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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11

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CAPITOLO LVII

I Turchi Selgiucidi. Loro ribellione contra Mamud, conquistatore dell'Indostan. Togrul sottomette la Persia e protegge i Califfi. Romano, Imperatore debellato e fatto prigioniere da Alp-Arslan. Potenza e grandezza di Malek-Sà. Conquiste dell'Asia Minore e della Siria. Trista condizione cui Gerusalemme è ridotta. Pellegrinaggio al Santo Sepolcro.

Fa duopo che il leggitore, abbandonando le rive della Sicilia, si trasporti al di là del mar Caspio, in quelle contrade d'onde uscirono i Turchi o Turcomanni, contro de' quali la prima tra le Crociate venne intrapresa. L'Impero che questi fondato aveano nel sesto secolo sulle regioni della Scizia, da lungo tempo non era più; ma vivea tuttor celebre il loro nome fra i Greci e fra gli Orientali: e gli avanzi di cotesta nazione formavano diverse popolazioni independenti, formidabili per le lor forze, e diffuse in tutta l'estensione del Deserto, dalla Cina alle rive del Danubio e dell'Osso. La colonia ungarese facea parte della Repubblica europea; sui troni d'Asia altrettanti schiavi, e soldati di origine turca si stavano. Intanto che le lancie normanne soggiogavano la Sicilia e la Puglia, uno sciame di questi pastori del Settentrione, i reami della Persia inondava. I loro Principi, della stirpe di Selgiuk, innalzarono un saldo e possente Impero, che da Samarcanda ai confini della Grecia, e dell'Egitto estendeasi, e i Turchi signoreggiarono l'Asia Minore assai prima che lo stendardo vincitore della luna ottomana sventolasse sulla cupola di S. Sofia.

A. D. 997-1028

Mamud il Gaznevida302, che regnava nelle province orientali della Persia, dieci secoli dopo la nascita di Cristo, fra i maggiori principi della nazione turca vien collocato. Sebectagi, padre di lui, era lo schiavo dello schiavo dello schiavo del comandante de' Credenti, ma in questa genealogia di servitù, l'infimo grado era unicamente di titolo; poichè questo schiavo di uno schiavo di schiavo, governava con sovrana podestà la Transossiana e il Korasan, contrade solo in apparenza sottomesse al Califfo di Bagdad. Lo schiavo da cui dipendea Sebectagi era un ministro di Stato, un luogotenente dei Samanidi303 che ribellandosi infranse i ceppi della politica schiavitù, e il ridetto Sebectagi dopo avere effettivamente servito nella famiglia di questo ribelle, in premio del suo valore e della sua abilità, genero e successore del proprio padrone, Capo della città e della provincia di Gazna, divenne304. Perchè la dinastia de' Samanidi, a que' giorni affatto inclinando, fu sostenuta da prima, poi rovesciata dagli ambiziosi suoi servi, e in mezzo ai pubblici disordinamenti, la fortuna di Mamud si accrebbe ogni giorno. A pro di lui inventatosi il nome di Sultano305, egli estese la sua dominazione dalla Transossiana ai dintorni d'Ispahan, e dalle rive del Caspio alla foce dell'Indo; ma la prima origine della sua fama e delle sue ricchezze, gli derivò dalla santa guerra ch'ei mosse ai Gentù dell'Indostan. Basterebbe appena un volume a descrivere i combattimenti e gli assedj, che alle sue dodici spedizioni andarono uniti, e che, estranei al mio argomento, cercherò racchiudere in men d'una pagina. Nè inclemenza di stagioni, nè altezza di montagne, nè larghezza di fiumi, nè sterilità di deserti, nè copia di nemici, o formidabile apparecchio dei loro elefanti da guerra306, arrestarono mai il cammino del Sultano di Gazna, che i suoi trionfi portarono oltre i limiti delle conquiste di Alessandro. Dopo una peregrinazione di tre mesi fra le colline di Cascemira e del Tibet, ei pervenne alla famosa città di Kinnoga307 situata alle rive dell'alto Gange, e in una battaglia navale accaduta sopra un ramo dell'Indo, quattromila battelli carichi di nativi sconfisse. Dely, Lahor, e Multan costrette vidersi ad aprirgli le porte. La conquista del regno di Guzarate, tentata avendo l'ambizione del vincitore, la fertilità poi del paese lo indusse a stanziarvisi, e per avarizia si lasciò adescare dal disegno di scoprire nell'Oceano Australe le isole produttrici dell'oro e degli aromi. I Raia conservarono, pagando un tributo, i loro dominj: il popolo ricomperò allo stesso prezzo la vita e la proprietà, ma lo zelante Musulmano si mostrò crudele e inesorabile verso la religion dei Gentù: si contano a centinaia i tempj e le pagode adeguate al suolo per ordine di costui, e a migliaia i simulacri d'idoli infranti, che, composti di materie preziose, furono eccitamento e premio ai fedeli seguaci del Corano. La pagoda di Sumnad trovavasi sul promontorio di Guzarate, nelle vicinanze di Diu, città compresa fra gli antichi possedimenti de' Portoghesi, e ad essi rimasta308. Ricca delle rendite di duemila villaggi questa pagoda, vi stavano duemila Bramini consacrati al servigio della divinità del paese, e questa lavavano mattina e sera con acqua attinta al Gange, benchè posta ad una distanza considerabile da quel paese; cotesti Bramini aveano sotto il loro comando trecento musici, trecento barbieri, e cinquecento danzatrici distinte per nascita o per avvenenza. Da tre bande l'Oceano difendea il tempio; e un precipizio o naturale, o scavato dall'opera umana, chiudea l'ingresso della stessa lingua di terra su di cui trovavasi collocato: una nazione di fanatici popolava la città e que' dintorni. I ministri del tempio, e i devoti, bandirono essere state giustamente punite Kinnoga, e Dely: ma che i fulmini del cielo avrebbero sicuramente annichilato l'empio Mamud, se al tempio di Sumnad ardia avvicinarsi. Stimolato vie più da cotale disfida il religioso zelo del Sultano, si trasse a far prova delle sue forze contro quelle dell'indiana divinità. Cinquantamila adoratori di essa caddero sotto il ferro de' Musulmani; scalate le mura, profanato il Santuario, il vincitore percosse colla sua mazza ferrata il capo dell'idolo. Per salvarlo, gli spaventati Bramini offersero, dicesi, un valore equivalente a dieci milioni di lire sterline; e i più saggi fra i cortigiani di Mamud gli dimostravano che la distruzione di una statua di pietra non bastava a cambiare le menti dei Gentù, ma che una somma sì rilevante poteva essere adoperata a sollievo de' buoni seguaci di Maometto. «Le vostre ragioni, il Sultano rispondea, sono forti e speciose, ma non sarà mai che Mamud comparisca agli sguardi della posterità, come un uomo che ha patteggiato sugl'idoli». Addoppiò indi i colpi, e la molta copia di perle e rubini usciti dal ventre della statua, diede in qualche modo ragione delle prodighe offerte fatte da sacerdoti per riscattarla. I frantumi dell'idolo vennero spediti a Gazna, alla Mecca e a Medina. Bagdad udì con commozione l'edificante racconto di tale impresa, e il Califfo conferì a Mamud il titolo di guardiano della fortuna e della fede di Maometto.

 

Obbligatomi a queste sanguinolente discrizioni, di cui così sovente è composta la storia de' popoli, non posso negare a me stesso il distormene per raccogliere alcuni fiori di scienza e di virtù che in mezzo alle stragi ancor pullularono. Il nome di Mamud, il Gaznevida, vien tuttavia profferito con rispetto nell'Oriente; perchè, avendo egli in appresso fatto godere giorni di prosperità e di pace a' suoi sudditi, quanto era di difettoso in lui il velo della religione coperse. Due esempli daranno a divedere la giustizia e la magnanimità di un tal principe.

I. Un giorno ch'ei presedeva al Divano, venne un infelice a' piedi del trono lamentando la violenta audacia di un turco guerriero, che violato avea e il talamo, e la casa del supplicante cacciandonel fuori. «Sospendete le vostre querele, a questo disse Mamud; e unicamente avvisatemi la prima volta che il colpevole ritorna in casa vostra, ond'io possa trasferirmi in persona a giudicarlo, e punirlo». Così avendo eseguito poco dopo l'offeso, il Sultano lo prese a sua guida, e fatte schierare intorno alla casa di lui le sue guardie, e ordinato che si spegnessero tutti i lumi, pronunziò decreto di morte contra colui che in atto di commettere violenza e adulterio era stato sorpreso. Compiuta la sentenza, vennero riaccese le fiaccole, e Mamud postosi in ginocchione si diede ad orare; poi terminata la preghiera chiese in fretta qualche alimento che, comunque grossolano, ei mangiò colla voracità d'un affamato. In mezzo ai sensi della gratitudine quel meschino, al quale era stata fatta giustizia, non potè celar quelli della sorpresa e della curiosità sopra una tanto singolare condotta. L'affabile Sultano non tardò molto a dargli spiegazione di tutto: «Io avea pur troppo ragione di credere che, ne' miei Stati, nessun altro fuor d'un mio figlio fosse capace di tale delitto. Ho fatto spegnere i lumi, affinchè la mia giustizia fosse inflessibile e cieca. Indi ho ringraziato il cielo, dopo avere scoperto chi era il colpevole: e tali furono le mie angosce sin dall'istante in cui mi portaste querela, che da tre giorni io non avea preso cibo».

II. Il Sultano di Gazna avea bandita la guerra alla dinastia de' Bovidi, sovrani della Persia occidentale. Ivi allora governava, a nome d'un fanciullo, la sultana madre che accortamente così scrisse a Mamud: «Finchè è vissuto mio marito ho paventata la vostra ambizione; egli era un principe e un guerriero degno del vostro valore. Or più non vive, e lo scettro di lui è passato nelle mani di una donna e d'un fanciullo; voi non oserete assalire l'infanzia e la debolezza. Niuna gloria andrebbe unita alla vostra conquista, e vergognosissima sarebbe per voi una disfatta, giacchè, per ultimo, l'Onnipossente è solo arbitro delle vittorie.» Mamud sospese l'invasione sintanto che il giovine principe fosse a virilità pervenuto309.

Un sol difetto, l'avarizia, oscurava il bel carattere di Mamud: nè altri più di lui giunse ad appagare questa passione. Gli Orientali oltrepassano perfino i limiti della verisimiglianza nel descriverne i tesori, facendoli ascendere a tanti milioni d'oro e d'argento quanti l'avidità umana non ne ha accumulati giammai, e a perle, diamanti e rubini, che di tal grossezza non ne produsse mai la natura310. Conviene ciò nonostante considerare che il suolo dell'Indostan è pieno di miniere preziose; che in tutti i secoli il suo commercio vi ha portato l'oro e l'argento del rimanente del globo; che finalmente prima dei Maomettani, le sue ricchezze non erano state preda d'altri conquistatori. La condotta tenutasi da Mamud all'atto del suo morire, diè a divedere, nel modo il più segnalato, la vanità di tutti questi possedimenti, con tante fatiche acquistati, custoditi a prezzo di tanti pericoli, e che pur gli era inevitabile l'abbandonare. Dopo avere considerate le vaste sale che conteneano i tesori di Gazna, pianse a cald'occhi, e ne chiuse le porte, senza distribuire porzione alcuna di sì copiose ricchezze che non gli era più lecito il conservare. Alla domane passò in rassegna le sue forze militari, composte di centomila fantaccini, di cinquancinquemila uomini a cavallo, e di mille trecento elefanti da guerra311: indi versò nuove lagrime sulla instabilità delle umane grandezze. L'acerbità del suo dolore gli si accrebbe in udendo i progressi de' Turcomanni, per ordine da lui stesso introdotti nel cuore del suo reame di Persia, ove in quel momento avanzavano come nemici.

A. D. 980-1028

Nello stato attuale di spopolazione a cui trovasi ridotta l'Asia, sol ne' dintorni delle città, gl'influssi regolari di un governo, e le tracce dell'agricoltura, si possono ravvisare; il rimanente del paese è abbandonato alle tribù pastorali degli Arabi, de' Curdi e de' Turcomanni312. Due bande considerabili di questi ultimi, ad entrambe le rive del mar Caspio hanno possedimenti; la colonia occidentale può mettere in armi quarantamila guerrieri; quella dell'Oriente, meno accessibile ai viaggiatori, ma più forte e più numerosa, di centomila famiglie all'incirca è composta. Circondate da nazioni venute a civiltà, i costumi dello scitico deserto conservano, cambiano di campi colle stagioni, fra le rovine de' palagi e dei templi mettono a pascolare le loro mandrie, sola ricchezza che s'abbiano. Le costoro tende, bianche o nere, giusta il colore dello stendardo, e di forma circolare, vanno coperte di feltro: una pelle di pecora è l'abito del verno di questi Barbari; nella state vestono panno o tessuti di bambagia: rozza e truce è la fisonomia degli uomini: mansueta e aggradevole quella delle donne. Una vita errante, il coraggio e le consuetudini militari in essi mantiene; combattono a cavallo, e moltiplicati litigi o fra loro, o co' vicini, li mettono spesso in circostanza di dimostrare il proprio valore. Comprano il diritto di pascolo, pagando un tenue tributo al Sovrano del paese; ma la giurisdizione domestica ai Capi e ai vecchi appartiene. A quanto sembra la prima migrazione de' Turcomanni orientali313, i più antichi di loro schiatta, accadde nel decimo secolo dell'Era Cristiana. Quando inclinava il poter de' Califfi, e poichè incominciarono a mostrarsi fievoli anche i loro capitani, il confine dell'Jaxarte fu spesse volte oltrepassato: dopo la ritirata, o la vittoria che seguiva ciascuna correria, diverse di esse tribù abbracciando la religione maomettana, otteneano il diritto di stanziarsi liberamente nelle spaziose pianure, e sotto il gradevole clima della Transossiana e di Karisma. Quegli schiavi turchi che aspiravano al trono, proteggeano tai migrazioni, che ingrossavano i loro eserciti, intimorivano i loro sudditi e i loro rivali, e difendeano la frontiera contra i nativi più selvaggi del Turkestan. Mamud il Gaznevida abusò di una tale politica anche più de' suoi predecessori; e il fece accorto di questa imprudenza un Capo della schiatta di Selgiuk che il territorio di Bocara abitava. Perchè avendo domandato a questo il Sultano quanti soldati avrebbe potuto somministrare: «Se voi lanciate, rispose Ismael, una di queste frecce nel nostro campo, cinquantamila de' vostri servi si metteranno a cavallo». – «E se un tal numero non mi bastasse?» continuò Mamud, – «mandate questa seconda freccia alla banda di Balik, e avrete cinquantamila guerrieri di più». – «Ma… soggiunse il Gaznevida dissimulando i proprj timori, se abbisognassi di tutte le forze delle vostre tribù collegate?» – «Allora, conchiuse Ismael, potreste mandare il mio arco; esso andrà attorno per le tribù, e dugentomila uomini a cavallo ubbidiranno ad un tale comando». Mamud spaventato di una sì formidabile colleganza, fece condurre le più pericolose fra coteste tribù nelle parli interne del Korasan, ove l'Osso dai lor compatriotti le disgiugnea; nel mettere la qual provvisione, ebbe inoltre l'avvertenza di far sì che le ridette tribù si trovassero per ogni banda circondate da città sottomesse. Ma l'aspetto del nuovo paese sedusse più assai di quello che spaventasse l'instituita colonia, e la lontananza, indi la morte di Mamud, indebolì il vigor del Governo per tenerla in freno. I pastori divennero scorridori; e le lor bande in un esercito di conquistatori si trasformarono; devastata la Persia fino alla città d'Ispahan, e alle rive del Tigri, i Turcomanni non ebbero nè tema, nè riguardi che li rattenessero dal cimentarsi co' più orgogliosi monarchi dell'Asia. Massud, figlio e successore di Mamud, avea troppo trascurati i consigli de' più saggi fra i suoi Omrà. «I vostri nemici, questi gli ripeterono di frequente, erano sul principio uno sciame di formiche, sono oggidì serpentelli: ma se non vi affrettate a schiacciarli, acquisteranno ben tosto il veleno de' rettili più spaventosi». Dopo diverse vicende di tregue, o di ostilità, di disastri, o buoni successi particolari ottenuti dai capitani di Massud, marciò questi in persona contra i Turcomanni, che, d'ogni banda, disordinatamente e mandando terribili grida fecero impeto sopra di lui. Massud, narra lo Storico persiano314, solo tuffossi in mezzo al torrente di quell'armi sfavillanti, per opporglisi con imprese di una forza, di un valor gigantesco, quali nessun monarca mai operò. Un picciol numero de' suoi amici, animati dalle sue parole, dalle sue azioni, e da quell'onore ingenito che inspirano i prodi, lo secondarono sì, che per ogni dove ei portava la tremenda sua spada, i Barbari mietuti o atterriti da quell'invincibile braccio, quai mordeano la polvere, quai si ritiravano dinanzi a lui. Ma nel momento che l'aura della vittoria parea gonfiasse la sua bandiera, gli soffiava il disastro alle spalle. Si guardò attorno, e vide tutto il suo esercito, eccetto il corpo ch'ei comandava in persona, divorare i sentieri della fuga. Il Gaznevida si trovò abbandonato dalla viltà o dalla perfidia di alcuni generali d'origine turca; e fu la memorabile giornata di Zendekan315, che la dinastia de' Re pastori316 nella Persia fondò.

 

I Turcomanni vincitori procedettero immantinente ad eleggersi un Re; e se dobbiamo prestar fede al racconto assai verisimile d'uno storico latino317, la sorte sola decise della scelta del loro nuovo padrone. Sopra un certo numero di frecce, vennero scritti i nomi delle diverse tribù; indi dal fascio delle frecce medesime un fanciullo ne trasse una; sopra altre frecce si scrissero indi i nomi di tutte le famiglie della tribù favorita dalla sorte, e collo stesso metodo si sperimentò qual fosse tra queste famiglie quella da preferirsi. Furono parimente scritti sopra altrettante frecce i nomi degl'individui della famiglia fortunata, e rinovando egual prova, la Corona venne a porsi sul capo di Togrul-Beg, figliuolo di Michele, e pronipote di Selgiuk, il cui nome divenne immortale per la grandezza a cui son saliti i suoi posteri. In altri tempi, il Sultano Mamud, versatissimo nella genealogia delle famiglie, erasi espresso di non conoscere quella di Selgiuk; benchè molte apparenze diano a credere che questo Capo di tribù, godesse di molta fama e possanza318. Selgiuk era stato bandito dal Turkestan per avere osato introdursi nello harem del suo Principe. Dopo avere passato il fiume Jaxarte, condottiero di una tribù numerosa di amici e vassalli, ne' dintorni di Samarcanda pose il suo campo; ed avendo abbracciata la religione di Maometto, ottenne, in una guerra mossa agl'Infedeli, la corona di martire, che giunto era al centesimosettimo anno dell'età sua. Molto tempo prima, essendogli morto il figlio Michele, avea presa cura de' suoi due pronipoti, Togrul e Giaafar: il primo de' quali, maggior d'anni, avea già compiuti i quarantacinque, allorquando nella reale città di Nisabur ricevette il titolo di Sultano. Il cieco decreto della sorte le virtù di cotest'uomo giustificarono. Superflua cosa sarebbe l'esaltare il valore di un Turco; ma l'ambizione di lui il suo valor pareggiava319. Scacciò i Gaznevidi dall'oriente della Persia, e andando in traccia di una più ubertosa contrada, e di un clima più mite, li spinse a mano a mano insino alle rive dell'Indo. Impose termine alla dinastia de' Bovidi nell'Occidente, nella quale circostanza lo scettro d'Irak passò dalle mani dei Persiani in quelle de' Turchi. I Principi che avean fatta prova, o temeano farla, de' dardi dei Selgiucidi, nella polve si prosternarono. In questo mezzo, Togrul avendo conquistato l'Aderbigian, ossia la Media, alle frontiere romane si avvicinò; e il pastore osò chiedere, per via di un ambasciatore, o d'un araldo, obbedienza e tributo all'Imperatore di Costantinopoli320. Togrul ne' suoi Stati, il padre de' soldati e del popolo dimostravasi; mercè di una ferma e imparziale amministrazione, ristorò in Persia i mali dell'anarchia, e quelle sue mani che prima nel sangue s'immersero, l'equità e la pace pubblica tutelarono. I più rozzi, forse i più savj fra i Turcomanni321, continuarono a vivere sotto le tende de' loro maggiori: le quali colonie militari, protette dal principe si dilatarono dall'Osso all'Eufrate. Ma i Turchi della Corte e della città, trattando i negozj s'ingentilirono, e in mezzo ai piaceri, la mollezza li soggiogò; presero le vesti, l'idioma e i costumi persiani, e i palagi di Nisabur e di Rey, assunsero le forme e la magnificenza addicevoli ad una grande monarchia. I più meritevoli fra gli Arabi e i Persiani agli onori dello Stato pervennero, e l'intero corpo della nazione de' Turchi abbracciò fervorosamente e sinceramente la religione di Maometto. Da ciò è derivata l'eterna nimistà onde rimasero disgiunti que' Barbari del Settentrione che innondarono l'Europa da quelli che dell'Asia s'impadronirono. Così fra i Musulmani, come fra i Cristiani, le tradizioni vaghe e locali cedettero alla ragione, e all'autorità di un sistema di religione dominante, all'antica fama che questo erasi acquistata, ad un consenso generale de' popoli; ma tanto più puro si fu il trionfo del Corano, che il culto prescritto da esso nulla avea di quella esterna pompa, cotanto atta a sedurre i Pagani per una specie di somiglianza coll'idolatria322. Il primo fra i Sultani Selgiucidi per sua fede e zelo si segnalò: ei facea ogni giorno le cinque preghiere imposte ai Musulmani; consacrava i due primi giorni della settimana con un particolare digiuno, e in ciascuna città innalzava una moschea, prima che gli venisse l'idea di mettere le fondamenta di un palagio323.

Nel sottomettersi alla religione del Corano, il figliuolo di Selgiuk concepì alta venerazione verso il successor del Profeta (A. D. 1055); ma i Califfi di Bagdad e dell'Egitto, rivali fra loro, e continui nel disputarsi l'uno all'altro questo sublime titolo di dignità, non ometteano cure per dimostrare, ciascuno per parte propria, la ragionevolezza delle sue pretensioni, a questi Barbari, ignoranti al pari che poderosi. Mamud il Gaznevida, che spiegato erasi favorevole alla discendenza di Abbas, avea ricusata con disprezzo la veste d'onore, presentatagli da un ambasciator fatimita. Ciò nulla meno l'ingrato Asemita, cambiando di stile colla fortuna, fe' plauso alla vittoria di Zendekan, acclamando suo vicario temporale nel Mondo musulmano il Sultano Selgiucida; della quale carica Togrul adempiè e dilatò il ministero. Chiamato alla liberazione del Califfo Cayem, obbedì volonteroso a questi santi comandi, che un nuovo regno offerivangli da conquistare324. Il Comandante de' credenti, ombra vana di quanto un dì furono i suoi predecessori, pur tuttavia rispettato, nel suo palagio di Bagdad sonnecchiava. Il Principe de' Bovidi, suo servo, o per dir meglio padrone, non avendo nè manco la forza di proteggerlo, contro l'audacia di secondarj tiranni; la ribellione degli Emiri turchi ed arabi, desolava le rive dell'Eufrate e del Tigri. La presenza pertanto di un conquistatore veniva invocata, siccome un dono del Cielo; e la strage, e gli incendj, passeggieri danni, erano riguardati come rimedj amari sì, ma necessarj, e solo capaci di ristorare la cosa pubblica. Il Sultano di Persia partitosi quindi da Hamadan a capo di un invincibile esercito, sterminò i superbi, fece grazia a coloro che gli si prostrarono innanzi: il Principe de' Bovidi sparì: le teste de' più ostinati ribelli vennero portate a' piedi di Togrul, che diede così una lezione di ubbidienza alle popolazioni di Mosul e di Bagdad. Dopo avere puniti i colpevoli, e ritornata la pace, questo illustre pastore ricevè il guiderdone di sue fatiche, intanto che una pomposa commedia rappresentava il trionfo della superstizione sulla forza de' Barbari325. Il Sultano turco, imbarcatosi sul Tigri, approdò alla porta di Racca, ove fece il suo ingresso pubblico a cavallo. Giunto alla porta del palagio, scese rispettosamente, e camminò a piedi, preceduto dai suoi Emiri disarmati. Il Califfo, dietro ad un velo nero, stava seduto, portando sulle spalle il mantello nero degli Abbassidi, e reggendo colla mano la verga dell'Appostolo di Dio. Il vincitor dell'Oriente baciò la terra, e si tenne per qualche tempo in una modesta postura, fintanto che il Visir e un interprete, lo condussero in vicinanza del trono. Sedè egli medesimo sopra un trono prossimo a quel del Califfo; e allor fu letto pubblicamente il chirografo che lo chiariva luogotenente temporale del Vicario del Profeta. Decorato indi delle sette vesti d'onore, gli furono presentati sette schiavi nati ne' sette climi dell'arabo Impero. Profumatogli il velo mistico d'ambra, gli vennero, siccome emblema della sua dominazione sopra l'Oriente e l'Occidente, collocate due corone sul capo, e cinte al fianco due scimitarre. Dopo la quale inaugurazione, il Sultano, cui venne impedito il prostrarsi nuovamente, baciò due volte le mani al Califfo: indi gli Araldi, fra le acclamazioni de' Musulmani, i titoli ne promulgarono. In un secondo viaggio che il Principe Selgiucida imprese a Bagdad, strappò di bel nuovo dalle mani de' suoi nemici il Califfo, e il condusse devotamente dalla prigione al palagio, camminando a piedi e tenendo ei medesimo la briglia della mula pontificale: e tal loro lega venne consolidata dalle nozze di una sorella di Togrul con Kaiem. Però questo successore del Profeta, che non fu schifo di dar luogo nel suo harem ad una vergine turca, ricusò superbamente la propria figlia al Sultano, disdegnando mescolare il sangue degli Asemiti, col sangue di un pastor della Scizia; ed allontanò per più mesi una tale negoziazione, sin tanto che le sue rendite, a mano, a mano, venute a stremo, gli fecero comprendere che sotto il dominio d'un padrone ei viveva. L'anno in cui Togrul sposò la figlia di Kaiem, fu parimente quello nel quale morì326; nè lasciando esso posterità, gli succedè ne' titoli e nelle prerogative il nipote Alp-Arslan; onde i Musulmani nelle pubbliche loro preghiere, dopo il nome del Califfo quello d'Arslan pronunziarono. Ciò nullameno un tal cambiamento politico, la libertà e la possanza degli Abbassidi aumentò. Perchè i Sovrani turchi, posti sul trono d'Asia, men gelosi mostraronsi dell'amministrazione domestica di Bagdad, e i Califfi si trovarono sciolti dalle vessazioni ignominiose cui la presenza e la povertà dei Re persiani li sommettea.

I Saracini, divisi fra loro, e inviliti sotto il governo di deboli Califfi, rispettavano le province asiatiche del Romano impero, che le vittorie di Niceforo, di Zimiscè, di Basilio aveano estese sino ad Antiochia e ai confini orientali dell'Armenia. Venticinque anni dopo la morte di Basilio, l'Imperatore greco videsi assalito da una banda sconosciuta di Barbari, che al valore scitico univano il fanatismo de' novelli convertiti, e l'arti e le ricchezze di una possente monarchia327. Miriadi di Turchi a cavallo copersero una frontiera di seicento miglia, da Tauride ad Erzerum; e centrentamila Cristiani, ad onore del Profeta arabo vennero trucidati; ma l'armi di Togrul non fecero nè lunga, nè profonda impressione sul greco Impero; e il torrente dell'invasione dal paese aperto si allontanò. Il Sultano fece le sue prove, ma senza onore, o almeno senza buon successo, assediando una città dell'Armenia; e le diverse vicende della fortuna, ora interruppero, or rinovarono oscure ostilità; e solamente la prodezza delle legioni macedoni rammentò la gloria del vincitore dell'Asia328. Il nome di Alp-Arslan, che equivale a generoso lione, esprime, giusta le comuni idee, il carattere in cui stassi la perfezione dell'uomo; e veramente il successore di Togrul diè a divedere la coraggiosa alterezza e la nobiltà di questo sovrano degli animali. Dopo avere passato l'Eufrate a capo della cavalleria turca, entrò in Cesarea, metropoli della Cappadocia, ove tratto aveanlo la fama e la ricchezza del tempio di San Basilio. Ma la saldezza di quell'edifizio a' suoi divisamenti di distruzione si oppose; nè potè di più che trasportar seco le porte del Santuario incrostate d'oro e di perle, e profanar le reliquie di quel Santo, i cui trascorsi umani la veneranda polve dell'antichità aveva coperti. Alp-Arslan mise a termine la conquista dell'Armenia e della Georgia. Già la monarchia armena, non men del coraggio degli abitanti, al nulla era ridotta; e truppe mercenarie venute da Costantinopoli, e infidi stranieri, e veterani privi d'armi e di stipendj, e soldati novizj, inesperti e indisciplinati del pari, cedettero con viltà le piazze alla lor difesa commesse.

Non si pensò più d'un giorno alla perdita di una sì importante frontiera, perchè i Cattolici nè sorpresi, nè afflitti furono, in veggendo un popolo tanto infetto degli errori di Nestorio e di Eutichio, che Cristo e la Madre sua abbandonavano nelle mani degl'Infedeli329330. Con maggior costanza i nativi della Georgia331, o gl'Ibernj, nelle foreste e nelle valli del monte Caucaso si mantennero; ma Arslan, e Malek figlio di Arslan, instancabili si mostrarono in tal guerra religiosa, ove pretendeano dai lor prigionieri un'obbedienza spirituale e temporale; e quelli che voleano rimanere fedeli al culto dei lor maggiori, vennero costretti a portare, invece di collane e smaniglie, un ferro da cavallo, qual marchio della loro ignominia. Pure non fu nè sincera, nè universale la conversione de' vinti; e ad onta de' trascorsi secoli di servitù, i Georgiani hanno conservata la serie dei loro Principi e de' loro Vescovi. Ma l'ignoranza, la povertà e la corruttela giungono facilmente a pervertire una schiatta d'uomini, che la natura delle più perfette forme dotò. Non è che di nome la professione loro del Cristianesimo, e soprattutto la pratica del serbato culto; e se liberati sonosi dall'eresia, lo debbono alla somma loro ignoranza che impedisce ad essi il ricordarsi dogmi metafisici quali che sieno332.

A. D. 1068-1071

Alp-Arslan, lungi dall'imitare la grandezza d'animo reale, od ostentata di Mamud il Gaznevida, non ebbe scrupolo di far la guerra all'Imperatrice Eudossia e ai figli della medesima. Il terrore de' buoni successi che egli ottenea, costrinse questa sovrana a dar la mano e lo scettro ad un soldato; onde Romano Diogene della porpora imperiale venne insignito. Trasportato questi da zelo di patria, e forse anche da orgoglio, uscì fuori di Costantinopoli; due mesi dopo il suo avvenimento al trono; e al successivo anno, nel durar delle feste di Pasqua, con grande scandalo della popolazione, si mise in campo. Entro la reggia, Romano si contentava di essere il marito di Eudossia; ma a capo dell'esercito ei si mostrava l'Imperator d'Oriente, e benchè fornito di pochi modi per far la guerra, con invincibile coraggio il suo carattere sostenea. Cotanto valore e veri buoni successi e solerzia ne' soldati, e speranza ne' sudditi, e spavento negli inimici destarono. Benchè i Turchi fossero già penetrati nel cuor della Frigia, il Sultano aveva abbandonata ai suoi Emiri la condotta della guerra; e le numerose loro falangi dilatate eransi per l'Asia, colla fiducia che la vittoria suole ispirare. Ma i Greci sorpresero e battettero spartatamente questi corpi di truppa carichi di bottino, e ad ogni subordinazione stranieri. Pieno di sollecitudine l'Imperatore, accorreva qua e là, sicchè pareva ne' diversi luoghi moltiplicarsi, e intanto che il nemico udiva le notizie de' proprj trionfi presso le mura di Antiochia, sconfitto venia da Romano sulle colline di Trebisonda. I Turchi, dopo tre disastrose stagioni campali, respinti vidersi al di là dell'Eufrate; e in una quarta, Romano, la liberazione dell'Armenia intraprese. Ma sì devastato erane il territorio, che fu costretto a trasportarsi con sè viveri per due mesi, e andò a stringere d'assedio Malazkerd333, fortezza rilevante, situata fra le moderne città di Erzerum e di Van. A centomila uomini già sommava il suo esercito. Le truppe di Costantinopoli erano rinforzate dalle copiose, ma disordinate soldatesche della Frigia e della Cappadocia; onde il vero nerbo dell'esercito de' Cristiani formavano i sudditi e confederati dell'Europa, le legioni della Macedonia, le bande della Bulgaria, gli Uzj, Tribù moldava di schiatta turca334, e soprattutto le mercenarie brigate de' Normanni e dei Franchi. Il prode Ursel di Bailleul, confederato, indi ceppo de' re scozzesi335 comandava a questi ultimi, che aveano fama di essere eccellenti nell'armi, o, giusta l'esprimersi de' Greci, nella danza pirrica.

302Le particolarità da me narrate sulla vita e l'indole di Mamud sono tolte dal d'Herbelot (Bibl. orient., Mahmud, p. 533-537), dal De Guignes (Histoire des Huns, t. III, p. 155-173) e dal nostro concittadino il colonnello Alessandro Dow (v. I, p. 23-83), il quale ne ha offerti i due primi volumi della sua storia dell'Indostan, come una traduzione dell'opera del persiano Feristà. Ma in mezzo ai pomposi ornamenti di stile adoperati da questo Scrittore, non è sì facile il discernere, se veramente sia versione, o originale.
303La dinastia de' Samanidi durò cenventicinque anni (A. D. 874-999) sotto il successivo governo di dieci principi. V. la genealogia de' medesimi, e la caduta della dinastia nelle tavole del sig. De Guignes (Hist. des Huns, t. I, pag. 404-406). Alla suddetta dinastia venne dopo quella de' Gaznevidi, A. D. 999-1183 (V. t. I, p. 239-240). Il metodo serbato da questo Storico nell'indicare le divisioni de' popoli ha sparsa non poca confusione sulle epoche, e oscurità quanto ai luoghi.
304Gazna hortos non habet: est emporium et domicilium mercaturae indicae (Abulfeda, Geogr.; Reiske, Tabul 23, p. 349; d'Herbelot, p. 364). Niuno fra i viaggiatori moderni ha visitata questa città.
305Fu anzi l'ambasciatore del Califfo di Bagdad che adoperò questo vocabolo arabo, o caldeo, ed equivalente al nostro di Signore e Padrone (d'Herbelot, p. 825). Gli Scrittori bisantini dell'undicesimo secolo si valgono a tradurlo delle voci Αυτοκρατωρ βασιλευς βασιλεων, e la voce Σουλτανος o Soldanus, dopo essere passata dai Gaznevidi ai Selgiucidi, e agli Emiri d'Asia e d'Egitto, vedesi usata spesse volte nel linguaggio famigliare de' Greci e de' Latini. Il Ducange (Dissert. 16 sopra Joinville, p. 238-240; Gloss. graec. e latin.) si sforza per provare che il titolo di Sultano veniva adoperato nell'antico regno di Persia; ma chimeriche sono le prove dal medesimo adotte: ei fonda tal sua opinione sopra un nome proprio de' temi di Costantino (II, 11), sopra un passo di Zonara, che ha confuse le epoche, e sopra una medaglia di Kai-Kosrù, il quale non è, come pensa il Ducange, il Sassanide del secolo XVI, ma il Selgiucida d'Iconium che viveva nel tredicesimo secolo (De Guignes, Hist. des Huns, t. I, p. 246.)
306Feristà, giusta i racconti del Dow (Hist. of Hindostan, v. 1, p. 49), fa menzione di un'arma da fuoco che diceasi adoperata fra gli eserciti degl'Indù; ma non m'indurrò sì facilmente a persuadermi di tale uso anticipato dell'artiglieria (A. D. 1008), e piacerebbemi esaminare prima il testo, indi l'autorità di Feristà che vivea nel secolo XVII alla Corte Mogolla.
307Kinnoga o Canoga (l'antica Palimbotra), vien collocata a 27° 3ʼ di lat. e 80° 11ʼ di long. V. D'Anville (Antiq. de l'Indie, p. 60-62), e la correzione del Maggiore Rennel che ha visitati i paesi in persona. (V. la sua eccellente Memoria sulla carta dell'Indostan, p. 37-43). Molte riduzioni sono da farsi sui trecento gioiellieri, e sulle trentamila botteghe di noci di areca, e sulle sessantamila bande di musici ec. numerati da Abulfeda (Geogr. Tab. XV, pag. 274: Dow, vol. I, p. 16).
308Feristà chiama i Portoghesi gl'idolatri europei (Dow, vol. I, p. 66). V. Abulfeda, p. 272, e la Carte da l'Indostan, del Rennel.
309D'Herbelot, Biblioth. orientale, p. 527. Del rimanente queste lettore, questi apoftegmi ec. offrono di rado il linguaggio del cuore, e il motivo delle pubbliche azioni.
310Essi citano a cagion d'esempio un rubino di quattrocentocinquanta miskali (Dow, vol. I, pag. 53) ossia di sei libbre e tre once: mentre il più grosso fra i rubini trovato nel tesoro di Dely non pesava che diciassette miskali (Voyages de Tavernier, part. II, p. 280). Ben vero è che nell'Oriente si dà il nome di rubino a tutte le pietre colorate (p. 355), e che il Tavernier ne aveva vedute tre, più grosse e più preziose del ridetto rubino, fra le gemme del nostro gran re, il più potente e il più magnifico di tutti i re della terra (p. 376).
311Dow, t. I, pag. 65. Dicesi che il sovrano di Kinnoga avea duemilacinquecento elefanti. (Abulfeda, Geogr. Tab. XV, p. 274). Il lettore può, giovandosi di queste particolarità intorno all'India, correggere una nota del Capitolo VIII, t. I, o seguendo quella nota correggere queste particolarità.
312V. un'esatta e verisimile descrizione di questi costumi pastorali nella Storia di Guglielmo arcivescovo di Tiro (l. I, c. 7, Gesta Dei per Francos; p. 633-634), ed altra importantissima nota che è dovuta all'editore della Histoire généalogique des Tatars, p. 535-538.
313Possono attingersi contezze sulle prime migrazioni dei Turcomanni, sull'incerta origine de' Selgiucidi nella storia laboriosa degli Unni scritta dal de Guignes (t. I, Tables chronolog. l. V, t. III, l. VII, IX, X), nella Biblioth. oriental. del d'Herbelot (pag. 799-802, 897, 901), in Elmacin (Hist. Saracen. pag. 331-333), e in Abulfarage (Dynast., p. 221, 222).
314Dow, Hist. of Indostan, vol. I, pag. 89, 95, 98. Ho copiato questo passo, per dare un saggio sul modo di scrivere dell'Autore persiano: ma suppongo che per una bizzarra fatalità lo stile di Feristà sarà stato perfezionato da quello di Ossian.
315Il Zendekan del d'Herbelot (p. 1028), il Dindaka del Dow (vol. I, pag. 97), secondo tutte le apparenze sono la stessa cosa che il Dandanekan di Abulfeda (Geograph. p. 345 Reiske), piccola città del Korasan, distante due giornate da Marù, e celebre in Oriente perchè vi nasce la bambagia, e gli abitanti suoi la lavorano.
316Gli Storici bisantini (Cedreno t. II, p. 766, 767, Zonara t. II, p. 235, Niceforo Briennio, p. 21), hanno qui confuso le epoche e i luoghi, i nomi e le persone, le cagioni e gli effetti. L'ignoranza e gli errori di questi Greci, nè qui mi fermerò a diciferarli, possono inspirar molti dubbj sulla storia di Ciassare e di Ciro, tal quale la raccontano i più eloquenti fra i loro predecessori.
317Guglielmo di Tiro (l. I, c. VII, p. 633). Il metodo di trar gli augurj dalle frecce è antico e celebre nell'Oriente.
318D'Herbelot (pag. 801). Del rimanente, quando la posterità di Selgiuk fu pervenuta all'apice delle grandezze, non si mancò di celebrarlo, come trentaquattresimo discendente del grande Afrasiab, imperatore di Turan (p. 800). La genealogia tartara di Zingis ne fa conoscere un altro modo di adulare e un'altra favola: al dir dello storico Mirkond, i Selgiucidi di Alankavà derivano da una vergine (p. 801, col. 2); e se questi sono i Zalzut di Abulgazi-Bahadur-Kan (Hist. généalog. p. 148) vien citata in favor loro una testimonianza di molto peso; quella di un principe tartaro, discendente di Zingis, di Alankavà, o Alancù, e di Oguz-Kan.
319Per effetto di un lieve cambiamento, Togrul-Beg trovasi essere il Tangroli-Pix de' Greci. Il d'Herbelot (Bib. orient. p. 1027, 1028) e il De Guignes (Hist. des Huns, t. III, p. 189-201) raccontano con molta esattezza le particolarità del regno e dell'indole di Togrul.
320Cedreno (t. II, p. 774, 775) e Zonara (t. II, p. 257) colle solite lor cognizioni sugli affari di Oriente, ne dipingono questo ambasciatore come uno Sceriffo che simile al Syncellus del Patriarca, sia stato il vicario e il successore del Califfo.
321Ho tolta da Guglielmo di Tiro una tal distinzione fra i Turchi e i Turcomanni, distinzione almeno popolare e spontanea. I nomi sono gli stessi e la sillaba man ha lo stesso valore negli idiomi persiano e teutonico. Pochi fra i critici ammetteranno l'etimologia di Giacomo di Vitry (Hist. Hieros. l. I, c. II, p. 1061), secondo il quale, Turcomanni significa Turci, e Comani un popolo mescolato.
322È vero, che la religione maomettana non ha culto d'Immagini; e se i Cristiani lo avevano, siccome esso nè per la teoria, nè per la pratica non era, come pure non è, un'idolatria, così non sembra aver egli potuto indurre i popoli idolatri del Settentrione ad abbracciare a poco a poco il Cristianesimo. Molti poi di quei popoli s'erano fatti Ariani, ma non Cattolici. (Nota di N. N.)
323Histoire génér. des Huns, t. III, p. 165, 166, 167. Il De Guignes cita Abulmahasan, storico dell'Egitto.
324V. la Biblioteca orientale, agli articoli Abbassidi, Caher o Cayem, e gli Annali di Elmacin e di Abulfaragio.
325Ho tolte dal signor De Guignes (t. III, p. 197-198) le particolarità che a questa stravagante cerimonia si riferiscono; e il dotto Autore le ha tratte da Bondari, che ha composta in arabo la storia dei Selgiucidi (t. V, p. 365). Nulla mi è noto sul carattere di questo Bondari, nè intorno al paese, o al secolo, ne' quali ha vissuto.
326Eodem anno (A. E. 455) obiit princeps Togrul-Becus… Rex fuit clemens, prudens, et peritus regnandi, cujus terror corda mortalium invaserat, ita ut obedirent ei reges atque ad ipsum scriberent. Elmacin, Hist. Saracen., p. 342, vers. Erpenii.
327V. intorno le guerre de' Turchi e de' Romani, Zonara, Cedreno, Scilitzes, il continuator di Cedreno, e Niceforo Briennio Cesare. I due primi erano frati, uomini di Stato i due ultimi; nondimeno tali erano i Greci d'allora, che appena distinguesi fra gli uni e gli altri qualche differenza di stile e di carattere. In quanto spetta agli Orientali mi sono prevalso, giusta il solito, delle erudite ricchezze del d'Herbelot (V. gli articoli de' primi Selgiucidi), e delle esatte ricerche del signor De Guignes (Hist. des Huns, t. III, l. X).
328’Εφερετος γαρ εν Τουρηοις λογος, ως ειη πεπρωμενον ηαταραφηναι το Τουρηων γενος απο της τοιαυτης δυναμεως, αποιαν ο Μακεδον Αλεξανδρος εχωι κατασρεψατο Περσος. Corse voce fra i Turchi, essere destino che da tanta potenza fosse rovesciata la stirpe turca, come per Alessandro Macedone furono sconfitti i Persiani. (Cedreno, t. II, p. 791). Nulla v'ha di inverisimile nella credulità del volgo, e i Turchi aveano imparata dagli Arabi la Storia, o la leggenda di Escander Dulcarnio. (D'Herb. p. 317, ec.)
329Certamente che Dio fa vedere alcune volte subito, e chiaramente il suo castigo. (Nota di N. N.)
330Οι και Ιβεριαν ηαι Μεσοποταμιαν, και Αρμενοιαν οικουσι και οι την Ιουδαικην του Νεσορου και των Ακεφαλων θρησκεδουτιν αιρεσιν, quelli che abitano l'Iberia e la Mesopotamia, e l'Armenia, e quelli che seguono l'eresia giudaica di Nestorio, e degli Acefali. V. inoltre le osservazioni di Scilitzes a piè della pagina di Cedreno (t. II, p. 834), poichè le costruzioni equivoche di questo Greco non mi inducono tuttavia a credere che egli abbia confuso il Nestorianismo e l'eresia dei Monofisiti. Egli parla frequentemente di μενις, χολος, οργη Θεου, ira, bile, collera di Dio, qualità che mi sembrano appartenere a tutt'altro che ad un ente perfetto; ma la cieca dottrina del ridetto scrittore è costretta a confessare che una tal collera οργε, μενις etc., non tardò a percotere i Latini ortodossi.
331Se i Greci avessero conosciuto il nome di Georgiani (Stritter, Memoriae Byzant., t. IV, Iberica), io ne attribuirei l'etimologia all'agricoltura di questi popoli, come quella del Εκυθαι γεωδγοι, Sciti, Georgj (agricoltori) d'Erodoto (l. IV, c. 18, pag. 289, ediz. di Wesseling). Ma tal voce non rinveniamo nè fra i Latini (Giacomo di Vitry, Hist. Hierosol., c. 79, p. 1095), nè fra gli Orientali (d'Herbelot, p. 407), se non se dopo le crociate, e divotamente è stata tolta dal nome di S. Giorgio di Cappadocia.
332Mosheim, Instit. Hist. eccles., p. 632. V. inoltre nei Voyages de Chardin (t. I, p. 171-174) i costumi e il culto di questa popolazione tanto avvenente e spregevole. La genealogia da' Principi georgiani incominciando da Adamo, e venendo sino ai nostri giorni, leggesi nelle Tavole del sig. de Guignes (t. I, p. 433-438).
333Costantino Porfirogeneta fa menzione di queste città. (De administ. imper. l. II, c. 44, p. 119.) Gli Scrittori bizantini dell'undicesimo secolo ne parlano parimente chiamandola Mantzichierte, che molti confondono con Teodosiopoli; ma il Delisle, nelle sue note e nella sua Carta, ha determinata la situazione di Malazkerd. Abulfeda (Geogr., Tab. 18, p. 310) la vuole una piccola città, costrutta di pietre nere, provveduta d'acqua, ma priva di alberi ec.
334Gli Uzj de' Greci (Stritter, Memor. byzant., t. III, p. 923-948) sono i Gozz degli Orientali (Hist. des Huns, t. II, p. 122; t. III, p. 533 ec.). Se ne trovano sulle rive del Danubio e del Volga, nell'Armenia, nella Sorìa, e nel Korasan, e sembra che il nome di Uzj sia stato dato all'intera popolazione de' Turcomanni.
335Gioffredo Malaterra (l. I, c. 33) accenna con distinzione Urselius (il Russelius di Zonara) fra i Normanni che sottomisero la Sicilia, e gli attribuisce il soprannome di Baliol. Gli Storici inglesi raccontano in qual guisa i Bailleul vennero dalla Normandia a Durham; fabbricarono il castello di Bernard sul Tees; fecero entrare nella loro famiglia una erede di Scozia ec. Il Ducange (Note ad Nicephor. Briennium, l. II, c. 4) ha fatte diverse indagini su questo argomento per onorare il presidente di Bailleul, il cui padre avea abbandonato la professione dell'armi per vestire la toga.