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Il turco s’ingannava. Aveva dinanzi un buon spadaccino. El-Kadur ed i due marinai che avevano impugnati i moschettoni per le canne, servendosene come di mazze e decisi a tutto.

La duchessa si era precipitata addosso al polacco, incalzandolo vigorosamente colla spada e obbligandolo in tal modo ad accettare il combattimento.

Gli altri tre si erano buttati addosso a Metiub ed al suo sottotenente, mentre Perpignano ed i greci tenevano duro sulla scala, lottando vigorosamente contro il numero preponderante degli assalitori.

Fino dal primo attacco le sorti si erano mostrate poco favorevoli ai due turchi ed al polacco. I due primi, assaliti furiosamente dall’arabo e dai due marinai, che menavano colpi disperati coi calci dei moschettoni, avevano dovuto rifugiarsi in un angolo; il polacco, che quantunque abile spadaccino, non era in grado di tener testa a colei che aveva vinto il Leone di Damasco, aveva dovuto battere in ritirata verso la porta.

L’Orso delle foreste opponeva una resistenza terribile e, disperando ormai di poter aver viva la duchessa e di farne la sua sposa, invaso da una rabbia feroce, cercava di immergerle nel seno la punta del suo spadone.

Erano però sforzi vani. Sempre incalzato si trovò finalmente addosso alla parete e fu là che ricevette in direzione del cuore una tale stoccata che la lama della duchessa, dopo aver attraversato il petto del miserabile, si spezzò.

– Muori, rinnegato! – gridò la donna.

Il polacco allargò le braccia, fissando sulla sua avversaria uno sguardo terribile, poi stramazzò al suolo, rantolando:

– È finita!…

Quasi nel medesimo istante Metiub cadeva a sua volta col capo fracassato da un colpo d’archibugio menatogli da papà Stake, ed un momento dopo anche l’ufficiale, che era stato già toccato tre volte dalla scimitarra di El-Kadur, piombava a terra.

La duchessa accorreva in quel momento in loro aiuto.

– La faccenda è terminata, signora, – le disse papà Stake, gettando via l’archibugio e raccogliendo la scimitarra di Metiub. – Sono partiti pel paradiso ed a quest’ora le loro anime stanno conversando con le uri.

– Accorriamo in aiuto di Perpignano! – comandò la duchessa.

Stavano per dirigersi verso la scala, quando El-Kadur con un salto da tigre si gettò dinanzi ad Eleonora gridando:

– Guàrdati, padrona!

Nel medesimo momento un colpo di fuoco echeggiò e l’arabo s’accasciò su se stesso mandando un lungo gemito.

Quel colpo l’aveva sparato il polacco. Il miserabile non era ancora spirato ed avendo veduto presso di sè bruciare la miccia d’uno dei moschettoni, aveva accesa quella della pistola che teneva nella cintura e con uno sforzo supremo aveva fatto fuoco, sperando di uccidere la duchessa.

Mentre papà Stake e Simone si precipitavano sul traditore e lo finivano a colpi di scimitarra, la duchessa si era curvata sull’arabo il cui viso diventava rapidamente grigiastro.

– Mio povero El-Kadur! – gridò, singhiozzando e prendendogli il capo fra le mani.

– Muoio… padrona… il cuore… il cuore… – rispose lo schiavo con voce fioca. – Addio… padrona… sii felice…

– Ma no, non morrai!

L’arabo sorrise mestamente e fissò sulla duchessa i suoi occhi già velati dalla morte che s’avanzava.

– Addio… padrona… – ripetè. – Sono felice… d’averti salvata… Il mio… tormento… è finito… padrona… fammi morire… felice… un bacio… un bacio… al fedele tuo… schiavo…

Mentre papà Stake e Simone piangevano inginocchiati, la duchessa si chinò sul moribondo e accostò le sue labbra alla sua fronte.

El-Kadur ebbe un fremito, poi richiuse gli occhi e s’abbandonò.

Era spirato.

CONCLUSIONE

Poco dopo la morte del povero e fedele schiavo, giungevano dinanzi alla casa, a galoppo sfrenato, Muley-el-Kadel e Nikola Stradioto, coi loro trenta cavalieri.

Udendo il fracasso prodotto da tutti quegli animali, i turchi, temendo una sorpresa, si erano precipitati confusamente fuori dalla stanza, lasciando sulla scala che non erano riusciti ad espugnare, non pochi morti e feriti.

Muley-el-Kadel, senza nemmeno mandare un grido d’avvertimento, li caricò all’impazzata, sciabolando a destra e a manca, mentre i suoi uomini facevano una scarica di archibugi.

Sulla porta si era affacciato Perpignano, il quale si preparava, spalleggiato dai greci, a prendere una vigorosa offensiva.

– Il Leone di Damasco! – esclamò il veneziano stupito. – E anche Nikola!

– Dov’è la duchessa? – chiese il turco, balzando a terra.

– Nelle stanze superiori.

Senza aspettare altra risposta, salì rapidamente la scala, seguito da Nikola ed irruppe nella prima camera.

La duchessa singhiozzava ancora, accanto al cadavere di El-Kadur.

– Viva! Viva! – gridò il Leone di Damasco, mentre un vivo rossore gli coloriva le gote.

– Voi, Muley! – esclamò Eleonora alzandosi.

– Giunto in buon punto per salvarvi e vendicarvi, signora. Dov’è Laczinki, l’assassino del signor Le Hussière?

– L’ho ucciso io in questo momento… ma… lui… l’assassino avete detto, Muley… – balbettò la duchessa.

– Sì, signora, – disse Nikola, facendosi innanzi. – L’ho veduto io da un sabordo della gagliotta, ad annegarlo.

La duchessa rimase un momento ritta, girando lentamente gli sguardi verso il cadavere del polacco, poi mandò un debole grido e cadde svenuta tra le braccia del Leone di Damasco…

***

Un quarto d’ora dopo, i cavalieri, dietro ai quali erano montati i veneziani ed i greci, abbandonavano quella casa, nel cui giardino attiguo avevano sepolto frettolosamente il povero arabo.

Muley-el-Kadel reggeva fra le proprie braccia la duchessa, la quale non era ancora tornata in sè.

I marinai della galera erano ormai scomparsi, fuggendo in tutte le direzioni.

A notte inoltrata il drappello giungeva nella borgata di Suda e la duchessa, in preda ad un terribile delirio, veniva ricoverata in una bella e comoda casetta, situata in riva al mare, appartenente at un rinnegato greco, armatore di parecchie gagliotte.

Per due settimane la valorosa donna lottò contro la morte, poi la sua fibra vigorosa trionfò. Durante tutto quel tempo il Leone di Damasco non aveva lasciata quella casetta.

D’altronde, nessuno era andato a disturbarli e poi i trenta cavalieri, i cristiani ed i rinnegati greci vegliavano giorno e notte sulle vie che conducevano al mare.

Un giorno però, quando la duchessa si era completamente ristabilita, un cavaliere turco che portava sulla cima della sua lancia un fazzoletto di seta bianca, comparve, chiedendo di parlare a Muley-el-Kadel.

Fu condotto alla casetta.

Staccò senza parlare, un piccolo cofano che portava dietro la sella e lo mise nelle mani del Leone di Damasco, che si era fatto pallidissimo, dicendogli semplicemente:

– Da parte di Selim, il nostro Sultano.

Poi ripartì a gran galoppo.

– Che cosa avete, Muley? – chiese la duchessa, che aveva assistito a quella scena.

– Guardate, – rispose il mussulmano, con voce turbata.

Aprì il cofanetto che era d’argento cesellato e le mostrò un elegante cordone di seta nera, che vi stava dentro.

Eleonora aveva mandato un grido d’orrore. Era il laccio che il Sultano regalava a coloro che erano caduti in disgrazia: un muto ordine d’appiccarsi.

– E tu, Muley? – chiese la duchessa, con estrema ansietà.

– La vita è troppo ridente al tuo fianco, perchè io obbedisca, – rispose il giovane Leone di Damasco. – Rinnego la religione dei miei padri e Maometto, ed abbraccio la tua.

Conducimi in Italia, Eleonora: io sono da questo momento cristiano e sai quanto ti amo…

***

La sera stessa, col favor delle tenebre, una gagliotta lasciava silenziosamente la rada di Suda facendo rotta per l’Italia.

Aveva a bordo la duchessa, Muley el-Kadel, Perpignano, i due marinai ed i rinnegati greci.

FINE