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La crociera della Tuonante

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23. Il boemo

Sandy-Hook non è altro che una grossa punta di terra gettata fra l’Isola degli Stati e l’Isola Lunga, staccantesi dalla provincia di New York. Gl’Inglesi avevano preso possesso di quella terra, che giudicavano strategica, il 2 Luglio del 1775, e appena sbarcati, l’avevano prontamente fortificata dandole un certo aspetto pauroso. Raggiunti peraltro dalle riserve dell’ammiraglio Shuldam o da Howe, quasi tutte quelle forze si erano disseminate sulla terra ferma, alla caccia di Washington e del suo esercito.

Nel momento in cui i quattro Assiani sbarcavano, nel porto non vi erano che poche vecchie navi, e nella fortezza appena un mezzo reggimento affidato al marchese d’Halifax, incaricato, più che altro, di tenere lontani i corsari americani, i quali diventavano di giorno in giorno più audaci.

«Cerchiamo innanzi tutto una taverna,» disse Testa di Pietra. «Io e Piccolo Flocco saremo costretti a guardare la gente di Sandy-Hook attraverso una finestra, per ora.»

«Patre,» disse Wolf, «io condurti da mio buon amico che ci darà stanze e cena e pranzi finché vorremo.»

«Non domando di più per ora,» rispose il mastro.

Legato il battello, s’inoltrarono in una via fiancheggiata da povere case grondanti d’umidità, illuminata di tratto in tratto da un falò, attorno al quale bivaccavano numerosi soldati, in attesa delle notizie della battaglia, che era stata impegnata sull’Isola Lunga e che agli Americani era costata tanto sangue. Erano tutti tedeschi, e costituivano l’ultima riserva del generale Howe.

Wolf ed i suoi compagni percorsero parecchie vie, sempre battute da soldati, ma che non si occupavano affatto di loro, poi entrarono in una tavernaccia condotta da un Boemo, che si diceva avesse fatto una bella fortuna pelando i suoi fratelli tedeschi.

Il taverniere, una specie di tipo zingaresco, con una enorme massa di capelli nerissimi che portava sciolti, fece a Wolf, che aveva già conosciuto in altri tempi, la migliore accoglienza, sicché i quattro uomini poco dopo cenavano tranquillamente.

«Questa sarà la nostra piazza forte,» disse Testa di Pietra. «Domani mattina voi due vi metterete in marcia per avere nuove del Marchese e della bionda miss. Questo matrimonio non si deve fare, corpo di tutti i campanili della terra!»

«E se si fosse già fatto?» chiese Piccolo Flocco.

Il mastro diventò livido come se avesse ricevuto una ferita, ma si rimise subito, e disse: «Abbiamo il mezzo di saperlo senza uscire di qui. Wolf può interrogare il suo amico.»

«Lascia fare a me, patre, ed a mio fratello,» rispose l’Assiano. «Noi non corriamo pericolo alcuno; possiamo andare e venire, mentre tu potresti incappare nel Marchese od in qualcuno dei suoi ufficiali.»

Il Boemo stava seduto poco lungi da loro ed ascoltava quei discorsi senza mostrare interesse; ma ad un cenno di Wolf si avvicinò premurosamente al tavolino.

«Conosci tu, Sworf, il marchese d’Halifax?»

«Giunse qui tre giorni orsono, ma lo conoscevo molto prima,» rispose il Boemo.

«Sai che si sia sposato?»

«Con quella bellissima fanciulla, che si dice abbia rapito ad un suo parente? Non ancora; ma credo che fra cinque o sei giorni il matrimonio sarà celebrato, poiché è stato dato ordine di abbellire la vecchia cappella di San Giacomo.»

I due Bretoni ed i due Assiani si guardarono l’un l’altro con estrema ansietà e per parecchi istanti rimasero silenziosi. Testa di Pietra tracannò un bicchiere di pessimo vino spagnuolo, per prendere un pò d’animo, accese la pipa, la sua vecchia consigliera, poi guardando fisso il Boemo gli chiese:

«Siete proprio certo che il matrimonio si farà fra cinque o sei giorni?»

«Così affermano tutti, sergente. Credo anzi che abbiano fatto venire il corredo di questa futura sposa del Marchese, proprio dalla terra d’Halifax.»

«Corpo d’un bisonte dalle trenta corna!» esclamò il Bretone picchiando i pugni sul tavolo. «Siamo giunti appena in tempo per tornare a rovinare su Sandy-Hook. Se sir William non approfitta di questo momento, in cui la fortezza è quasi sguarnita di truppa, perderà per sempre la sua fidanzata. Dove si trova quella cappella?»

«Sulla penisola della Dark, di là dalla linea delle fortificazioni; proprio all’estremità della passeggiata dei Gallesi, sulla spiaggia del mare. È l’unica cappella che rimane, perché i corsari americani una notte diroccarono completamente l’altra con una vera pioggia di bombe… Ma che cosa può interessare a voi il matrimonio del vostro colonnello e capitano di mare, marchese d’Halifax?»

Testa di Pietra lanciò in aria due o tre boccate di fumo, come se chiedesse a quelle una ispirazione, poi disse:

«Ce ne interessiamo perché siamo incaricati di rimettere alla bionda miss un regalo di nozze da parte d’un gentiluomo spagnuolo che dev’essere suo parente.»

Il Boemo socchiuse gli occhi e sorrise come uomo che non beve grosso, tuttavia disse:

«Ditemi schiettamente quello che posso fare per l’amico Wolf.»

«Allora ti spiegherò più tardi di che cosa si tratta,» rispose l’Assiano. «Và a preparare i nostri letti ora.»

«Deve passare ancora la ronda.»

«A quella penseremo noi,» disse il mastro, mettendogli in mano una sterlina. «Portate delle bottiglie, e lasciate che ce la sbrighiamo da noi. Non si può mica arrestare un sott’ufficiale, per centomila balene! perché si prende il gusto di invitare degli amici a bere.»

«Chiudi la porta e ritiriamoci in qualche altra stanza,» consigliò Wolf.

«La forzeranno!» rispose il Boemo. «Sono diventati assai diffidenti gl’Inglesi, e vedono spie dappertutto.»

«Portate delle bottiglie,» ripeté il mastro.

Il Boemo, che era alto come un granatiere di Pomerania e forte come un orso grigio delle Montagne Rocciose, si affrettò a portare una cesta piena di bottiglie; poi prese Wolf sotto il braccio e lo trasse da parte, impegnando con lui un’animata conversazione, mentre i due Bretoni e Hulbrik intanto fumavano e bevevano, facendo progetti sopra progetti.

Ad un tratto la porta si aperse e un sergente inglese, con una faccia tutt’altro che rassicurante, entrò seguito da due soldati scozzesi. Il Boemo si turbò e fece un gesto di rabbia, mormorando:

«Proprio ora!»

Il sergente salutò Testa di Pietra e gli disse asciuttamente:

«È l’ora di rientrare in caserma.»

«Ho invitato alcuni miei amici tedeschi a bere, e berremo finché ci sarà una bottiglia… Volete prendervi parte?»

«Per dieci minuti, non di più,» rispose l’Inglese. «Siamo pari di grado e vi devo dei riguardi.»

«Ed allora, taverniere, stura!» comandò il mastro.

Il Boemo fu pronto ad obbedire, quantunque sembrasse di cattivo umore, e l’Inglese e i due Scozzesi, invitati, diedero un formidabile attacco a quel liquido che veniva loro offerto così generosamente.

«Si direbbe che si festeggia qualche bell’avvenimento,» disse ad un certo punto l’Inglese, il quale pareva avesse dimenticate tutte le caserme di Sandy-Hook.

«No, camerata: si tratta di una scommessa,» disse Testa di Pietra. «Io avevo detto che fra cinque giorni il marchese di Halifax avrebbe sposato quella graziosa fanciulla dai capelli biondi e gli occhi azzurri; e poiché ho vinto, faccio pagare i miei amici.»

«Infatti avete vinto,» rispose l’Inglese. «Giovedì il grande avvenimento avverrà: io lo so di sicuro.»

Il mastro sentì la fronte bagnarsi d’un freddo sudore, tuttavia finse di mostrarsi contento d’aver guadagnata la scommessa.

«Dunque proprio giovedì, eh, camerata?»

«Sono incaricato di preparare la cerimonia e diramare gli inviti, d’accordo col segretario del Marchese.»

Testa di Pietra mandò giù molto amaro, ma seppe dissimulare. Quella notizia confermata dava molto da pensare a lui e a’ suoi tre compagni. Sarebbe stato quel tempo sufficente a radunare tutti i corsari americani volteggianti nelle acque di New York, i soli che potevano tentare un gran colpo di testa contro Sandy-Hook? Ecco la gran questione.

I tre uomini della ronda continuarono a bere finché l’ultima bottiglia non fu vuota; poi il sergente, che non si reggeva più sulle gambe, disse:

«Sono le undici: seguitemi in caserma.»

«Non possiamo restare ancora un poco qui?» chiese il Bretone. stringendo le pugna. «Siamo presso un amico.»

«Io obbedisco agli ordini che ricevo!» ribatté l’Inglese. «Orsù, camerata, andiamo: è già tardi.»

«Si potrebbe bere un’altra bottiglia…»

«No: non è possibile: bisogna tornare subito in caserma. Ho la testa abbastanza pesante, e sento che le gambe non ubbidiscono più come quando sono entrato qui. Andiamo dunque!»

Wolf si avvicinò al Boemo e scambiò con lui alcune rapide parole: poi il drappello uscì nella via nebbiosa, a malapena illuminata da qualche lampada marina, dirigendosi verso le caserme situate di fronte al mare. I due Bretoni ed i due Assiani erano rimasti dietro la ronda, la quale andava a zig zag, perché tutti erano ubriachi fradici.

Erano tutti e quattro ben risoluti di non farsi cacciare in una caserma, dove avrebbero corso il rischio di essere fucilati, eccettuato Wolf che poteva invocare la testimonianza del Marchese: perciò essi non avevano che questo desiderio: sbarazzarsi della ronda, raggiungere il battello, e correre subito ad avvertire il Corsaro di quanto stava per accadere.

A rapire la bionda miss avevano ormai rinunciato, per la troppa abbondanza di truppe e la mancanza di tempo.

«Tenetevi pronti!» disse Testa di Pietra che seguiva il sergente inglese, il quale traballava come i suoi due soldati. «Appena ci troviamo in un luogo deserto, conciamoli per bene, e poi via al porto.»

«Con una breve sosta dal Boemo,» disse sottovoce Wolf.

«Per bere ancora?»

«No. Si tratta di mettere a disposizione dei corsari che giungeranno i vasti sotterranei della cappella di San Giacomo.»

 

«Hai detto?…»

«Silenzio ora, patre: teniamo d’occhio la ronda.»

Erano giunti in un luogo deserto, fiancheggiato da collinette e da vecchie fortificazioni. Non vi erano più lumi, né si udivano voci umane. Solamente il mare brontolava in lontananza, avventandosi contro la costa. Trecento metri più lontano si alzava un fabbricato che poteva benissimo essere una caserma. Testa di Pietra si fermò.

«Avanti, camerata!» ordinò l’Inglese.

«Io penso che nelle caserme fa troppo caldo, e perciò torno dal taverniere a vuotare qualche altra bottiglia. Se volete seguirmi, troverete tutto pagato.»

Il sergente ebbe un momento di esitazione; ma poi, forse insospettito da quell’Assiano che parlava, o, piuttosto, strapazzava la lingua inglese diversamente da tutti gli altri Tedeschi, allargò le gambe e disse:

«No. Dovete venire con me a consegnarvi in caserma.»

«Domani,» rispose il mastro.

«Questa sera.»

«Abbiamo ancora sete.»

«Berrete un altro giorno.»

«Quando io ho preso una decisione, vado fino in fondo, checché debba succedere.»

«Una rivolta?…»

«Chiamatela come volete; a me poco importa.»

«E siete un sergente!…»

«Ragione di più per essere libero,» rispose Testa di Pietra, sguainando rapidamente la sciabola.

I suoi tre amici lo avevano subito imitato e si erano gettati sui due Scozzesi, che erano armati di carabine, tempestandoli coll’impugnatura pesantissima della daga. In un momento essi caddero, ma il sergente tentò di tener testa al mastro, menando colla sciabola colpi all’impazzata e gridando:

«O venite in caserma, o vi taglio tutti a pezzi!»

Ma le sue gambe erano troppo malferme per potersi sbarazzare di quei quattro diavoli, né poteva contare sui due Scozzesi, i quali, più ubriachi che percossi, erano stramazzati in mezzo al fango della strada né davano più segno di vita. Ed erano stati subito anche disarmati, ché un colpo di carabina poteva attirare l’attenzione del picchetto della vicina caserma.

«Ah, i traditori!» urlava l’Inglese inferocito. «Ma non sono uomo da aver paura, io! Vi consegnerò al capitano Hamilton.»

Si era scagliato contro Testa di Pietra, ma nel momento di assalire l’avversario, le forze lo tradirono e scivolò; e il Bretone, che anche se beveva era sempre molto in gamba, lo percosse furiosamente sul viso colla guardia della sciabola, mandandolo a raggiungere i due Scozzesi.

«Al battello senza perdere un minuto!» gridò.

«Ripassiamo dal Boemo,» disse Wolf. «Egli ormai sa tutto ed è pronto ad aiutarci. Dovete sapere che un giorno, fra gl’Indiani del Canada, io gli salvai la vita, perciò è disposto a far tutto per me.»

«Un momento solo.»

«Va bene.»

I quattro uomini si slanciarono a corsa disperata attraverso il fango e la nebbia, ritornando verso la cittadella. Un punto luminoso, che si dibatteva stentatamente fra quell’umidore, additò la taverna del Boemo, dove giunsero come quattro bombe, impugnando ancora le spade, e chiusero subito la porta.

Il Boemo li aspettava, poiché si era immaginato che colla ronda le cose non sarebbero finite bene.

«Siete inseguiti?» chiese.

«No,» rispose Wolf.

«E la scorta?»

«L’abbiamo messa a terra; e prima di domani mattina non riprenderà le sue funzioni, se lo potrà.»

«Colpi di spada?»

«Teste rotte, niente di più.»

«L’affare è sempre serio!» disse il Boemo, grattandosi la testa. «Se domani vi scovano, vi fucilano senza processo.»

«Lo so,» disse Testa di Pietra, «perciò pensiamo a ripartire…»

«Per avvertire il Corsaro?»

«Conoscete anche voi quella dolorosa storia?»

«Benissimo; ed avendo saputo da Wolf (a cui nulla posso rifiutare, avendomi egli un giorno salvata la vita) il vostro desiderio di tornar subito fra gli Americani, se posso aiutarvi, sono molto felice di farlo. Penso intanto che potreste fermarvi qui e nascondervi nei sotterranei della cappella di San Giacomo, le cui chiavi sono tenute da un mio cognato. Là sotto vi è posto anche per cinquecento persone.»

«Oh, se vi potessimo cacciar dentro cinquecento corsari per il giorno del matrimonio!…» esclamò Testa di Pietra. «La cosa non mi pare difficile.»

«Correte molto voi, sergente,» disse il Boemo. «Ma io ho sempre amato i coraggiosi, e se volete, farò tenere quei sotterranei a disposizione dei corsari. La cappella si trova in un luogo isolato, su una punta di terra, non guardata da nessuna fortezza, sicché le navi potrebbero giungervi nel colmo della notte e sbarcare.»

«Bisognerebbe allora che uno di noi rimanesse qui,» disse il mastro, «per farci nella notte dei segnali dalla cappella.»

«Io non corro alcun pericolo,» disse Wolf, «quindi posso rimanere. Il Marchese non mi lascerebbe mai fucilare.»

«Dov’è dunque questa cappella?» chiese il mastro.

«A ponente della lanterna, a mille passi dalle antiche fortificazioni,» rispose il Boemo.

«Mi pare infatti di aver veduto, entrando in porto, un grosso fabbricato che avevo scambiato per una fortezza.»

«Sapreste ritrovarla? »

«Sì. Concludiamo dunque: Wolf rimane, e noi riprendiamo il largo per portare al Corsaro la triste notizia. Che cosa avverrà io non lo so, ma è certo che gli Americani aiuteranno in questo terribile frangente il loro amico, che tante volte ha esposto la sua vita per la libertà di questa terra. »

«Patre,» disse Wolf, «io vi aspetto nei sotterranei. Venite presto.»

«Cercheremo di giungere prima della cerimonia. Orsù, partiamo.»

I due Assiani si abbracciarono, poi Testa di Pietra, Piccolo Flocco e Hulbrik lasciarono la cantina dirigendosi frettolosamente verso il porto. Si erano premuniti di una fiaccola, essendo la nebbia folta assai, e avevano riprese le carabine, già lasciate in consegna al Boemo.

A Sandy-Hook tutti dormivano della grossa, comprese forse le sentinelle, le quali d’altronde, con quell’oscurità, nulla potevano vigilare. Solamente nel porto tre o quattro fanali, collocati sull’alberatura d’una nave, davan segno che non tutti dormivano e che la marina, per lo meno, vegliava come sempre.

I due Bretoni e l’Assiano stavano per imboccare l’ultima via che doveva condurli all’ancoraggio del loro battello, quando udirono dietro le loro spalle dei passi, delle bestemmie ed uno strascicare di sciabola.

«Che il diavolo voglia metterci la coda?» si chiese Testa di Pietra, spegnendo prontamente la torcia.

«Il diavolo? È il sergente che torna alla carica per ricondurci in caserma,» disse Piccolo Flocco. «Ma pare che i suoi due soldati non si siano sentiti in grado di seguirlo, perché non li vedo.»

Il mastro si era voltato impugnando la carabina per la canna, e gridando: «Chi va là?»

«Aspetta che te lo dò io il chi va là!» rispose una voce.

Un uomo usci dalla nebbia, camminando di traverso come i granchi di mare e tirando colpi di sciabola in tutte le direzioni.

Era il sergente inglese che aveva ripresa la sua ronda da solo, lasciando i due compagni a dormire in mezzo al fango della via.

«Ero certo di raggiungervi,» egli disse arrestandosi e prendendo una guardia terribile.

«Ah, sì?» esclamò Testa di Pietra, il quale cominciava a divertirsi, quantunque avesse fretta di andarsene.

«Sono il miglior sergente del trentaquattresimo reggimento Gallese, io; e vi porterò in caserma. »

«Ma non vedi che sei ubriaco?»

«Io ubriaco?» urlò l’Inglese. «Ti farò vedere come si arrestano tre uomini, anche senza bisogno della sciabola. Io mi servo dei pugni per atterrare i recalcitranti.»

E gettata infatti la sciabola, si lanciò furibondo addosso al mastro roteando i pugni.

«Ammazzalo, Testa di Pietra!» gridò Piccolo Flocco. «Se no, questo imbecille guasta tutto.»

«Lascia fare a me,» gli rispose il mastro, consegnandogli la carabina e prendendo una magnifica guardia di boxe.

«Arrenditi!» gridò l’Inglese.

«Non ne ho voglia.»

«Allora prendi!»

Quantunque fosse malsaldo in gambe, si dette a tirar pugni con una certa abilità, ma l’aveva da fare con un uomo più padrone di sé e molto più robusto. Per un mezzo minuto i due lottatori, fasciati dal nebbione, si scambiarono dei pugni, poi l’Inglese mandò un uff! e cadde in mezzo al fango, accanto alla sua sciabola.

Il mastro gli aveva dato il colpo dei Bretoni, ossia il colpo di testa, e il povero sergente era stramazzato come un bue.

«Morto?» chiese il giovane gabbiere.

«Non sono mai mortali i nostri colpi,» rispose Testa di Pietra. «Ma ne avrà per parecchie settimane; così per un pò di tempo non lo incontreremo… Al battello, amici! Prima di domani sera noi dobbiamo vedere sir William.»

«La notte è pessima, patre,» disse Hulbrik.

«Non occupartene: quando i Bretoni hanno le mani sulle barre o sulle ribolle dei timoni vanno dove vogliono.»

Scesero verso la gettata ed essendovi poche imbarcazioni, ritrovarono facilmente la loro.

«Sarà notte cattiva, ma correremo,» disse Testa di Pietra, mentre il giovane gabbiere e Hulbrik spiegavano rapidamente le vele. «Guardiamoci dagli scogli.»

Ritirarono il ferro e presero lentamente il largo, passando a tribordo di una grossa nave, la sola, come abbiamo detto, che era illuminata, puntando verso la piccola lanterna.

Erano già passati, quando una voce roca urlò:

«Ferma!»

Un uomo era comparso sul castello di prora del veliero, impugnando minacciosamente una carabina.

«Vieni a prenderci!» rispose il mastro. «La nebbia ci protegge. Spara pure… Mollate le scotte!»

Le due vele si gonfiarono d’un tratto sotto il forte vento di oriente e la scialuppa fuggì in mezzo alla nebbia. Si udì un colpo di fucile, poi più nulla. I marinai del veliero non avevano voglia, a quanto parve, di spiegar le vele e di salpar le ancore per dare la caccia ad una barca che era forse peschereccia.

«Ecco l’eterna fortuna dei Bretoni!» disse Testa di Pietra, afferrando strettamente la barra.

La scialuppa girò dinanzi alla piccola lanterna e si ricacciò nei canali che aveva già percorsi.

24. La vittoria del Corsaro

La notte era tutt’altro che propizia per fare un ritorno alla foce del Rariton, in cerca del Corsaro, ché nei canali la marea saliva, tumultuava fragorosamente formando una infinità di contro ondate. La nebbia poi si scioglieva in pioggia, e l’acqua cominciava ad allagare il battello. Testa di Pietra fece accendere a prora un fanale, incaricando Hulbrik di segnalargli gli scogli: dei bassifondi poco si curava poiché certo di passarli di volata con così piccolo carico.

«Badate alle vele e non pensate ad altro,» disse il mastro. «Avremo una pessima notte, ma si tratta della felicità del Baronetto.»

«Puoi fidarti di me!» rispose il giovane gabbiere.

Erano entrati a grande velocità nel canale, dove la nebbia era molto meno densa a causa del vento che la sbatteva e la rompeva continuamente. Testa di Pietra, che aveva sempre i suoi buoni occhi, non solo riusciva a scorgere la costa, ma anche la lunga linea delle scogliere che l’Atlantico batteva rabbiosamente.

«Se non facciamo cattivi incontri,» egli disse, «prima di domani sera, o sul Rariton o sull’Hudson o altrove, noi vedremo il nostro capitano. Aprite bene gli occhi; badate alle vele, ed io vi farò correre come i pescatori di Bretagna.»

Ed il battello volava, volava dentro i canali, sotto la pioggia, scosso di quando in quando da grosse ondate che entravano dagli spacchi delle scogliere, e che gli facevano fare dei salti straordinari, i quali per altro si rompevano subito sotto il pugno di ferro di Testa di Pietra.

Hulbrik, allungato sulla prua, accanto al fanale, segnalava attentamente le scogliere ed anche i bassifondi segnalati dal gran ritorcersi delle onde; Piccolo Flocco non si occupava che delle vele e maneggiava le scotte con una precisione degna d’un figlio dei vecchi pescatori della Terra delle Pietre.

Le ore passavano; il battello guadagnava miglia su miglia e nessuna nave avversaria si presentava. Probabilmente l’ammiraglio Howe aveva radunate tutte le sue forze per tentare qualche colpo di testa, ed aveva lasciata libera la costa meridionale dell’Isola Lunga che d’altronde era stata occupata due giorni prima dalle truppe assiane rinforzate con alcuni reggimenti irlandesi.

Tuttavia i tre uomini vegliavano molto attenti, temendo che qualche nave inglese fosse stata lasciata appositamente indietro per respingere i frequenti assalti dei corsari americani, i quali diventavano di giorno in giorno più furibondi.

Già l’alba era sorta, ed essi correvano, sotto una pioggia dirotta, a meno di trenta miglia dal Rariton, quando scorsero un punto oscuro avanzarsi sul canale correndo grandi bordate.

 

«Nave o battello?» si chiese il mastro, il quale già si preparava a gettarsi di là da uno dei passaggi delle scogliere.

«Battello,» risposero ad una voce i due compagni.

«Se verrà all’abbordaggio, non avrà da ridere. Preparate tutte le carabine, e vediamo se sono amici o nemici.»

Il battello, che veniva dalla foce del Rariton o dalle Terre di New York, avendo il vento alquanto sfavorevole, avanzava piuttosto adagio, virando continuamente di bordo.

«Si direbbe che quel legnetto somiglia al nostro!» disse Testa di Pietra, il quale si era alzato; quindi, aguzzati gli occhi, contò: «Uno… due… tre… quattro… non ci faranno paura. Anzi, invece di aspettare il loro attacco, li assaliremo noi.»

Cambiò rapidamente rotta, e sotto un diluvio di pioggia andò a incrociare, presso una linea di scogli, la scialuppa misteriosa.

«Chi vive?» gridò Hulbrik, imbracciando la carabina.

Una voce che fece trasalire i tre naviganti rispose, mentre le vele delle due scialuppe venivano abbassate.

«Il carnefice di Boston!» esclamò Testa di Pietra. «Che cosa vengono a fare qui gli amici?»

«Il Corsaro ci manda,» rispose l’ex impiccatore. «È una grande fortuna che vi abbiamo incontrati.»

«Accosta!»

Le due scialuppe si avvicinarono e si strinsero con una fune. Quella montata dal carnefice era condotta da tre marinai della Tuonante, scelti certamente con cura dal Corsaro.

«Su, parla, amico, prima che ci piombi addosso qualche malanno,» disse Testa di Pietra.

«Ecco: a New York è corsa la voce, portata da corrieri, che il marchese d’Halifax fra giorni sposerà la bionda miss…»

«E noi possiamo confermarlo,» disse il Bretone. «Se giovedì Sandy-Hook non cadrà nelle mani nostre, Mary di Wentwort sarà per sempre perduta per il nostro comandante.»

«Ma il Corsaro non ha perduto il suo tempo, aiutato da tutti gli Americani, quantunque in questi giorni le battaglie succedano alle battaglie. Nel porto di New York si è radunata l’intera flottiglia americana rafforzata da tre bricks corsari. Settecento uomini e ottanta cannoni son pronti ad attaccare la fortezza e dare una terribile lezione al Marchese.»

«Sette navi!» mormorò il Bretone, accarezzandosi la barba e come parlando a se stesso. «Con tutta quella forza metteremo a posto anche i soldati che hanno lasciato a Sandy-Hook… Allentate le funi e riprendiamo la corsa. Voi altri mi seguirete.»

E le due scialuppe, spinte da un vento quasi burrascoso, ripresero la corsa sfrenata.

Testa di Pietra aveva fatto subito il suo progetto. Sapendo che la foce del Rariton era ormai guardata dalle navi dell’ammiraglio Howe, cercava di regolarsi in modo da guadagnare la foce dell’Hudson senza farsi scoprire. Era vero che i corsari americani battevano le acque della baia di New York sempre in buon numero, e ciò dava da pensare agli Inglesi che temevano gli assalti improvvisi. Per di più Washington aveva gettato dentro la città parecchie migliaia di stanziali, e malgrado la recente sconfitta, la teneva ancora fortemente con numerose artiglierie.

Alle sei di sera Testa di Pietra, avvedutosi di alcuni punti neri rasenti le coste occidentali dell’Isola Lunga, lasciò i canali e si gettò nell’Atlantico, impegnando risolutamente la lotta colle onde.

«Tenete fermo!» gridava. «Con questi battelli possiamo compiere il giro del mondo.»

Gli attacchi delle onde si succedevano senza tregua, avvolgendo talvolta interamente le due scialuppe, tuttavia i sette uomini resistevano accanitamente, sicché alle sette, in mezzo ad un mare spaventoso, che non dava loro alcuna tregua, gettavano le ancore dinanzi a Brooklyn, a sole due miglia da New York.

«La squadra del Baronetto!» gridò tutt’a un tratto con viva gioia il mastro.

Infatti settecento passi più a ponente si trovavano radunate le quattro navi americane e le tre corsare, pronte a spiegare le vele anche col mare pessimo. Testa di Pietra fece levare il ferro e spinse la sua scialuppa verso il Caboto, il quale inalberava sul picco i colori dei Mac-Lellan. In un lampo salì la scala di corda e balzò in coperta dinanzi al Baronetto ed al signor Howard, i quali non si erano accorti della sua venuta, tutti affaccendati com’erano a far armare la nave.

«Tu!» esclamò sir William, andandogli incontro colle braccia tese. «Torni da Sandy-Hook?»

«Insieme alla scialuppa che mi avete mandato incontro, mio comandante,» rispose il bravo Bretone.

«E vieni?…» chiese il Baronetto impallidendo.

«A confermarvi la triste notizia che fra cinque giorni, anzi, fra quattro, perché ormai uno è trascorso, vostro fratello sposerà la vostra fidanzata. Forte della vittoria che gl’Inglesi hanno riportato sugli Americani, ne approfitta, sicuro di non essere disturbato.»

«Ma non contava sulla flottiglia?» esclamò il Corsaro.

«Pare di no, comandante,» rispose Testa di Pietra.

«E dimmi: l’hai veduta?»

Mi è stato impossibile, signore, poiché siamo stati subito sorpresi ed abbiamo dovuto fuggire. Ma vi porto, mio comandante, delle preziose informazioni.»

«Quali?»

«Che il matrimonio avrà luogo nella cappella di San Giacomo fuori dalla fortezza, e quel giorno noi saremo padroni dei sotterranei… di quella cappella.»

«Come hai potuto ottenere ciò?» chiese il Corsaro al colmo dello stupore.

«Veramente è stato Wolf, il quale si è accordato con un Boemo suo amico per farvi aprire quei sotterranei, e sorprendere il Marchese prima che pronunzi il sì.»

«Non potrebbe essere un tradimento abilmente ordito?» chiese il signor Howard sempre sospettoso.

«È con me il fratello di Wolf, quel bravo Hulbrik. Potrebbero tradirsi anche fra di loro? No, signor Howard,» disse Testa di Pietra. «Io rispondo pienamente della fedeltà di questi due Assiani ed anche del loro amico che sta a Sandy-Hook.»

«Quanti uomini ci sono nella fortezza?» chiese il Corsaro.

«Un mezzo migliaio fra Inglesi ed Irlandesi: così mi ha detto il Boemo, ed infatti non ho visto che le fortezze riboccassero di soldati.»

«Noi ne abbiamo settecento, quindi possiamo, in caso disperato, dare l’assalto e spazzar via per sempre mio fratello. Laggiù non ci aspettano di certo, ora che tutte le truppe del generale Howe tentano di assalir New York: quindi giungeremo di sorpresa.»

«Purché non diano di cozzo nella squadra dell’ammiraglio Howe, invece!» disse il signor Howard.

«Ci passeremo in mezzo di gran volata,» rispose sir William. «Ormai più nessun pericolo mi tratterrà dal piombare su Sandy-Hook. Voglio la mia Mary che da tanto tempo invano tento di strappare dalle mani di mio fratello.»

Si era messo a camminare nervosamente per la coperta della nave, stringendo le pugna e borbottando; ma ad un tratto si fermò dinanzi al Bretone, chiedendogli:

«Sei ben sicuro che quel sotterraneo possa venire invaso da una banda dei nostri senza che la guarnigione se ne accorga?»

«Tutte le notti, dinanzi l’entrata del passaggio segreto che conduce sotto la cappella, veglieranno Wolf ed il suo amico con uno o due fanali. Il posto è deserto e noi potremo gettare qualche centinaio d’uomini là dentro, pronti ad interrompere le funzioni ed a rapire la vostra fidanzata.»

«Vi sono qui a bordo cento e venti uomini, tutti nostri corsari, gente più forte e più agguerrita dell’americana. Tu conosci ormai i canali?»

«A menadito, comandante.»

«Prendi il comando di questo legno, mentre io ed il signor Howard c’incaricheremo di condurre la flottiglia nel momento opportuno. Metti nel sotterraneo cento uomini, e rimandami subito la nave affinché mio fratello non possa avere qualche sospetto.»

«Voi, comandante, mi cacciate in galera per quattro giorni,» disse il Bretone ridendo. «Ma giacché questo si deve fare, si farà… Quando devo partire?»

«Domani prima del tramonto: intanto potremmo avere notizie della squadra di Howe che nessuno sa finora dove si trovi.»

Allora, comandante, permettete che coi miei due bravi ragazzi, Piccolo Flocco e Hulbrik, passi in cucina, poiché a Sandy-Hook non ho avuto che dei colpi di mare. Gl’Inglesi non usano regalare gallette ai marinai che approdano su quella punta di terra.»

Con un fischio fece salire i suoi due amici grondanti acqua e quasi morenti di fame e diede l’attacco alle cucine, mentre il Corsaro ed il suo luogotenente tornavano a sorvegliare l’armamento della nave.