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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II

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"Ramos, greco, mio compagno indivisibile si mise alla testa dei suoi connazionali, e Mereu di quella della nostra destra.

"Alle 5 pomeridiane attaccati rabbiosamente, i Turchi interrompono la loro marcia in avanti, si fermano, balenano, si disordinano e infine volgono in precipitosa ritirata. Un grido si leva altissimo dalla Legione Filellenica: "Viva i garibaldini! Viva l'Italia!" Ben altro ci rimaneva da fare.

"Bisognava sloggiare i Turchi che si erano trincerati in un altura detta della Madonna. Montai a cavallo; pregai il valoroso capitano Varatassis, comandante la Legione Filellenica, rimasta in poco più di cento, e il capitano greco Stifiliades che era venuto a mettere a mia disposizione una compagnia di truppe regolari, di appoggiare la mia destra, e sostenuti alla sinistra dal 3o battaglione greco comandato da bravi ufficiali e diretto dal valoroso compagno Ramos, ordinai un attacco generale alla baionetta. Tutti con slancio ammirevole si avventarono ansanti sull'erta posizione nemica, ma i Turchi non aspettarono l'ardito e furioso assalto, abbandonarono la posizione e si diedero alla fuga.

Il sole era tramontato – le fucilate erano cessate – ed anche l'artiglieria taceva – ormai non vi era da fare altro che ritornare ai villaggi per pernottarvi.

"Le trombe suonarono a raccolta e da tutte le parti venivano gruppi di camicie rosse gridando evviva – ebbri tutti di un immenso entusiasmo.

"La prova era superata e splendidamente superata.

"La camicia rossa aveva scritto un'altra pagina non indegna di figurare accanto alle altre gloriose; e l'Italia nostra poteva andare superba di questa nuova generazione dei suoi figli. Avevano combattuto uno contro sette e non erano stati vinti!

"Verso l'una del mattino mi venne l'ordine di ritirarmi per la via di Dranitz a Lamia – e mi si diede notizia che tutto l'esercito greco si ritirava".

Ma il generale Ricciotti Garibaldi non volle abbandonare il campo prima di avere raccolti i feriti e fatto un convoglio di trasporti. E prima di tutto volle rendere l'estremo tributo al valoroso compagno Antonio Fratti dandogli onorata sepoltura. Fu preparata dai compagni la fossa e con mestizia di tutti venne sepolto sotto ad un salice vicino al ruscello Pentamili!

Fra i morti caduti nel combattimento di Domokos – va ricordato un giovane valorosissimo – Oreste Tomassi – degno figlio del maggiore Adolfo Galanti Tomassi che nel combattimento di Milazzo e del Volturno si meritava decorazioni al valore e promozioni.

L'Oreste Tomassi laureato a Camerino e nell'università di Bologna aveva 25 anni. – Si trovava a Vienna per affari – quando saputo che la Grecia aveva impugnato le armi contro la Turchia abbandonava ogni cosa e correva a Trieste per imbarcarsi il 22 aprile pel Pireo. Ecco come il valente giovane dava al padre notizia della sua decisione

Atene 19 aprile (1 maggio) 1897.

Caro Papà.

"Non so se avrai già ricevuto da Mario la notizia della mia partenza per la Grecia. Partii da Vienna il giorno 20 aprile e m'imbarcai a Trieste domenica passata; presentemente mi trovo qui in Atene dove sono arrivato oggi stesso insieme ad una numerosa legione d'italiani accorsi da tutte le parti del regno. Ci fermeremo qui probabilmente fino dopo domani per aspettare l'arrivo di Menotti Garibaldi; onde partire unitamente a un'altra legione di volontari per l'Epiro. Potremo essere in tutti circa tremila. Ricciotti Garibaldi ci ha fatta formale promessa di mandarci in prima linea, volendo il governo greco procurarci questo onore.

"Figlio di un garibaldino – figlio di un soldato della libertà e dell'indipendenza d'Italia – ho creduto di fare semplicemente il mio dovere di accorrere ad arruolarmi per una nazione che combatte per gli stessi ideali per cui ha combattuto mio padre. Non dirmi che ho fatto male, perchè tu pure studente e figlio prediletto – abbandonasti studi e famiglia per una causa consimile.

"Se io morrò credo fermamente che tu saprai sopportare dignitosamente il dolore che ti potrò arrecare. A mamma dille che non è poi certo che io debba morire – e che se anche ciò fosse, si consoli pensando che sarò morto bene. Papà —sono Garibaldino! – Mentre ti scrivo vesto la leggendaria camicia rossa – se io morrò con questa camicia ne dovrete essere orgogliosi! – Se ritornerò che orgoglio per voi e per me! Saluta tutti i fratelli e sorelle – che in questa lettera voglio nominarli tutti – pensando che forse sarà l'ultima".

E fu l'ultima davvero! Ma quale soddisfazione – quale orgoglio per il padre suo – per la sua famiglia! E quale gaudio per noi vecchi nel vedere come i nostri figli sanno far loro i nostri ideali.

O giovani d'Italia che portate in cuore sentimenti così elevati, siate benedetti!

Il generale Ricciotti Garibaldi così scriveva per dare notizia al padre dell'eroica morte del suo Oreste:

"Egregio Sig. Adolfo Tomassi,

"Compio il doloroso dovere di spedirle il congedo del suo caro estinto.

"E mentre la prego di accettare le mie più sincere condoglianze, Le sia di conforto il pensiero che il suo Oreste – morendo da valoroso sul campo, ove si combatteva per l'umanità – ha insieme ai suoi compagni provato che nella razza italiana non sono estinte quelle qualità che resero così gloriosa la generazione passata.

"Il nome di suo figlio prenderà posto nella storia – tra i più gloriosi – come uno – che con il suo valore e il suo sacrifizio – iniziò un'era nuova di gloria – per la nostra gioventù – e questo è l'unico conforto che accompagnerà noi vecchi nel mondo al di là".

Sempre dev.mo Suo
Ricciotti Garibaldi.

"Corpo volontari italiani in Grecia.

"Si certifica che Tomassi Oreste ha preso parte alla campagna di Grecia dell'anno 1897 nella qualità di caporale… e fu presente ai fatti d'armi di Domokos. Morto da valoroso sul campo di battaglia".

Atene, 27 maggio 1897.

Il comandante del corpo
Ricciotti Garibaldi.

Il colonnello: Luciano Mereu.

"Legation royale de Grece.

"Il R. Incaricato d'affari della Grecia esprime il suo più vivo rincrescimento d'essere impedito, per causa di malattia, di assistere alla commemorazione che si terrà questa sera in memoria del compianto filelleno Oreste Tomassi, valorosamente caduto nella battaglia di Domokos".

Vienna, 31 maggio – 12 giugno 1897.

Ai Preg.mi Signori

Signori Costiglioni

Cofler e De Hoeberth

Vienna.

Portato l'ultimo tributo alla sepoltura del valoroso amico, e mandato l'estremo saluto ai valorosi che erano caduti combattendo per una santa causa, la colonna, che fra morti, feriti e scorte era ridotta a circa 450 uomini, prese la strada di Panaghia. Così finì la breve campagna di Grecia del 1897.

Dopo altre peripezie, che non torna conto di ridire – la brava Legione che aveva onorato anche una volta il nome italiano, e tenuto alto il prestigio della camicia rossa, ritornava in patria.

Questi sono i caduti morti nella battaglia di Domokos, gloriosa per i garibaldini: Antonio Fratti, Antonio Pini, Giovanni Capra, Ugo Silvestrini, Alfredo Antinori, Filippo Bellini, Ettore Panseri, Pio Simoni, Michele Frappampina, Guido Cappelli, Alarico Silvestri, Enrico Mancini, Oreste Tomassi, Francesco Fraternali, Romolo Garroni, Massimiliano Tombelli.

Onore ad Essi!

La piaga dolorosa lasciata sul cuore della nazione dalla disfatta d'Adua andavasi cicatrizzando, allorquando da un gravissimo lutto doveva essere colpita l'Italia tutta;

CAPITOLO XXXII

Orrendo misfatto e morte di Umberto Io

Il 29 luglio del 1900 – giorno nefasto – il mondo esterefatto udiva l'orribile notizia – A Monza, moriva assassinato da belva umana Umberto Io Re d'Italia – il Re che amava il popolo suo come padre il più amoroso! il più benefico!

Chi può ricordare senza fremere la data della sera infame nella quale Umberto di Savoia – forma ideale di bontà – in mezzo ad una festa di popolo alla quale fidente aveva voluto prendere parte – a tradimento – fra le ombre notturne – veniva ucciso dall'arma parricida d'un italiano? Fu il più grande misfatto che tigre sitibonda di sangue potesse perpetrare!

Umberto Io nel morire deve avere pensato – che meglio sarebbe stato cadere fra il fragore delle armi e lo squillar delle trombe nel 1866 – quando fra i suoi compagni combatteva da eroe nella disgraziata ma pur gloriosa giornata di Custozza, col pensiero rivolto alle terre italiane irredente – aspettanti di essere unite alla madre patria – sempre fidenti!

Incancellabile durerà in noi il ricordo dell'esecrando delitto – e il popolo italiano che vivo l'amò tanto – sente che il ricordo di Lui forma ormai la parte più cara della sua coscienza.

"Date lacrime ed onori alla sua sacra memoria".

Questo fu il Vostro voto Sire! quando saliste sul trono del Padre della Patria e di Umberto I il Re Buono – e il popolo come una eco alle parole del Vostro cuore addolorato – spinto da sentimento unanime – glorificando la memoria del Re estinto, faceva nel tempo stesso solenne affermazione plebiscitaria di affetto per Voi Emanuele III nostro Re e per la Vostra Casa.

E le dimostrazioni di vivo rimpianto di tutto un popolo, sia per Voi – Regina Margherita – tanto amata dal lacrimato Re – di conforto al Vostro cuore d'italiana e di madre.

L'Italia vi ha consacrata alla sua venerazione!

 

Ecco il primo ordine del giorno esprimente alti sentimenti patriottici e civili che il Re Vittorio Emanuele III emanava in occasione della sua assunzione al trono.

Ufficiali, sott'ufficiali e soldati dell'Esercito e dell'Armata!

"L'intiero mondo civile ha udito con indignazione la tragica fine del compianto mio genitore.

"Il dolore della Nazione si è certamente ripercosso nei vostri cuori di buoni e fedeli soldati. In questo momento il mio pensiero si rivolge fidente a voi tutti, certo che riporterete su di me l'affetto col quale circondavate il Re Umberto, affetto che, seguendo l'esempio paterno, con cuore di soldato, io vi ricambio.

"E con voi il mio pensiero si rivolge ai vostri compagni, che in Creta, nell'Eritrea ed in Cina mostrando le tradizionali qualità di soldati italiani, tengono alta la gloriosa bandiera nazionale simbolo della grandezza e dell'unità della nostra patria".

Da Monza 1o agosto 1900.

Vittorio Emanuele III.

Ecco come si commemorava alla Camera la morte di S. M. Umberto I Re d'Italia.

Il giorno 6 agosto il presidente onorevole Villa – dava partecipazione alla Camera dell'esecrando delitto colle seguenti parole che tutti i deputati profondamente commossi ascoltavano in piedi:

"Onorevoli colleghi! Umberto I, l'amato nostro Re, non è più! La mano sacrilega di un assassino si è levata su lui e là in Monza, in mezzo al popolo che lo salutava plaudente con le più schiette manifestazioni della gratitudine e dell'affetto, ne spezzava freddamente il cuore.

"Non la mia povera parola varrebbe oggi a dirvi della immane sventura che ci ha colpiti; non io saprei degnamente evocare dinanzi agli occhi del cuore, impietrito dal dolore, l'immagine del Re barbaramente assassinato; non io potrei dirvi di questo gran martire della carità, che l'odio settario ha, nel suo insaziabile istinto di rovine e di sangue vigliaccamente sacrificato. (Benissimo!)

"No!.. Ma io sento che parla per me la voce di tutto un popolo che lo amava (Benissimo!) e lo benediva; di un popolo intero che dagli alti palazzi, come dai più umili casolari, dai più remoti angoli del paese, dalle officine e dai campi, si leva esterrefatto fra le lagrime e le preghiere e nell'impeto delle sante ire maledice ai sicarî. (Vivissime approvazioni).

"No!.. Ma io sento che echeggia qui nel cuore di tutti noi la voce immensa di tutto il mondo civile che, piangendo desolato o concorde la caduta di un Eroe vilmente fulminato da un assassino, solleva un grido di esecrazione e di allarme contro quel cosmopolitismo feroce e sanguinario che, calpestando ogni alta idealità della vita umana e ponendosi in aperta rivolta contro ogni santa manifestazione della carità e dell'amore, non si arresta neppure dinnanzi al parricidio. (Vivissime approvazioni).

"No, io sento raccolta qui negli animi nostri la parola dolcissima di quella grande Addolorata che, dopo di aver portato nella Reggia il fascino della grazia e della bontà, dà oggi nelle veglie del dolore l'esempio di una forza e di una virtù, ammirande; (Vivissime approvazioni – prolungati applausi) non dimentica mai, fra le angoscie dell'anima, nè dei doveri di madre, nè di quelli che la stringono alla nazione che essa ama, e dalla quale è riamata, e non invocando da Dio che la grazia suprema della rassegnazione. (Benissimo!)

"Era buono… non fece mai male a nessuno. È il più gran delitto del secolo! E in queste parole che proruppero dal cuore della donna e della Regina, è la sintesi dolorosa e solenne di quella terribile tragedia, che ebbe il suo epilogo nella notte fatale del 29 luglio. (Bravo!)

"Era buono. Sì, buono di quella bontà che è il compendio di tutte le virtù; di quella bontà che riunisce e rispecchia le più eminenti doti dell'intelletto e del cuore in tutti i rapporti della vita morale e civile. (Benissimo!)

"Era buono; e lo provò prima ancora di assumere le alte responsabilità della Corona, conformando tutta la sua vita alle austere discipline del dovere, assecondando con sentimento di devozione la volontà del padre, seguendone fedele gli esempi e avventurando la vita con lui e col fratello sui campi di Lombardia per la causa italiana. (Benissimo! Bravo!)

"Io non ambisco – così Egli diceva ai rappresentanti della Nazione, nell'atto di cingere la Corona: Io non ambisco che meritare questa lode: Egli fu degno del padre". E nella omerica semplicità di queste parole Egli scolpiva tutto l'animo suo. (Approvazioni).

"Era buono; e lo provò durante i ventidue anni di regno, non ismentendo mai quella che fu la costante preoccupazione di tutta la sua vita; di mantenere, cioè, fede rigorosa alle istituzioni. Re costituzionale, egli non si lasciò mai sedurre dal pensiero di potersi in qualche modo porre in contrasto con quell'indirizzo di Governo che gli poteva essere segnato dalla volontà della nazione. Religioso osservatore della legge, egli sentiva tutti i doveri che si impongono al Sovrano nell'alto ufficio che gli è affidato, di essere moderatore imparziale fra l'urto dei partiti che intendono a fecondare con nuovi elementi l'attività politica ed economica dello Stato. Passarono sopra di noi turbini e procelle spaventose gravi sventure colpirono il cuore della nazione, egli non disperò mai della patria; nè dubitò mai della virtù italiana; ma richiamando serenamente il paese alla coscienza della sua forza e al culto della libertà, proclamò sempre la sua fede costante nelle Istituzioni "essere esse la salvaguardia contro ogni pericolo; in esse la prosperità e la grandezza della patria". (Vivissime approvazioni – Vivi e prolungati applausi.)

"Non fece mai del male a nessuno. E come lo avrebbe potuto? Egli passò beneficando. Non fu pubblica sventura nella quale egli non abbia saputo manifestare tutto l'inesauribile tesoro di bontà che aveva nel cuore. Lo vedete impavido in mezzo ai pericoli, affrontare la terribile malattia quando è più fitta l'ecatombe delle vite e più fiero l'imperversare del flagello; impaziente sempre di giungere fra i primi a portare una parola di conforto e un soccorso ai derelitti colpiti dalla sciagura. Non vi è miseria alla quale egli non sappia apprestare un riparo. Negli asili come negli ospedali egli accorre colla coscienza di dover adempiere ad un dovere di umanità e con la stessa fede con cui vi accorre una suora di carità.

"Io porrò negli umili la gloria del mio regno. Con queste parole egli riassumeva tutto il suo cuore, tutto lo scopo al quale avrebbe desiderato fossero rivolte le cure del Governo; l'intento sommo che egli sperava di poter raggiungere. E lo provava accordando largo concorso di sovvenzioni ad Istituti di previdenza, Casse di lavoro, Associazione cooperative, ogni opera diretta ad allievare le necessità dei più umili. Lo provava mostrandosi sempre devoto alla causa degli operai, mescolandosi con questi con confidente famigliarità; mostrando la più viva sollecitudine per i loro interessi e per quelli delle loro famiglie; avendo per tutti una stretta di mano, una parola amica, un sorriso che infondeva in ogni cuore un sentimento di fiducia e di ossequio.

"Era buono e non di meno vi fu chi ha potuto concepire il truce pensiero di farne scempio!

"E vi è stato chi ha potuto freddamente, roteare sopra quel petto, sul quale brillavano le insigne del valore, i tre colpi mortali!

"E vi fu chi pensò di scegliere con ributtante audacia a teatro dell'opera scellerata ed infame quello stesso luogo e quell'ora stessa, in cui il plauso popolare salutava il Re buono, leale e generoso; conculcando l'autorità sovrana ed insultando ad un tempo l'affetto popolare, (vivi e prolungati applausi).

"È il più gran delitto del Secolo. Sì: è la brutale malvagità che, mentre sfoga il suo istinto di sangue distruggendo la più nobile delle esistenze conculca nel tempo stesso la più alta personificazione dell'autorità della legge, della maestà della nazione, del diritto sociale, della giustizia, e insulta ad un tempo il sentimento popolare nella più elevata sua manifestazione. (Vivi e prolungati applausi).

"È la brutale malvagità alimentata ed ordinata a sistema contro ogni ordine sociale: distruggere per distruggere. Lusingansi forse i dissennati, di poter con le loro opere di sangue attentare a quella grande espressione di forza che è la Monarchia italiana; ed offendere quel prezioso coacervo di volontà, di aspirazioni, di energie che è rappresentato dalla Dinastia di Savoia? (Vive approvazioni).

"No; il Re non muore (Prolungati applausi e grida ripetute di: Viva il Re!) e il sangue dei martiri fortifica la fede dei superstiti. (Prolungati applausi).

"Il Re non muore; Umberto rivive nel figlio suo. Vittorio Emanuele III raccoglie la Corona insanguinata per continuare imperterrito e con la stessa fede quella missione di pace e giustizia, che l'Augusto suo Genitore si era prefisso. (Vive approvazioni). Contro questa legge indefettibile, della continuità giuridica e morale della Monarchia, che la coscienza del popolo ha con mirabile concordia riconosciuta, non vi è opera di sette, non vi è opera di violenti che possa prevalere. (Vivi e prolungati applausi – grida ripetute di: Viva il Re!)

"Grandi doveri però c'incombono, ai quali la nostra coscienza non può mancare. Noi sentiamo che la vita morale della Nazione è turbata da dissesti morbosi; noi sentiamo che vi è nell'organismo sociale qualche cosa che fallisce alla regolarità e sincerità delle sue funzioni. Al più grande dei delitti del secolo, perpetrato su di una pubblica piazza assiepata di popolo e contro la più nobile delle vite, si collegano responsabilità morali più o meno dirette, più o meno prossime che possono dipendere dagli imperfetti organismi della nostra vita giuridica ed amministrativa. (Vive approvazioni).

"Bisogna richiamare il paese all'osservanza rigorosa della legge. (Vive approvazioni – applausi). Bisogna modificare, correggere i nostri istituti educativi, far penetrare nelle masse il sentimento del dovere; richiamarle agli alti ideali della patria e della famiglia; dare a tutti e in tutto quella giustizia che è il supremo bisogno dei popoli. (Applausi unanimi e prolungati).

"Con questi intendimenti raccogliamoci attorno al giovine Re sul quale l'occhio del padre e della madre posavansi con tanto affetto e che sollevando la bandiera abbrunata della patria, intende con animo sicuro verso la meta segnatagli dal padre e dalle tradizioni della sua Casa. Raccogliamoci attorno ad esso al grido di: Viva il Re (Vivi e prolungati applausi, – grida di: Viva il Re!) Questo grido che mi prorompe dall'animo è l'espressione più pura dell'unità della patria, la manifestazione più alta della sua forza morale e della maestà e della grandezza del nome italiano, purificati da ogni contrasto regionale. Da qui l'avvenire della patria, da qui l'espiazione, che darà la pace alle nostre coscienze e al paese la sua unità morale e la coscienza della sua missione. (Applausi generali e prolungati. – Grida ripetute di: Viva il Re!)

Così parlava l'onorevole Saracco, presidente del Consiglio, ministro dell'interno.

Signori deputati! Mi onoro di annunciare alla Camera, che S. M. il Re, con decreto del 2 agosto, ha confermato me nell'ufficio di presidente del Consiglio, ministro dell'interno, e i miei colleghi nelle loro rispettive funzioni. Spetta perciò a me di compiere il mestissimo ufficio di associarmi, in nome del Governo, ai sentimenti d'indignazione e di dolore, espressi con rara eloquenza dal vostro degno presidente.

"Mi associo a questi sentimenti coll'animo più che con le parole; le quali non bastano a significare la commozione profonda o il cordoglio che mi strazia.

"Io, che vidi le origini del nuovo Regno, e presi parte a tutte le vicende fortunate, per cui il piccolo Piemonte si trasformò nella Grande Patria Italiana, non avrei mai creduto di viver tanto per assistere alla strage del mio Re. (Bravo! Bene!)

"Ciò che più mi cruccia è il pensiero che la sua vita preziosissima fu troncata dalla mano d'italiano. (Bravo! – Approvazioni)

"Se la maledizione del popolo non avesse raggiunto il parricida, se non gli pendesse inesorabile sul capo la maledizione di Dio e di tutto il mondo civile, vorrei anch'io, con le lagrime negli occhi e con lo sdegno nel cuore, esecrare e maledire questa belva in figura d'uomo. (Benissimo! – Vive approvazioni).

"Ma debbo far forza a me stesso e, come capo del Governo, imporre freno all'indignazione che mi trabocca dall'animo, imitando l'esempio di forte serenità che ci viene dall'Augusto Successore.

 

"Raccolti nel dolore, prostriamoci innanzi al feretro del Re leale, buono e generoso, soldato per la patria per l'umanità, del Re che riassumeva le virtù civili e militari della sua eroica stirpe; del Re che fu sempre fortunato interprete dei sentimenti e delle aspirazioni del suo popolo, cui lascia tanta e così larga eredità di affetti.

"L'universale compianto che lo accompagna nel sepolcro è il giusto premio di una vita tutta spesa nello adempimento del dovere e dedicata al benessere ed alla felicità del suo popolo.

"La fine crudele toccata al più giusto al più umano dei Sovrani deve ispirarci, gravi riflessioni e suscitare virili propositi.

"Di fronte alla frequenza di così mostruosi e brutali delitti che, senza odio e senza motivo, prendono di mira le più innocenti e le più elevate esistenze; di fronte alle minaccie incalzanti e feroci di una classe di degenerati senza patria, senza umanità e senza Dio; (Benissimo! – Vivissime approvazioni) che sognano di rinnovare la società seppelendola sotto le sue rovine; in mezzo a tanto agitarsi di malsane passioni e di appetiti sfrenati, che avvelenano l'ambiente e turbano la pubblica coscienza, non è lecito al Governo rimanere impassibile; (Benissimo! – Bravo!) non potete restare impassibili voi, onorevoli deputati, cui sono connesse le sorti di una così nobile e civile nazione, grande nei suoi slanci patriottici, generosa e cavalleresca nei suoi sentimenti. (Bene!)

"Non è possibile che nel seno di questo bel paese continui a fecondarsi il reo seme che ha dato frutti così funesti e ne prepara di peggiori per l'avvenire. (Benissimo!)

"Tutti coloro che, come noi, son convinti essere la Monarchia la sola forza con la quale il nostro paese può tenersi unito e prosperare, (Benissimo!) hanno l'obbligo di stringersi insieme per studiare e per preparare i mezzi acconci a prevenire le funeste esplosioni di un fanatismo cieco, che minacciano il ritorno di una barbaria nuova e senza nome (Approvazioni).

"È questo il compito che i nuovi pericoli impongono al Governo ed al Parlamento, consci della loro missione e solleciti dell'onore, della sicurezza e dell'avvenire del paese. (Benissimo!)

"Dopo mezzo secolo di vita politica, attraverso tante vicende, non ho mai perduta la fede nei benefizi della libertà, che fu la leva del nostro risorgimento e la pietra angolare del nostro Regno; (Benissimo!) ma, per assicurarla e garantirla, occorre impedire con mano ferma ed energica che nell'ombra e sotto il pretesto della libertà si sovvertano gli ordini dello Stato. (Benissimo – Vivi applausi!) e si mettano in serio pericolo le conquiste della civiltà e del progresso. (Benissimo!)

"L'immensa sventura che ci strappa così amare lacrime, sia per noi un salutare lavacro che purifichi gli spiriti e unisca gli animi alla comune difesa.

"Sarà questo l'omaggio più degno che possiamo rendere alla venerata memoria del compianto Sovrano ed il saluto augurale dell'Augusto Successore che, giovane ed animoso, seguita sul trono le orme luminose del Padre e dei suoi Grandi Avi.

"I vecchi hanno data una Patria e un glorioso retaggio da custodire; spetta a voi giovani di conservarlo ed accrescerlo con la fede robusta, collo spirito di sacrifizio e col sentimento di solidarietà, che levarono l'Italia alla presente fortuna. (Benissimo! – Vive approvazioni – Vivi e prolungati applausi). Il presidente della Camera dà comunicazione dei seguenti telegrammi.

Monsieur le Président,

Profondément ému par le crime exécrable qui met en deuil l'Italie et le monde civilisé, je prie Votre Excellence d'agréer l'expression de mes plus vives sympathies. Je suis assurè d'être l'interprète des sentiments de mes collègues en vous adressant le temoignage de notre tristesse. Les deux nations se sentent unies une fois de plus par les mêmes douleurs. – Paul Deschanel." – (Vivissimi e prolungati applausi).

"L'Union Interparlementaire pour l'arbitrage international et la paix réunie en conference à Paris, s'associant au deuil de la nation Italienne et protestant avec indignation contre l'odieux attentat dont Roi Humbert a été victime, a l'honneur d'offerir a Monsieur le Président de la Cambre des Députés l'hommage respectueux de ses sincéres condoleances. – Le Président de la Conference, Faillieres, Président du Senat." – (Applausi).

"Profondément émus du deuil qui frappe l'Italie, nous vous envoyons nos compliments de condoléance et bien douloureuse sympathie au nom de l'Union des Commissaires étrangers. – Robert Raffalovich Asbeck Spearman." – (Bene!)

"Le crime abominable qui plonge en deuil l'umanité entière m'a causé une grande douleur. Sûr d'être le fidèle interprète de ces mêmes sentiments de tous mes collègues, j'esprime à Votre Excellence nos sympathies et l'assurance de la part immense que nous prenons dans la douleur de tout la nation italienne. – Ietcho Bakaloff, Président de la Chambre des Députés de Bulgarie." – (Bene!)

"Dopo aver ascoltate le seguenti parole pronunciate nella seduta d'oggi, la Camera che ho l'onore di presiedere ha deliberato che esse siano trasmesse a V. S. come fedele espressione dei suoi sentimenti, nonchè di quelli della nazione Argentina:

"Signori deputati, il telegrafo annuncia che Sua Maestà Umberto I, il virtuoso e magnanimo Re d'Italia cadde vilmente assassinato. Credo rendermi fedele interprete dei sentimenti della Camera dei deputati della Nazione Argentina esecrando il barbaro attentato che deve essere energicamente riprovato da tutti i popoli civili del mondo in omaggio alla memoria dell'illustre Re, che fu sicuro e costante amico della nostra patria (Applausi).

"In considerazione del dolore che grava sul nostro spirito per la perdita che ha sofferto la nobile nazione italiana e quella parte dei suoi sudditi che abitano il nostro paese e che in fraterna unione con noi lavora alla sua prosperità e al suo ingrandimento propongo si levi la seduta."

"Saluto Lei, signor presidente, con la più distinta considerazione. – Marco Avellaneda, presidente; Alessandro Sorondo, segretario". (Vivissimi applausi).

"La Camera dei deputati del Brasile, profondamente commossa per il luttuoso avvenimento di cui fu vittima il Re Umberto, associandosi al dolore che ha ferito il cuore del popolo italiano, votò una mozione di compianto sospendendo le sue sedute, e presenta le sue condoglianze. – Carlos Vaz Mello, presidente della Camera". – (Approvazioni).

"La Camera dei deputati del Perù si associa al dolore del Parlamento italiano per l'assassinio del Re Umberto. – Carlos de Pierola, deputato-presidente". (Bene!).

"La Camera dei deputati del Chili ha deliberato esprimere a codesta Camera, per mezzo di Vostra Eccellenza, il suo dolore per la disgrazia che affligge la nazione italiana. – Carlos Palecios, presidente; Rafael Brako, segretario". – (Bene!).

"In nome partito Indipendenza, costituente due terzi della Opposizione Parlamentare Ungherese, esprimo profondo dolore perdita impareggiabile Re e nobilissimo uomo, augurando felicità nazione italiana. – Francesco Kossuth, presidente". – (Vivissimi applausi).

Da ogni parte del mondo pervennero telegrammi d'esecrazione per l'orrendo misfatto.

L'11 agosto 1900 dopo aver dato il giuramento prescritto dall'art. 22 dello Statuto del Regno S. M. il Re Vittorio Emanuele III pronunziava alle Camere riunite in Senato il seguente discorso:

Signori Senatori, Signori Deputati!

"Il Mio primo pensiero è pel Mio popolo, ed è pensiero di amore e di gratitudine.

"Il popolo che ha pianto sul feretro del suo Re; che affettuoso e fidente si è stretto intorno alla Mia Persona, ha dimostrato quali salde radici abbia nel Paese la Monarchia liberale (Applausi fragorosi – grida di Viva il Re!)

"Da questo plebiscito di dolore traggo i migliori auspici del Mio Regno.

"La nota nobile e pietosa, che sgorgò spontanea dall'anima della Nazione all'annunzio del tragico evento Mi dice, che vibra ancora nel cuore degli Italiani la voce del patriottismo, che inspirò in ogni tempo miracoli di valore (Applausi). Sono orgoglioso di poterla raccogliere.

"Quando un popolo ha scritto nel libro della Storia una pagina come quella del nostro Risorgimento, ha diritto di tenere alta la fronte e di mirare alle più grandi idealità (Applausi). Ed è a fronte alta, e mirando alle più grandi idealità, che Mi consacro al Mio Paese con tutta l'effusione ed il vigore di cui Mi sento capace (Applausi), con tutta la forza che Mi danno gli esempi e le tradizioni della Mia Casa (Applausi vivissimi).

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