Si è meritamente censurata la memoria di Costantino per un'altra innovazione, che corruppe la disciplina militare, e preparò la rovina dell'Impero. I diciannove anni, che precederono l'ultima sua vittoria sopra Licinio, erano stati un periodo di licenza, e d'interna discordia. I rivali, che contendevano per il possesso del Mondo Romano, avean ritirata la maggior parte delle lor forze dalla guardia delle loro frontiere generali; e le principali città, che formavano i confini de' rispettivi loro dominj, eran piene di soldati che ne risguardavano i nazionali come i più implacabili loro nemici. Dopo che fu cessato il bisogno di queste interne guarnigioni col fine della guerra civile, il conquistatore mancò di prudenza o di fermezza per restituire la severa disciplina di Diocleziano, e per sopprimere una fatale indulgenza, che l'abito avea renduta cara, e quasi avea confermata all'ordine militare. Nel regno di Costantino, fu ammessa una popolare ed anche legal distinzione fra' Palatini314 ed i Confinanti, fra le truppe, che impropriamente dicevansi del palazzo, e quelle delle frontiere. I primi si distinsero per la superiorità della paga e de' privilegi, ed era loro permesso, eccettuate le straordinarie occorrenze di guerra, di tenere tranquillamente i loro quartieri nel cuore delle Province. L'intollerabile peso di questi opprimeva le città più floride. I soldati appoco appoco dimenticavano le virtù della lor professione, e si davano solo a' vizi della vita civile, o s'avvilivano esercitandosi nelle arti meccaniche, o erano snervati dalla mollezza de' bagni e de' teatri. Essi divenner ben presto non curanti de' marziali esercizi, delicati nel vitto e nel trattamento; e nel tempo che inspiravan terrore a' sudditi dell'Impero, tremavano all'avvicinarsi che facevano con ostile anime i Barbari315. Non era più mantenuta coll'istessa cura, nè difesa con ugual vigilanza quella catena di fortificazioni, che Diocleziano ed i suoi colleghi avean tirata lungo le sponde de' fiumi reali. I soldati, che tuttavia rimanevamo sotto il nome di truppe di frontiera, potevan servire per la difesa ordinaria. Ma il loro animo era avvilito dall'umiliante riflessione, che essi, i quali eran esposti ai travagli ed ai pericoli d'una perpetua guerra, venivan premiati solo con circa due terzi della paga e degli emolumenti, che prodigamente si davano alla truppe del palazzo. Anche le bande o legioni, ch'erano innalzate quasi al livello di quegl'indegni favoriti, si sentivano in certo modo disonorate dal titolo d'onore, che loro si permetteva d'assumere. Invano si ripeterono da Costantino le più spaventose minacce di ferro e di fuoco contro i soldati di frontiera, che avessero ardito di disertare, di secondar le incursioni de' Barbari o di partecipar delle spoglie316. Di rado si possono allontanare per mezzo di parziali rigori que' danni che provengono da imprudenti consigli; e quantunque i Principi, che succederono, si studiassero di restaurare la forza ed il numero delle guarnigioni di frontiera, tuttavia l'Impero, fino all'ultimo istante del suo scioglimento, continuò a languire per quella mortal ferita, che gli fece con tanta inavvertenza e debolezza la mano di Costantino.
Sembra che l'istessa timida politica di divider tutto ciò che è unito, d'abbassare ciò che è eminente, di temere ogni attiva potenza, e di sperar che i più deboli siano per riuscire i più obbedienti, prevalesse nelle instituzioni di molti Principi, e specialmente in quelle di Costantino. Il marziale orgoglio delle legioni, i campi vittoriosi delle quali erano stati sì spesso il teatro della ribellione, era nutrito dalla memoria delle passate loro imprese, e dalla cognizione dell'attuale loro forza. Finchè si mantennero nell'antico lor numero di seimila uomini, ciascheduna di esse da se formava, sotto il regno di Diocleziano, un oggetto visibile ed importante nella storia militare del Romano Impero. Pochi anni dopo, questi corpi giganteschi ridotti furono ad una molto minor grandezza; e quando la città d'Amida era difesa contro i Persiani da sette legioni con alcuni ausiliari, l'intera guarnigione, insieme con gli abitanti d'ambedue i sessi, e quelli dell'abbandonata campagna, non passavano il numero di ventimila persone317. Da questo, e da simili altri fatti vi è motivo di credere, che la costituzione delle truppe legionarie, alla quale in parte dovevasi il valore e la disciplina loro, fu sciolta da Costantino, e che que' corpi d'infanteria Romana, che seguitavano ad arrogarsi gl'istessi nomi od onori, non contenevano che mille, o mille cinquecento uomini318. Facilmente si potea domar la cospirazione di tanti separati distaccamenti, ciascheduno de' quali era intimorito dal sentimento della propria debolezza; ed i successori di Costantino potevano secondar l'amore, che avevano per l'ostentazione, con ispedir gli ordini loro a cento trentadue legioni, descritte ne' ruoli de' numerosi loro eserciti. Il resto delle truppe era diviso in centinaia di coorti d'infanteria e di squadroni di cavalleria. Si credeva che le armi, i titoli, e le insegne loro inspirasser terrore, e sfoggiassero la varietà delle nazioni, che militavano sotto le bandiere Imperiali. Non v'era neppure un'ombra di quella severa semplicità, che ne' tempi della libertà e della vittoria, soleva distinguere la linea di battaglia d'un esercito Romano dalla confusa oste d'un Monarca dell'Asia319. Un computo più particolarizzato, tratto dalla Notizia, potrebbe esercitare la diligenza d'un antiquario; ma l'istorico dovrà contentarsi d'osservare, che il numero delle stazioni, o guarnigioni, stabilite sulle frontiere dell'Impero, ascendeva a cinquecento ottantatremila soldati, e che, al tempo dei successori di Costantino, l'intera forza della milizia si considerava di seicento quarantacinquemila320. Uno sforzo così prodigioso eccedeva il bisogno de' più antichi tempi e le forze de' più recenti.
Secondo i varj stati della società si reclutano gli eserciti per motivi molto diversi. I Barbari sono stimolati dall'amor della guerra; i cittadini d'una Repubblica libera sogliono essere indotti da un principio di dovere; i sudditi, o almeno i nobili d'una Monarchia sono animati da un sentimento d'onore; ma i timidi e lussuriosi abitatori d'un decadente Impero non possono essere allettati a militare che dalla speranza del guadagno, o costretti dal timor della pena. Gli scrigni del Romano erario erano esausti per l'accrescimento dello stipendio, pei ripetuti donativi, e per l'invenzione di nuovi emolumenti e concessioni, che nell'opinione della gioventù provinciale potevan compensare i travagli ed i pericoli della milizia. Ciò nonostante quantunque la statura de' soldati si fosse abbassata321, quantunque vi fossero ammessi, almeno per una tacita condiscendenza, indistintamente gli schiavi, pure la difficoltà insormontabile di trovar regolari e adequate leve di volontari, obbligò gl'Imperatori ad usare de' metodi più efficaci e violenti. Le terre, che solevan darsi a' veterani come premj liberi del loro valore, furono d'allora in poi accordate con una condizione, che contiene i primi tratti delle concessioni feudali, vale a dire, che i figli, che lor succedevano nell'eredità, si dessero alla professione delle armi, tosto che giungevano all'età virile; e se vilmente ricusavan di farlo, si punivano colla perdita dell'onore, de' beni ed eziandio della vita322. Ma siccome l'annual prodotto de' figli de' veterani non dava che un picciol sussidio a' bisogni della milizia, si facevano spesso delle reclute nelle Province, ed ogni proprietario si obbligava o a prender le armi, o a somministrare un sostituto, o a procurarsi l'esenzione con pagare una grave tassa. La somma di quarantadue monete d'oro, a cui fu ridotta, dimostra l'esorbitante prezzo de' volontari, e la difficoltà con cui dal governo ammettevasi quest'alternativa323. Era tale l'orrore che aveva invaso gli animi degli avviliti Romani per la profession di soldato, che molti giovani dell'Italia e delle Province, si tagliavan le dita della man destra per sottrarsi alla necessità di militare, ed era sì comunemente in uso tale strano espediente, che meritò la severa punizion delle leggi324 ed un nome particolare nella lingua Latina325.
L'introduzione de' Barbari negli eserciti Romani divenne ogni giorno più universale, più necessaria e più fatale. I più animosi fra gli Sciti, fra' Goti, ed i Germani, che si dilettavano della guerra, e trovavano più vantaggioso per loro il difendere che il devastare le Province, s'arrolavano non solo fra gli ausiliari delle respettive loro nazioni, ma anche nelle legioni medesime, e nelle truppe Palatine le più distinte. Siccome conversavano essi liberamente co' sudditi dell'Impero, appoco appoco impararono a disprezzarne i costumi e ad imitarne le arti. Essi abbandonarono quella tacita riverenza, che l'orgoglio di Roma soleva esigere dalla loro ignoranza, nel tempo che acquistavan la cognizione e il possesso di que' vantaggi, per mezzo dei quali soltanto ella sosteneva la sua decadente grandezza. I soldati barbari, che facevano prova di qualche militare talento, erano avanzati senz'eccezione ai posti più importanti; ed i nomi de' Tribuni, de' Conti, de' Duchi e de' Generali medesimi scuoprono un'origine straniera, ch'essi non volevan più simulare. Spesse volte s'affidava loro la condotta d'una guerra contro i lor nazionali; e sebbene la maggior parte di essi preferisse i vincoli della fedeltà a quelli del sangue, non eran però sempre liberi dalla taccia o almen dal sospetto di tenere una corrispondenza proditoria col nemico, d'invitarne le invasioni, o di risparmiarne la ritirata. Gli eserciti e la Corte del figlio di Costantino eran governati dalla potente fazione de' Franchi, i quali mantenevano la più stretta unione fra loro e col lor paese nativo, e risentivano qualunque personale affronto, come un torto fatto all'intera nazione326. Quando si sospettò che il tiranno Caligola avesse intenzione di vestire un candidato molto straordinario dell'abito consolare, avrebbe forse eccitato meno stupore la sacrilega profanazione, se l'oggetto della sua scelta fosse stato, invece d'un cavallo, il più nobil Capitano de' Germani o de' Brettoni. Il corso di tre secoli avea prodotto un cangiamento così notabile ne' pregiudizi del popolo, che Costantino, colla pubblica approvazione, mostrò a' suoi successori l'esempio di accordar gli onori del Consolato a que' Barbari, che per i loro meriti e servigi avevan ottenuto di esser posti fra' principali Romani327. Ma siccome questi coraggiosi veterani, ch'erano stati educati nell'ignoranza o disprezzo delle leggi, erano incapaci d'esercitare alcuna carica civile; così le facoltà della mente umana venivan ristrette dall'irreconciliabil separazione de' talenti, e delle professioni. I culti cittadini delle Repubbliche Greche e della Romana, il carattere de' quali potevasi adattare al Foro, al Senato, alla guerra, o alle scuole, avevano appreso a scrivere, a parlare, e ad agire col medesimo spirito, e con uguale abilità.
IV. Oltre i Magistrati ed i Generali che, lontani dalla Corte esercitavano la delegata loro autorità sopra le province e le armate, l'Imperatore conferiva eziandio il grado d'Illustri a sette de' più immediati suoi servitori, alla fedeltà de' quali affidava la custodia della propria salute, o de' suoi consigli o tesori. In primo luogo gli appartamenti privati del Palazzo eran governati da un eunuco favorito, che nell'idioma di quel tempo si chiamava Praepositus, o Prefetto del sacro cubicolo, o sia della camera Imperiale. Era suo uffizio di seguire l'Imperatore nelle ore di pubblici affari, ed in quelle di passatempo, e di fare intorno alla persona di lui tutti quei bassi servizi, che non traggono splendore che dall'influenza del trono. Sotto un Principe che meritasse di regnare, il gran Ciamberlano (giacchè possiam dargli tal nome) era un utile ed umil domestico; ma un artificioso domestico, che profitta di tutte le occasioni, cui somministra una libera confidenza, insensibilmente acquisterà sopra uno spirito debole quell'ascendente, che l'austera saviezza, e la virtù non lusinghiera può rare volte ottenere. I degenerati nipoti di Teodosio, invisibili a' loro sudditi, disprezzabili ai lor nemici, esaltarono il Prefetto della lor camera sopra i capi di tutti i ministri del Palazzo328; ed anche il suo deputato, cioè il primo dello splendido treno di schiavi, che attualmente servivano, era stimato degno di precedere a' rispettabili Proconsoli della Grecia o dell'Asia. Eran sottoposti alla giurisdizione del Ciamberlano i Conti, o Soprantendenti, che regolavano i due importanti dipartimenti, della magnificenza della guardaroba, e del lusso della tavola Imperiale329. 2. La principale amministrazione de' pubblici affari era commessa alla diligenza ed abilità del Maestro degli Uffizj330. Egli era il supremo Magistrato del palazzo, invigilava sulla disciplina delle scuole civili e militari, e riceveva gli appelli da tutte le parti dell'Impero, nelle cause che appartenevano a quel numeroso esercito di persone privilegiate, che come servitori di Corte avean ottenuto per se, e per le sue famiglie il diritto d'esser esenti dall'autorità dei giudici ordinari. La corrispondenza fra il Principe ed i sudditi passava per li quattro Scrinia, o uffizi di questo ministro di Stato. Il primo era destinato ai memoriali, il secondo alle lettere, il terzo alle domande, ed il quarto a' fogli ed ordini di cose miscellanee. Ognuno di questi era diretto da un Maestro inferiore di rispettabile dignità, ed erano spediti tutti gli affari da cento quarantotto segretari, presi la maggior parte dal ceto de' legali, per causa della copia di estratti e di relazioni che frequentemente occorreva di fare nell'esercizio delle varie loro funzioni. Per una condiscendenza, che ne' primi secoli si sarebbe creduta indegna della maestà Romana, era destinato un particolar segretario per la lingua Greca, e v'erano interpreti per ricever gli Ambasciatori de' Barbari; ma il dipartimento degli affari esteri, che forma una parte così essenziale della moderna politica, rare volte occupava l'attenzione del Maestro degli Uffizi. Egli era più seriamente occupato dalla general direzione delle poste e degli arsenali dell'Impero. V'erano trentaquattro città, quindici in Oriente, e diciannove in Occidente, nelle quali regolari compagnie di artefici erano perpetuamente impiegate per fabbricare armi difensive ed offensive d'ogni sorta, e macchine militari, che si depositavan ne' magazzini, e secondo le occasioni si prendevano per servigio delle truppe. 3. Nel corso di nove secoli, l'uffizio del Questore avea sopportato una rivoluzione molto singolare. Nell'infanzia di Roma, ogni anno s'eleggevan dal popolo due magistrati inferiori, per sollevare i Consoli dall'odioso maneggio del pubblico erario331. Fu accordato un assistente simile ad ogni Proconsole e ad ogni Pretore, che avesse un governo civile o militare. Estendendosi le conquiste, i due Questori furono appoco appoco moltiplicati fino al numero di quattro, di otto, di venti, o per breve tempo forse anche di quaranta332; ed i cittadini più nobili ambivano molto un uffizio, che dava loro posto in Senato, ed una giusta speranza d'ottener gli onori della Repubblica. Mentre Augusto affettava di conservar libera l'elezione, si contentava di accettare ogni anno il privilegio di raccomandare, o piuttosto in sostanza di nominare un certo numero di candidati; ed aveva per costume di scegliere uno di questi giovani distinti per leggere le sue orazioni o epistole nelle assemblee del Senato333. La pratica d'Augusto fu imitata da' Principi, che gli succederono; fu stabilita quella accidental commissione come un uffizio permanente, ed il solo Questor favorito, assumendo un nuovo e più illustre carattere, sopravvisse alla soppressione degli antichi ed inutili di lui colleghi334. Poichè le orazioni, ch'ei componeva in nome dell'Imperatore335, acquistaron la forza, ed in ultimo anche la forma di assoluti editti, egli fu considerato come un rappresentante della potestà legislativa, come l'oracolo del Consiglio, e come l'original sorgente della civile giurisprudenza. Egli era qualche volta invitato a prender posto nella suprema giudicatura del concistoro Imperiale, co' Prefetti del Pretorio e col Maestro degli Uffizi, e gli era spesso richiesta la soluzione de' dubbi de' Giudici inferiori; ma siccome non era aggravato da una gran quantità di affari subordinati alla sua carica, egli impiegava i suoi talenti ed il suo ozio a coltivare quel maestoso stile d'eloquenza, che nella corruzione della lingua e del gusto conserva sempre la dignità delle leggi Romane336. Potrebbe in qualche maniera paragonarsi l'ufficio del Questore Imperiale con quello del Cancelliere moderno, ma l'uso del gran sigillo, che sembra essere stato introdotto da' Barbari ignoranti, non fu mai usato per convalidare i pubblici atti dell'Imperatore. 4. Al Tesorier generale delle entrate pubbliche fu dato il titolo straordinario di Conte delle sacre largizioni, forse per indicare che ogni pagamento nasceva dalla volontaria bontà del Monarca. Il pretender di concepire le particolarità quasi infinite delle spese annuali e quotidiane, risguardanti l'amministrazione sì civile che militare d'un grande Impero, eccederebbe la forza della più vigorosa immaginazione. Tal azienda occupava continuamente più centinaia di persone, distribuite in undici diversi uffizi, artificiosamente inventati per esaminare, e sindacare le rispettive loro operazioni. La moltitudine di questi agenti naturalmente tendeva ad accrescersi; e fu più d'una volta creduto espediente di rimandare ai loro naturali uffizi quegl'inutili ministri soprannumerari, che abbandonando i lor onesti lavori, si eran con troppo calore insinuati nella lucrosa professione delle Finanze337. Corrispondevano al Tesoriere ventinove ricevitori Provinciali, diciotto de' quali eran onorati col titolo di Conti; e la giurisdizione di lui s'estendeva sopra le miniere, dalle quali estraevansi i metalli preziosi, sopra le zecche, ove si convertivano questi in moneta corrente, e sopra i pubblici erari delle città più importanti, in cui si depositava il denaro per servizio dello Stato. Questo ministro regolava ancora il commercio straniero dell'Impero, e dirigeva ugualmente tutte le manifatture di lino e di lana, nelle quali eseguivansi le successive operazioni di filare, di tessere, e di tingere, specialmente dalle donne di servil condizione per uso del Palazzo e dell'esercito. Nell'Occidente, dove le arti s'erano introdotte di fresco, si contavano ventisei di questi stabilimenti; ed un numero anche più grande può supporsi che ven fosse nelle industriose Province dell'Oriente338. 5. Oltre le pubbliche rendite, che un assoluto Monarca poteva esigere e spendere a suo piacere, gl'Imperatori, in qualità di opulenti cittadini, avevano un patrimonio molto esteso, ch'era amministrato dal Conte, o Tesoriere del dominio privato. Una parte di questo formavasi forse dagli antichi beni patrimoniali dei Re e delle Repubbliche; un'altra da quelli delle famiglie, che furon successivamente innalzate alla porpora; ma la parte più considerabile d'esso proveniva dall'impura sorgente delle confiscazioni. Il patrimonio Imperiale era sparso per le Province, dalla Mauritania fino alla Britannia; il ricco però e fertil terreno della Cappadocia indusse il Monarca a stabilire le sue più belle tenute in quella regione339, e Costantino, oppure i suoi successori, presero l'opportunità di giustificar la loro avarizia collo zelo di religione. Soppressero eglino il ricco tempio di Comana, dove il sommo Sacerdote della Dea della guerra sosteneva la dignità di sovrano; ed applicarono al privato lor uso le terre sacre, abitate da seimila sudditi o schiavi della Dea e suoi ministri340. Ma non eran questi gli abitanti da valutarsi: le pianure, che s'estendono dal piè del monte Argeo fino alle sponde del Saro, nutrivano una generosa razza di cavalli famosi nell'antico mondo sopra tutti gli altri per la maestosa loro figura ed incomparabil velocità. Le leggi difendevano questi sacri animali, destinati per servizio della Corte e de' giuochi Imperiali, dalla profanazione d'un padrone volgare341. Le possessioni della Cappadocia erano di sufficiente importanza per esigere l'inspezione d'un Conte342; nelle altre parti dell'Impero si ponevano ufficiali di minor grado; e i deputati del Tesoriere privato, non meno che quelli del pubblico, eran sostenuti nell'esercizio delle indipendenti loro funzioni, ed incoraggiati a contrabbilanciare l'autorità de' magistrati Provinciali343. 6. 7. I corpi scelti di cavalleria e d'infanteria, che guardavan la persona dell'Imperatore, eran sotto l'immediato comando de' due Conti de' Domestici. Tutto il loro numero consisteva in tremila cinquecento uomini, divisi in sette scuole o truppe, ognuna delle quali ne conteneva cinquecento; ed in Oriente quest'onorevole servizio era quasi totalmente proprio degli Armeni. Ogni volta che nelle pubbliche ceremonie schieravansi questi ne' cortili e ne' portici del Palazzo, la loro alta statura, il tacito ordine e le splendide armi d'argento e d'oro spiegavano una pompa marziale non indegna della Romana maestà344. Dalle sette scuole si presceglievano due compagnie di cavalli e di fanti, dette de' Protettori, il posto vantaggioso de' quali formava la speranza ed il premio de' soldati più meritevoli. Essi montavan la guardia negli appartamenti interni, e secondo le occasioni erano spediti nelle Province ad eseguire con celerità e vigore gli ordini del loro Signore345. I Conti de' Domestici eran succeduti all'Uffizio de' Prefetti del Pretorio, e come i Prefetti medesimi, aspiravano a passare dal servizio del Palazzo al comando degli eserciti.
Veniva facilitato il continuo commercio tra la Corte e le Province dalla costruzione delle strade e dalla instituzione delle poste. Ma questi utili stabilimenti erano accidentalmente connessi con un pernicioso ed intollerabile abuso. S'impiegavano sotto la giurisdizione del Maestro degli Uffizi due o trecento agenti o messaggi, per annunziare i nomi de' Consoli annuali e gli editti, o le vittorie degl'Imperatori. Questi si arrogarono insensibilmente l'incumbenza di riferir tutto ciò che potevan osservare intorno alla condotta o dei Magistrati, o de' privati cittadini; e furon ben tosto risguardati come gli occhi del Monarca346, ed il flagello del popolo. Sotto la gran protezione, che loro dava un debole Regno, si moltiplicarono fino all'incredibil numero di diecimila, sdegnavan le dolci, ancorchè frequenti ammonizioni delle leggi, ed esercitavano nel lucroso maneggio delle poste una rapace ed insolente oppressione. Questi delatori, che avevano una regolar corrispondenza colla Corte, venivano incoraggiati dal favore e dal premio a scuoprir diligentemente i progressi di qualunque ribelle disegno, dai deboli ed oscuri sintomi di mal contentezza fino agli effettivi apparecchi di un'aperta ribellione. La loro trascuratezza o reità nel violar la verità e la giustizia, era coperta dalla sacra maschera dello zelo; e potevan sicuramente diriger gli avvelenati lor dardi tanto contro gl'innocenti quanto contro i colpevoli, che provocato avessero il loro sdegno, o ricusato di comprar da loro il silenzio. Un suddito fedele della Siria, per esempio, o della Britannia, era esposto al pericolo o almeno al timore d'esser tratto in catene alla Corte di Milano, o di Costantinopoli per difender la vita ed i beni dalla maliziosa accusa di questi privilegiati informanti. Si regolava l'amministrazione ordinaria con que' metodi, che la sola estrema necessità può scusare; ed alle mancanze di prove diligentemente supplivasi coll'uso della tortura347.
L'ingannevole e pericolosa prova, ch'enfaticamente si dice della questione criminale, fu ammessa piuttosto che approvata dalla giurisprudenza de' Romani. Essi applicavano questa sanguinaria maniera d'esame soltanto a' corpi de' servi, i patimenti de' quali rare volte da quei superbi Repubblicani si pesavano sulla bilancia della giustizia o dell'umanità, ma non avrebber consentito a violare la sacra persona d'un cittadino, finchè non avessero avuto la prova più chiara del suo delitto348. Gli annali della tirannide, dal regno di Tiberio a quello di Domiziano, circostanziatamente riportano l'esecuzioni di molte vittime innocenti; ma finchè si tenne viva la più debole rimembranza della libertà e dell'onor nazionale, le ultime ore d'ogni Romano furon sicure dal pericolo dell'ignominiosa tortura349. La condotta però de' Magistrati Provinciali non si regolava secondo la pratica della città, o le rigorose massime de' Giureconsulti. Essi trovaron l'uso della tortura stabilito, non solo fra gli schiavi dell'oriental dispotismo, ma eziandio fra' Macedoni, che obbedivano ad un Monarca moderato, fra' Rodj, che fiorivano per la libertà del commercio, ed anche fra' savj Ateniesi, che avevano sostenuta la dignità della specie umana350. La acquiescenza de' Provinciali incoraggiva i loro Governatori ad acquistare, o anche ad usurpar l'arbitrario potere d'impiegare i tormenti per estorcere da' rei vagabondi o plebei la confessione de' loro delitti, finattanto che appoco appoco giunsero a confonder le distinzioni de' gradi, ed a non curare i privilegi de' cittadini Romani. Le apprensioni de' sudditi gli stimolavano a chiedere, e l'interesse del Sovrano lo impegnava a concedere una copia di speciali esenzioni, che tacitamente accordavano, anzi autorizzavan l'uso generale della tortura. Esse proteggevan tutte le persone di grado illustre oppure onorevoli, i Vescovi ed i loro Preti, i Professori delle arti liberali, i Soldati e le loro famiglie, gli Uffiziali municipali e i loro posteri fino alla terza generazione, e tutti gl'impuberi351. Ma fu introdotta nella nuova giurisprudenza dell'Impero la fatal massima, che in caso di ribellione, che includeva qualunque offesa, cui la sottigliezza de' legali potesse far nascere da un'ostile intenzione verso il Principe o la Repubblica352, sospendevansi tutti i privilegi, e tutte le condizioni si riducevano al medesimo ignominioso livello. Siccome la salute dell'Imperatore manifestamente si preferiva ad ogni considerazione di giustizia o di umanità, tanto la venerabile vecchiezza quanto la tenera gioventù erano ugualmente esposte ai più crudeli tormenti; e continuamente soprastavano al capo de' principali cittadini del Mondo Romano i terrori di un'accusa maliziosa, che poteva rappresentarli o come complici, o come testimonj d'un forse immaginario delitto353.
Per quanto possan questi mali sembrar terribili, si ristringevan per altro a quel piccolo numero di sudditi Romani, la pericolosa situazione de' quali era in qualche modo compensata dal godimento di que' vantaggi o di natura o di fortuna, che gli esponevano alla gelosia del Monarca. Gli oscuri milioni di sudditi di un grand'Impero hanno molto men da temere la crudeltà che l'avarizia de' lor Signori; e la loro umile felicità è principalmente aggravata dal peso delle tasse eccessive, che dolcemente premendo i ricchi, discendono con gravità accelerata sulle inferiori e più indigenti classi della società. Un ingegnoso Filosofo354 ha calcolato la misura universale delle pubbliche imposizioni secondo i gradi di libertà e di servitù; ed asserisce, che a tenor d'una legge invariabile di natura deve sempre crescere colla prima, e diminuire in giusta proporzione colla seconda. Ma questa riflessione, che tenderebbe ad alleggiare le miserie del dispotismo, è in contraddizione almeno coll'istoria del Romano Impero, che accusa i medesimi Principi di avere spogliato ed il Senato della sua autorità, e le Province de' loro beni. Senz'abolire tutte le varie costumanze e i pesi sulle merci, che senz'accorgersene sono pagati dall'apparente scolta del compratore, la politica di Costantino e de' suoi successori preferì una semplice diretta maniera di tassazione, più coerente allo spirito d'un governo arbitrario355.
Il nome e l'uso dello Indizioni356, che serve ad assicurar la cronologia de' secoli di mezzo, nacque dalla pratica regolare de' Romani tributi357. L'Imperatore sottoscriveva di propria mano con inchiostro purpureo l'editto o l'indizione solenne, che tenevasi affissa nella città principale di ciascheduna Diocesi, per lo spazio di due mesi precedenti il primo di Settembre. E per una molto facile connessione d'idee si trasferì la parola Indizione a significar la misura del tributo che prescriveva, e l'annuale termine che accordava per il pagamento. Questa generale stima de' sussidi era proporzionata a' reali o immaginari bisogni dello Stato; ma ogni volta che la spesa eccedeva la rendita, o questa era minore del computo che se n'era fatto, s'imponeva sul popolo una nuova tassa col nome di superindizione, e si comunicava il più pregevole attributo della sovranità a' Prefetti del Pretorio, che in alcuni casi potevano provvedere alle non prevedute e straordinarie occorrenze del pubblico servizio. L'esecuzione di queste leggi (l'entrare nel minuto ed intricato ragguaglio delle quali sarebbe troppo noioso) consisteva in due diverse operazioni; vale a dire nel dividere l'imposizione generale nelle proporzionate sue parti, nelle quali si tassavano le province, le città, e gl'individui del Mondo Romano; e nell'esigere le varie contribuzioni degl'individui, delle città e delle province, finattanto che le raccolte somme fossero poste negl'Imperiali tesori. Ma siccome il conto fra il Monarca ed il suddito era sempre aperto, e la nuova richiesta precedeva l'intero pagamento dell'antecedente obbligazione, così dalle stesse mani muovevasi la grave macchina delle Finanze per tutto il giro dell'annua sua rivoluzione. Tutto ciò, che v'era d'onorevole o d'importante nell'amministrazione delle pubbliche rendite, commettevasi alla saviezza dei Prefetti e dei loro Provinciali rappresentanti; alle funzioni lucrose avea diritto una folla di uffiziali subordinati, alcuni de' quali dipendevano dal Tesoriere, altri dal Governatore della Provincia; e nelle inevitabili dispute d'un ambigua giurisdizione avevano frequenti occasioni di contendersi fra loro le spoglie del popolo. Gli uffizi laboriosi, che non potevan produrre che invidia e rimproveri, pericoli e spese, appoggiavansi ai Decurioni, che formavano i corpi delle città, e che dalla severità delle leggi Imperiali erano stati condannati a sostenere i pesi della società civile358. Tutti i terreni dell'Impero (senza eccettuare i beni patrimoniali del Monarca) formavan l'oggetto dell'ordinaria tassazione, ed ogni nuovo acquirente contraeva le obbligazioni dell'antecedente possessore. Un esatto Censo359, o misurazione era la sola giusta maniera di determinare la porzione che ogni cittadino dovea contribuire per servizio pubblico: e dal noto periodo delle Indizioni v'è motivo di credere che si ripetesse questa difficile e dispendiosa operazione regolarmente ogni quindici anni. Si misuravan le terre dagl'intendenti che mandavansi nelle Province; si esprimeva distintamente la loro natura, se erano arabili o da pastura, vignate o boschive; e si prendeva una stima del loro comun valore dal rispettivo prodotto di cinque anni. Il numero degli schiavi e del bestiame costituiva una parte essenziale della relazione; davasi a' proprietari un giuramento che gli obbligava a scuoprire il vero stato de' loro negozi; ed i tentativi, ch'essi facevano di prevaricare, o d'eludere l'intenzione del legislatore, venivano severamente investigati e puniti, come delitti capitali che includevano il doppio reato di lesa maestà e di sacrilegio360. Si pagava una gran parte del tributo in danaro; e della moneta corrente dell'Impero non si poteva legalmente ricevere, che oro361. Il rimanente delle tasse veniva pagato, secondo la proporzione determinata dall'annuale indizione, in un modo vie più diretto ed oppressivo. Coerentemente alla diversa natura delle terre, si trasportava da' Provinciali, o a loro spese, il real prodotto di esso in varie specie di vino o d'olio, di grano o d'orzo, di legno o di ferro nei magazzini Imperiali, da' quali secondo le occasioni eran distribuite per l'uso della Corte, dell'esercito, e delle due capitali, Roma e Costantinopoli. I Commissari delle rendite si trovavano così spesso nel caso di fare delle considerabili compre, ch'era loro vietato rigorosamente d'accordare compensazione veruna, o di ricevere in danaro la valuta di ciò, che si doveva esigere in ispecie. Nella semplicità primitiva di piccole Comunità, questo metodo può esser bene adatto a raccoglier le offerte quasi volontarie del Popolo; ma esso è suscettibile nel tempo stesso dell'ultima estensione e dell'ultima strettezza, che in una corrotta ed assoluta Monarchia si devono introdurre da una perpetua contesa fra il potere dell'oppressione e le arti della frode362. Si rovinò appoco appoco l'agricoltura delle Province Romane, e progredendo il dispotismo, che tende a fare svanire i suoi propri disegni, gl'Imperatori furon costretti a trar qualche merito dalla condonazione de' debiti o dalla remissione de' tributi, che i loro sudditi non erano più capaci di pagare. Secondo la nuova divisione dell'Italia, la fertile e fortunata Provincia della Campania, il teatro delle antiche vittorie e de' ritiri deliziosi de' cittadini Romani, s'estendeva fra il mare e l'Appennino, dal Tevere fino al Silaro. Dentro lo spazio di sessant'anni dopo la morte di Costantino, sulla prova d'un attual misura, fu concessa un'esenzione in favore di trecento trentamila acri inglesi di terra deserta e non coltivata, che ascendeva ad un'ottava parte dell'intera Provincia. Poichè nella Italia non s'erano ancora veduti vestigi alcuni di Barbari, non può attribuirsi la causa di questa sorprendente desolazione, rammentata dalle leggi, che all'amministrazione degl'Imperatori Romani363.