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Alla conquista della luna

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Il capitano spiegò i fogli e cominciò a leggere:

«Rio de Janeiro, 24 luglio 1887.

«La notizia della fondazione della Società solare, costituitasi a Parigi, e la scoperta degl’insolatori, fatta dall’americano Calver, ha suggerito a noi l’idea di costruire una macchina che potesse funzionare senz’altro bisogno che del calore del sole e permettere di tentare un’esplorazione nello sconfinato firmamento.

Le splendide prove date dagl’insolatori, che ora funzionano così magnificamente in varie città africane, mettendo in moto delle macchine che vengono usate per la distillazione dell’acqua, ci hanno convinti della possibilità della cosa.

Dopo lunghi studi e lunghe esperienze, noi siamo riusciti a costruire degl’insolatori di tale potenza, da poter accumulare tanto calore da fondere perfino il ferro. Portare l’acqua allo stato d’ebollizione anche la più intensa, e mettere in moto delle macchine poderose senza aver bisogno del carbone; era dunque un gioco per noi.

«Ottenuta la forza, abbiamo costruito dei motori e quindi una macchina volante, munita di eliche sufficienti per l’inalzamento.

«La riuscita è stata così completa da tentare un grandioso progetto che da lunghi anni turbava il nostro cervello: di muovere, cioè, alla conquista della luna, o per lo meno di tentare un’esplorazione fuori dei confini dell’aria respirabile.

«A tale uopo e per poter resistere senza esporci ai freddi intensi che supponiamo, a ragione, di dover sfidare nel nostro inalzamento, abbiamo munito la nostra macchina volante di una cupola di cristallo, assolutamente chiusa, portando con noi cilindri di ossigeno per rinnovare l’aria interna.

«Riusciremo nella nostra temeraria impresa? Noi ne siamo fermamente convinti.

«I nostri insolatori ci forniranno abbastanza calore per poter far funzionare le nostre macchine anche di notte e per poter resistere ai grandi freddi, per quanto intensi possano essere. Quindi non possiamo temere di morire assiderati, nè di vedere le nostre macchine arrestarsi, il che accadendo, il nostro viaggio terminerebbe in una spaventevole caduta.

Noi speriamo un giorno di ridiscendere sulla terra. Se ciò non dovesse avvenire, considerateci pure come morti.

«Carvalho e Souza»

Il capitano, terminata la lettura, si era alzato, fermandosi dinanzi a Faja.

– Che cosa ne dite voi di tutto ciò? – gli chiese.

– Io nulla posso dire, signore, fuorchè d’aver veduto quei due scienziati inalzarsi dinanzi i miei occhi. È a voi, signor comandante, che volevo chiedere se credete che essi possano essere riusciti nel loro intento.

– Io sono convinto che non abbiano potuto attraversare la massa d’aria che circonda la nostra terra e che abbiano finito per ricadere, ammenochè continuino a girare intorno al globo. Si faranno delle ricerche e vedremo se si potrà sapere qualche cosa di quei due audaci.

La sera stessa la piccola nave da guerra lasciava Allegranza, conducendo con sè l’alcade, e faceva rotta per Cadice.

Il Governo spagnuolo e gli scienziati d’Europa si erano già vivamente preoccupati per fare delle indagini a fine di chiarire la sorte toccata ai due brasiliani, tanto più che due altri documenti, affatto simili al primo, erano stati pescati, uno nell’Atlantico meridionale e l’altro nell’Oceano Pacifico a duecentocinquanta miglia dalle coste del Chilì.

Furono mandati ordini in tutte le colonie e furono pregati i capitani delle navi di fare ricerche negli oceani, con la speranza di trovare almeno qualche frammento di quella macchina straordinaria, ma senza risultato.

Fu solo quattordici mesi dopo che si potè sapere qualche cosa dell’esito di quel viaggio che aveva tanto commosso il mondo scientifico.

Una nave inglese, proveniente dai porti della Cina, aveva raccolto un uomo che aveva trovato su un’isoletta disabitata delle isole Condor, a sud della penisola indomalese.

Era un vecchio di sessanta e più anni, che aveva il volto coperto da una lunga barba e non aveva indosso alcun indumento.

Dapprima era stato preso per un naufrago, poi da alcune frasi sconnesse il comandante della nave aveva potuto capire che quell’uomo, che doveva essere diventato pazzo, non era approdato su quell’isolotto con una nave, nè con una scialuppa.