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Il Corsaro Nero

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CAPITOLO XXXI. L’ASSALTO AL CONO

Il Corsaro, udendo quello sparo, era tornato rapidamente indietro, credendo che il marinaio avesse fatto fuoco contro qualche animale, non sospettando minimamente che gli spagnuoli della caravella fossero già giunti sui fianchi del cono. Non vedendolo, si mise a gridare ripetutamente:

– Carmaux!… Carmaux!… Dove sei?…

Un sibilo leggero, che pareva mandato da un serpente e che egli ben conosceva, fu la sola risposta che ottenne. Invece di slanciarsi innanzi si gettò prontamente dietro il grosso tronco d’un simaruba e guardò attentamente dinanzi a sé.

Solamente allora s’accorse che sul margine d’un folto gruppo di palmizi ondeggiava ancora una leggera nuvoletta di fumo, la quale andava disperdendosi lentamente, non soffiando, in quella piccola radura, alcun alito d’aria.

«Hanno sparato da quella parte,» mormorò. «Ma dove si è nascosto Carmaux? Se mi ha segnalata la sua presenza, non deve essere lontano e forse è sfuggito all’agguato. Ah! Gli spagnuoli sono giunti già qui? Ebbene, signori miei, la vedremo.»

Tenendosi sempre nascosto dietro al tronco del simaruba, il quale lo metteva al coperto dalle palle nemiche, si mise in ginocchio e guardò con precauzione attraverso alle erbe che in quel luogo erano altissime. Dalla parte del bosco, dove il colpo era stato sparato, nulla vide; però a quindici passi dal simaruba, in direzione d’un gruppo di cespugli, notò fra le erbe un leggero movimento.

«Qualcuno striscia verso di me,» mormorò. «Sarà Carmaux, o qualche spagnuolo che cerca di sorprenderci? L’archibugio però è armato e non manco che di rado ai miei colpi.»

Stette immobile alcuni istanti, con un orecchio appoggiato al suolo e udí un leggero fruscio che il suolo trasmetteva nettamente. Certo di non essersi ingannato, si rizzò lungo il tronco del simaruba e lanciò un rapido sguardo fra le erbe.

«Ah!» mormorò, respirando.

Carmaux non si trovava che a quindici passi dall’albero e si avanzava con mille precauzioni, strisciando fra le erbe. Un serpente non avrebbe prodotto maggior rumore, né avrebbe proceduto con tanta astuzia, per sfuggire un pericolo o per sorprendere qualche preda.

«Il furbo,» disse il Corsaro. «Ecco un uomo che si trarrà sempre d’impiccio e che metterà sempre in salvo la pelle. E lo spagnuolo che ha fatto fuoco su di lui, è scomparso sotto terra?…»

Intanto Carmaux continuava ad avanzare, dirigendosi verso il simaruba e procurando di non mostrare la minima parte del suo corpo, per tema di venire preso una seconda volta a colpi di fucile.

Il brav’uomo non aveva abbandonato il suo archibugio, anzi, nemmeno i suoi pesci, sui quali certamente contava per regalarsi una squisita colazione. Diamine! Non voleva aver faticato per nulla!…

Scorgendo il Corsaro, lasciò da parte ogni prudenza e, rialzatosi bruscamente, in due salti lo raggiunse, mettendosi al riparo dietro al simaruba.

– Sei ferito? – gli chiese il Corsaro.

– Quanto lo siete voi, – rispose, ridendo.

– Non ti hanno adunque colpito?

– Lo avranno sperato, essendomi lasciato cadere fra i cespugli, come se m’avessero spezzato il cuore o fracassata la testa; come però vedete, sono piú vivo di prima. Ah! Ah! I bricconi credevano di mandarmi all’altro mondo come se fossi uno stupido indiano! Uh! Carmaux è un po’ furbo!

– E dov’è andato l’uomo che ti ha sparato addosso?

– È fuggito di certo, udendo la vostra voce; io ho guardato attentamente presso la macchia ma senza risultato.

– Era un uomo solo?

– Uno solo.

– Uno spagnuolo?

– Un marinaio.

– Credete che ci spii?

– È probabile; però dubito che osi mostrarsi, sapendo ora che siamo in due.

– Torniamo sulla vetta, Carmaux; sono inquieto per Wan Stiller.

– E se ci prendono alle spalle? Quell’uomo poteva avere dei compagni nascosti nel bosco.

– Apriremo gli occhi e non lasceremo il grilletto dei fucili. Avanti, mio bravo.

Lasciarono il simaruba e retrocedendo rapidamente, coi fucili in mano, anzi puntati verso il margine del bosco, raggiunsero alcuni macchioni di fitti cespugli, cacciandovisi sotto.

Giunti colà s’arrestarono per vedere se i nemici si decidevano a mostrarsi, poi, non comparendo alcuno, né udendo rumori, proseguirono sollecitamente la loro marcia, arrampicandosi sui fianchi dirupati e selvosi del cono.

Venti minuti furono sufficienti per attraversare la distanza che li separava dal loro piccolo campo trincerato.

Wan Stiller, che vegliava sulla cima della rupe, fu lesto a correre loro incontro, dicendo:

– Ho udito un colpo di fucile; siete stato voi a sparare, capitano?

– No, – rispose il Corsaro. – Hai veduto nessuno?

– Nemmeno un moscerino, signore, però ho scorta una banda di marinai lasciare la costa e scomparire sotto gli alberi.

– È sempre ancorata la caravella?

– Non ha lasciato il suo posto.

– E le scialuppe?

– Bloccano l’isola.

– Hai veduto se Wan Guld faceva parte della banda?

– Ho scorto un vecchio dalla lunga barba bianca.

– È lui! – esclamò il Corsaro, coi denti stretti. – Venga pure quel miserabile. Vedremo se la fortuna lo proteggerà anche contro la palla del mio archibugio.

– Capitano, credete che giungano presto qui? – chiese Carmaux, il quale si era messo a raccogliere dei rami secchi.

– Forse non oseranno assalirci di giorno ed aspetteranno la notte.

– Allora noi possiamo preparare la colazione e rimetterci in forze. Vi confesso che non so piú dove siano andati a finire i miei intestini. Ehi! Wan Stiller! Prepara queste due splendide raje spinose; ti prometto un arrosto cosí squisito da leccarti perfino le dita.

– E se gli spagnuoli vengono?… – chiese l’amburghese, che non era molto tranquillo.

– Bah!… Con una mano mangeremo e coll’altra ci batteremo; a noi le raje e ad essi il piombo. Vedremo poi chi farà miglior digestione. Mentre il Corsaro si rimetteva in osservazione sulla rupe, i due filibustieri accesero il fuoco e misero ad arrostire i pesci, dopo d’averli privati delle lunghe e pericolose spine.

Un quarto d’ora dopo Carmaux annunciava, con tono trionfante, che la colazione era pronta, mentre gli spagnuoli non erano ancora comparsi. I tre filibustieri si erano appena seduti ed avevano mangiato il primo boccone, quando sul mare si udí rombare uno sparo formidabile.

– Il cannone!… – esclamò Carmaux.

Non aveva ancora chiusa la bocca, quando il culmine della roccia che aveva servito da osservatorio, frantumato da una palla di grosso calibro, franò con grande fracasso.

– Lampi!… – urlò Carmaux, balzando precipitosamente in piedi.

– E tuoni!… – aggiunse Wan Stiller.

Il Corsaro si era già slanciato verso il margine della vetta, per vedere da dove era partito quel colpo di cannone.

– Mille antropofaghi!… – gridò Carmaux. – Che non si possa mangiare tranquilli in questo dannato lago di Maracaybo?… Il diavolo si porti all’inferno Wan Guld e tutti coloro che gli ubbidiscono!… Ecco la colazione andata in fumo!… Due raje cosí deliziose tutte schiacciate!…

– Ti rifarai piú tardi colla testuggine, Carmaux.

– Sí, se gli spagnuoli ci lasceranno il tempo, – disse il Corsaro Nero, che era ritornato verso di loro. – Essi salgono attraverso i boschi e la caravella si prepara a bombardarci.

– Vogliono polverizzarci? – chiese Carmaux.

– No, schiacciarci come le due raje, – disse Wan Stiller.

– Fortunatamente noi siamo delle raje che possono diventare assai pericolose, mio caro. Si vedono gli spagnuoli, capitano?…

– Non distano che cinque o seicento passi.

– Lampi!…

– Cos’hai?…

– Un’idea, capitano.

– Gettala fuori.

– Giacché la caravella si prepara a bombardare noi, a nostra volta bombardiamo gli spagnuoli.

– Hai trovato qualche cannone, Carmaux!… O un colpo di sole ti ha scombussolato il cervello!…

– Né l’uno, né l’altro, capitano. Si tratta semplicemente di far rotolare attraverso i boschi questi macigni. Il pendio è ripido e questi grossi proiettili non si arresteranno di certo a mezza via.

– L’idea è buona e la metteremo in esecuzione al momento opportuno. Ed ora, miei bravi, dividiamoci e sorvegliamo ognuno la nostra parte.

Badate di tenervi lontani dalla rupe o vi prenderete qualche scheggione sul capo.

– Ne ho avuto abbastanza di quelle che mi sono cadute sul dorso, – disse Carmaux, cacciandosi in tasca un paio di manghi. – Andiamo un po’ a vedere che cosa vogliono fare quei seccatori; farò pagare a loro le mie raje.

Si divisero ed andarono a imboscarsi dietro gli ultimi cespugli che circondavano la vetta del cono, in attesa del nemico, per aprire il fuoco.

I marinai della caravella, stimolati forse dalla speranza di qualche grossa ricompensa promessa dal Governatore, si arrampicavano animosamente sui fianchi scoscesi del cono, aprendosi il passo attraverso i fitti cespugli. I filibustieri non potevano ancora scorgerli, però li udivano parlare e tagliare le liane o le radici che ostacolavano la loro avanzata.

Pareva che salissero da due soli lati per essere in buon numero e pronti a far fronte a qualsiasi sorpresa. Un drappello doveva già aver girato il laghetto; l’altro, invece, sembrava che avesse presa una profonda valletta, una specie di cañon, come la chiamano gli spagnuoli.

Il Corsaro Nero, accertatosi della loro direzione, decise senz’altro di approfittare del progetto di Carmaux, per respingere coloro che si trovavano impegnati nella stretta gola.

– Venite, miei bravi, – disse ai suoi due compagni. – Occupiamoci per ora del drappello che minaccia di sorprenderci alle spalle; poi penseremo a quello che ha preso la via del laghetto.

– In quanto a quello spero che s’incaricherà il niku di metterlo fuori di combattimento, – disse Carmaux. – Un po’ di sete che abbiano quei marinai e li vedremo fuggire, tenendosi il ventre.

 

– Dobbiamo aprire il bombardamento? – chiese l’amburghese, rotolando un masso del peso di mezzo quintale.

– Gettate, – rispose il Corsaro.

I due filibustieri non si fecero ripetere l’ordine e si misero a spingere verso la china, con una rapidità prodigiosa, una diecina di macigni, procurando di far prendere loro la direzione del cañon.

Quella valanga formidabile precipitò attraverso il bosco col fracasso d’un uragano, saltando, rimbalzando, fracassando sul suo passaggio giovani alberi e cespugli.

Non erano trascorsi cinque minuti secondi, quando in fondo alla valletta si udirono echeggiare improvvisamente urla di spavento, poi rimbombare alcuni colpi di fucile.

– Eh!… Eh!… – esclamò Carmaux, con voce trionfante. – Pare che qualcuno sia stato toccato!…

– Vedo laggiú degli uomini che scendono precipitosamente, – disse Wan Stiller, il quale era salito su di una roccia.

– Io credo che ne abbiano avuto abbastanza.

– Un’altra scarica, amburghese.

– Sono pronto, Carmaux.

Altri dieci o dodici macigni furono rovesciati, uno dopo l’altro, giú per la china. Quella seconda valanga rovinò con pari fracasso nella valletta, massacrando i vegetali, e la si vide scendere rimbalzando, fino in fondo al cañon, seco trascinando, nella sua corsa vertiginosa, altri massi ed un gran numero di giovani alberi divelti o spezzati. I marinai della caravella furono veduti arrampicarsi su declivi della valle onde non farsi schiacciare da quella tempesta di sassi, quindi scomparire frettolosamente sotto gli alberi.

– Pel momento costoro non ci daranno noia, – disse Carmaux, stropicciandosi allegramente le mani. – La loro parte l’hanno avuta.

– Agli altri ora, – disse il Corsaro.

– Se non sono stati colti dalle coliche, – aggiunse Wan Stiller.

– Non si vedono salire.

– State zitti.

Il Corsaro si spinse verso l’orlo della piccola spianata che coronava la cima del cono e stette in ascolto per qualche minuto.

– Nulla? – chiese Carmaux, che era impaziente.

– Non si ode alcun rumore, – rispose il Corsaro.

– Che abbiano bevuto il niku?

– O che si avanzino strisciando come serpenti?… – disse Wan Stiller.

– Badiamo che non ci fulminino con una scarica a bruciapelo.

– Forse si saranno arrestati per paura di venire schiacciati dalle nostre artiglierie, – disse Carmaux. – I nostri cannoni sono forse piú pericolosi di quelli della caravella, quantunque piú economici.

– Prova a fare fuoco in mezzo a quelle piante, – ordinò il Corsaro, volgendosi verso l’amburghese. – Se rispondono, sapremo come regolarci.

Wan Stiller si diresse verso l’orlo della spianata, s’accovacciò dietro un cespuglio e sparò una archibugiata in mezzo alla foresta.

La detonazione si ripercosse lungamente sotto gli alberi, senza però alcun seguito. I tre filibustieri attesero alcuni minuti, tendendo gli orecchi e scrutando il fitto fogliame, poi fecero una scarica generale mirando in diversi luoghi.

Anche questa volta nessuno rispose, né si udí alcun grido. Cosa era avvenuto, adunque, del secondo drappello che era stato veduto salire costeggiando il laghetto?…

– Amerei meglio una scarica furiosa, – disse Carmaux.

– Questo silenzio mi preoccupa e mi fa sospettare qualche brutta sorpresa. Che cosa facciamo, capitano?

– Scendiamo, Carmaux, – rispose il Corsaro, che era diventato inquieto.

– E se gli spagnuoli sono imboscati ed approfittano per prendere d’assalto il nostro campo?

– Rimarrà qui Wan Stiller. Voglio sapere che cosa fanno i nostri avversari.

– Volete saperlo, capitano? – disse l’amburghese, che si era spinto innanzi.

– Li vedi?…

– Ne scorgo sette od otto che si dimenano come deliranti o come pazzi.

– Dove?…

– Laggiú, presso il laghetto.

– Ah!… Ah!.., – esclamò Carmaux ridendo. – Hanno assaggiato il niku!… Bisognerebbe mandar loro qualche calmante.

– Sotto forma di palla, è vero? – chiese Wan Stiller.

– No, lasciateli tranquilli, – disse il Corsaro. – Serbiamo le nostre munizioni pel momento decisivo, e poi è inutile uccidere delle persone che non possono offenderci. Giacché il primo attacco è andato a vuoto, approfittiamo di questa tregua per rinforzare il nostro campo. La nostra salvezza sta tutta nella resistenza.

– Approfitteremo per fare anche colazione, – disse Carmaux. – Abbiamo ancora la testuggine, un piraja ed un pemecru.

– Economizziamo le provviste, Carmaux. L’assedio può prolungarsi per qualche settimana e fors’anche di piú. L’Olonese può rimanere lungo tempo a Maracaybo, e tu sai che non possiamo contare ormai che su di lui, per uscire da questa grave situazione.

– Ci accontenteremo del piraja, signore.

– Vada per il piraja.

Mentre il marinaio riaccendeva il fuoco, aiutato dall’amburghese, il Corsaro s’arrampicò sulla rupe per vedere che cosa succedeva sulle spiagge dell’isolotto.

La caravella non aveva abbandonato il suo ancoraggio, però sul suo ponte si vedeva un movimento insolito.

Pareva che degli uomini si affaccendassero attorno ad un cannone che era stato piazzato sul cassero e puntato in alto, come se dovessero riaprire il fuoco contro la vetta del cono.

Le quattro scialuppe stazionavano intorno all’isola, navigando lentamente lungo la spiaggia, per impedire agli assediati qualsiasi tentativo di fuga, timore assolutamente infondato, non avendo i filibustieri alcun canotto a loro disposizione, né potendo attraversare a nuoto la distanza grandissima che separava l’isola dalla foce del Catatumbo.

Dei due drappelli che avevano tentata l’ascensione del cono, pareva che né l’uno né l’altro avesse fatto ritorno alla costa, poiché sulla spiaggia non si vedeva alcun gruppo di persone.

– Che si siano accampati sotto i boschi, in attesa d’una occasione propizia per slanciarsi all’assalto? – mormorò il Corsaro. – Temo che il niku ed i sassi di Carmaux non abbiano dati che dei magri risultati. E Pietro non si vede ancora! Se fra un paio di giorni non giungerà qui, temo di dover cadere nelle mani di quel dannato vecchio.

Ridiscese lentamente dall’osservatorio, e raggiunse i suoi due compagni informandoli delle sue preoccupazioni e dei suoi timori.

– La faccenda minaccia di diventare assai seria, – disse Carmaux. – Che questa sera tentino un assalto generale, capitano?

– Lo temo, – rispose il Corsaro.

– Come potremo noi far fronte a tanti uomini?

– Non lo so, Carmaux.

– Se tentassimo di forzare il blocco?

– E poi?

– Ed impadronirci di una delle quattro scialuppe?

– Io credo che tu abbia avuto una buona idea, Carmaux, – rispose il Corsaro dopo qualche istante di riflessione. – Il progetto non sarà certo facile da attuare, pure lo ritengo possibile.

– Quando tenteremo il colpo?

– Questa sera, prima del levarsi della luna.

– Quale distanza credete che vi sia fra quest’isola e la foce del Catatumbo

– Non piú di sei miglia.

– Un’ora e forse meno di voga forzata.

– E la caravella non ci darà la caccia? – chiese Wan Stiller.

– Certamente, – rispose il Corsaro, – ma io so che ci sono numerosi banchi di sabbia dinanzi al Catatumbo e se vorrà avanzare troppo, correrà il pericolo di arenarsi.

– A questa sera, adunque, – disse Carmaux.

– Sí, se non ci avranno presi od uccisi.

– Capitano, il piraja è arrostito a puntino.

CAPITOLO XXXII. NELLE MANI DI WAN GULD

Durante quella lunga giornata, né Wan Guld, né i marinai della caravella diedero segni di vita. Pareva che fossero ormai tanto sicuri di catturare, presto o tardi, i tre filibustieri annidati sulla cima del cono, da ritenere assolutamente superfluo un assalto.

Certamente volevano costringerli alla resa per fame e per sete, premendo al governatore di aver vivo nelle mani il formidabile filibustiere per poi appiccarlo, come aveva già fatto dei due disgraziati fratelli sulla plaza di Maracaybo.

Carmaux e Wan Stiller però si erano accertati della presenza dei marinai. Essendosi avventurati, con mille precauzioni, sotto i boschi, avevano potuto scorgere attraverso il fogliame numerosi gruppi d’uomini accampati alle falde del cono. Non ne avevano però veduto nemmeno uno presso le rive del laghetto, segno evidente che gli assedianti avevano ormai provata la bontà di quelle acque sature di niku.

Giunta la sera, i tre filibustieri fecero i loro preparativi di partenza, decisi a forzare le linee, piuttosto che attendere nel loro piccolo campo trincerato una morte lenta o per fame o per sete, essendo state loro chiuse le vie per poter rinnovare le provviste.

Verso le 11, dopo d’aver ispezionati i margini della piccola piattaforma e di essersi assicurati che i nemici non avevano abbandonati i loro accampamenti, caricatisi dei pochi viveri che possedevano e divise le munizioni che ancora rimanevano, circa una trentina di colpi ciascuno, lasciavano silenziosamente il piccolo recinto fortificato, scendendo in direzione del laghetto.

Prima di mettersi in marcia, avevano rilevate esattamente le posizioni occupate dai drappelli spagnuoli, onde non cadere improvvisamente in mezzo ad uno di quei piccoli accampamenti e dare l’allarme, cosa che volevano assolutamente evitare, per non mandare a male l’ardito progetto, il solo che avrebbe potuto sottrarli all’odio implacabile del vecchio governatore.

Vi potevano essere bensí delle sentinelle staccate, però speravano colla fitta oscurità che regnava nella foresta di poterle, con molta prudenza e con un po’ d’astuzia, evitare.

Strisciando come rettili ed assai lentamente, per non far rotolare qualche sasso, dopo dieci minuti giungevano sotto i grandi alberi, dove l’oscurità era assoluta. Sostarono alcuni istanti per ascoltare, poi, non udendo alcun rumore e vedendo ancora brillare sulle falde del cono i fuochi degli accampamenti, si rimisero in cammino adagio, tastando prima il terreno colle mani onde non far scrosciare le foglie secche o evitare una caduta in qualche fenditura o in qualche burroncello.

Erano già scesi a trecento metri, quando Carmaux, che strisciava innanzi a tutti, si fermò bruscamente, tenendosi nascosto dietro il tronco d’un albero.

– Cos’hai? – gli chiese sottovoce il Corsaro, che lo aveva raggiunto.

– Ho udito un ramo spezzarsi, – mormorò il marinaio, con un filo di voce.

– Presso di noi?…

– A breve distanza.

– Che sia stato qualche animale?

– Non lo so.

– O che vi sia qualche sentinella?

– L’oscurità è troppo fitta per vedere qualche cosa, capitano.

– Fermiamoci per qualche minuto.

Si sdraiarono tutti e tre in mezzo alle erbe ed alle radici e stettero in ascolto, trattenendo il respiro.

Dopo alcuni istanti d’angosciosa aspettativa, udirono a breve distanza due persone che bisbigliavano fra loro.

– L’ora è vicina – diceva una voce.

– Sono tutti pronti? – chiedeva l’altra.

– Forse hanno già abbandonati gli accampamenti, Diego.

– Vedo però brillare ancora i fuochi.

– Non si devono spegnere per far credere ai filibustieri che nessuno di noi ha intenzione di muoversi.

– È furbo il Governatore!

– È un uomo di guerra, Diego.

– Credi che riusciremo a prenderli?

– Li sorprenderemo, te lo assicuro.

– Però si difenderanno terribilmente. Il Corsaro Nero vale da solo venti uomini, Sebastiano..

– Ma noi siamo in sessanta e poi vi è il conte che è una lama formidabile.

– Ciò non basterà per quell’indiavolato Corsaro. Temo che molti di noi faranno partenza per l’altro mondo.

– I superstiti però faranno piú tardi baldoria. Diecimila piastre, da bere e da mangiare!…

– Una bella somma in fede mia, Sebastiano. Carrai! Il Governatore lo vuole proprio morto.

– No, Diego, lo vuole vivo.

– Per appiccarlo piú tardi.

– Di questo non dubitare. Eh!… Hai udito, Diego?

– Sí, i compagni si sono messi in marcia.

– Avanti anche noi; le diecimila piastre sono lassú!

Il Corsaro Nero ed i suoi due compagni non si erano mossi. Confusi fra le erbe, le radici ed i festoni delle liane, avevano conservata una immobilità assoluta, alzando però i fucili, pronti a scaricarli, in caso di pericolo.

Aguzzando gli sguardi, scorsero confusamente i due marinai avanzarsi lentamente, scostando con precauzione le fronde e le liane che impedivano loro il passo. Già li avevano oltrepassati di alcuni passi, quando uno dei due si fermò dicendo:

– Ehi, Diego, hai udito nulla?…

– No, camerata…

– A me parve di aver udito come un sospiro.

 

– Bah?… Sarà stato qualche insetto.

– O qualche serpente?

– Ragione di piú per allontanarci. Vieni, camerata, io non voglio essere uno degli ultimi a prender parte alla lotta.

Dopo quel breve scambio di parole i due marinai continuarono la loro marcia, scomparendo sotto la cupa ombra dei vegetali.

I tre filibustieri attesero qualche minuto per tema che i due spagnuoli tornassero indietro, o che si fossero fermati a breve distanza, poi il Corsaro si rizzò sulle ginocchia guardandosi attorno.

– Tuoni!… – mormorò Carmaux, respirando liberamente.

– Comincio a credere che la fortuna ci protegga.

– Io non avrei dato una piastra per la nostra pelle, – disse Wan Stiller. – Uno di quei due mi è passato cosí vicino, che per poco mi calpestava.

– Abbiamo fatto bene a lasciare il nostro campo. Sessanta uomini!… Chi avrebbe potuto reggere a simile assalto?

– Brutta scoperta per loro, Carmaux, quando non troveranno che delle spine e dei sassi.

– Porteranno quelli al Governatore.

– Avanti, – disse in quell’istante il Corsaro. – È necessario giungere alla spiaggia prima che gli spagnuoli possano accorgersi della nostra fuga. Dato l’allarme, non potremmo piú sorprendere le scialuppe.

Certi ormai di non incontrare altri ostacoli, né di correre il pericolo di venire scoperti, i tre filibustieri discesero verso il laghetto, poi presero il versante opposto, cacciandosi in quella specie di cañon che avevano tempestato di macigni, volendo raggiungere la spiaggia meridionale dell’isolotto onde trovarsi lontani dalla caravella.

La discesa fu eseguita senza cattivi incontri e, prima della mezzanotte, sbucavano sulla spiaggia.

Dinanzi a loro, semi-arenata all’estremità d’un piccolo promontorio, si trovava una delle quattro scialuppe. Il suo equipaggio, composto di due soli uomini, aveva preso terra e dormiva accanto ad un fuoco semi-spento, tanto era sicuro di non venire disturbato sapendo che la collina era stata circondata dai marinai della caravella e che i filibustieri si trovavano assediati sulla cima.

– L’impresa sarà facile, – mormorò il Corsaro. – Se quei due non si svegliano, prenderemo il largo senza allarmi e potremo giungere alla foce del Catatumbo.

– Non uccideremo quei due marinai? – chiese Carmaux.

– È inutile, – rispose il Corsaro. – Non ci daranno impiccio, almeno lo spero.

– E le altre scialuppe, dove sono? – chiese l’amburghese.

– Ne vedo una arenata presso quello scoglio, a cinquecento passi da noi, – rispose Carmaux.

– Presto, imbarchiamoci, – comandò il Corsaro. – Fra qualche minuto gli spagnuoli si accorgeranno della nostra fuga.

Si avventurarono, camminando sulla punta dei piedi, sul piccolo promontorio, passando accanto ai due marinai, i quali russavano placidamente. Con una leggera scossa spinsero in acqua la scialuppa e vi balzarono dentro, afferrando i remi.

Si erano allontanati di cinquanta o sessanta passi e già cominciavano a sperare di poter prendere il largo senza essere disturbati, quando verso la cima del cono rimbombarono improvvisamente parecchie scariche, seguite da urla acute. Gli spagnuoli, giunti sull’ultima spianata, dovevano essersi slanciati all’assalto del piccolo campo, convinti di prendere i tre filibustieri.

Udendo quelle scariche rintronare sulla montagna, i due marinai si erano bruscamente svegliati. Vedendo che la scialuppa erasi allontanata e che degli uomini la montavano, si slanciarono verso la spiaggia coi fucili in mano urlando:

– Fermi!… Chi siete voi?…

Invece di rispondere, Carmaux e Wan Stiller si curvarono sui remi, arrancando disperatamente.

– All’armi!… – gridarono i due marinai, accortisi, ma troppo tardi, del tiro birbone giocato dai filibustieri.

Poi due colpi di fucile rintronarono.

– Il diavolo vi porti!… – gridò Carmaux, mentre una palla gli spaccava di colpo il remo, a tre soli pollici dal bordo della scialuppa.

– Prendi un altro remo, Carmaux, – disse il Corsaro.

– Lampi!… – gridò Wan Stiller.

– Cos’hai?

– La scialuppa che si trovava arenata sullo scoglio ci dà la caccia, capitano.

– Occupatevi dei remi voi e lasciate a me la cura di tenerla lontana a colpi di fucile, – rispose il Corsaro.

Intanto sulla vetta della collina si udivano sempre rimbombare gli spari. Probabilmente gli spagnuoli, trovandosi dinanzi a quelle trincee di spine e di sassi, si erano fermati, per tema d’un agguato.

La scialuppa, sotto la spinta dei quattro remi, vigorosamente manovrati dai due filibustieri, s’allontanava rapida dall’isola, dirigendosi verso la foce del Catatumbo, lontana solamente cinque o sei miglia. La distanza da attraversare era considerevole, però se gli uomini rimasti a guardia della caravella non si accorgevano di ciò che succedeva sulle spiagge meridionali dell’isolotto, vi era possibilità di poter sfuggire all’inseguimento.

La scialuppa degli spagnuoli si era arrestata presso il piccolo promontorio, per imbarcare i due marinai che urlavano come indemoniati, e di quel ritardo avevano approfittato i filibustieri per guadagnare altri cento metri.

Disgraziatamente l’allarme oramai era stato udito anche sulle sponde settentrionali dell’isolotto. Gli spari dei due marinai non erano stati confusi con quelli che rimbombavano sulla cima del cono e ben presto se ne accorsero i fuggiaschi.

Non si erano ancora allontanati di mille metri, quando videro accorrere le altre due scialuppe, una delle quali, grande assai, era armata d’una piccola colubrina da sbarco.

– Siamo perduti!… – aveva esclamato involontariamente il Corsaro. – Amici: prepariamoci a vendere cara la vita.

– Mille tuoni!… – esclamò Carmaux. – Che la fortuna si sia stancata cosí presto?… Ebbene sia!… Ma prima di morire, ne manderemo parecchi all’altro mondo.

Aveva abbandonato il remo ed impugnato l’archibugio. Le scialuppe, precedute da quella piú grossa che era montata da una dozzina d’uomini, non si trovavano che a trecento passi e s’avanzavano con furia.

– Arrendetevi, o vi mandiamo a picco! – gridò una voce.

– No, – rispose il Corsaro, con voce tuonante. – Gli uomini del mare muoiono, ma non si arrendono!

– Il Governatore vi promette salva la vita.

– Ecco la mia risposta!

Il Corsaro aveva puntato rapidamente l’archibugio ed aveva fatto fuoco abbattendo uno dei rematori.

Un urlo di furore s’alzò fra gli equipaggi delle tre scialuppe.

– Fuoco! – s’udi gridare.

La piccola colubrina avvampò con grande strepito. Un istante dopo la scialuppa dei fuggiaschi s’inclinava a prora, imbarcando acqua a torrenti.

– A nuoto! – urlò il Corsaro, lasciando andare l’archibugio.

I due filibustieri scaricarono i fucili contro la grossa imbarcazione, poi si gettarono in acqua, mentre la scialuppa, la cui prora era stata fracassata dalla palla del piccolo pezzo di artiglieria, si capovolgeva.

– Le sciabole fra i denti e pronti per l’abbordaggio!… – urlò il Corsaro con furore. – Morremo sul ponte della scialuppa.

Tenendosi faticosamente a galla a causa del peso dell’acqua introdottasi nei loro lunghi stivali a tromba, i tre filibustieri si misero a nuotare disperatamente incontro all’imbarcazione decisi di tentare una lotta suprema prima di arrendersi o di venire uccisi.

Gli spagnuoli, ai quali premeva di certo di prenderli vivi perché in caso contrario sarebbe stato loro ben facile mandarli sott’acqua con una sola scarica, con pochi colpi di remo piombarono in mezzo a loro, urtandoli cosí malamente colla prora della grande scialuppa, da rovesciarli l’uno addosso all’altro.

Subito venti mani si tuffarono, afferrando strettamente le braccia dei tre filibustieri, e li trassero a bordo, disarmandoli e legandoli strettamente prima che avessero potuto rimettersi da quell’urto che li aveva mandati a bere sott’acqua.

Quando il Corsaro poté rendersi conto di quanto era avvenuto, si trovava coricato a poppa della scialuppa, colle mani strettamente legate dietro il dorso, mentre i suoi due compagni erano stati deposti sotto i banchi di prora.

Un uomo, che indossava un elegante costume da cavaliere castigliano, gli stava accanto, tenendo in mano la barra del timone.

Vedendolo, il Corsaro aveva mandata una esclamazione di stupore.

– Voi!… Conte!…

– Io, cavaliere, – rispose il castigliano, sorridendo.

– Non avrei mai piú creduto che il conte di Lerma si fosse scordato cosí presto di essere stato salvato da me, mentre avrei potuto ucciderlo nella casa del notaio di Maracaybo, – disse il Corsaro, con amarezza.

– E che cosa vi induce a credere, signor di Ventimiglia, che io abbia scordato il giorno in cui ebbi la fortuna di fare la vostra conoscenza? – chiese il conte, sottovoce.