'Arcipelago e il mar Ionio; nondimeno non so quanti legni da sbarco, quanti carichi di munizioni, quante lancio fosse d'uopo supporre, per adattare la ragion nostra, o anche i calcoli della nostra immaginazione, a quelli dello Storico di Bisanzo, che fa ascendere a mille e cinquecento il numero de' navigli messi in mare in tal circostanza. L'Imperatore, con molta saggezza e vigorìa, regolò questa impressa; onde l'ammiraglio Giorgio, costretto a ritirarsi, perdè diciannove galee, molte delle quali caddero in potere dell'inimico. Corfù, dopo essersi ostinatamente difesa, la clemenza del suo legittimo sovrano implorò, e d'allora in poi non vi fu tra i limiti del greco impero un naviglio, o un soldato del Principe siciliano, che prigioniero non divenisse. Declinavano del pari la fortuna e la salute di Ruggero, cui pervenivano, in fondo del suo palagio, alternativi messaggi di vittorie e sconfitte, intanto che l'invincibile Manuele, primo sempre alla pugna, venia riguardato dai Greci e dai Latini, come l'Alessandro, o l'Ercole del suo secolo.

A. D. 1155

Ad un principe di siffatta indole non potea bastare l'aver rispinto un barbaro ardimentoso. Il suo dovere e la cura di mantenere i proprj diritti, forse anche il suo interesse e la sua gloria, gli prescrivevano tornar in onore l'antica maestà dell'Impero; e ricuperando le province dell'Italia e della Sicilia, punire questo preteso Re, pronipote d'un vassallo normanno273. I nativi della Calabria sempre affezionati mostravansi alla lingua e alla religione de' Greci, che il clero latino avea severamente abolite. Estinta la prima linea dei duchi della Puglia, il Re di Sicilia pretendea che, qual pertenenza di sua Corona, questa provincia si riguardasse; il fondatore della monarchia siciliana aveala retta coll'armi, e col morire di lui sminuì la tema de' suoi sudditi; i loro mali umori non si dileguarono. Il Governo feudale racchiudeva non pochi germi di ribellione, e un nipote di Ruggero chiamò, egli stesso, in Italia i nemici della sua famiglia e della sua patria. La dignità della porpora, e una sequela di guerre contra gli Ungaresi ed i Turchi avendo impedito a Manuele di condurre in persona la spedizione italiana, affidò al valoroso e nobile Paleologo la flotta e l'esercito dell'Impero. Questi fece sua prima impresa l'assedio di Bari, in ogni occasione giovatosi, e con buon sucesso così del ferro, come dell'oro. Salerno, e alcune città della costa occidentale, serbaronsi fedeli al Re normanno, che nondimeno, in due azioni campali, perdè la maggior parte delle terre possedute sul Continente; e il modesto imperatore de' Greci, disdegnando l'adulazione e la menzogna, si appagò di udir celebrata la riduzione di trecento città, o villaggi della Puglia o della Calabria, i cui nomi e titoli sovra ogni parete del palazzo vennero impressi. Per servire alle pregiudicate opinioni dei Latini, venne ad essi mostrata una donazione, o vera, o falsa de' Cesari dell'Alemagna274; ma il successore di Costantino vergognando subitamente di un tale pretesto, fece valere i suoi diritti inalienabili sull'Italia, protestando voler confinati i Barbari di là dall'Alpi. Le città libere, incoraggiate dai seducenti discorsi, dalle liberalità, e dalle illimitate promesse di Manuele loro confederato, perseverarono in un generoso resistere contra il dispotismo di Federico Barbarossa: l'Imperatore di Bisanzo pagò le spese delle rifabbricate mura di Milano, e versò, dice uno Storico, fiumi d'oro nella città di Ancona confermata nel suo affetto ai Greci dal geloso odio che i Veneziani portavanle275. Il commercio di Ancona, e la giacitura posta nel cuor dell'Italia, la rendeano importante piazza, che le truppe di Federico assediarono per due volte, sempre respinte dal coraggio che dall'amor di libertà viene inspirato. Oltrechè, questo amore mantengano e gli ufizj dell'ambasciatore di Costantinopoli, e gli onori e le ricchezze di cui, come a fedelissimi amici, largiva la Corte di Bisanzo agli Anconitani più intrepidi e più zelanti per la lor patria276. Manuele nell'orgoglio suo disdegnava un Barbaro per collega, e la sua ambizione era invigorita dalla speranza di togliere la porpora agli usurpatori dell'Alemagna, e di assodare in Occidente come in Oriente il suo legittimo titolo di solo imperator de' Romani. Fermo in tale divisamento, chiamò seco in lega il popolo e il vescovo di Roma. Molti Nobili le parti di lui abbracciarono. Le nozze di una sua nipote con Odono Frangipani, lo fecero sicuro dei soccorsi di questa potente famiglia277: l'antica metropoli dell'Impero accolse con rispetto gli stendardi e le immagini di Manuele278. Durante la querela tra Federico e Alessandro III, il Papa ricevè due volte in Vaticano gli ambasciatori di Costantinopoli: ed or venia lusingata la pietà del Pontefice col dimostrargli possibile l'unione delle due Chiese da così lungo tempo promessa, or eccitata la cupidigia della venale sua Corte; or esortavasi Alessandro III a vendicare le proprie ingiurie, e a profittare del favorevol momento per deprimere la feroce tracotanza degli Alemanni, e riconoscere il vero successore di Costantino e di Augusto279.

 

Ma queste conquiste in Italia, questo regno universale erano chimere che ben tosto svanirono. Le prime inchieste di Manuele fece vane la prudenza di Alessandro III, che calcolò le conseguenze d'un cambiamento così importante280; nè una disputa, sol personale, valse per indurre il Papa a spogliarsi del retaggio perpetuo del nome latino. Riconciliatosi una volta con Federico, più chiaramente si espresse; confermò gli atti de' suoi predecessori; scomunicò i partigiani dell'Imperator greco; la separazione definitiva delle due Chiese, o almeno degli Imperatori di Roma e di Costantinopoli, pronunziò281. Le città libere della Lombardia avendo prestamente dimenticato lo straniero loro benefattore, il monarca di Bisanzo si vide esposto all'odio de' Veneziani, nè l'amicizia di Ancona si conservò282. Fosse per principio di avarizia, o così mosso dalle rimostranze de' sudditi, fece imprigionare i trafficanti veneziani e le cose lor confiscare; la qual violazione della fede pubblica, un popolo libero e dedito al commercio irritò. Cento galee allestite ed armate in tre mesi, tribolarono le coste della Dalmazia e della Grecia: ma dopo scambievoli perdite, la guerra fu terminata con un aggiustamento poco glorioso all'Impero, alla repubblica di Venezia poco piacevole: ai Veneziani della successiva generazione era serbato il vendicare compiutamente le antiche ingiurie che nuove ingiurie ancora aggravarono. Il luogotenente di Manuele avea fatto giungere alla sua Corte queste notizie, essere egli in forza bastantemente per estinguere le ribellioni della Puglia e della Calabria, ma non per resistere al Re di Sicilia, in procinto già d'assalirlo: predizione che non tardò a verificarsi. La morte di Paleologo fu cagione che si ripartisse il comando fra diversi Capi eguali tutti di grado, e tutti egualmente di militar sapere sforniti; vinti per terra e per mare i Greci, que' prigionieri che all'acciaro de' Normanni e de' Saracini poterono sottrarsi, abbiurarono ogni specie di ostilità contro la persona e gli Stati del lor vincitore283. Ciò nullameno il Re di Sicilia apprezzava la perseveranza e il coraggio di Manuele, giunto a sbarcare un secondo esercito ai lidi d'Italia: onde indirigendo rispettose proposte al novello Giustiniano, sollecitò una pace, o una tregua di trent'anni, accettando, come favore, il titolo di Re, e vassallo militare dell'Impero Romano riconoscendosi284. I Cesari di Bisanzo a questo fantasma di dominazione si accomodarono, senza bramar forse mai l'opera de' Normanni, onde la tregua di trent'anni da alcun atto ostile fra la Sicilia e Costantinopoli non fu turbata. E stava per terminare la tregua, allorchè usurpò il trono di Manuele un barbaro tiranno, orrore del suo paese e del Mondo: un principe fuggitivo della famiglia Comnena armò in suo favore Guglielmo II, pronipote di Ruggero; e i sudditi di Andronico non vedendo nel lor padrone che un nemico pericolosissimo, accolsero, come amici, i Normanni. Gli Storici latini si diffondono raccontando285 il rapido progresso de' quattro Conti che invasero la Romania, e molte castella e città al Re di Sicilia sommisero; i Greci286 narrano esagerando le crudeltà licenziose e sacrileghe commesse nel saccheggio di Tessalonica, seconda città dell'Impero. I primi deplorano la morte di que' guerrieri invincibili, e pieni di buona fede che per gli artifizj di un vinto nemico perderon la vita: celebrano con canto di trionfo i secondi le moltiplici vittorie de' lor concittadini e sul mar di Marmora o Propontide, e sulle rive dello Strimone, e sotto le mura di Durazzo. Un cambiamento politico che punì le colpe d'Andronico, unì contra i Franchi lo zelo e il coraggio dei Greci: e diecimila Normanni rimasero morti sul campo della battaglia, e di quattromila d'essi prigionieri potè valersi a grado della sua vanità, o della sua vendetta, Isacco l'Angelo, il nuovo imperatore. Tal fu l'esito dell'ultima guerra fra i Greci e i Normanni: venti anni dopo, le nazioni rivali erano sparite, o sotto straniero giogo gemeano, e i successori di Costantino non durarono assai lungo tempo per allegrarsi sulla caduta della monarchia siciliana.

A. D. 1054

Lo scettro di Ruggero passò successivamente nelle mani del figlio e del pronipote di lui, conosciuti entrambi col nome di Guglielmo, ma contraddistinti dai soprannomi opposti di Cattivo e di Buono; nondimeno questi due predicati che indicar sembrano i due estremi del vizio e della virtù, nè all'uno, nè all'altro de' due principi convenevolmente si adattano. Allorchè il pericolo e la vergogna costrinsero il primo a ricorrere all'armi, non tralignò dal valore de' suoi maggiori: ma debole ne era l'indole, dissoluti i costumi, ostinate e funeste le passioni, ed ha avuto taccia presso la posterità, non solamente delle colpe sue personali, ma di quelle di Maio, suo Grande Ammiraglio, che abusò, prima della confidenza del suo benefattore, poi contra i giorni del medesimo cospirò. La Sicilia, dopo la conquista degli Arabi, molte tracce delle costumanze orientali offeriva; vi si trovava il dispotismo, la pompa e fino gli harem convenienti ad un Sultano; onde una nazion di Cristiani vedeasi oppressa e oltraggiata da eunuchi, che apertamente, o in segreto, professavano la religione di Maometto. Un eloquente storico di Sicilia287 ha dipinti i costumi del suo paese288, la caduta dell'ingrato Maio, la ribellione e il gastigo de' suoi assassini, la prigionia e la liberazione del medesimo Re, le guerre particolari che partorirono i disordinamenti dello Stato, e le scene di calamità e di discordie che afflissero la Capitale, sotto il regno di Guglielmo I e la minorità di suo figlio. La giovinezza, l'innocenza e la beltà di Guglielmo II289 amar lo fecero dalla nazione; le fazioni si riconciliarono, ripresero vigore le leggi, e dal punto in cui questo soave principe pervenne a virile età sino a quello della immatura sua morte, la Sicilia godè un breve intervallo di pace, di giustizia e di felicità, cose che ella apprezzò tanto più per la ricordanza delle passate calamità, e per tema delle future. Colla morte di Guglielmo II, si spense la posterità maschile legittima di Tancredi di Altavilla; ma la zia di Guglielmo, figlia di Ruggero, avea sposato il più possente principe del suo secolo; onde Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, scese le Alpi, pretendendo la Corona imperiale e il retaggio della moglie sua. Respinto dal voto unanime di un popolo libero, sol colla forza potè ottenere l'intento. Mi è aggradevole il trascrivere i pensieri e le parole dello Storico Falcando, che sul luogo, e nell'istante degli avvenimenti, scrivea coll'anima di un vero amico della sua patria, e colla sagacità profetica d'un uomo di Stato. «Costanza, sin dalle fasce, educata nella copia delle tue delizie, o Sicilia, cresciuta colle tue istituzioni, colle tue dottrine, co' tuoi costumi, ti abbandonò per portare fra i Barbari i tuoi tesori: ed or fa ritorno con uno sciame di costoro per contaminare di barbarica laidezza i fregi della sua patria nutrice. Già mi sembra vedere le turbolente falangi de' nostri tiranni, empir di terrore, devastar colla strage, stremar colle rapine, deturpare colle dissolutezze queste doviziose città e questi paesi per lunga pace fiorenti. Vedo l'eccidio, o la cattività de' nostri cittadini, le nostre vergini e le nostre matrone in preda ai soldati290. In tale estremità (si fa quindi ad interrogare un amico) che operar debbono i Siciliani? l'elezione unanime di un re valoroso ed esperto può salvare ancora la Calabria e la Sicilia291, perchè la leggierezza de' Pugliesi, sempre avidi di politici cambiamenti, nè confidenza, nè speranza m'inspira292. Se noi perdiamo la Calabria, le alte torri, la numerosa gioventù e i navigli di Messina293 basteranno per arrestare i masnadieri: ma se i Selvaggi della Germania si collegano coi messinesi pirati, se portano la fiamma in questa fertile regione, già spesso assai travagliata dalle lave dell'Etna294, qual difesa rimane alle parti interne dell'Isola, a quelle belle città, che il piè nemico di un Barbaro non dovrebbe mai profanare295? Un tremuoto ha di bel nuovo rovesciata Catania, le antiche virtù di Siracusa languiscono nella solitudine e nella povertà296; ma Palermo ha conservato il suo ricco diadema, e le sue triplici mura racchiudono una moltitudine, di Cristiani e di Saracini, ardenti in difenderla. Se le due nazioni, sollecite della comune lor sicurezza, si uniscono sotto un medesimo re, potranno far impeto sui Barbari con forze invincibili: ma se i Musulmani, stanchi di una lunga serie d'ingiustizie si ritirassero, e facessero sventolare lo stendardo della ribellione, se s'impadronissero de' castelli, delle montagne e della costa marittima, gli sciagurati Cristiani, esposti a doppio assalto, e quasi posti fra l'incude e il martello, costretti sarebbero a rassegnarsi ad inevitabile servitù297.» A tale proposito non debbe omettersi di osservare essere un prete che antepone il suo paese alla sua religione, e che i Musulmani, co' quali cotest'uomo voleva una lega, erano ancora numerosi e potenti nella Sicilia.

Il Falcando vide compiersi la prima parte delle sue speranze, o almen de' suoi voti. I Siciliani con voce unanime, conferirono lo scettro a Tancredi, pronipote del primo Re, illegittimo di nascita, ma dotato di virtù civili e militari, che senza alcuna macchia splendeano. Egli trascorse i quattro anni del suo regno sul confin della Puglia, ove l'esercito de' nemici fermò; e restituì agli Alemanni una prigioniera di sangue reale, la stessa Costanza, senza farle soffrire alcun cattivo trattamento, e senza pretendere riscatto; generosità che oltrepassava forse i limiti permessi dalla politica e dalla prudenza. Dopo la morte di Tancredi, la moglie e il figlio di lui, in tenera età, senza resistenza perdettero il trono. Enrico marciò vincitore da Capua a Palermo, e le vittorie di lui, l'equilibrio dell'Italia annientarono; laonde i Papi e le città libere, se avessero conosciuti i loro veri interessi, si sarebbero adoperati con tutti i modi spirituali e temporali, ad impedire la pericolosa unione del regno di Sicilia all'Impero d'Alemagna; ma quella accortezza del Vaticano, sì di frequente lodata, o accusata, in tal momento fu cieca o inoperosa; e se fosse vero che Celestino III, con un calcio buttò via dal capo di Enrico III, prostratosi dinanzi a lui, la Corona imperiale298, un tale atto di impotente orgoglio, non avrebbe avuta altra conseguenza, che sciogliere lo stesso Imperatore da ogni riguardo di gratitudine, e farlo nemico alla Chiesa. I Genovesi che aveano in Sicilia una fattoria, al lor commercio vantaggiosissima, porsero orecchio alle proposte di Enrico, convalidate dalla promessa di un limitato guiderdone, e di una pronta partenza299. I vascelli genovesi che comandavano lo stretto di Messina, apersero il porto di Palermo all'Imperatore; della cui amministrazione fu primo atto l'abolire i privilegi, e impadronirsi delle proprietà di questi imprudenti confederati. La discordia de' Cristiani e de' Musulmani, deluse l'ultimo voto che il Falcando avea concepito: perchè questi si battettero in seno della Capitale, nel qual fatto più migliaia di Maomettani perirono; quelli che si sottrassero alla morte, riparatisi nelle montagne, per trenta e più anni, turbarono la pace dell'Isola. Federico II trapiantò sessantamila Saracini a Nocera, Cantone della Puglia; e così egli, come Manfredo figlio di lui, nelle loro guerre contra la Chiesa Romana, adoperarono il vergognoso soccorso de' nemici di Cristo; per lo che questa colonia di Musulmani, conservò in mezzo all'Italia, la sua religione e i suoi costumi, sino al terminarsi del decimoterzo secolo, allorchè la vendetta e l'entusiasmo della casa di Angiò la distrusse300. La crudeltà e l'avarizia dell'Imperatore, oltrepassarono tutti i flagelli che avea predetti il Falcando. L'avidità di questo Principe il trasse a violare le tombe dei Re, e a cercare per ogni banda i nascosti tesori del palagio e del regno. Oltre alle perle e ai diamanti, facili ad essere trasportati, sopra censessanta cavalli si caricarono l'oro e l'argento della Sicilia301. Il giovine Re, la madre di lui, le sorelle, i Nobili d'entrambi i sessi vennero separatamente imprigionati nelle Fortezze dell'Alpi, e al menomo sentore di ribellione, i prigionieri perdeano o la vita, o gli occhi, o gli organi della virilità. A tante sventure della sua patria fu commossa anche Costanza; e questa erede della schiatta de' Normanni, molti sforzi operò per frenare il dispotismo del marito, e per salvare il patrimonio del figlio suo, nato allor di recente di quell'Imperatore, e che fu nella successiva età sì famoso, sotto nome di Federico II. Dieci anni dopo questa politica vicissitudine, i Re di Francia, il ducato di Normandia alla lor Corona congiunsero; lo scettro degli antichi Duchi, per via di una pronipote di Guglielmo il Conquistatore, alla Casa dei Plantageneti pervenne; onde questi prodi Normanni, che tanto numerosi trofei nella Francia, nell'Inghilterra, nella Irlanda, nella Puglia e nella Sicilia innalzarono, per le conseguenze della vittoria, o della servitù, si trovarono colle nazioni vinte confusi.

258I Regni di Ruggero e dei Re normanni della Sicilia, tengono quattro libri della Istoria civile del Giannone (t. II, l. XI-XIV, p. 136-140), e trovansi qua e là descritti nel nono e decimo volume degli Annali del Muratori. La Biblioteca Italica (t. I, pag. 175-222) contiene un compendio molto utile delle opere del Capecelatro, moderno Napoletano, che ha pubblicati due volumi sulla storia del suo paese, incominciando da Ruggero I e venendo inclusivamente a Federico II.
259Giusta le testimonianze di Filisto e di Diodoro, Dionigi tiranno di Siracusa manteneva un esercito di diecimila uomini a cavallo, di centomila fantaccini e di quattrocento galee. Si confrontino l'Hume (Saggi, v. I, p. 268-435) e il Wallace, avversario di questo istorico, (Numbers of Mankind, p. 306-307). Tutti i viaggiatori, D'Orville, Reidesel, Swinburne, ec. parlano delle rovine d'Agrigento.
260Un autore contemporaneo che descrive le azioni di Ruggero, dall'anno 1127 all'anno 1135, fonda i titoli di questo principe sul merito e sulla possanza del medesimo, sul consenso de' Baroni, e sull'antichità della monarchia di Palermo e della Sicilia, senza far parola della investitura di Papa Anacleto (Alexand. caenobii Telesini abbatis de rebus gestis regis Rogerii, l. IV, in Muratori, Script. rerum ital., t. V, p. 607-645).
261I Re di Francia, d'Inghilterra, di Scozia, di Castiglia, di Aragona, di Navarra, di Svezia, di Danimarca e di Ungheria. Il trono de' primi tre era assai più antico di quello di Carlomagno. Fra i sei successivi, i tre primi aveano fondate colla spada, i tre ultimi col battesimo le loro monarchie. Il Re d'Ungheria era il solo che avesse avuto l'onore, o l'affronto di ricevere dal Papa la propria corona.
262Fazello, e una folla d'altri Siciliani, hanno immaginata una incoronazione precedente di alcuni mesi, alla quale nè il Papa, nè l'Imperatore avrebbero avuta parte (A. D. 1130, 1 maggio). Il Giannone a proprio malgrado la nega (t. II, p. 137-144): il silenzio dei contemporanei dismentisce una tal favola, nè vale a sostenerla un preteso chirografo di Messina. (Muratori, Annali d'Italia, t. IX, p. 340; Pagi, Critica, t. IV, p. 467, 468).
263Ruggero corruppe il secondo ufiziale dell'esercito di Lottario, il quale fece sonare a ritratta, o piuttosto gridò alle truppe di ritirarsi: perchè gli Alemanni, aggiugne il Cinnamo (l. III, c. I, p. 51) non conoscono l'uso delle trombe. Nell'asserire la qual cosa, ci mostra di non conoscere egli medesimo gli usi de' popoli che ha descritti.
264V. De Guignes, Hist. génér. des Huns, t. I, p. 369-373, e Cardonne, Hist. de l'Afrique, etc., sous la domination des Arabes, t. II, p. 70-140. Sembra che questi due autori abbiamo preso Novairi per loro guida.
265Tripoli (dice il Geografo di Nubia, o parlando con più esattezza il Seriffo al Edrisi) urbs fortis, saxeo muro vallata, sita prope littus maris. Hanc expugnavit Rogerius, qui mulieribus captivis ductis, viros peremit.
266V. la Geografia di Leone l'Affricano (in Ramusio, t. I, fol. 74, vers. fol. 75 recto) e i Viaggi di Shaw (p. 110); il settimo libro del presidente De Thou, e l'undecimo dell'Abate di Vertot. I cavalieri di Malta ebbero la saggezza di rifiutare questa piazza, che Carlo V offeriva loro a condizione di difenderla.
267Il Pagi ha indicate con esattezza le conquiste di Ruggero nell'Affrica: e l'amico di lui, l'abate di Longuerue, ne illustrò le osservazioni con alcune Memorie arabe (A. D. 1147, n. 26, 27; A. D. 1148, n. 16: A. D. 1153, n. 16).
268Appulus et Calaber, Siculus mihi servit et Afer. Orgogliosa iscrizione, dalla quale apparisce che i vincitori normanni veniano sempre contraddistinti dai lor sudditi Cristiani e Musulmani.
269Ugone Falcando (Hist. Sicula, in Muratori, Script., t. VII, p. 270, 271) attribuisce tali perdite alla negligenza, o alla perfidia dell'ammiraglio Maio.
270Al silenzio degli Storici siciliani, che finiscono troppo presto, o cominciano troppo tardi, possono supplire Ottone di Fraysingen (De gest. Freder. I, l. I, c. 33, in Muratori, Scriptor., t. VI, pag. 668), il veneziano Andrea Dandolo (Id., t. XII, p. 282, 283) e gli Autori greci, Cinnamo (l. III, c. 2-5) e Niceta (in Manuel. l. II, c. 1-6).
271Credo riferirsi alla prigionia e alla liberazione di Luigi VII il παρ ελιγον ηλθε του αλωναι, venne dall'essere prigioniero per poco tempo, di Cinnamo l. II, c. 19, p. 47. Il Muratori, fondandosi sopra assai valevoli testimonianze (Ann. d'Ital. t. IX, p. 420, 421), si fa beffe del dilicato riguardo di alcuni autori Francesi i quali asseriscono marisque nullo impediente periculo ad regnum proprium reversum esse; del rimanente il loro difensore Ducange, a quanto osservo, si mostra meno asseverante nel comentare Cinnamo che allorquando presenta l'edizione del Joinville.
272In palatium regium sagittas igneas injecit, dice Dandolo; ma Niceta (l. II, c. 8, p. 66) trasforma queste frecce in Βελη αργντεους εχοντα ατρακτους, frecce che aveano la punta d'argento; aggiugnendo che Manuele qualificava un tale oltraggio co' vocaboli παιγνιον, γελωτα… γηστευοντα, puerili, ridicoli… da ladroni. Un compilatore, Vincenzo di Beauvais, dice che queste frecce erano d'oro.
273V. intorno all'invasione dell'Italia, argomento quasi disdegnato da Niceta, la più accurata storia del Cinnamo (l. IV, c. 1-15, p. 78-101). Quest'ultimo si fa strada ad una diffusa narrazione con questo pomposo proemio, περι της Σικελιας τε, και της Ιταλων εσηεπτετολης, ως και γαυτας Ρωμαιοις ανασωσαιτο, fu veduto intorno alla Sicilia, e all'Italia, inteso a restituire a Roma anche quelle province.
274Un Autore latino, Ottone (De gestis Friderici I, l. II, c. 30, p. 734), attesta essere stato finto un tal documento. Il Greco Cinnamo (l. I, c. 4, p. 78) fa valere una promessa di restituzione di Corrado, o di Federico. Una frode è sempre credibile quando viene attribuita ai Greci.
275Quod Anconitani graecum imperiunt nimis diligerent… Veneti speciali odio Anconam oderunt. I beneficia e il flumen aureum dell'Imperatore erano la cagione di questo effetto, e forse ancora di una tal gelosia. Il Cinnamo (l. IV, c. 14) conferma la narrazione latina.
276Il Muratori fa menzione di due assedj di Ancona. Il primo nel 1167, sostenuto contra Federico I, che combattè in persona (Ann., t. X, p. 39 ec.), il secondo nel 1173, contra l'arcivescovo di Magonza, luogotenente di questo principe, prelato indegno del suo titolo e delle sue cariche (p. 76 ec.). Le Memorie pubblicate dal Muratori nelle sua grande Raccolta (t. VI, p. 921-946) al secondo assedio si riferiscono.
277Questa circostanza abbiam ricavata da una Cronaca anonima del Fossa Nova, pubblicata dal Muratori (Script. ital., t. VII, p. 874).
278Il βασιλειος σημειον, segno regio, del Cinnamo (l. IV, c. 14, pag. 99) ammette due spiegazioni. Uno stendardo si conforma meglio ai costumi de' Latini, una immagine a quelli de' Greci.
279Nihilominus quoque petebat, ut quia occasio justa et tempus opportunum et acceptabile se obtulerant, romani corona imperii a sancto apostolo sibi redderetur; quoniam non ad Frederici Alamanni, sed ad suum jus asseruit pertinere (vit. Alexandri III a cardinal. Aragoniae, in Script. rer. ital., t. III, part. I, p. 458). Egli partì per la sua seconda ambasceria, cum immensa multitudine pecuniarum.
280Nimis alta et perplexa sunt (vit. Alexandri III, p. 460, 461), dicea il circospetto Pontefice.
281Μηδεν γεσον ειναι λεγλν Ρωμη τη νεοτερα προς την πρεσβυτεραν παλαι απορραμεισωέ, dicendo non essere alcuna differenza dalla nuova Roma in confronto all'antica, dopo averle divise. (Cinnamo, l. IV, c. 14, p. 99).
282Il Cinnamo nel suo sesto libro descrive la guerra di Venezia, che Niceta non ha giudicata degna della sua attenzione. Il Muratori porta all'anno 1171 e successivi alcune particolarità che riguardano gl'Italiani, e che non hanno un vezzo generale per noi.
283Romualdo di Salerno (in Muratori, Scr. Ital., t. VII, p. 198) fa menzione di una tale vittoria. Ella è cosa assai singolare che il Cinnamo (l. IV, c. 13, p. 97, 98) si mostri più animato del Falcando, e racconti particolarità omesse da questo Storico (p. 208, 270) nel far l'encomio del Re di Sicilia. Ma l'Autore greco amava le descrizioni, e il Latino non amava Guglielmo il Cattivo.
284V. intorno alla lettera di Guglielmo I, il Cinnamo (l. IV, c. 15, p. 101, 102) e Niceta (l. II, c. 8). Sarebbe cosa malagevole il decidere, se i Greci s'ingannassero eglino stessi, o volessero ingannare il Pubblico con queste adulatrici descrizioni della grandezza dell'Impero.
285Non posso citare a tal luogo altre originali testimonianze fuor delle miserabili cronache di Sicardo di Cremona (p. 603), e del Fossa Nova (p. 875) che leggonsi nel settimo volume storico del Muratori. Il Re di Sicilia inviò le sue truppe contra nequitiam Andronici… ad acquirendum imperium C. P. I soldati del medesimo furono capti aut confusi… decepti, captique da Isacco.
286Ne manca qui il soccorso del Cinnamo, e ci vediamo ridotti a Niceta (Andronico, l. I, c. 7, 8, 9, l. II, c. 1, Isacco l'Angelo, l. I, c. 1-4) che diviene un contemporaneo di molto peso. Avendo egli scritto dopo la caduta dell'Imperatore e dell'Impero non è trascorso in adulazioni: ma il disastro di Costantinopoli inacerbisce la sua nimistà contro i Latini. Noterò qui ad onore della letteratura che Eustazio, arcivescovo di Tessalonica, il famoso comentatore di Omero, ricusò di abbandonare il suo gregge.
287La Historia Sicula di Ugone Falcando che, per parlare aggiustatamente procede dall'anno 1154 all'anno 1169, trovasi nel settimo volume della Raccolta del Muratori (p. 259-344), ed è preceduta (p. 251-258) da una Prefazione, o eloquente lettera de calamilatibus Siciliae. Il Falcando è stato soprannomato il Tacito della Sicilia, e, salva l'immensa differenza che passa fra il primo secolo, e il dodicesimo, tra un senatore ed un frate, non disputerò al Falcando un simile onore. Rapida e chiara ne è la narrazione, coraggioso ed elegante lo stile, sensatissime le osservazioni: conoscea gli uomini, e cuore d'uomo egli avea. Spiacemi soltanto che abbia spese le sue fatiche sopra un terreno tanto sterile, ed esteso sì poco.
288I laboriosi Benedettini pensano (Art de vérifier les Dates, p. 896) che il vero nome di Falcando sia Fulcandus, o Foucault. A loro avviso, Ugo Foucault, francese d'origine, che divenne in appresso Abate di S. Dionigi, avea seguìto in Sicilia il suo protettore, Stefano De La Perche, zio della madre di Guglielmo II, arcivescovo di Palermo, e Gran Cancelliere del regno. Ciò nullameno il Falcando ha tutti i sentimenti di un Siciliano, e il titolo di Alumnus che egli si attribuisce da sè medesimo, sembra indicare che egli sia nato, o almeno allevato nell'Isola.
289(Falcando p. 303). Riccardo di S. Germano incomincia la sua Storia dal narrare la morte, e dal far gli encomj di Guglielmo II. Dopo alcuni epiteti che non significano nulla, aggiunge: Legis et justitiae cultus tempore suo vigebat in regno: sua erat quilibet sorte contentus (erano questi uomini?), ubique pax, ubique securitas, nec latronum metuebat viator insidias, nec maris nauta offendicula piratarum (Script. rer. ital. t. VII, p. 969).
290Costantia, primis a cunabilis in deliciarum tuarum affluentia diutius educata, tuisque institutis, doctrinis et moribus informata, tandem opibus tuis Barbaros delatura discessit: et nunc cum ingentibus copiis revertitur, ut pulcherrima nutricis ornamenta barbarica foeditate contaminet… Intueri mihi jam videor turbulentas Barbarorum acies… civitates opulentas et loca diuturna pace florentia, metu concutere, caede vastare, rapinis atterere et foedare luxuria: hinc cives aut gladiis intercepti, aut servitute depressi, virgines constupratae, metronae, etc.
291Certe si regem non dubiae virtutis elegerint, nec a Saracenis Christiani dissentiant, poterit rex creatus, rebus licet quasi desperatis et perditis subvenire, et incursus hostium, si prudenter egerit, propulsare.
292In Appulis, qui, semper novitate gaudentes, novarum rerum studiis aguntur, nihil arbitror spei aut fiduciae reponendum.
293Si civium tuorum virtutem et audaciam attendas… murorum etiam ambitum densis turribus circumspectum.
294Cum crudelitate piratica Theutonum confligat atrocitas, et inter ambustos lapides, et Ethnae flagrantis incendia, etc.
295Eam partem quam nobilissimarum civitatum fulgor illustrat, quae et toti regno singulari meruit privilegio praeminere, nefarium esset… vel Barbarorum ingressu pollui. Merita di essere letta la descrizione ricercata sì, ma non priva di vezzo, con cui il Falcando dipinge il palagio, la città, e l'ubertosa pianura di Palermo.
296Vires non suppetunt, et conatus tuos tam inopia civium, quam paucitas bellatorum elidunt.
297At vero, quia difficile est Christianos in tanto rerum turbine, sublato regis timore, Saracenos non opprimere, si Saraceni injuriis fatigati ab eis coeperint dissidere, et castella forte marittima, vel montanas munitiones occupaverint; ut hinc cum Theutonicis summa virtute pugnandum, illinc Saracenis crebris insultibus occurrendum, quid putas acturi sunt Siculi inter has depressi angustias, et velut inter malleum et incudem multo cum discrimine constituti? Hoc utique agent quod poterunt, ut se Barbaris miserabili conditione dedentes, in eorum se conferant potestatem. O utinam plebis et procerum, Christianorum et Saracenorum vota conveniant, ut, regem sibi concorditer eligentes, Barbaros totis viribus, toto conanime, totisque desideriis proturbare contendant; nel qual voto i Normanni e i Siciliani vengono confusi fra loro.
298La testimonianza di un Inglese, Ruggero di Hoveden (p. 689), è di poco peso a fronte del silenzio degli Autori alemanni ed italiani (Muratori, Annali d'Italia, tom. X, p. 156). Gli ecclesiastici, e i pellegrini che tornavan da Roma, innumerevoli favole spacciarono sull'onnipotenza del Santo Padre.
299Ego enim in eo cum Theutonicis manere non debeo. (Caffari, Annales genuenses, in Muratori, Script. rer. ital. t. VI, p. 367, 368).
300V. intorno ai Saracini della Sicilia e di Nocera gli Annali del Muratori (t. X, p. 149, ed A. D. 1223-1247), il Giannone (t. II, p. 385); e fra gli originali citati nella Raccolta del Muratori, Riccardo di S. Germano (t. VII, p. 996), Matteo Spinelli di Giovenazzo (t. VII, p. 1064), Nicolò di Jamsilla (t. X, p. 494) e Matteo Villani (t. XIV, l. VII, p. 103). L'ultimo di questi Scrittori lascia luogo a pensare che Carlo II della Casa di Angiò, adoperasse l'artifizio anzichè la violenza per ridurre in soggezione i Saracini di Nocera.
301Il Muratori cita il passo di Arnaldo di Lubecca (l. IV, c. 20): Reparit thesauros absconditos, et omnem lapidum pretiosorum et gemmarum gloriam, ita ut oneratis 160 sommariis, gloriose ad terram suam redierit. Ruggero di Hoveden, che accenna la violazione delle tombe e de' cadaveri de' monarchi, fa ascendere il valore dello spoglio di Salerno a dugentomila once d'oro (p. 746). Al qual proposito, sarei propenso ad esclamare colla giovinetta stordita del La-Fontaine: «Vorrei aver io quel che ci manca».