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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11

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Al ricevere la notizia di questa ardita invasione che i dominj ereditari suoi minacciava, Alp-Arslan, condottiero di quarantamila uomini, sul teatro della guerra sollecitamente si trasferì336; ove con rapide e perite fazioni, l'esercito greco, benchè superiore di numero, pose in iscompiglio e atterrì. La sconfitta di Basilacio, uno fra i primarj generali greci, si fu la prima occasione in cui Alp-Arslan diede prova di moderazione e valore ad un tempo. Dopo la presa di Malazkerd, avendo Romano disgiunte incautamente le proprie forze, volle indarno richiamare i Franchi mercenarj presso di sè; costoro gli ordini di lui trasgredirono, nè l'alterezza dell'Imperator greco permetteagli aspettare che ritornassero. Ma la diffalta degli Uzj avendogli empiuto l'anima d'inquietudini e di sospetti, contro l'avviso de' più saggi, affrettossi a venire a decisiva battaglia. S'ei porgeva orecchio ai partiti ragionevoli fattigli dal Sultano, poteva tuttavia assicurarsi una ritirata, e fors'anco la pace. Ma Romano non vedendo in essi che il timore, o la debolezza dell'inimico, con tuono d'insulto, e di minaccia rispose. «Se il Barbaro brama la pace, abbandoni a noi il terreno su cui si trova, e quale ostaggio di sua buona fede, ne consegni la città e il palagio di Rey». Su questo eccesso di vanità sorrise Arslan, ma deplorò ad un tempo le ulteriori stragi cui vedeva esposto un tanto numero di fedeli suoi Musulmani, a tal che, dopo una fervorosa preghiera, notificò all'esercito essere permesso a chiunque era stanco di combattere il ritirarsi. Rialzò di sua mano i crini della coda del suo cavallo; cambiò l'arco e le frecce in una mazza e in una scimitarra, vestì abito bianco, e si profumò di muschio, pubblicando che se rimanea vinto, il luogo ove trovavasi sarebbe stato quello del suo sepolcro337. Ma, a malgrado di avere ostentato questo abbandono delle sue frecce, ei ponea la fiducia della vittoria ne' dardi della cavalleria turca, i cui squadroni in forma di mezza luna aveva ordinati. Romano invece di distribuire le sue soldatesche in linee successive e corpi di riserva, giusta le leggi dell'arte militare de' Greci, le unì in rinserrata battaglia, precipitandosi vigorosamente sopra de' Turchi, i quali se a tale impeto resistettero, il dovettero all'agilità del loro difendersi. La maggior parte di una giornata estiva, in questo inutile combattimento venne adoprata, sintanto che la prudenza e la stanchezza persuasero il Greco a raggiungere il proprio campo. Ma pericolosa è sempre una ritirata alla presenza d'un nemico sollecito a profittar degli istanti; oltrechè, nel momento che indietreggiavano gli stendardi, si ruppe la falange, per codardia, o per gelosia, più vile ancora, di Andronico, principe rivale di Romano, e che il sangue e la porpora de' Cesari disonorava338. In tal momento di confusione e d'infiacchimento de' Greci, furono questi oppressi da un nembo di frecce lanciate dagli squadroni turchi, che producendo le punte della lor formidabile mezza luna, la chiusero alle spalle degl'inimici. Fatto in pezzi l'esercito di Romano, il campo di lui fu saccheggiato. Sarebbe stata vana cura il volere indicare il numero de' morti e de' prigionieri. Gli Storici bisantini sospirano una perla d'inestimabile prezzo che andò perduta; e dimenticano dirne che quella fatale giornata tolse per sempre le sue province d'Asia all'Impero.

Fintanto che rimase qualche speranza, Romano non omise prove per riordinare e salvare gli avanzi delle sue truppe, e comunque il centro, ov'ei combattea fosse aperto da tutte le bande, e circondato dai Turchi vincitori, sino al tramontar del sole pugnò col coraggio della disperazione, a capo di quei prodi che al suo stendardo si conservarono fedeli. Ma tutti caddero attorno di lui; il suo cavallo fu ucciso, ferito egli stesso; pure, in tale stato e solo, intrepido si difese finchè oppresso dal numero non fu più padrone di moversi. Uno schiavo e un soldato si disputarono la gloria di farlo prigioniero; il primo d'essi lo avea veduto sul trono di Costantinopoli: il soldato di deformissima figura, era stato ammesso nell'esercito, a sola condizione di operare atti di straordinaria valore. Romano spogliato dell'armi sue, delle sue gemme, e della porpora, passò sul campo di battaglia la notte, solo, esposto a gravissimi rischi, in mezzo alla ciurma degl'infimi soldati; allo schiarire del giorno venne condotto innanzi al Sultano, che alla propria buona sorte non volle credere, sintanto che i suoi ambasciatori non ebbero ravvisato Romano nel prigioniero; e convenne ancora che la testimonianza loro fosse confermata dal cordoglio di Basilacio che baciò, versando dirotte lagrime, le piante al suo sfortunato monarca. Il successore di Costantino, vestito come un uomo del volgo, fu trasportato al divano, ove intimato vennegli di baciar la terra al cospetto del dominatore dell'Asia. Avendo egli obbedito con repugnanza, dicesi che il Sultano si lanciò dal trono, presto a porre un piede sul collo al vinto imperatore339; ma dubbioso è il fatto, e quand'anche fosse vero che nell'ebbrezza della vittoria Alp-Arslan si fosse uniformato ad una costumanza della sua nazione, la condotta ch'egli tenne da poi, costrinse i più fanatici tra i Greci ad encomiarlo, e può additarsi qual modello ai secoli più ingentiliti. Sollevò immantinente da terra il principe prigioniero, e stringendogli per tre volte, in atto di tenerezza, la mano, gli promise di non operare veruna cosa nè contro i giorni, nè contro la dignità del medesimo; aggiugnendo che egli, Arslan, avea imparato a rispettare la maestà de' suoi pari, e le vicissitudini della fortuna. Fatto indi condurre Romano in una tenda vicina, gli ufiziali stessi del Sultano il servivano onorevolmente, e con rispetto; alla mensa del mattino e della sera il posto dovuto alla sua dignità gli assegnavano. Per otto giorni, seco intertennesi in famigliari colloqui il vincitore, astenendosi dal menomo accento, dalla menoma occhiata che l'animo di lui potesse trafiggere. Ben censurò acerbamente la condotta degl'indegni sudditi di Romano, che, nell'istante del pericolo, il valoroso lor principe aveano abbandonato, e avvertì pur con dolcezza il suo antagonista di alcuni abbagli commessi da questo nel regolare la guerra. Venutosi a ragionare sui preliminari della negoziazione, Arslan chiese all'Imperatore a qual trattamento ei s'aspettasse. Questi gli rispose con tale tranquilla indifferenza che palesò, come la libertà del suo spirito conservasse. «Se siete crudele, gli disse, mi toglierete la vita: se date retta alle suggestioni dell'orgoglio mi trascinerete dietro al vostro carro: ma se consultate i vostri veri interessi, accetterete un riscatto, e mi restituirete alla mia patria. – Però, proseguì il Sultano; come mi avreste trattato, se il destin della guerra vi fosse stato propizio»? La risposta datasi dal Principe greco, mostrò l'impulso d'un sentimento, che per vero dire, la prudenza ed anche la gratitudine dovean consigliargli a tenere celato. «Se ti avessi vinto, ei ferocemente rispose, t'avrei fatto opprimere a furia di battiture». Per tale arroganza del prigioniero, il vincitore sorrise, pago di rimostrargli che veramente la legge dei Cristiani raccomandava l'amore, sin verso i nemici, e il perdono delle ingiurie sofferte. «Nondimeno, ei nobilmente soggiunse, non seguirò un esempio che disapprovo». Arslan, dopo maturo pensamento, le condizioni della pace e della libertà dell'Imperatore dettò; e queste furono il riscatto di un milione di piastre d'oro; un tributo annuale di trecento sessantamila340; le nozze tra i figli de' due principi; la libertà di tutti i Musulmani caduti in potere de' Greci. Dopo che Romano ebbe sottoscritto, non senza sospirare, un negoziato sì vergognoso per l'Impero, venne rivestito di un caffetan d'onore: i suoi nobili e patrizj gli furono restituiti; e Arslan dopo averlo affettuosamente abbracciato, lo rimandò con ricchi donativi, e scortato da una guardia militare d'onore. Ma Romano, giunto ai confini dell'Impero, intese che la Corte imperiale e le province, credute eransi sciolte dal lor giuramento di fedeltà verso un sovrano prigioniero; onde a stento potè raccogliere dugentomila piastre d'oro, e spedire questa parte di suo riscatto al vincitore, confessandogli tristemente la propria impotenza, e il disastro che lo incalzava. Il Sultano mosso da generosità, e probabilmente ancor da ambizione, fece causa propria quella dell'infelice confederato: ma la sconfitta, l'imprigionamento, e la morte di Romano Diogene impedirono che i divisamenti di Arslan fossero mandati ad effetto341.

 

A. D. 1072

Nel negoziato di pace che fra Romano e Alp-Arslan fu pattuito, non sembra essere stata compresa alcuna obbligazione imposta al prigioniero di rinunziare province, o città; le spoglie della Natolia, e i trofei della riportata vittoria che da Antiochia al mar Nero estendevansi, bastarono alla vendetta del vincitore. La più bella parte dell'Asia alle sue leggi obbedendo, mille dugento principi, o figli di principi ne circondavano il trono, e dugentomila soldati sotto lo stendardo del fortunato Arslan militavano. Disdegnando perfino inseguire i Greci fuggiaschi, volse immediatamente i suoi pensieri alla più gloriosa conquista del Turkestan, culla della Casa dei Selgiucidi. Trasferitosi da Bagdad alle rive dell'Osso, si gettò un ponte sul fiume, che a poter valicare men di venti giornate non vollersi. Ma il governatore di Berzem, Giuseppe il Carizmio, arrestò i progressi del vincitore, osando difendere la sua città contra le forze dell'intero Oriente. Caduto prigioniero, ei venne entro la regal tenda condotto, ove il Sultano, anzichè lodare il valore del vinto, di una stolta ostinatezza lo rampognò; e irritato dalle audaci risposte che facevagli Giuseppe, ordinò fosse attaccato a quattro pali, e lasciato morire in questa postura sì miserabile. Spinto allora alla disperazione il Carizmio, trasse il pugnale, impetuosamente insino al trono lanciandosi; le guardie sollevarono le loro azze da guerra; e si fece a moderare il loro zelo Arslan, il migliore arciere della sua età, che tosto scoccò il proprio arco; ma essendogli mancato un piede, la freccia scalfì soltanto il fianco del prigioniero, che giunse ad immergere il suo pugnale in petto al Sultano. Ben trucidato fu il feritore, ma la ferita era stata mortale, onde il Principe turco pervenuto agli estremi di sua vita, tramandò questa lezione all'orgoglio dei re: «Nella mia giovinezza un saggio mi consigliò umiliarmi dinanzi a Dio, diffidare delle mie forze, rispettar sempre, comunque spregevole appaia, un nemico. Ho trascurati siffatti avvisi, e me ne trovo giustamente punito. Allorchè ieri, dall'alto del mio trono, io contemplava il buon ordine, il coraggio, la disciplina delle numerose mie squadre, sembrava che la Terra tremasse sotto i miei piedi, ed io diceva a me stesso. – Tu sei, non v'ha dubbio, il Re dell'Universo, il più grande, il più invincibile de' guerrieri. – Queste falangi han finito di appartenermi, e per essermi troppo affidato alla forza mia personale, muoio sotto i colpi di un masnadiero342». Alp Arslan possedea le virtù d'un Turco e d'un Musulmano; fornito di voce e statura che il rispetto inspiravano, lunghi mustacchi ne ombravano una parte del volto, e il largo suo turbante a guisa di corona se gli adattava sul capo. Le mortali spoglie di esso vennero deposte nella tomba della dinastia de' Selgiucidi, come la seguente bella iscrizione additavalo343. O voi, stati spettatori della gloria di Alp-Arslan sollevatasi sino ai cieli, venite a Maru, e vedrete questo eroe nella polvere; e, cosa ben atta a dimostrare l'instabilità delle umane grandezze, l'iscrizione e la tomba sono sparite.

A. D. 1072-1092

Durante la vita di Alp-Arslan, il figlio di lui primogenito Malek-Sà era stato riconosciuto erede presuntivo del trono de' Turchi; ma dopo la morte del Sultano, e lo zio, e il cugino, e il fratello di Malek, fattisi a disputargli questa successione, presero ciascuno l'armi e le loro truppe adunarono. Malek-Sà trionfando di tutti tre i competitori, la propria fama e il diritto della primogenitura consolidò344. In tutti i tempi la sete dell'autorità ha inspirate le passioni medesime, e prodotti eguali disordini, singolarmente nell'Asia; ma in mezzo a tante guerre civili, sarebbe difficile il rinvenire alcuna cosa tanto sublime, che il sentimento espresso ne' seguenti detti del Principe turco, in purezza e magnanimità, pareggiasse. Nel giorno che precedea la battaglia, ei stava a Tua, orando a piè del sepolcro d'un Imano, chiamato Riza; e poichè Nisam, visir del Sultano, parimente orando, stava prostrato dietro di lui, allorquando entrambi si furono rialzati, gli chiese: «Qual era lo scopo della vostra preghiera?» Il Visir, prudentemente, e, giusta ogni apparenza, con sincerità, gli rispose: «Io supplicava Iddio pel trionfo dell'armi vostre.» Ed io, soggiunse il generoso Malek, lo supplicava perchè mi togliesse la corona e la vita, se mio fratello più di me era degno di regnare su i Musulmani.» – Il cielo giudicò in favor di Malek, e questo decreto del cielo fu autenticato dal Califfo, il quale conferì per la prima volta ad un Barbaro il sacro titolo di Comandante de' Credenti; ma questo Barbaro e per merito proprio, e per vastità d'impero, era il maggior principe del suo secolo. Regolate appena le cose pubbliche della Persia e della Siria, a capo di un innumerabile esercito si condusse a compiere la conquista del Turkestan che il padre suo aveva intrapresa. Al passaggio dell'Osso, udì le querele di alcuni navicellai, ai quali incresceva, che i loro stipendj fossero stati assegnati sulle rendite di Antiochia; la qual provvisione parve fuor di luogo allo stesso Sultano, che ne manifestò scontento al Visir. Ma dovette sorridere egli stesso sull'ingegnosa scusa, che il cortigiano seppe con maestra adulazione architettare. «Non vi avvisaste, o signore, che per differire la paga a questi giornalieri, io l'avessi assegnata su d'un paese tanto remoto; ma piaceami attestare alla posterità che sotto il vostro regno Antiochia e l'Osso obbedivano ad un sovrano medesimo». Pur questa distribuzione de' confini dell'impero di Malek, troppo limitata ancor risultò. Ei sottomise al di là dell'Osso le città di Bocara, di Carizma, di Samarcanda, e sconfisse tutti i ribelli, o Selvaggi independenti che all'armi di lui osaron resistere. Varcò il Sihon, o Jaxarte, ultima frontiera della parte di Persia venuta a civiltà: le bande del Turkestan l'impero di Malek riconobbero; e il nome di lui scolpito sulle monete, venne ripetuto persino nelle pubbliche preci del Casgar, Regno tartaro situato ai confini della Cina; e da questa frontiera egli estendea, a ponente e ad ostro, la sua giurisdizione immediata, ossia il potere di primario Capo della sovranità, fino ai monti della Georgia, ai dintorni di Costantinopoli, alla città santa di Gerusalemme, e agli odorati boschi dell'Arabia Felice. Schifo d'abbandonarsi alla mollezza del suo serraglio, il Re pastore non cessò, nè durante la pace, nè durante la guerra, di tenersi operoso, e di condur sempre la vita nel campo, ch'egli trasportava continuamente da un paese all'altro per fare a mano a mano liete di sua presenza tutte le soggette province; onde narrasi avere egli per dodici volte trascorsa l'estensione de' suoi dominj, che in vastità oltrepassavano quelli posseduti da Ciro e dagli antichi Califfi. Di tutte le peregrinazioni di questo Sovrano, la più religiosa e la più rinomata ad un tempo, fu la visitazione da esso fatta alla Mecca. In tale circostanza, l'armi di lui la libertà e la sicurezza delle carovane protessero; mentre la generosità de' soccorsi da esso forniti e cittadini, e viandanti arricchirono; e con provvidi asili che freschezza e ristoro offerivano ai pellegrini, la trista uniformità del deserto interruppe. Era suo diletto, anzi passione dominante, la caccia, e in questo intertenimento quarantasettemila uomini a cavallo il seguivano. Nè dee negarsi che cacce di sì fatta natura erano veri macelli; ma dopo ciascuna di esse, distribuiva ai poveri tante piastre d'oro, quanti animali erano stati uccisi; ad ogni modo, lieve compenso di quanto costano ai popoli le ricreazioni dei re! Durante la pacifica prosperità del regno di Malek, le città dell'Asia abbondarono di palagi e d'ospitali, di moschee e di collegi: nè alcuno uscia del Divano, o scontento, o senza avere ottenuta l'implorata giustizia. Anche la lingua e la letteratura persiana sotto la dinastia de' Selgiucidi presero nuova vita345; e se fosse solamente vero che Malek nell'onorarle gareggiò di liberalità con un Turco men potente di lui346, i canti di cento poeti avrebbe la reggia sua ripetuti. Ma più gravi cure e più sensate diede il ridetto Sultano alla riforma del Calendario, riforma operata da un'assemblea generale degli astronomi dell'Oriente. Per legge di Maometto, i Musulmani si adattarono all'irregolare calcolo dell'anno lunare; benchè fin dal secolo di Zoroastro i Persiani conoscessero la rivoluzione periodica del sole, e con una festa annuale usassero celebrarla347: ma caduto l'Impero de' Magi, trascurata avevano l'intercalazione; e l'ore e i minuti accumulatisi, divennero giorni, talchè il principio di primavera trovavasi innoltrato dall'Ariete all'Acquario. L'Era Gelalea illustrò pertanto il regno di Malek, e tutti gli errori passati, o avvenire, in ordine a ciò, trovaronsi corretti da un calcolo che l'esattezza del Calendario Giuliano oltrepassa e a quella del Gregoriano avvicinasi.348.

 

A. D. 1092

Lo splendore e i lumi del sapere che si diffusero per tutta l'Asia, in un tempo in cui l'Europa nella più profonda barbarie giaceva, vogliono essere attribuiti alla docilità, anzichè alle cognizioni de' Turchi vincitori. Gran parte di lor saggezza e virtù questi dovettero ad un Visir persiano, che sotto i regni di Alp-Arslan e di Malek ebbe l'amministrazion dell'Impero. Nisam, uno fra i più sapienti personaggi dell'Oriente, venia riguardato dal Califfo, quale oracolo della religione e della scienza; e il Sultano affidavasi in lui, come nel più fedele ministro della sovrana giustizia e possanza. Pure la cosa pubblica sì rettamente amministrata per un volgere di trent'anni, la fama con ciò acquistatasi dal Visir, la sua fortuna, e perfino i servigi, a colpa vennergli ascritti. Le cabale d'un suo rivale unite a quello di una femmina lo perdettero; e ne accelerò la caduta l'imprudenza che egli ebbe di asserire che dal suo turbante e dal suo calamaio, emblemi del visirato, dipendeano, per li decreti di Dio, il trono e il diadema del Sultano. Questo rispettabile ministro si vide all'età di novantatre anni scacciato dal suo padrone, accusato da' suoi nemici, e morto sotto il pugnal d'un fanatico: le estreme parole di lui ne attestarono l'innocenza; e spirato Nisam, Malek non visse che pochi giorni privi di gloria. Abbandonata Ispahan che stata era il teatro di questa scena d'iniquità, si trasferì a Bagdad col disegno di rimovere dal trono il Califfo, e porre stabile dimora nella capitale de' Musulmani. Quel debole successore di Maometto ottenne una dilazione di dieci giorni. Ma questa non era per anco spirata, quando Malek fu chiamato dall'Angelo della morte. In quel tempo avendo gli ambasciatori dello stesso Malek chiesta per esso la mano di una principessa romana, l'Imperator greco con decenti modi se ne schivò. Anna figlia di Alessio, sopra la quale cadeano i divisamenti di nozze del Principe turco, rammenta con orrore una sì mostruosa proposta349. Il Califfo Moctadi sposò la figlia del Sultano, ma coll'inviolabile patto di rinunciar per sempre alla vicinanza dell'altre mogli e concubine, volendosi che fosse a bastanza pago di questo onorevole parentado.

Con Malek Sà la grandezza e l'unità dell'Impero turco si dileguarono, il fratello e i quattro figli di lui essendosi disputato il trono. Quel negoziato, onde si riconciliarono fra loro i competitori che alle accadute guerre civili poterono sopravvivere, separò dal rimanente dell'Impero la dinastia persiana, ramo primogenito, e principale della casa de' Selgiucidi. I tre rami minori erano quelli di Kerman, di Sorìa e di Rum: il primo governava dominj estesi, ma quasi incogniti350 sulle rive dell'Oceano indiano351; il secondo scacciò i Principi arabi di Aleppo e di Damasco, e il terzo, che in questa parte di storia più ne rileva, invase le province romane dell'Asia Minore. All'ingrandimento di questi rami non lievemente contribuì la generosa politica di Malek, che avea permesso ai principi del suo sangue, fossero anche stati vinti nelle battaglie, il cercarsi novelli reami degni della loro ambizione: nè per vero dire incresceagli lo spacciarsi con tal grazia d'uomini inquieti e coraggiosi che la tranquillità del suo regno turbar poteano. Qual Capo supremo della sua dinastia e nazione, il Sultano della Persia riceveva obbedienza e tributo da' suoi fratelli; onde all'ombra dello scettro di lui, s'innalzarono i troni di Kerman e di Nicea, di Aleppo e di Damasco; e gli Atabechi, e gli Emiri della Sorìa, e della Mesopotamia gli stendardi lor dispiegarono352; e bande di Turcomanni le pianure dell'Asia occidentale copersero. Ma i vincoli di colleganza e di subordinazione, affievoliti per la morte di Malek, a rompersi non tardarono: la troppa bontà de' principi della casa de' Selgiucidi collocò altrettanti schiavi sul trono, e, se qui mi fosse lecito adoperare lo stile orientale, un nugolo di principi dalla polve de' loro piedi si sollevò353.

A. D. 1074-1084

Un Principe appartenente alla real dinastia, di nome Cutulmis, figlio d'Izrail, e pronipote di Selgiuk, perì in una battaglia contro Alp Arslan, non senza destar pietà nell'animo dell'umano vincitore, che di alcuna lagrima la tomba dell'estinto onorò. I cinque figli di Cutulmis, forti per molto numero di partigiani, ambiziosi e avidi di vendetta, contra il figlio di Arslan brandirono l'armi; e già i due eserciti aspettavano il segnale della battaglia, allor quando il Califfo, dimenticata l'etichetta che divietavagli mostrarsi agli occhi del volgo, frappose la sua mediazione, che rispettavano entrambe le parti. «Perchè in vece di versare il sangue de' fratelli vostri, fratelli per natura e per comunione di credenza, non unite le vostre forze, per guerreggiare santamente i Greci, nemici del Signore e dell'Appostolo del Signore?» Ben accolti i consigli del successore di Maometto, il Sultano si strinse al seno i congiunti testè ribelli; e il maggior d'essi, il prode Solimano, accettò dalle mani di lui il regio vessillo, sotto gli auspizj del quale, tutte le province del romano Impero, che si estendono da Erzerum a Costantinopoli e alle incognite regioni dell'Occidente, conquistò e retaggio fe' de' suoi posteri354. Ei passò co' suoi quattro fratelli l'Eufrate, nè andò guari che le turche tende apparvero sul territorio della Frigia, in vicinanza a Kutaia; e la cavalleria leggiera di Solimano devastò il paese fino all'Ellesponto e al mar Nero. Ben dopo il declinar dell'Impero, la penisola dell'Asia Minore avea sofferte passeggiere correrie di Persiani e di Saracini. Ma i frutti di una durevol conquista serbati erano a questo Sultano, cui dischiusero il varco alcuni Greci, empiamente sospirosi di regnare sull'eccidio della loro patria. Il figlio di Eudossia, Principe pusillanime, per sei anni sotto il peso di una Corona aveva tremato, incominciando dai giorni della cattività di Romano, sino all'istante che una duplice ribellione gli fece perdere in uno stesso mese le orientali e le occidentali province. I due Capi de' sollevati il nome entrambi portavano di Niceforo; ma il pretendente d'Europa col soprannome di Briennio distinguevasi da quello dell'Asia, appellato Botoniate. Il Divano le ragioni de' due competitori, o più veramente le promesse de' medesimi ventilò, e finalmente dopo qualche incertezza, Solimano chiaritosi per Botoniate, aperse alle sue soldatesche una via da Antiochia a Nicea. Onde i vessilli della Luna e della Croce, veduti furono sventolar congiunti nel campo degli eserciti confederati. Pervenuto quindi al trono di Costantinopoli Niceforo Botoniate, ricevè onorevolmente il Sultano nel sobborgo di Crisopoli, o Scutari, e agevolato a duemila Turchi il passaggio in Europa, dovette alla destrezza e al valore di questi la disfatta, la cattività del suo competitore Briennio; ma i conquisti fatti da Botoniate in Europa vennero a carissimo prezzo pagati col sagrifizio de' possedimenti dell'Asia. Mancarono immantinente a Costantinopoli l'omaggio e le rendite delle province situate oltre il Bosforo e l'Ellesponto; e fu spettatrice delle mosse de' Turchi che ordinatamente avanzavansi affortificando i passi de' fiumi e le gole de' monti; la qual cosa toglieva del tutto la speranza o di vederli ritirarsi, o di poterli scacciare. Entrò indi in campo un altro pretendente, di nome Melisseno, che la protezione del Sultano implorava, e vestendo la porpora, e calzando i rossi coturni, seguiva gli accampamenti de' Turchi, e confortava con vane lusinghe le scoraggiate città, che adescate dai manifesti di un Principe romano venivano in sostanza in balìa de' Barbari abbandonate. Un negoziato di pace che l'Imperatore Alessio di poi sottoscrisse, le ridette conquiste in man de' Turchi consolidò; perchè questo Principe, mosso dal terrore che Roberto inspiravagli, l'amistà di Solimano richiese; onde solamente dopo la morte del secondo, potè allargare la frontiera orientale dell'Impero, sino a Nicomedia, vale a dire sessanta miglia all'incirca sopra Costantinopoli. La sola Trebisonda, difesa d'ogni lato dal mare e dalle montagne, conservava all'estremità dell'Eussino l'antica indole di colonia greca e le basi di un Impero cristiano.

Lo stanziarsi de' Turchi nella Natolia, o Asia Minore, fu il massimo disastro che dopo le prime conquiste de' Califfi, sofferto avessero la Chiesa e l'Impero. La propagazione della Fede musulmana fruttò a Solimano il titolo di Gazi, ossia campione sacro, e le tavole dell'orientale geografia, col reame dei Romani o di Rum da esso fondato, aumentaronsi. Gli autori descrivono questo novello Stato di una vastità che tenesse i paesi posti fra l'Eufrate e Costantinopoli, fra il mar Nero e i confini della Sorìa, ricco inoltre di miniere d'argento e di ferro, di allume e di rame, fertile di biade e vino, abbondante di mandrie e di eccellenti cavalli355. Ma le ricchezze della Lidia, le arti della Grecia, e lo splendore del secolo d'Augusto ne' libri sol si trovavano, o, tutto al più, se ne scorgeano le tracce per mezzo a rovine, di cui schifi erano parimente gli Sciti che il paese occupavano. Ciò nullameno la Natolia offre ancora ai dì nostri alcune opulenti e popolose città, delle quali sotto l'Impero di Bisanzo erano maggiori il numero, l'importanza e le ricchezze. Dopo avere affortificata Nicea, capitale della Bitinia, il Sultano vi pose dimora; onde la residenza del governo de' Selgiucidi di Rum non trovavasi più di cento miglia distante da Costantinopoli, e la Divinità di Gesù Cristo vedeasi rinnegata e insultata in quel medesimo tempio, ove il primo Concilio generale de' Cattolici articolo di fede avevala promulgata356: l'unità di Dio e la Missione di Maometto in tutte le Moschee venivano predicate; le scuole insegnavano le scienze arabe; colle leggi del Corano i Cadì giudicavano: così l'idioma come le costumanze de' Turchi prevaleano nelle città; di campi di Turcomanni abbondavano le pianure e i gioghi della Natolia. Se i Greci ottennero la libertà del loro culto, tal concedimento dovettero al duro patto di pagare un tributo, e di vivere sotto il giogo dei Turchi: ma profanati furono que' loro templi che in maggior venerazione teneano, nè insulti ai Sacerdoti e Vescovi cristiani si risparmiarono357; e al cordoglio di veder trionfanti i Pagani si aggiunse per essi lo spettacolo dell'apostasia de' proprj fratelli; circoncisi erano a migliaia i fanciulli; migliaia di schiavi consacrati ai servigi, o ai diletti de' loro padroni358. Comunque l'Asia fosse perduta pe' Greci, Antiochia e le sue pertenenze, rimanevano tuttavia fedeli a Gesù Cristo ed a Cesare; ma circondata da ogni lato dalle forze maomettane questa solitaria provincia, qual soccorso sperar potea dai Romani? Già il governator della medesima Filarete, disperando di potersi difendere, a tradire la sua religione e il dovere si apparecchiava; ma in tale colpa lo prevenne suo figlio, che trasferitosi affrettatamente alla reggia di Nicea, offerse a Solimano la propria opera per farlo padrone di una cotanto ragguardevole città. L'ambizioso Sultano, montato subitamente a cavallo, compiè un cammino di seicento miglia in dodici notti, perchè di giorno si riposava. Tai furono la segretezza e la rapidità dell'impresa, che non lasciarono ad Antiochia il tempo di deliberare; e l'esempio della Metropoli seguirono le città che ne dependeano sino a Laodicea e ai confini di Aleppo359. Da Laodicea al Bosforo di Tracia, o braccio di S. Giorgio, le conquiste dell'Impero di Solimano occupavano uno spazio di trenta giornate di cammino in lunghezza, e di dieci, o quindici in larghezza fra le rupi della Licia e il mar Nero360. L'imperizia de' Turchi nella navigazione concedè per qualche tempo all'Imperatore greco una sicurezza priva di gloria; ma, poichè i prigionieri greci ebbero fabbricata ai loro padroni una flotta di dugento navi, entro le mura della sua capitale Alessio tremò. Ad eccitare la compassione dei Latini, ei mandò per tutta Europa lettere di lamentazione ove il pericolo, la debolezza, i tesori della città di Costantino si dipingeano361.

La più importante fra le conquiste de' Turchi Selgiucidi, fu la presa di Gerusalemme362, la qual città divenne bentosto il Teatro dell'Universo. Omar concedè a quegli abitanti una capitolazione che la libertà del loro culto e la conservazione dei loro possedimenti ai medesimi assicurava: ma gli articoli di un tale negoziato dovevano essere interpretati da un padrone, col quale era pericoloso il discutere; onde ne' quattro secoli che il regno de' Califfi durò, a frequenti vicissitudini fu soggetto lo stato politico di Gerusalemme363. Primieramente i Musulmani si impadronirono di tre quarti della città; il che forse era necessaria conseguenza dell'aumentato numero della popolazione e de' proseliti di Maometto: venne nondimeno assegnato un rione a parte al Patriarca, al suo clero e al suo gregge; e il sepolcro di Gesù Cristo, e la chiesa della Risurrezione, rimasero fra le mani de' Cristiani, che per prezzo della protezione lor conceduta, pagavano un testatico di due piastre d'oro. Ma la parte più numerosa e più ragguardevole di Cristiani, non ne' soli abitanti di Gerusalemme si stava; la conquista degli Arabi, anzichè toglier di mezzo i pellegrinaggi a Terra Santa, ne eccitò maggior desiderio; e il dolore e l'indignazione cresceano nuova forza all'entusiasmo che l'idea di questi rischiosi viaggi inspirò. I pellegrini dell'Oriente e dell'Occidente giugneano a torme al Santo Sepolcro, e alle chiese circonvicine, soprattutto nel tempo delle feste pasquali; i Greci e i Latini, i Nestoriani e i Giacobiti, i Cofti, e gli Abissinj, gli Armeni e i Georgiani manteneano, ciascuno per propria parte gli oratorj, il clero, e i poveri della loro comunione. L'armonia di tutte queste preghiere fatte in idiomi così diversi, il concorso di tante nazioni assembrate nel tempio comune di lor religione, avrebbero dovuto offerire uno spettacolo di edificazione e di pace; ma lo spirito di odio e vendetta inacerbiva lo zelo delle Sette cristiane, che ne' luoghi medesimi, ove il Messia, perdonando ai suoi carnefici, avea perduta la vita, voleano dominare e perseguitare i proprj fratelli. Il coraggio ed il numero assicurando ai Franchi la preminenza, Carlomagno colla sua grandezza364 proteggea i pellegrini della Chiesa latina, e i Cattolici dell'Oriente. La povertà di Cartagine, di Alessandria e di Gerusalemme trovò ristoro ne' soccorsi di questo pietoso Imperatore, che inoltre edificò, o riparò molti monasteri della Palestina. Arun al-Rascid, il maggiore fra gli Abbassidi, apprezzava nel principe cristiano, da lui chiamato fratello, una grandezza d'animo e una possanza eguale alla sua, e l'amicizia loro avendo consolidata i donativi e le frequenti ambascerie, il Califfo, serbando a sè la vera dominazione di Terra Santa, le chiavi del Santo Sepolcro, e forse della città di Gerusalemme, al cristiano Imperator presentò. Declinando la monarchia de' Carlovingi, la repubblica d'Amalfi prestò non pochi servigi ai commercio e alla religione degli Europei nell'Oriente; perchè le navi della medesima portavano i pellegrini sulle coste dell'Egitto e della Palestina: e mercè le derrate che vi sbarcava, il favore e l'amicizia de' Califfi Fatimiti si cattivò365. Istituitasi sul Calvario una fiera annuale, i mercatanti Italiani fondarono il convento e lo spedale di S. Giovanni di Gerusalemme, culla dell'Ordine monastico e militare, che da poi diede leggi all'isola di Rodi, indi a quella di Malta. Se i pellegrini cristiani fossero stati paghi di venerare la tomba di un Profeta366, i discepoli di Maometto, lungi dal querelarsi di una simile divozione, imitata l'avrebbero: ma spiacque oltremodo a questi rigidi unitarj l'indole di un culto inteso a persuadere la nascita, la morte e la risurrezione di un Dio; invilirono col nome d'idoli le immagini de' Cattolici, e col sorriso dello sdegno riguardarono367 la fiamma miracolosa che, la vigilia di Pasqua, sul Santo Sepolcro368 appariva. Da questa pia frode369 inventata nel nono secolo370, i Crociati latini si erano lasciati sedurre; e i preti delle Comunioni greca, armena e cofta371 la rinovano ciascun anno agli occhi di una credula moltitudine che costoro ingannano per interesse proprio, e per quello de' loro tiranni372; perchè in tutti i secoli l'interesse ha fatto forte il principio della tolleranza, e le spese fatte da un sì smisurato numero di stranieri, e il tributo che essi pagavano, accresceano ciascun anno le rendite del principe e del suo Emir.

336Elmacin (p. 343, 344) accenna un tal numero che il verisimile non eccede; pure Abulfaragio (p. 227) lo riduce a quindicimila uomini a cavallo, e il D'Herbelot (p. 102) a dodicimila. Del rimanente lo stesso Elmacin fa ascendere a trecenmila uomini l'esercito imperiale, ed anche Abulfaragio si esprime in tal guisa. Cum centum hominum millibus, multisque equis et magna pompa instructus. I Greci si astengono dall'indicare alcun numero determinato.
337Gli autori greci non asseriscono così chiaramente che il Sultano si sia ritrovato alla battaglia: assicurano che Arslan diede il comando delle truppe al suo eunuco, e che indi si ritirò lungi dal campo ec. Parlano forse in tal guisa per ignoranza, o per gelosia, o il fatto sarebbe mai vero?
338Questo Andronico era figliuolo di Cesare Giovanni Duca, fratello dell'Imperator Costantino (Ducange, Fam. byzant. p. 165). Niceforo Briennio, mentre loda le virtù, e attenua le colpe (l. I, p. 30-38, l. II, p. 53) di cotest'uomo, confessa ciò nonostante l'odio del medesimo contra Romano. ου πανυ δε φιλιως εχον προς βασιλεα non avea dramma d'affetto pel re. Scilitzes narra in più chiare note il tradimento di Andronico.
339Niceforo e Zonara operano saggiamente nel tacer questo fatto, raccontato da Scilitzes e da Manasse, ma che non pare troppo credibile.
340Gli Orientali fanno ascendere a tali somme, assai verisimili, il riscatto e il tributo. Ma i Greci conservano un modesto silenzio, eccetto Niceforo Briennio, il quale osa sostenere che gli articoli erano ουκ αναξιας Ρομαιων αρχης non indegni dell'Impero Romano, e che l'Imperatore avrebbe preferita la morte ad un obbrobrioso negoziato.
341Le particolarità intorno alla sconfitta e alla prigionia di Romano Diogene leggonsi in Giovanni Scylitzes (ad calcemCedreni, t. II, p. 835, 843), in Zonara (t. II, pag. 281-284), in Niceforo Briennio (l. I, p. 25-32), in Glica (p. 325-327), in Costantino Manasse (pag. 134), in Elmacin (Hist. Saracen., p. 343, 344), in Abulfaragio (Dynast., p. 227), in d'Herbelot (pag. 102-103), De-Guignes (tom. III, p. 207-211). Oltre ad Elmacin e Abulfaragio, co' quali ho acquistata famigliarità, lo Storico degli Unni ha consultato Abulfeda e Bensciuma suo compilatore, una Cronaca de' Califfi composta da Soyuri, l'egiziano Abulmahasen e l'affricano Novairi.
342Il D'Herbelot (p. 103, 104) e il De Guignes (t. III, p. 212, 213), sulle tracce degli scrittori orientali, raccontano le circostanze di questa morte sì rilevante; ma niun d'essi nelle sue narrazioni ha conservata la vivacità del descrivere di Elmacin (Hist. Saracen., p. 344, 345).
343Un critico celebre (il defunto dottore Johnson, che ha esaminato con tanto rigore gli epitafj di Pope) troverebbe forse argomento a ridire sulle parole di questa sublime iscrizione: Venite a Maru. Chi legge l'iscrizione, vi si dée già trovare.
344La Biblioteca orientale ne presenta il testo per la storia del regno di Malek (p. 452, 543, 544, 654-655), e la Histoire générale des Huns (t. III, p. 214-224) ripete i fatti medesimi aggiugnendo quelle correzioni e que' supplimenti soliti in esse a trovarsi. Confesso che, se mi mancassero le disamine fatte da questi due dotti Francesi, in mezzo al Mondo orientale, mi troverei affatto perduto.
345V. un eccellente Discorso posto in fine alla Storia di Nadir-Shah, di ser William Jones, e gli articoli de' poeti Amak, Anvari, Rascidi, ec., nella Biblioteca orientale.
346Questo Principe turco nomavasi Keder-Kan. Provveduto di quattro sacchi di monete d'oro e d'argento attorno al suo sofà, le distribuiva a piene mani ai poeti che gli recitavano versi (d'Herbelot, p. 107). Tutte queste cose possono essere vere; ma non comprendo egualmente la possibilità che il ridetto principe regnasse nella Transossiana ai tempi di Malek Sà, e anche meno che il primo oscurasse in fasto e munificenza il secondo. Credo che Keder regnasse sull'incominciare, non verso la fine dell'undicesimo secolo.
347V. Chardin, Voyages en Perse, t. II, p. 235.
348L'Era Gelalea (Gelaleddin, la Gloria della Fede, era uno fra i nomi, o titoli attribuiti a Malek-Sà), veniva prefissa ai 15 marzo, A. H. 471, A. D. 1079. Il dottore Hyde ha riportate le testimonianze originali de' Persiani e degli Arabi. (De Religione veterum Persarum, c. 16, p. 200-211).
349Anna Comnena parla di questo regno de' Persiani come απασης κακοδαιμονεσερον πενιας, la maggiore di tutte le calamità. Ella toccava i nove anni sul finire del regno di Malek-Sà (A. D. 1092); e quando narra che questo monarca fu assassinato, confonde il Sultano col suo Visir. (Alexias, l. VI, p. 177, 178).
350Sono essi conosciuti sì poco, che il De Guignes, dopo tutte le sue indagini, si è limitato a trascrivere (t. I, p. 244; t. III, part. I, p. 269, ec.) la storia, o piuttosto il registro de' Selgiucidi di Kerman, qual trovasi nella Biblioteca orientale. Cotesta dinastia è sparita prima della fine del duodecimo secolo.
351Il Tavernier, solo forse tra i viaggiatori che sia andato sino a Kerman, ne descrive la capitale, come un grande villaggio caduto in rovina, situato in mezzo ad una fertile contrada distante di venticinque giorni da Ispahan, e ventisette da Ormus. (Voyages en Turquie et en Perse: p. 107-110).
352Stando ai racconti di Anna Comnena, i Turchi dell'Asia Minore obbedivano ai decreti d'arresto, ossia Sciaus del gran Sultano (Alexias, l. VI, p. 470), il quale, ella dice, teneva alla sua Corte i due figli di Solimano (p. 180).
353Petis de la Croix (Vie de Gengis-khan, p. 161), cita questa espressione che giusta ogni apparenza ad un poeta persiano appartiene.
354Nel narrare la conquista dell'Asia Minore, il De-Guignes non ha potuto giovarsi in modo alcuno degli scrittori arabi o turchi che si contentano di offerire una sterile genealogia de' Selgiucidi di Rum; e poichè i Greci furono ritrosi a palesare la propria ignominia, i moderni storici son ridotti a fondarsi unicamente sopra poche parole sfuggite a Scilitze (p. 860, 863), a Niceforo Briennio (p. 88-91, 92 ec., 103, 104), e ad Anna Comnena (Alexias, p. 91, 92, ec., 168, ec.).
355Così il paese di Rum viene descritto dall'armeno Haiton, autore di una Storia tartara che leggesi nelle Raccolte del Ramusio e del Bergeron (V. Abulfeda, Geogr., Climat 17, p. 301-305.).
356Abbiamo già mostrato in una Nota al vol. IX che la Divinità di Gesù Cristo era già stata creduta anche prima del Concilio generale di Nicea, adunato nell'anno 325, dove poi fu scritto il Credo ec. coll'espressione Consustantialem, che spiega, e stabilisce appunto la Divinità di Gesù Cristo. (Nota di N. N.)
357Dicit eos quemdam abusione sodomitica intervenisse episcopum (Guibert. Abbat., Hist. Hierosol., l. I, p. 468). Ella è cosa singolare che il medesimo popolo ne abbia offerto ai nostri giorni un non dissimile tratto. «Non vi sono orridezze, dice il Barone di Tott nelle sue Memorie (t. II, p. 193) che cotesti Turchi non abbiano commesse; e simili a soldati che senza sentir legge o freno nel sacco di una città, non si appagano di manomettere tutto a lor grado, ma aspirano anche a' successi non lusinghieri in modo veruno, alcuni Spai sfogarono la loro libidine sulle persone del vecchio rabbino della Sinagoga, e dell'arcivescovo greco».
358L'Imperatore, ossia l'Abate Giberto, descrive la scena del campo turco come se vi fosse stato in persona. Matres correptae in conspectu filiarum, multipliciter repetitis diversorum coitibus vexabantur. Cum filiae assistentes carmina praecinere saltando cogerentur. Mox eadem passio ad filias, ec.
359V. diverse particolarità intorno Antiochia e la morte di Solimano in Anna Comnena (Alexias, l. VI, p. 168, 169), colle note del Ducange.
360Guglielmo di Tiro (l. I, c. 9, 10, p. 635) offre descrizioni le più autentiche e le più deplorabili sulle conquiste de' Turchi.
361Nella sua lettera al conte di Fiandra, sembra che Alessio avvilisca il suo carattere e il decoro imperiale; pure il Ducange la ravvisa per autentica (Not. ad Alexiad., p. 335, ec.), benchè sia piuttosto una parafrasi dell'Abate Giberto storico che vivea ai giorni di Alessio. Il testo greco è perduto e tutti i traduttori e copisti hanno potuto dire col citato Giberto (p. 475) verbis vestita meis, privilegio d'una indefinita estensione.
362Due passi estesissimi ed originali di Guglielmo, arcivescovo di Tiro (l. I, c. 1-10; l. XVIII, c. 5, 6), il principale autore dell'opera Gesta Dei per Francos, contengono sicurissime particolarità intorno alla storia di Gerusalemme, cominciando da Eraclio, e venendo sino ai tempi delle Crociate. Il De Guignes ha composta una dotta Memoria sul commercio che, prima delle Crociate, avevano nel Levante i Francesi ec. (Mém. de l'Acad. des inscript., t. XXXVII, p. 467-500).
363Secundum dominorum dispositionem, plerumque lucida, plerumque nubila recepit intervalla, et aegrotantium more, temporum praesentium gravabatur, aut respirabat qualitate (l. I, c. 3, p. 630). La latinità di Guglielmo di Tiro non è affatto sprezzabile; ma quando egli racconta essere trascorsi quattrocentonovanta anni fra il tempo della caduta e quello in cui fu ripresa Gerusalemme, ne mette una trentina di più.
364V. intorno alle corrispondenze di Carlo Magno con Terra Santa Eginardo (De vita Caroli Magni, c. 16, p. 79-82), Costantino Porfirogeneta (De administr. imperii, l. II, c. 26, p. 80), e il Pagi (Critica, t. III, A. D. 800, n. 13, 14, 15).
365Il Califfo concedè diversi privilegi Amalphitanis viris amicis et utilium introductoribus (Gesta Dei, p. 934). Il commercio di Venezia nell'Egitto e nella Palestina, non può vantare sì antica data, quando mai non si ammettesse la burlesca traduzione di un Francese che confondea le due fazioni del Circo (Veneti et Prasini) co' Veneziani e coi Parigini.
366I pellegrini cristiani, a norma della loro fede, dovevano visitare la tomba di Gesù Cristo, come figlio di Dio, ed i pellegrini maomettani, secondo la loro credenza, visitavano quella di Maometto come semplice loro Profeta, ed inviato da Dio. (Nota di N. N.)
367Una cronaca araba di Gerusalemme, presso l'Assemani (Bibl. orient., t. I, p. 628; t. IV, p. 368), attesta l'incredulità del Califfo e dello storico. Ciò nullameno Cantacuzeno osa appellarsi ai Musulmani medesimi sulla realtà di questo perpetuo miracolo.
368L'erudito Mosheim ha discusso separatamente quanto a tal preteso prodigio si riferisce nelle sue dissertazioni sulla Storia Ecclesiastica (t. II, p. 214-306. De lumine sancti sepulchri).
369Giacchè Gesù Cristo che ha fatto tanti miracoli, come sappiamo dagli Evangelisti, poteva operare anche questo, non dovevasi usare l'espressione pia frode. (Nota di N. N.)
370Guglielmo di Malmsbury (l. IV, c. 11, 209) cita l'Itinerario del monaco Bernardo, testimonio oculare, che visitò Gerusalemme nell'anno 870; e la testimonianza di lui vien confermata da un altro pellegrino, che di alcuni anni avealo preceduto; e il Mosheim asserisce che i Franchi cotesta frode inventarono poco dopo la morte di Carlomagno.
371I nostri viaggiatori, Sandys (p. 134), Thevenot (p. 621-627), Maundrell (p. 94, 95) ec., descrivono questa stravagante burletta. I Cattolici si trovano imbarazzati nel determinare il tempo in cui finì il miracolo, e gli fu sostituita la frode.
372Gli stessi Orientali confessano la frode, adducendone poi a giustificazione la necessità e diverse mire edificanti, per cui fu inventata (Mémoires du chevalier d'Arvieux, t. II, p. 140; Giuseppe Abudacni, Hist. Coph., c. 20); ma io non farò prova, come il Mosheim, di indicare il modo onde il creduto miracolo si operava; e penso che i nostri viaggiatori sono caduti in abbaglio volendo spiegare la liquefazione del sangue di S. Gennaro.