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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3

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La difesa della frontiera della Rezia e la persecuzione della Chiesa Cattolica, trattennero Costanzo in Italia più di diciotto mesi dopo la partenza di Giuliano; e prima di tornar in Oriente volle l'Imperatore compiacere la propria curiosità ed alterigia con una visita che fece alla vecchia capitale520. Egli s'incamminò da Milano verso Roma per le vie Emilia e Flaminia; e quando fu quaranta miglia vicino alla città, la marcia d'un Principe, che non aveva mai vinto alcuno straniero nemico, prese le apparenze d'una processione trionfale. Il suo splendido treno era composto di tutti i ministri di lusso, ma in un tempo di profonda pace era circondato dalle armi lucenti dei numerosi squadroni delle sue guardie e de' corazzieri. Le spiegate loro bandiere di seta, ricamate d'oro e disegnate in forma di dragoni, sventolavano intorno alla persona dell'Imperatore. Costanza sedeva solo in un alto carro, splendente d'oro e di preziose gemme; ed eccetto che piegò il capo nel passare sotto le porte della città, affettò un imponente contegno d'inflessibile, e come sembrar poteva, insensibile gravità. Si era introdotta nel Palazzo Imperiale dagli Eunuchi l'austera disciplina della gioventù Persiana; e tal'era l'abitudine alla pazienza in essi inculcata, che durante una lenta e noiosa marcia egli non fu mai veduto muover la mano verso la faccia, o voltar gli occhi a destra o a sinistra. Fu ricevuto da' Magistrati e dal Senato di Roma; ed osservò con attenzione gli onori civili della Repubblica e le immagini consolari delle famiglie nobili. Eran piene le contrade d'una innumerabile moltitudine. Le ripetute acclamazioni esprimevano la loro gioia, nel vedere dopo un'assenza di trentadue anni la sacra persona del loro Sovrano; e Costanzo medesimo con qualche piacevolezza indicava l'affettata sua meraviglia, che l'uman genere si fosse così ad un tratto riunito nel medesimo luogo. Fu alloggiato il figlio di Costantino nell'antico palazzo di Augusto; presedè al Senato, arringò al popolo da quel Tribunale su cui Cicerone sì spesso era salito, assistè con insolita affabilità a' giuochi del Circo, ed accettò le corone d'oro, ed i panegirici, che avevano preparato per tal ceremonia i Deputati delle principali città. La breve sua visita di trenta giorni fu impiegata in vedere i monumenti dell'arte o della forza che erano sparsi ne' sette colli e nelle adiacenti valli. Ammirò la tremenda maestà del Campidoglio, la vasta estensione de' bagni di Caracalla e di Diocleziano, la severa semplicità del Panteon, la soda grandezza dell'anfiteatro di Tito, l'elegante architettura del teatro di Pompeo, e del Tempio della Pace, e soprattutto la maestosa struttura del Foro, e la colonna di Traiano, confessando, che la voce della fama, così facile ad inventare ed ampliare, avea dato un ragguaglio non adeguato della Metropoli del mondo. Il viaggiatore che ha contemplato le ruine dell'antica Roma, può concepir qualche idea imperfetta de' sentimenti che doveano inspirare, quando innalzavano le fronti nello splendore d'una incorrotta bellezza.

La soddisfazione, che Costanzo provò nel suo viaggio, eccitò in esso la generosa emulazione di lasciare a' Romani qualche memoria della sua gratitudine e munificenza. La sua prima idea fu d'imitare l'equestre statua colossale, che avea veduto nel Foro di Traiano; ma quando seriamente ponderò le difficoltà d'eseguirla521, si determinò piuttosto ad abbellire la capitale col dono d'un obelisco Egiziano. In tempi assai remoti ma culti, che sembra abbiano preceduto l'invenzione della scrittura alfabetica, s'erano eretti questi obelischi in gran numero nella città di Tebe e d'Eliopoli dagli antichi Sovrani dell'Egitto, colla giusta speranza che la semplicità della lor figura e la durezza della materia avrebbero resistito alle ingiurie del tempo e della violenza522. S'erano fatte trasportare a Roma da Augusto e da' suoi successori molte di queste colonne straordinarie, come monumenti i più durevoli della loro potenza e vittoria523; ma vi rimaneva tuttavia un obelisco, che per la sua grandezza o santità restò lungo tempo immune dalla rapace vanità dei conquistatori. Costantino l'aveva destinato per adornar la sua nuova città524, e poscia che per ordine di lui fu rimosso dalla base su cui posava avanti al tempio del Sole in Eliopoli, fu trasportato per mezzo del Nilo ad Alessandria. La morte di Costantino sospese l'esecuzione del suo disegno, e questo fu l'obelisco dal suo figlio destinato per l'antica capitale dell'Impero. Fu preparato un vascello di straordinaria forza e grandezza per trasferir questo enorme pezzo di granito, lungo almeno cento quindici piedi, dalle rive del Nilo a quelle del Tevere. L'obelisco di Costanzo si pose a terra in distanza di circa tre miglia dalla città, e s'innalzò con grande sforzo d'arte e di lavoro nel gran Circo di Roma525.

S'affrettò la partenza di Costanzo da Roma per la non indifferente notizia delle angustie e del pericolo delle Province Illiriche. Le distrazioni della guerra civile e le irreparabili perdite, che le Romane legioni avean fatte nella battaglia di Mursa, esposero quelle regioni quasi senza difesa alla cavalleria leggiera dei Barbari e specialmente alle incursioni de' Quadi; feroce e potente nazione, che sembra avere cangiato le istituzioni Germaniche colle armi e con gli artifizi militari de' Sarmati loro alleati526. Le guarnigioni della frontiera non eran sufficienti a reprimere i loro progressi; e l'indolente Monarca fu alla fine costretto di adunare dall'estremità de' suoi dominj il fiore delle truppe Palatine, di mettersi in campo in persona, e d'impiegare un'intera campagna, col precedente autunno e colla primavera seguente, a proseguir seriamente la guerra. L'Imperatore passò il Danubio sopra un ponte di barche, tagliò a pezzi tutti quelli che incontrava in cammino, penetrò nel cuor del paese de' Quadi, e vendicò con rigore le calamità, ch'essi avevano cagionato alle Province Romane. Gli sbigottiti Barbari furon tosto ridotti a chieder la pace; offerirono di restituire i di lui sudditi prigionieri in emenda del passato, ed i più nobili ostaggi per pegno della futura loro condotta. La generosa cortesia, dimostrata al primo de' lor capitani che implorò la clemenza di Costanzo, incoraggiò i più timidi ed ostinati ad imitarne l'esempio; ed il campo Imperiale si trovò pieno di Principi e d'Ambasciatori delle più lontane Tribù, che occupavano le pianure della bassa Polonia, e che si potevan creder sicure dentro l'alta cima de' monti Carpazi. Mentre Costanzo dava la legge ai Barbari di là dal Danubio, egli distinse con speciosa compassione gli esuli Sarmati, ch'erano stati espulsi dal paese nativo per la ribellione de' loro schiavi, e che facevano un aumento molto considerabile alla potenza de' Quadi. L'Imperatore, adottando un generoso, ma insieme artificiale sistema di politica, liberò i Sarmati da' vincoli di tal umiliante dipendenza, e mediante un trattato a parte restituì loro la dignità d'una nazione, unita sotto il governo d'un Re amico ed alleato della Repubblica. Dichiarossi egli risoluto di sostenere la giustizia della lor causa e di assicurar la pace delle Province coll'estirpazione, o almeno coll'espulsione de' Limiganti, i costumi de' quali eran tuttora infettati da' vizi della servile lor nascita. L'esecuzione di questo disegno fu accompagnata più da difficoltà che da gloria. Il territorio de' Limiganti era difeso contro i Romani dal Danubio, contro i nemici Barbari dal Tibisco. Le terre paludose, ch'eran fra questi due fiumi, spesso coperte dalle inondazioni di essi, formavano un intricato deserto, praticabile solo dagli abitanti, che ne sapevano i segreti sentieri e le inaccessibili rocche. All'avvicinarsi di Costanzo, i Limiganti tentarono l'efficacia delle preghiere, della frode e delle armi; ma egli rigettò con vigore le loro suppliche, fece svanire i rozzi loro stratagemmi, e rispinse con arte e fermezza gli sforzi del loro sregolato valore. Una delle lor più guerriere Tribù, stabilita in una piccola isola verso l'unione del Tibisco col Danubio, s'avventurò di passare il fiume con intenzione di sorprendere l'Imperatore, durante la sicurezza di un amichevole conferenza. Ma presto divenne la vittima della perfidia che meditava. Circondati da ogni lato, calpestati dalla cavalleria, e tagliati a pezzi dalle spade delle legioni, sdegnarono di chieder mercede, e con indomita ostinazione anche fra le agonie della morte afferravano le armi. Dopo questa vittoria un corpo considerabile di Romani sbarcò sulle sponde opposte del Danubio; i Taifali, Tribù di Goti impegnata al servizio dell'Impero, invasero i Limiganti dalla parte del Tibisco; ed i Sarmati liberi, loro antichi padroni, animati dalla speranza e dalla vendetta, penetrarono pel montuoso paese nel cuore de' loro antichi stati. Un incendio generale scoprì le capanne de' Barbari, ch'erano situate nel profondo della foresta; ed il soldato combatteva con fiducia sopra un pantanoso terreno, in cui non si camminava che con pericolo. In tal estremità i più bravi fra' Limiganti eran determinati a morire colle armi in mano piuttosto che cedere; ma finalmente prevalse il sentimento più mite, invigorito dall'autorità de' lor vecchi; ed una supplice folla di essi, seguita dalle mogli e da' figli, portossi al campo Imperiale per sapere il loro destino dalla bocca del conquistatore. Dopo d'aver celebrato la viva clemenza, che era sempre inclinata a perdonare i replicati loro delitti, ed a risparmiare il restante d'una colpevol nazione, Costanzo assegnò loro per luogo di esilio un lontano paese, dove potevan godere una sicura ed onorevole quiete. I Limitanti obbediron con ripugnanza, ma avanti di giungere, o almeno avanti d'occupare le abitazioni ad essi destinate, tornarono alle rive del Danubio, esagerando i travagli della loro situazione, e chiedendo con fervide proteste di fedeltà, che l'Imperatore si degnasse di conceder loro un tranquillo stabilimento dentro i confini delle Province Romane. In vece di consultar l'esperienza, ch'egli stesso avea fatto della loro incorreggibile perfidia, Costanzo prestò orecchio a' suoi adulatori, che furon pronti a mettergli in vista l'onore ed il vantaggio di ricevere una colonia di soldati in un tempo, in cui era più facile d'ottener da' sudditi dell'Impero delle contribuzioni pecuniarie, che il militar servizio. Fu permesso a' Limiganti di passare il Danubio; e l'Imperatore diede udienza alla moltitudine in una larga pianura vicina alla moderna città di Buda. Essi circondarono il Tribunale, e pareva, che ascoltassero con rispetto una orazione piena di dignità e di dolcezza, quando uno de' Barbari, gettando per aria la sua scarpa, gridò ad alta voce Marha! Marha! parola di diffidenza, che fu ricevuta come segnale del tumulto. Corsero così con furia ad impadronirsi della persona dell'Imperatore; dalle rozze lor mani fu saccheggiato il suo trono reale e l'aureo suo letto; ma la difesa fedele delle sue guardie, che gli morirono a' piedi, gli procurò un momento di tempo per salire sopra un veloce cavallo, e sottrarsi alla confusione. La disgrazia incorsa per una sorpresa di traditori, fu presto vendicata dal numero e dalla disciplina de' Romani; nè si finì il combattimento che coll'estinzione del nome e della nazione de' Limiganti. I Sarmati, liberi, furon di nuovo posti in possesso delle antiche loro sedi, e sebbene Costanzo diffidasse della leggerezza del loro carattere, pure aveva qualche speranza che un sentimento di gratitudine influir potesse nella futura loro condotta. Aveva egli osservato l'alta statura e l'ossequioso contegno di Zizais uno de' più nobili fra' lor Capitani. Gli conferì dunque il titolo di Re; e Zizais dimostrò di non essere indegno di regnare con un sincero e durevole attaccamento agl'interessi del suo benefattore, che dopo tale splendido fatto ricevè il nome di Sarmatico dalle acclamazioni del vittorioso suo esercito527.

 

Mentre il Romano Imperatore ed il Monarca di Persia difendevano alla distanza di tremila miglia i loro estremi confini contro i Barbari del Danubio e dell'Oxo, la frontiera, che si trovava interposta fra loro, pativa le vicende d'una languida guerra e di una precaria tregua. Due ministri Orientali di Costanzo, cioè Musoniano Prefetto del Pretorio, l'abilità del quale non ebbe effetto per mancanza di verità e d'integrità, e Cassiano Duca di Mesopotamia, coraggioso e veterano soldato, aprirono una segreta negoziazione col Satrapa Tamsapore528. Queste aperture di pace, trasportate nel servile e adulante linguaggio Asiatico, furono mandate al campo del gran Re, il quale risolse di significare per mezzo d'un Ambasciatore i termini ch'era inclinato ad accordare ai supplicanti Romani. Narsete, ch'egli aveva decorato di tal carattere, fu ricevuto onorevolmente nel passare che fece per Antiochia e Costantinopoli; giunse dopo un lungo cammino a Sirmio, e nella sua prima udienza rispettosamente spiegò il velo di seta che copriva la superba lettera del suo Sovrano. Sapore, Re dei Re e fratello del Sole e della Luna (tali erano gli altieri titoli affettati dall'Orientai vanità) esprimeva la sua compiacenza, che il suo fratello Costanzo Cesare fosse stato istruito dall'avversità. Sosteneva egli, come legittimo successore di Dario Istaspe, che il fiume Strimone in Macedonia era il vero ed antico limite del suo Impero; dichiarando, però, che in prova della sua moderazione si sarebbe contentato delle Province dell'Armenia e della Mesopotamia, che fraudolentemente s'erano estorte da' suoi Antenati. Egli assicurava, che senza la restituzione di queste contrastate regioni era impossibile stabilire alcun trattato sopra una forte e durevole base; e minacciava con arroganza, che se tornava il suo Ambasciatore senza effetto, egli era preparato ad entrare in campo nella primavera, ed a sostener la giustizia della sua causa colla forza delle sue invincibili armi. Narsete, ch'era dotato delle più culte ed amabili qualità, procurò di addolcire, per quanto il suo dovere lo permetteva, la durezza dell'ambasciata529. Maturamente fu ponderato sì lo stile che la sostanza della lettera nel consiglio Imperiale, e fu rimandato l'Ambasciatore colla risposta; «che Costanzo aveva diritto di non approvare l'officiosità de' suoi ministri, che avevano operato senz'avere alcun ordine speciale del Trono; egli ciò nonostante non era alieno da un uguale ed onorevole trattato; ma era molto indecente ed assurdo il proporre all'unico e vittorioso Imperatore del Mondo Romano quelle medesime condizioni di pace, ch'esso aveva rigettato con isdegno, quando era limitato il suo potere dentro gli angusti limiti dell'Oriente; e dovrebbe Sapore rammentarsi, che se qualche volta i Romani erano stati vinti in battaglia, essi erano quasi sempre stati felici nell'esito della guerra». Pochi giorni dopo la partenza di Narsete furon mandati tre Ambasciatori alla Corte di Sapore, il quale dalla spedizione della Scizia era già tornato all'ordinaria sua residenza di Ctesifonte. Furono scelti un Conte, un Notaro ed un Sofista per quest'importante commissione; e Costanzo, ch'era segretamente ansioso di concluder la pace, aveva qualche speranza, che la dignità del primo di questi ministri, la destrezza del secondo e la rettorica del terzo530 avrebbero persuaso il Monarca Persiano a diminuire il rigore delle sue domande. Ma i progressi del loro trattato furon combattuti e fatti svanire dagli ostili artifizi d'Antonino531, suddito Romano della Siria, ch'era fuggito dall'oppressione, ed ammesso a' consigli di Sapore e fino alla mensa reale, dove secondo l'uso de' Persiani si discutevano frequentemente gli affari più rilevanti532. Lo scaltro fuggitivo, colla medesima condotta con cui soddisfaceva alla sua vendetta, promuoveva il proprio interesse. Egli continuamente stimolava l'ambizione del nuovo suo Signore ad abbracciar la favorevole occasione che le più valorose truppe Palatine eran occupate coll'Imperatore in una distante guerra sul Danubio. Istigava Sapore ad invader l'esauste e non difese Province dell'Oriente colle numerose armate della Persia, ora fortificate mediante l'alleanza ed aggiunta de' Barbari più feroci. Tornarono dunque senza buon successo gli Ambasciatori di Roma, ed una seconda Ambasceria, di grado ancor più onorevole, fu detenuta in istretto confino, e minacciata o di morte o d'esilio.

 

L'Istorico militare stesso533, che fu spedito ad osservar l'esercito de' Persiani, allorchè preparavansi a costruire un ponte di barche sul Tigri, vide da una eminenza la pianura d'Assiria, per quanto stendevasi l'orizzonte, coperta di uomini, d'armi, e di cavalli. Alla testa di essi compariva Sapore, cospicuo per lo splendore della sua porpora. Alla sinistra di lui, che fra gli Orientali è il posto più onorato, Grumbate Re de' Chioniti dimostrava il vigoroso portamento d'un provetto e famoso guerriero. Il corrispondente posto dall'altra parte s'era dal Monarca riserbato pel Re degli Albanesi, che conduceva le sue Tribù indipendenti da' lidi del mar Caspio. I Satrapi ed i Generali eran distribuiti secondo i diversi loro gradi, e tutta l'armata, oltre il numeroso treno del lusso Orientale, consisteva in più di centomila combattenti, indurati alla fatica e scelti fra le più valorose nazioni dell'Asia. Il disertore di Roma, che in certo modo dirigeva i consigli di Sapore, l'aveva prudentemente avvisato, che in luogo di consumar la state in tediosi e difficili assedi, marciasse direttamente verso l'Eufrate, e senza indugio cercasse d'impadronirsi della debole e ricca Metropoli della Siria. Ma i Persiani, appena si furono un poco avanzati nelle pianure della Mesopotamia, che videro essersi usata qualunque precauzione che ritardar potesse i loro progressi, e sconcertarne i disegni. Gli abitanti co' loro bestiami s'erano assicurati ne' luoghi forti, s'erano incendiate per tutto il paese le biade non anche mature, e fortificati con acuti pali i guadi del fiume; sugli opposti lidi eransi piantate delle macchine militari, ed una opportuna piena dell'Eufrate spaventò i Barbari dal tentare il solito passo del ponte di Tapsaco. Allora la perita loro guida, mutato il disegno delle operazioni, condusse l'esercito per un lungo circuito, ma per un fertile territorio verso la sorgente dell'Eufrate, dove il nascente fiume riducesi ad un basso ed accessibil torrente. Sapore non curò con prudente disprezzo la forza di Nisibi, ma passando sotto le mura d'Amida, risolvè di sperimentare, se la maestà della sua presenza avesse indotto la guarnigione a immediatamente sottomettersi. Il sacrilego insulto d'un dardo, che a caso strisciò sulla reale sua tiara, lo convinse dell'errore in cui era; e lo sdegnato Monarca diede con impazienza orecchio all'avviso de' suoi ministri, che lo scongiuravano a non sagrificare il successo della sua ambizione alla soddisfazione della sua collera. Il giorno seguente, Grumbate s'avanzò verso le porte con un corpo scelto di truppe, e chiese la resa immediata della città, come l'unica espiazione che si potesse accettare per tal atto di temerità e d'insolenza. Fu risposto alle sue proposizioni con una generale scarica, e l'unico di lui figlio, bello e valente giovane, fu trafitto nel cuore da un dardo scagliato da una balestra. Si celebrò, secondo i riti del suo paese, il funerale del Principe de' Chioniti; ed il dispiacere del vecchio suo padre fu alleggerito dalla solenne promessa di Sapore, che la rea città d'Amida sarebbe servita di rogo funebre per espiare la morte ed eternar la memoria del figlio.

L'antica città d'Amid o Amida534, che alle volte prende anche il nome provinciale di Diarbekir535, è vantaggiosamente situata in una fertil pianura, bagnata da' naturali e dagli artefatti canali del Tigri, di cui il maggior ramo circonda in forma circolare l'oriental parte della città. L'Imperator Costanzo poco avanti avea conferito ad Amida l'onor del suo nome, e vi aveva aggiunto le fortificazioni di stabili mura e di alte torri. Essa era provvista d'un arsenale di macchine militari, e la guarnigione ordinaria era stata accresciuta fino a sette legioni quando fu attaccata dalle armi di Sapore536. Le sue prime e più ardenti speranze dipendevan dall'esito d'un assalto generale. Furono assegnati i lor posti alle varie nazioni, che seguitavano le sue bandiere; il Mezzodì a' Verti, il Settentrione agli Albanesi, l'Oriente a' Chioniti, accesi d'ira e di cordoglio, l'Occidente a' Segestani, i più prodi fra' suoi guerrieri, che si coprivano la fronte con una formidabile linea d'Indiani elefanti537. I Persiani da ogni parte sostenevano i loro sforzi, ed animavano il loro coraggio; ed il Monarca, non curando la propria dignità e salvezza, dimostrava in proseguire l'assedio l'ardore d'un giovane soltanto. Dopo un ostinato combattimento, i Barbari furon rispinti, ed immediatamente tornati all'assalto, furono di nuovo mandati indietro con una terribile strage. Due legioni ribelli di Galli, ch'erano state bandite dall'Oriente, segnalarono il loro non disciplinato coraggio con una sortita fatta di notte nel centro del campo Persiano. Nell'ardore di uno de' più fieri di questi replicati assalti, Amida fu tradita dalla perfidia d'un disertore, che indicò a' Barbari una segreta e negletta scaletta, tagliata nella rupe che pende sopra il corso del Tigri. Tacitamente salirono settanta arcieri scelti della guardia reale al terzo piano d'un'alta torre, che dominava il precipizio; essi alzarono la bandiera Persiana, che fu segnale di partenza per gli assalitori, e di turbamento per gli assediati; e se questi già perduti soldati avesser potuto mantenere il loro posto pochi minuti di più, col sacrifizio delle loro vite si sarebbe potuto comprare l'espugnazione della piazza. Poscia che Sapore ebbe sperimentato senz'effetto il poter della forza e degli stratagemmi, ricorse alle più lente ma più sicure operazioni di un regolare assedio, nella condotta del quale fu istruito dalla perizia de' disertori Romani. Ad una giusta distanza s'aprirono le trinciere, e le truppe destinate a tal uso, avanzarono sotto il tetto portatile di forti graticci per riempire il fosso, e minare i fondamenti delle mura. Nel tempo stesso costruite furono torri di legno, e spinte innanzi sopra le ruote, affinchè o i soldati, che erano provvisti di armi da scagliare d'ogni specie, potessero combattere quasi a livello colle truppe che difendevano le mura. S'impiegò in difesa d'Amida ogni sorta di resistenza che l'arte potea suggerire, o il coraggio porre in esecuzione, e più d'una volta le macchine di Sapore furon distrutte dal fuoco de' Romani. Ma si possono esaurire le forze d'una città assediata. I Persiani riparavan le loro perdite, ed avanzavano le opere; l'ariete, che continuamente batteva, avea fatta una larga breccia, e la forza della guarnigione, diminuita dal ferro e dalle malattie, cedè al furor dell'assalto. I soldati, i cittadini, le loro mogli e figliuoli, tutti quelli, che non ebber tempo di fuggire per la porta opposta, furono da' conquistatori involti in un indistinto macello.

Ma la rovina d'Amida fu la salute delle Province Romane. Tosto che furono quietati i primi trasporti della vittoria, Sapore fu in grado di riflettere, che per castigare una disubbidiente città, egli aveva perduto il fiore delle sue truppe e la stagione più favorevole per la conquista538. Eran caduti trentamila de' suoi veterani sotto le mura d'Amida, nella continuazione d'un assedio, che durò settantatre giorni, ed il deluso Monarca tornò alla sua Capitale con affettato trionfo e con segreta mortificazione. Egli è più che probabile, che l'incostanza de' Barbari suoi alleati fosse tentata d'abbandonare una guerra, in cui avevan incontrato sì inaspettate difficoltà, e che il vecchio Re de' Chioniti, saziato di vendetta, con orrore s'allontanasse da una scena d'azione, dov'era restato privo della speranza di sua famiglia e nazione. La forza non meno che lo spirito dell'esercito, con cui Sapore venne in campo nella seguente primavera, non era più uguale alle illimitate mire di sua ambizione. Invece d'aspirare alla conquista dell'Oriente, fu costretto a contentarsi di prendere due fortificate città della Mesopotamia, Singara e Bezabde539; l'una situata in mezzo ad un arenoso deserto, e l'altra in una picciola penisola circondata quasi da ogni parte dal profondo e rapido corso del Tigri. Furono fatte prigioniere cinque legioni Romane di quella diminuita grandezza, a cui s'eran ridotte nel secolo di Costantino, e mandate schiave negli estremi confini della Persia. Smantellate le mura di Singara, il conquistatore abbandonò quel luogo solitario e segregato. Ma con diligenza restaurò le fortificazioni di Bezabde, ed in quel posto importante stabilì una guarnigione o colonia di veterani, ampiamente fornita di ogni sorta di difesa, ed animata da alti sentimenti d'onore e di fedeltà. Verso il fine della campagna le armi di Sapore ebbero qualche sinistro per un'infelice impresa contro Virta, o Tecrit, bene munita, o come fu generalmente creduto fino al tempo di Tamerlano, inespugnabil fortezza degli Arabi indipendenti540.

La difesa dell'Oriente contro lo armi di Sapore esigeva, ed esercitato avrebbe l'abilità del più consumato Generale; e parve una fortuna per lo Stato, che quella fosse la Provincia del valoroso Ursicino, che solo meritava la fiducia de' soldati e del popolo. Ma nel tempo del pericolo, Ursicino541 fu rimosso dal suo posto pei maneggi degli Eunuchi; ed il comando militare dell'Oriente per gl'istessi mezzi fu dato a Sabiniano, ricco e sottil veterano, ch'era giunto alle infermità della vecchiaia senz'acquistarne l'esperienza. Per un secondo ordine, ch'ebbe origine dagli stessi gelosi ed incostanti consigli, Ursicino fu nuovamente spedito alle frontiere della Mesopotamia, e condannato a sostener le fatiche d'una guerra, gli onori della quale s'erano trasferiti all'indegno rivale di lui. Sabiniano stabilì il suo indolente quartiere sotto le mura d'Edessa, e mentr'egli si dilettava dell'oziosa parata dell'esercizio militare, ed al suono de' flauti si muoveva in Pirrica danza, la pubblica difesa era abbandonata all'ardire e alla diligenza del primiero Generale dell'Oriente. Ma ogni volta che Ursicino raccomandava qualche vigoroso piano d'operazioni; quando proponeva di girare alla testa di una leggiera ed attiva armata intorno alle falde de' monti per intercettare i convogli del nemico, inquietare la vasta estensione delle linee Persiane, e sollevare le angustie d'Amida, il timido ed invidioso Comandante allegava, che da positivi ordini gli era impedito di mettere a rischio la salute delle truppe. Amida finalmente fu presa; i più prodi suoi difensori, che s'eran salvati dal ferro de' Barbari, moriron per mano del carnefice nel campo Romano; ed Ursicino medesimo dopo d'aver sofferto la disgrazia d'un esame parziale fu punito per la cattiva condotta di Sabiniano colla perdita del militare suo grado. Ma Costanzo ben presto sperimentò la verità della predizione, che un onesto sdegno aveva tratto di bocca all'ingiuriato suo Duce, vale a dire, che sintanto che si fosse tollerato, che prevalessero tali massime di governo, l'Imperatore stesso avrebbe veduto, non essere facile impresa il difendere gli Orientali suoi Stati dalla invasione d'uno straniero nemico. Quando ebbe soggiogati o quietati i Barbari del Danubio, Costanzo a lente giornate s'incamminò verso l'Oriente, e dopo aver pianto sulle ancor fumanti ruine d'Amida, pose con un potente esercito l'assedio a Bezabde. Venivano scosse le mura da' replicati sforzi de' più grossi arieti; la città era ridotta all'ultima estremità, ma fu sempre difesa dal paziente ed intrepido valor della guarnigione, finchè l'avvicinarsi della stagione piovosa obbligò l'Imperatore a toglier l'assedio, ed a ritirarsi con ignominia ne' suoi quartieri d'inverno ad Antiochia542. L'orgoglio di Costanzo, e l'ingegno de' suoi cortigiani non sapevano come trovar materia di panegirici negli avvenimenti della guerra Persiana; mentre la gloria del suo cugino Giuliano, al comando militare del quale avea esso affidate le Province della Gallia, era sparsa pel Mondo con una semplice e breve narrazione delle sue imprese.

Nel cieco furore della guerra civile, Costanzo avea abbandonato a' Barbari della Germania il paese della Gallia, che sempre riconosceva l'autorità del suo rivale. Un numeroso sciame di Franchi e di Alemanni fu invitato a passare il Reno con presenti e promesse, colla speranza delle spoglie, e con una perpetua concessione di tutti i territori, ch'essi avrebber potuto sottomettere543. Ma l'Imperatore, che per un passeggiero servigio avea con tanta imprudenza provocato lo spirito rapace de' Barbari, presto conobbe e sentì con rammarico le difficoltà di sloggiare que' formidabili alleati, dopo ch'essi gustate avean le ricchezze del suolo Romano. Senza riguardo veruno alla sottile distinzione di fedeltà e di ribellione, quest'indisciplinati ladroni trattavano come lor naturali nemici tutti i sudditi dell'Impero, che possedevano qualche cosa, ch'essi desideravano d'acquistare. Furon saccheggiate, e per la maggior parte ridotte in cenere quarantacinque floride città, Tongres, Colonia, Treveri, Vormazia, Spira, Strasburgo ec. oltre il numero molto maggiore di castelli e villaggi. I Barbari della Germania, sempre fedeli alle massime de' loro antichi, abborrivano i recinti di mura, a' quali davan gli odiosi nomi di prigioni e sepolcri; e piantando le indipendenti loro abitazioni sopra le rive de' fiumi, come del Reno, della Mosella, della Mosa, si assicuravano dal pericolo d'una sorpresa, mediante una rozza e precipitosa fortificazione di grossi alberi ch'essi abbattevano, e ponevano attraverso alle strade. Gli Alemanni si stabilirono nei moderni paesi dell'Alsazia e della Lorena; i Franchi occuparono l'Isola de' Batavi insieme con un'ampia estensione del Brabante, che allora si conosceva sotto il nome di Toxandria544, e merita d'esser considerata come la sede originale della Gallica loro Monarchia545. Dalla sorgente fino all'imboccatura del Reno le conquiste de' Germani s'estesero sopra quaranta miglia a ponente di quel fiume in un paese popolato di colonie del proprio lor nome e nazione; ed il teatro delle loro devastazioni era tre volte più esteso di quello delle loro conquiste. Ad una distanza anche maggiore restarono abbandonati i luoghi aperti della Gallia, e gli abitanti delle città fortificate, che confidavano nella propria forza e vigilanza, furono costretti a contentarsi di que' sussidj di grano, che poteva nascere nel terreno compreso dentro il recinto delle lor mura. Le diminuite legioni, mancanti di paga e di provvisioni, di armi e di disciplina, tremavano all'avvicinarsi, e fino al nome stesso de' Barbari.

520Quanto alle particolarità della gita di Costanzo a Roma, vedi Ammiano l. XVI. c. 10. Noi abbiam solamente da aggiungere, che da Costantinopoli fu scelto per Deputato Temistio, e ch'egli compose per questa ceremonia la sua quarta orazione.
521Ormisda, Principe fuggitivo di Persia, fece osservare all'Imperatore, che se faceva un tal cavallo, dovea pensare a preparargli una simile stalla (qual'era il Foro di Traiano). Si riporta un altro detto d'Ormisda, cioè «che gli era solo dispiaciuta una cosa, vale a dire che a Roma gli uomini morivano come altrove». Se noi adottiamo questa lezione del testo di Ammiano (displicuisse, invece di placuisse) possiamo risguardarla come una prova della Romana vanità. Il senso contrario sarebbe stato quello d'un misantropo.
522Allorchè Germanico visitò gli antichi monumenti di Tebe, il più vecchio fra' Sacerdoti gli spiegò il significato di que' geroglifici, Tacit. Annal. II c. 60. Ma sembra verisimile, che avanti l'utile invenzione dell'alfabeto, questi o naturali o arbitrarj segni fossero i comuni caratteri della nazione Egiziana. Vedi Warburton Divin. Legaz. di Mosè Vol. III. p. 69-243.
523Vedi Plin. Hist. Nat. l. XXXVI. c. 14, 15.
524Ammiano Marcell. l. XVII. c. 4. Egli ci dà una interpretazione Greca de' geroglifici; e Lindenbrogio suo Comentatore aggiunge un'iscrizione Latina del tempo di Costanzo in venti versi contenente una breve istoria dell'obelisco.
525Vedi Donat. Rom. Antiq. l. III. c. 14. l. IV. c. 41 e l'erudita quantunque confusa Dissertazione del Bargeo sugli obelischi, inserita nel Tomo IV dello Antichità Romane di Grevio. p. 1897-1936. Questa dissertazione è dedicata al Pontefice Sisto V, ch'eresse l'obelisco di Costanzo nella piazza ch'è avanti alla Chiesa Patriarcale di S. Gio. Laterano.
526Gli avvenimenti di questa guerra de' Quadi e de' Sarmati si riferiscono da Ammiano XVI, 10, XVII, 12, 13, XIX, 11.
527Genti Sarmatarum magno decori considens apud eos regem dedit: Aurel. Vittore. In una fastosa Orazione, pronunziata da Costanzo medesimo, egli si diffonde con molta vanità e con qualche cosa di vero nelle proprie sue geste.
528Ammian. XVI. 9.
529Ammiano (XVII. 5) trascrive l'orgogliosa lettera. Temistio (Orat. IV p. 57. Edit. Petav.) fa menzione dell'involto di seta. Idacio e Zonara descrivono il viaggio dell'Ambasciatore, e (in Excerpt. Legat. p. 28). Pietro Patrizio c'informa della sua conciliante condotta.
530Ammiano XVII. 5 e Vales. ib. Il sofista o filosofo (questi nomi erano in quel tempo quasi sinonimi) era Eustazio di Cappadocia, discepolo di Jamblico ed amico di S. Basilio, Eunapio (in vit. Edexii p. 44, 47), appassionato pel suo filosofico Ambasciatore, gli attribuisce la gloria d'avere incantato il barbaro Re colle persuasive lusinghe della ragione e dell'eloquenza. Vedi Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV p. 828, 1132).
531Ammiano XVIII 5, 6, 8. Il decente e rispettoso contegno d'Antonino verso il Generale Romano lo pone in un aspetto molto interessante ed Ammiano stesso parla con qualche compassione e stima del traditore.
532Questa circostanza, quale ci vien notificata da Ammiano, serve a provare la veracità d'Erodoto (l. I. c. 133) e la durevolezza de' costumi Persiani. Questi sono stati sempre dediti all'intemperanza; ed i vini di Shiraz hanno trionfato sopra la legge di Maometto. Brisson de Regn. Pers. l. II. p. 462-472 e Chardin. Viag. in Pers. Tom. III. p. 90.
533Ammiano l. XVIII. 6, 7, 8, 10.
534Per la descrizione d'Amida, vedi d'Herbelot Bibliot. Orient. p. 108. Hist. de Timur-Rec par Cherefeddin Alì l. III. c. 41. Ahmed Arabasides Tom. I. p. 331. c. 43. Viag. di Tavernier Tom. I. p. 301. Viag. d'Otter. Tom. II. p. 273 e Viag. di Niebuhr. Tom. II. p. 324, -328. L'ultimo di questi viaggiatori, dotto ed esatto Danese, ha dato una pianta d'Amida, che illustra le operazioni dell'assedio.
535Diarbekir, ch'è chiamata Amid, o Kara-amid nelle pubbliche scritture de' Turchi, contiene sopra 16000 case, ed è la residenza d'un Bassà di tre code. L'epiteto di Kara nasce dall'oscurità della pietra, che compone le forti ed antiche mura d'Amida.
536Le operazioni dell'assedio d'Amida sono minutamente descritte da Ammiano (XIX. 1-9) ch'ebbe un'onorevole parte nella difesa, e con fatica si salvò quando la città fu assaltata da' Persiani.
537Di queste quattro nazioni gli Albanesi troppo bene sono conosciuti per aver bisogno d'alcuna descrizione. I Segestani abitavano un'ampia e piana regione, che sempre conserva il loro nome al Sud di Korasan, ed a Ponente dell'Indostan (vedi Georg. Nubiens. p. 133 e d'Herbelot Bibl. Orient. p. 797). Non ostante la vantata vittoria di Bahram (vol. I. p. 410) i Segestani più d'ottant'anni dopo compariscono alleati di Persia come un'indipendente nazione. Non ci è nota la situazione de' Verti e de' Chioniti; ma sono inclinato a collocare (almeno i secondi) verso i confini dell'India e della Scizia. Vedi Ammiano XVI. 9.
538Ammiano ha indicato la cronologia di quest'anno con tre segni, che non sono perfettamente coerenti tra loro, o colla serie dell'istoria. 1. Il grano era maturo, quando Sapore invase la Mesopotamia; cum jam stipula flavente turgerent: circostanza, che nella latitudine d'Aleppo naturalmente porterebbe al mese d'Aprile o di Maggio. Vedi Harmer Osservaz. sulla Scrittur. Vol. I. p. 41. Shaw Viagg. p. 355 ediz. 4. Secondariamente s'impedirono i progressi di Sapore dall'inondazione dell'Eufrate che generalmente accade ne' mesi di Luglio e d'Agosto. Plin. His. Nat. V. 21. Viag. di Pietro della Valle Tom. I p. 696, 3. Quando Sapore dopo un assedio di settantatre giorni ebbe preso Amida, l'autunno era molto avanzato, autumno praecipiti, haedorumque improbo sidere exorto. Per conciliare queste apparenti contraddizioni, conviene ammettere qualche ritardo nel Re di Persia, qualche inesattezza nell'istorico, e qualche disordine nelle stagioni.
539Ammiano dà notizia di questi assedj XX. 6, 7.
540Quanto all'identità di Virta e di Tecrit, vedi Danville Geogr. anc. Tom. II. p. 201, e quanto all'assedio fatto di quel castello da Timur-Bec a Tamerlano, vedi Cherefeddin l. III. c. 33. Il biografo Persiano esagera il merito e la difficoltà di quest'impresa, che liberò le carovane di Bagdad da una formidabile banda di ladri.
541Ammiano (XVIII. 5, 6. XIX. 3. XX. 2) rappresenta il merito e la disgrazia d'Ursicino con quella fedel diligenza, che un soldato deve al suo generale. Vi si può sospettare qualche parzialità, ma tutto il racconto è coerente e probabile.
542Ammiano XX. 11. Omisso vano incepto hiematurus Antiochiae rediit in Syriam aerumnosam, perpessus et ulcerum, sed et atrocia diuque deflenda. In tal modo ha restaurato Giacomo Gronovio un oscuro passo: e crede che questa sola correzione meritasse una nuova edizione del suo Autore, il senso del quale si può adesso oscuramente capire. Io aspettava qualche maggior luce dalle recenti fatiche del dotto Ernesti (Lips. 1773).
543Da Giuliano medesimo posson rilevarsi le devastazioni de' Germani e le angustie della Gallia. Orat. ad S. P. Q. Athen; p. 277. Ammiano XV. 21. Liban. Orat. X. Zosimo l. III. p. 140. Sozomeno l. III. c. 1.
544Ammiano XVI. 8. Sembra che tal nome derivi da' Toxandri di Plinio, e s'incontra molto frequentemente nelle istorie del medio evo. Toxandria era un paese di boschi e di paludi, che si estendeva dalle vicinanze di Tongres fino all'unione del Vahal col Reno. Vedi Vales, Notit. Galliar. p. 558.
545Il paradosso del P. Daniel, che i Franchi ebbero alcuno stabilimento permanente da questa parte del Reno avanti a' tempi di Clodoveo, è confutato con molta erudizione e buon senso dal Biet, che ha dimostrato con una serie di prove il loro possesso non interrotto di Toxandria per cento trent'anni avanti l'avvenimento al trono di Clodoveo. La dissertazione del Biet fu coronata dall'accademia di Soissons l'anno 1736 e pare che giustamente si preferisse al discorso del suo più celebre competitore l'Abate Le Boeuf, antiquario, il cui nome era felicemente espressivo de' suoi talenti.