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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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Dall'altra parte Papa Clemente era riconosciuto nella Francia, nella Scozia, in Lorena, in Savoia e nella Spagna, la quale quantunque prima stesse per Urbano, si dichiarò poi per Clemente; ma sopra tutti era riconosciuto e favorito dalla nostra regina Giovanna, la quale, partito che fu Clemente di Fondi, ed andato a Gaeta, e di là venuto a Napoli, lo ricevè con grandissimo apparato nel castello dell'Uovo, e per fargli onore gli fece far un ponte in mare di notabile lunghezza, dove egli venne a smontare. La Regina con tutti quei, che erano andati ad incontrarlo, si ridusse sotto l'arco grande del castello, il quale era adornato di ricchissimi drappi, ed ivi collocarono la sede pontificale nel modo solito, dove subito che fu Clemente assiso, la Regina col Principe Ottone suo marito andò a baciargli il piede, ed appresso Roberto d'Artois con la Duchessa di Durazzo sua moglie, dopo andò Agnesa, ch'era vedova, poichè fu già moglie del Signor di Verona, ed erasi ritirata in Napoli, e per ultimo Margarita sua sorella, moglie di Carlo di Durazzo, che si trovava in Napoli; seguì appresso a baciargli il piede un gran numero di Cavalieri e Baroni, e donne, e damigelle leggiadramente vestite; poi saliti su al castello, il Papa fu realmente alloggiato con tutti i Cardinali, e stettero alcuni dì in continui conviti e feste, ed a richiesta della Regina creò Cardinale Lionardo di Gifoni generale de' Frati Minori.

Ma mentre duravano queste feste nel castel dell'Uovo, il popolo Napoletano, che forse sarebbe stato quieto, se avesse visto, che la Regina con maggior sicurtà avesse ricevuto il Papa nella città, e fatto partecipare di queste feste la plebe avida di nuovi spettacoli; parendo a molti di natura sediziosi, che la Regina, come consapevole dell'error suo, non ardisse di fare quella festa in pubblico, cominciò a mormorare contra di lei, che per mal consiglio de' suoi Ministri, istigati da lor proprie passioni, volesse favorire un Antipapa di nazione straniero e nutrire uno scisma, con tanto scandalo di tutto il Mondo, contra la Sede Appostolica, sempre fautrice sua e de' suoi progenitori e contra un Papa napoletano, dal quale in universale, ed in particolare tutti potevano sperare onori e beneficj; e come è costume del vulgo, in ogni parte si parlava dissolutamente e con poco rispetto; ed un di que' giorni avvenne, che un artegiano alla piazza della Sellaria parlando licenziosamente contra la Regina, fu ripreso da Andrea Ravignano nobile di Porta Nova; ma persistendo colui in dire peggio che prima, Andrea gli spinse il cavallo sopra e lo percosse in un occhio, di cui restò cieco, onde quelli della strada mossi in grandissimo tumulto presero l'armi; e nel medesimo tempo dalla piazza della Scalesia si mosse un sarto chiamato il Brigante, nipote dell'artegiano offeso, uomo sedizioso ed insolente, il quale trovando gli animi degli altri sollevati, e raccolto un gran numero di popolo minuto, alzò le voci gridando: viva Papa Urbano: e seguito da tutti quelli, scorse per le parti basse della città, saccheggiando le case degli Oltramontani che vi abitavano. Allora l'abate Luigi Bozzuto, che, come si è detto, era stato creato da Papa Urbano, Arcivescovo di Napoli, e che per timore della Regina stava nascosto nella sua casa, nè avea avuto ardire di prendere il possesso dell'Arcivescovado, uscì fuori e tumultuariamente aiutato dal popolo prese il possesso della chiesa e del palagio Arcivescovile, cacciandone la famiglia dell'Arcivescovo Bernardo211.

Questo tumulto di Napoli col sacco di tante case, ch'erasi disseminato ne' casali d'attorno, ancorchè fosse stato ripresso da' Nobili e da' gran Popolani, avendo prese l'armi, quietarono il romore e poi corsero al castello, per mostrarsi pronti al servigio della Regina e di Papa Clemente, pose in tanto timore il Papa, che non bastandogli tutto ciò ch'erasi fatto ed offerto da' Nobili, volle tosto imbarcarsi su alcune galee coi suoi Cardinali e gitone prima a Gaeta, di là poi passò ad Avignone, dove restituì la Sede pontificale, ed ivi per molto tempo fu ubbidito non men dalla Francia che dalla Spagna, Scozia, Lorena e Savoia.

La Regina, benchè fosse per questi rumori rimasta assai turbata, nulladimanco usando la solita virilità, confidata nella prontezza de' Nobili, che aveano raffrenato l'ira ed il furore del Popolo, ordinò a Raimondo Ursino figliuolo del Conte di Nola, ed a Stefano Ganga Reggente della Vicaria, che con buona banda di gente uscissero contro i ladroni del contorno, e da poi che n'ebbero tagliati a pezzi un gran numero e molti presi, che furono tenagliati e divisi in quarti entrarono nella città, e per ordine della Regina andarono alle case del Bozzuto, e non ritrovandolo, perocchè era scappato via, avendo veduto, che quei del Popolo aveano deposte l'armi, fecero diroccare le case paterne dell'Arcivescovo nel Seggio di Capuana, e poi fecero dare il guasto alle sue possessioni. Il Brigante con alcuni altri Capi di quel tumulto furono subito tutti insieme appiccati; tanto che il Popolo minuto per lo grandissimo timore conceputo, si stava rinchiuso nelle sue proprie case.

Non guari da poi si vide Napoli posta di nuovo tutta in armi e sconvolgimenti, per cagion d'una gara che in que' tempi passava tra' Nobili delle piazze di Capuana e Nido, con quelle di Portanova, Porto e Montagna, pretendendo que' di Capuana e Nido in vigor di una sentenza, che aveano riportata dal Re Roberto, d'esser preposti così negli atti, come ne' governi delle cose pubbliche a tutti gli altri Nobili dell'altre tre piazze, che per ischerno chiamavano Mediani, quasi che fossero un secondo stato, fra' Nobili ed il Popolo. All'incontro i Nobili de' tre seggi andavan tessendo genealogie delle altre famiglie, dando loro origini pur troppo basse, facendole originarie della costa d'Amalfi, de' Casali intorno e d'altri luoghi più ignobili, dove, a lor dire, i lor congiunti dimoravano esercitando ancora arti meccaniche a vili. Dalle contumelie si venne alle armi, e fu fatta strage grandissima per l'una parte e l'altra, e la città tutta posta in iscompiglio e disordine. La povera Regina, a cui premevano cose di maggior importanza, e che per riparare l'imminente tempesta che le soprastava, avea mandato il principe Ottone a S. Germano, non volle prender allora degli autori del tumulto e degli omicidiali castigo; ma importandole darvi presto riparo, cacciò fuori un indulto, col quale ordinando, che dato giuramento da ambe le parti in mano d'Ugo Sanseverino gran Protonotario del Regno di viver quieti, e di non vicendevolmente offendersi, indultava tutti que' Cavalieri, per le morti e contenzioni precedute, insino che col ritorno del principe Ottone suo marito, non si fossero quelle discordie intieramente terminate. L'indulto, di cui fa anche memoria Pier Vincenti212 nel suo Teatro dei Protonotari, si legge impresso nella Storia del Summonte213, e fu sotto li 3 settembre di quest'anno 1380 istromentato nel Castel Nuovo di Napoli, per mano di Facio da Perugia Giureconsulto, Viceprotonotario del Regno.

CAPITOLO V

Carlo di Durazzo è coronato Re da Papa Urbano, che depose la regina Giovanna, la quale adottossi per figliuolo Luigi d'Angiò, fratello di Carlo V Re di Francia. Invade Carlo il Regno, vince Ottone, e fa prigioniera la Regina, fatta poi da lui morire

Intanto Margarita di Durazzo, sentendo per secreti avvisi, che il marito avea avuta già licenza dal Re di Ungaria, e che s'apparecchiava di venire in Roma, chiese commiato alla Regina, con dire che voleva andare nel Friuli a trovar suo marito; e la Regina, o che fosse per magnanimità, o perchè non sapesse certo l'intento di Carlo di venire contra lei, o per non volere provocarlo, le diede buona licenza e la mandò onorevolmente accompagnata: del che certamente dovette più d'una volta pentirsi, avendo potuto ritener lei, ed i due figliuoli Ladislao e Giovanna, che ambedue poi regnarono, e servirsene per ostaggi ne' casi avversi, che da poi le occorsero.

Carlo avuta licenza dal Re d'Ungaria, era finalmente giunto a Roma, ove avidamente fu accolto da Urbano. Avea questo Pontefice sin da luglio del passato anno 1379 pubblicata la sua Bolla214, colla quale dichiarò scomunicata, scismatica e maladetta la regina Giovanna, privandola del Regno e di tutti i beni e feudi, che teneva dalla Chiesa romana e dall'Imperio, e da qualsivoglia altre Chiese e persone ecclesiastiche, con assolvere i suoi vassalli dal giuramento di fedeltà, e che più non l'ubbidissero215; onde giunto che fu Carlo in Roma, gli diede a primo giugno di questo anno 1381 l'investitura del Regno con ispedirgliene Bolla, e fu in Roma dichiarato Re di Napoli e di Gerusalemme, e quivi unto da lui ed incoronato216.

 

(Presso Lunig217 si leggono le lettere di Papa Urbano VI spedite in Roma nel 1381, colle quali dalla regina Giovanna trasferisce il Regno in Carlo Duca di Durazzo. E nella pag. 1150 si legge il diploma di Carlo, spedito nel suddetto anno, dove ricevè l'investitura datagli dal Papa, prestandogli giuramento di fideltà, e si obbliga a tutte quelle leggi e condizioni, contenute nell'investitura data da Clemente IV al Re Carlo I d'Angiò).

Co' denari ch'ebbe Carlo dal Re d'Ungaria soldò molta gente; ma il Papa non volle che partisse da Roma, se prima non desse il privilegio dell'investitura del principato di Capua e di molte altre terre a Butillo Prignano suo nipote. Urbano avuta l'investitura per suo nipote, mandò tosto a chiamare il conte Alberico Barbiano, che era allora in Italia Capitano di ventura, sotto il di cui stendardo teneva arrolata una gran compagnia di gente d'arme, e soldò questo Capitano con le sue truppe, che l'unì a quelle di Carlo; e volle anche, che con lui andasse per Legato appostolico il Cardinal di Sangro, sperando con l'acquisto del Regno avere gran parte di quello per gli altri parenti suoi.

Dall'altra parte la Regina accertata della coronazione di Carlo, mandò subito per Ottone suo marito che si trovava in Taranto, e fece chiamare al solito servigio tutti i Baroni del Regno; e chiamati gli eletti della città, pubblicò la venuta del nemico ed ottenne dalla città una picciola sovvenzione per porre in ordine e pagare le genti, che avea condotte da Puglia il principe Ottone. Ma si avvide in questa occasione, che i partegiani di Carlo eran molti nel Regno, e che le tante case principali, ingrandite e magnificate da Papa Urbano, le ostavano, e conobbe tardi non aver ella dato il conveniente antidoto all'artificio del Papa che sarebbe stato, quando Clemente fu in Napoli, fargli creare una quantità di Cardinali napoletani e del Regno, che avessero tenuta la parte sua, e non contentarsi di far solo Cardinale un Frate, da cui niente potea sperarsi. Venuta per ciò in diffidanza di potersi mantenere con que' presidj che avea, prese un espediente, che riuscì pur troppo funesto e lagrimevole per questo Reame, e che fu cagione di tante sue revoluzioni e calamità, che sostenne non meno che per due secoli seguenti218; poichè mandò il Conte di Caserta in Francia a dimandare aiuto al re Giovanni I di Francia, e per più incitarlo mandò procura d'adozione in uno de' figliuoli del Re, Duca d'Angiò, chiamato Luigi fratello di Carlo V Re di Francia successor di Giovanni, promettendo di farlo suo erede e legittimo successore del Regno e degli altri Stati suoi; ed ordinò al Conte, che procurasse in questa adozione il consenso del Papa Clemente; dal quale da poi a' 30 maggio del 1381 fu spedita Bolla, colla quale davasi l'investitura del Regno a Luigi ed alla regina Giovanna, cioè a costei mentre vivea, e a Luigi in perpetuo219; mandò anco in Provenza, ove tenea dieci galee, comandando, che s'armassero subito e venissero in Napoli, acciò ch'ella negli estremi bisogni avesse potuto usare il rimedio, che l'era ben succeduto nell'invasione del Re d'Ungaria.

(L'Istromento di questa adozione si legge presso Lunig220, si legge il diploma della Regina Giovanna, col quale a Luigi d'Angiò, suo figliuolo adottivo, concede il titolo e le ragioni di Duca di Puglia. Parimente poco giù221 si legge la Bolla di Clemente VII colla quale conferma l'adozione suddetta. È ben degno da riflettere ed ammirare il nuovo spettacolo, che ci presenta questo scisma, tra Papa Urbano e Clemente, dando un Papa per Re a Napoli Carlo di Durazzo, ed un altro Luigi d'Angiò fratello di Carlo V Re di Francia; ma ciò che merita maggior riflessione come cosa ben singolare e nuova si è, che Clemente VII per maggiormente interessar Luigi a' danni di Urbano, ed opporgli un Principe, che avesse un nuovo titolo di scacciarlo dallo Stato istesso della Chiesa romana, posseduto allora da Urbano, non ebbe difficoltà con sua Bolla d'ergere lo Stato romano in Regno, che chiamollo, Regnum Adriae, ed investirne Luigi, e suoi eredi, e successori. Questo nuovo Regno era composto di tali province, come si legge nella Bolla sud. §. 3. Videlicet, Provincias Marchiae Anconitanae, Romandiolae, Ducatus Spoletani, Massae Trabari nec non Civitates Bononiam, Ferrariam, Ravennam, Perusiam, Tudertum, cum eorum omnibus Comitatibus, territoriis et districtibus, et omnes alias et singulas terras, quas ad praesens habere debemus, per quoscumque et quacumque auctoritate possideantur, seu detineantur ad praesens, exceptis, dumtaxat, urbe Roma cum ejus districtu, et Provinciis Patrimonii S. Petri in Tuscia, Campania, et Maritima, ac Sabina, seu Rectoratibus dictarum Provinciarum (per Rectores regi solitis) quae terrae specialium commissionum vocantur, nostrisque successoribus, et Romanae Ecclesiae, expresse et specialiter retinemus, in unum Regnum erigimus ipsas provincias, et Civitates cum earum comitatibus, districtibus seu territoriis, dignitate Regia decoramus, ac Regnum Adriae ordinamus, statuimus, et decernimus perpetuo nuncupari. Di questo Regno ne fu investito Luigi, creandolo Re d'Adria, regolando Clemente i gradi, il sesso e l'ordine della successione, per tutti i suoi posteri e discendenti. Questa Bolla fu spedita in Aprile del 1382 primo anno del suo Pontificato in Sperlonga della diocesi di Gatta, ove Papa Clemente allor dimorava, la qual ebbe dalla Regina Giovanna per suo asilo, e ricovro. Giovanni Ludewig, come monumento molto singolare, tratta dal Codice di Leibnizio, part. 1 Codicis jurisgentium n. 106 pag. 239 volle anch'egli imprimerla tra le sue Opere Miscelle, Tom. 1 lib. 1. Opus. 1. Cap. 4 §. 6. pag. 108 della quale non si dimenticò Lunig, il qual pure tutta intera l'inserì nel suo Codice Dipl. Ital. Tom. 2 pag. 1167).

Questa deliberazione della Regina alienò gli animi di molti dalla fede e dalla benivolenza di lei; perchè sebbene in generale l'amavano grandemente, quando seppero l'andata del Conte di Caserta in Francia, ed il proposito della Regina, desideravano molto più avere per loro Signore Carlo di Durazzo, nato ed allevato in Regno, e congiunto di sangue a molti Signori Baroni principali del Regno, che vedere introdotto un nuovo Signore franzese al dominio di quello, il quale conducendo seco nuove genti oltramontane, pareva obbligato d'arricchirle degli Stati e delle facoltà de' Regnicoli. Quindi avvenne, che andando Ottone Principe di Taranto a San Germano, per opponersi a Carlo, che veniva per quella strada, fu seguìto da pochissimi Baroni, tal che senza vedere il nemico, fu costretto d'abbandonare il passo, e si ritrasse con tutti i suoi in Arienzo. Ma Carlo non volle per la via dritta andare in Napoli, giudicando assai meglio d'andare a trovare il nemico, con disegno, che rompendolo in campagna, avrebbe in un solo dì finita la guerra; ed andò a quest'effetto a Cimitino vicino Nola, ove dal Conte di Nola fu visitato, e ricevuto come Re. Il Principe Ottone mutando alloggiamento, si pose fra Cancello e Maddaloni, e benchè Carlo andasse co' suoi in ordinanza a presentargli la battaglia, non volle mai uscire dal campo; ma per la via d'Acerra, e del Salice si ritirò verso Napoli; e Carlo por la via tra Marigliano e Somma s'avviò pur verso Napoli, tal che a' 16 Luglio di quest'anno 1381 a 15 ore, giunse con tutto il suo esercito al Ponte del Selieto fuori la Porta del Mercato, nel medesimo tempo, che il Principe era giunto fuori Porta Capuana, e s'era accampato a Casanova. Erano questi due eserciti tanto vicini, che gli uni si discerneano dagli altri: nel Campo di Carlo era il Cardinal di Sangro Legato appostolico, il Conte Alberico Capitan Generale delle genti del Papa, il Duca d'Andria, il Nipote del Papa, che s'intitolava Principe di Capua, Giannotto Protogiudice, che per la sua gran virtù ed esperienza nell'armi, era stato creato da lui Gran Contestabile del Regno, Roberto Orsino figliuolo primogenito del Conte di Nola, e moltissimi altri Baroni e Cavalieri Napoletani222, ed altra gente avventuriera: il Campo del Principe non avea tanti Baroni, ma gran quantità di gentiluomini privati napoletani, e molti altri di manco nome, perchè gli altri di maggior autorità, volle la Regina, che rimanessero in Napoli. Stettero i due eserciti per tre ore di spazio, aspettando l'uno qualche moto dell'altro, perchè Carlo allora stava sospeso, dubitando della volontà del Popolo di Napoli, la quale quando fosse stata inclinata alla fede della Regina, non era sicuro per lui d'attaccar fatto d'arme: ma quando s'intese, che nella città vi era grandissima confusione, perchè era divisa in tre opinioni, l'una voleva lui per Re, l'altra volea gridare il nome del Papa, e l'altra tenea la parte della Regina: allora si mossero due Cavalieri napoletani, Palamede Bozzuto, e Martuccio Ajes Capitani di Cavalli colle loro compagnie, e guidati da alcuni di quelli, ch'erano usciti fuori la città, si posero dalla banda del mare a passare a guazzo, ed entrarono per la porta della Conceria, la quale per la fidanza, che s'avea, ch'era battuta dal mare, non era nè serrata, nè avea guardia alcuna, e di là entrati levarono romore al mercato con gran grido, dicendo viva Re Carlo di Durazzo e Papa Urbano, e seguiti da quelli, ch'erano nel mercato, facilmente ributtarono quei, ch'erano dalla parte della Regina, che tutti si ritirarono nel castello, e si voltarono ad aprire la porta del mercato, per la quale entrò Carlo con tutto il suo esercito, e posto buon presidio di gente a quella Porta, andò alla Porta capuana, dove similmente vi pose buona guardia, e mandò a guardare anco quella di S. Gennajo, ed egli andò a Nido, e fece fermare il campo a S. Chiara, onde potea vietare l'entrata ai nemici per la Porta Donnorso e per la Porta Reale. Il Principe Ottone, poichè s'avvide la Cavalleria di Carlo esser entrata nella città, si mosse colle sue genti per dar sopra la retroguardia de' nemici; ma trovate chiuse le Porte se ne ritornò quella medesima sera con le sue genti a Sicciano villa appresso Marigliano.

 

Carlo il dì seguente pose l'assedio al Castel Nuovo, dove oltre li due nepoti della Regina, cioè la Duchessa di Durazzo, con Roberto d'Artois suo marito, erano concorse quasi tutte le più nobili donne della città, che per essere state semplicemente affezionate della Regina, dubitavano esser maltrattate; vi era ancora grandissima quantità di Nobili d'ogni età con le loro famiglie, i quali furono cagione di più presta rovina, perchè parte per benignità, parte per la speranza che la Regina avea, che le galee di Provenza venissero presto, furono tutti ricevuti, e nudriti di quella vittovaglia, ch'era nel castello, la quale avrebbe forse bastato per sei mesi a' soldati, che la guardavano, e si consumò in un mese. Durante quest'assedio il Principe, che cercava ogni via di soccorrer la moglie, ritornò alle Paludi di Napoli, tentando, che Re Carlo uscisse fuori a far fatto d'arme; ma i Capitani non vollero, che si movesse, ma che il corpo dell'esercito attendesse a guardar la città, e tener stretto il castello, dove sapeano, ch'era ridotta tanta gente, che in breve sarebbe stretta per fame a rendersi; onde il Principe vedendo, che niente giovavano i suoi tentativi, si ritirò in Aversa.

Intanto la Regina cominciava a patire necessità di vettovaglie, e non avea altra speranza, che nella venuta delle galee, con le quali disegnava non solo di salvarsi, ma con la presenza sua commovere il Re di Francia, ed il Papa Clemente a darle maggiori ajuti, per potere tornar poi, ed acquistare la vittoria insieme col figlio adottivo. Ma non vedendosi le galee, ed essendo venuto il castello in estrema penuria di viveri, la Regina mandò a' 20 agosto il Gran Protonotario del Regno Ugo Sanseverino a patteggiare con Re Carlo, ed a trattare per alcun tempo tregua, o alcuna specie d'accordo. Il Re ch'avea tutta la speranza nella necessità della Regina, benchè avesse accolto il Sanseverino con grande onore, perchè gli era parente, non però volle concedere maggior dilazione, che di cinque giorni, tra' quali se il Principe non veniva a soccorrere il castello e liberarlo dall'assedio, avesse la Regina a rendersi nelle mani sue; ed essendo partito con questa conclusione il Sanseverino, mandò appresso a lui nel castello alcuni servidori a presentare alla Regina polli, frutti, ed altre cose da vivere, e comandò, che ogni giorno le fosse mandato quel ch'ella comandava per la tavola sua, credendo con questo indurla a rendersi con più pazienza; anzi mandò a visitarla ed a scusarsi, che egli l'avea tenuta semplicemente per Regina, e così era per tenerla e riverirla; che non si sarebbe mosso a pigliare il Regno con l'armi in mano, ma avrebbe aspettato di riceverlo per eredità, o per beneficio di lei, se non avesse veduto, che il Principe suo marito, oltre di tenere fortificate tante Terre importanti del Principato di Taranto, nudriva appresso di se un potente esercito; onde si vedea chiaramente, ch'avrebbe potuto occuparne il Regno, o privarne lui unico germe della linea del Re Carlo I, e che per questo egli era venuto più per assicurarsi del Principe, che per togliere lei dalla sedia Reale, nella quale più tosto voleva mantenerla. La regina mostrò ringraziarlo, ma nell'istesso punto mandò a sollecitare il Principe, che infra i cinque dì l'avesse soccorsa; passarono i 24 del mese; e la mattina seguente, che fu l'ultimo giorno del tempo stabilito, il Principe venne d'Aversa con tutto il suo esercito per la strada di Piedigrotta, e passata Echia, cominciò a combattere le sbarre poste dal Re Carlo, per penetrare, e ponere soccorso di gente e di vettovaglia al castello; ma Re Carlo fu subito ad incontrarlo con l'esercito suo in ordine, e dato dall'una parte, e dall'altra il segno della battaglia, si combattè con tanto valore, che un gran pezzo la vittoria fu dubbiosa; all'ultimo il Principe, che non potea sopportare d'esser cacciato dalla speranza d'un Regno tale, si spinse tanto innanzi verso lo stendardo reale di Re Carlo, con tanta virtù, che non ebbe compagni, onde circondato da' Cavalieri più valorosi del Re, fu costretto a rendersi, e colla cattività sua il resto dell'esercito fu rotto. Il dì seguente la Regina mandò Ugo Sanseverino a rendersi, ed a pregare il vincitore, che avesse per raccomandati quelli, che si trovavano nel Castello. Il Re il dì medesimo insieme col Sanseverino entrò nel castello con la sua guardia, e fe' riverenza alla Regina, dandole speranza di tutto quel che l'avea mandato a dire, e volle che in un appartamento del castello, non come prigionera, ma come Regina si stesse e fosse servita da que' medesimi servitori che la servivano innanzi.

Finito il mese, il primo di settembre comparvero le dieci galee de' Provenzali condotte dal Conte di Caserta per pigliar la Regina, e condurla in Francia. Il Re Carlo andò a visitare la Regina, ed a pregarla, che poichè avea veduto l'animo suo, volesse fargli grazia di farlo suo erede universale, e cederli anco dopo la morte sua gli Stati di Francia, e che mandasse a chiamare que' Provenziali, che erano su le galee, e loro ordinasse, che scendessero in terra, come amici; ma la Regina dubitando, che questi buoni portamenti fossero ad arte, e ricordandosi ancora di quello, che avea trattato col Re di Francia, adottando Luigi Duca d'Angiò suo figliuolo secondogenito, volle ancora simulare, e disse che avesse mandato un salvo condotto a' Capi delle galee provenziali, ch'ella avrebbe loro parlato, e si sarebbe sforzata d'indurgli a dargli l'ubbidienza: il Re mandò subito il salvo condotto, ed ingannato dal volto della Regina, che mostrò volontà di contentarlo, lasciò entrare i Provenzali nella di lei Camera, senza volervi esser egli, o altri per lui. La Regina, come furono entrati disse loro queste parole: Nè i portamenti de' miei antecessori, nè il sacramento della fede ch'avea con la Corona mia il Contado di Provenza, richiedevano, che voi aveste aspettato tanto a soccorrermi, che io dopo d'avere sofferto tutte quelle estreme necessità, che son gravissime a soffrire non pure a donne, ma a soldati robustissimi, fin a mangiar carni sordide di vilissimi animali, sia stata costretta di rendermi in mano d'un crudelissimo nemico; ma se questo, come io credo, è stato per negligenza, e non per malizia, io vi scongiuro, se appresso voi è rimasta qualche favilla d'affezione verso di me, e qualche memoria del giuramento e de' beneficj da me ricevuti, che in niun modo, per nessun tempo vogliate accettare per Signore questo ladrone ingrato, che da Regina mi ha fatta serva; anzi se mai sarà detto o mostrata scrittura, che io l'abbia istituito erede, non vogliate crederlo, anzi tenere ogni scrittura per falsa, o cacciata per forza contra la mente mia: perchè la volontà mia è, che abbiate per Signore Luigi Duca d'Angiò, non solo nel Contado di Provenza, e negli altri Stati di là da' monti, ma ancora in questo Regno, nel quale io già mi trovo averlo costituito mio erede o Campione, che abbia a vendicare questo tradimento e questa violenza; a lui dunque andate ad ubbidire, e chi di voi avrà più memoria dell'amor mio verso la nazione vostra, e più pietà d'una Regina caduta in tanta calamità, voglia ritrovarsi a vendicarmi con l'armi, o a pregar Iddio per l'anima mia, del che io non solo v'ammonisco, ma ancora fin a questo punto, che siete pur miei vassalli, vel comando. I Provenzali con grandissimo pianto si scusarono, e mostrarono intensissimo dolore della cattività sua, e le promisero di fare quanto comandava, e se ne ritornarono su le galee, nè solo navigarono verso Provenza, ma il Conte di Caserta deliberato di seguire la volontà della Regina, come già avea seguita la sua fortuna, andò ancor esso a ritrovare il Duca d'Angiò. Il Re Carlo ritornato alla Regina per intendere la risposta de' Provenziali, e conosciuto che non riusciva il negozio a suo modo, cominciò a mutare stile, ponendo le guardie intorno alla Regina, ed a tenerla, come prigioniera, e di là a pochi dì la mandò al castello della città di Muro in Basilicata, che era suo patrimonio; ed il Principe Ottone fu mandato nel castello d'Altamura; e poichè egli ebbe ricevuto il giuramento dalla città di Napoli, e da tutti i Baroni, che vi erano concorsi nell'Arcivescovado, fece giuramento d'omaggio alla Sede Appostolica in mano del Cardinal di Sangro Legato. Scrisse da poi al Re d'Ungaria tutto il successo, domandandogli, che far dovesse di Giovanna, e n'ebbe risposta che dovesse farla finire di vivere nell'istesso modo, che era stato morto Re Andrea, il che con memorando esempio di grandissima crudeltà ed ingratitudine fu nell'anno seguente 1382 eseguito223, avendo nel castello di Muro fattala affogare con un piumaccio224, e fece da poi venire in Napoli il suo cadavere, che volle che stesse sette giorni insepolto nella chiesa di S. Chiara a tal che ogni uno lo vedesse, ed i suoi partigiani uscissero di ogni speranza; poi fu senza pompa sepolta in luogo posto tra il sepolcro del Duca suo padre, e la porta della Sacristia in un bel tumulo, che ancor oggi si vede.

Questo fu il fine della Regina Giovanna I donna senza dubbio rarissima, che allevata sotto la disciplina del Re Roberto, e dell'onesta e savia Regina Sancia, governò il Regno, quando fu in pace, con tanta prudenza e giustizia, che acquistò il nome della più savia Regina, che sedesse mai in sede reale: siccome dimostrano quelle poche sue leggi, che ci lasciò, tutte ordinate a restituire l'antica disciplina ne' Tribunali e ne' Magistrati, e la testimonianza di due celebri Giureconsulti, che fiorirono nell'età sua, cioè di Baldo ed Angelo da Perugia, i quali nelle loro opere grandemente la commendarono. Ed ancorchè dal volgo fosse stata imputata allora, e da poi da alcuni Scrittori, ch'avesse avuta ella parte nella morte d'Andrea suo primo marito; nulladimanco dalle tante prove, che ella diede della sua innocenza, gli uomini da bene e più saggi di que' tempi, la tennero per innocentissima; e chiarissimo argomento è quello, che Angelo ne addita in un suo consiglio225 chiamandola santissima, onore del Mondo, ed unica luce d'Italia; di che, come ponderò il Costanzo226, si sarebbe molto ben guardato un tanto famoso, ed eccellente Dottore di così chiamarla, se non fosse stata a quel tempo presso i savj tenuta per innocente; poichè ognuno avrebbe giudicato, che parlando per antifrasi, avesse voluto beffeggiarla. Ma tolta questa nebbia onde que' Scrittori pretesero offuscare il suo nome in tutto il resto della sua vita non s'intese di lei azione alcuna disonorata, ed impudica. Scipione Ammirato227, oltre del Collenuccio, dice, che i tanti mariti, ch'ella prese, si fosse proceduto più per aver successori nel Regno nati da lei, che per vaghezza di vivere sotto le leggi del matrimonio, solita a soddisfare per altra strada alle sue libidini. Ma il gravissimo e savio Costanzo228, come se volesse ripigliarlo, scrive, che anzi la quantità dei mariti, che tolse, fu vero segno della sua pudicizia. Perchè quelle donne, che vogliono saziarsi nelle libidini, non cercano mariti, i quali sono quelli, che possono impedire il disegno loro, e massime que' mariti, che tolse lei, non istolidi, come Re Andrea, ma valorosissimi ed accorti. In tutto il tempo, che regnò, non s'intese fama ch'ella avesse niuno cortigiano, nè Barone tanto straordinariamente favorito da lei, che s'avesse potuto sospettare di commercio lascivo. Solo il Boccaccio scrive, che nel principio della gioventù sua e del Regno fosse stato molto da lei favorito il figliuol di Filippa catanese balia del Duca di Calabria suo padre, e che avea cresciuta lei dalle fasce; anzi fu cosa mirabile, che nel resto della vita, dopo ch'ella cominciò a signoreggiare, si mantenne con queste arti, trattando ogni dì virilmente con Baroni, Capitani di soldati, Consiglieri ed altri Ministri, con tanto incorrotta fama, che nè gli occhi, nè le lingue dell'invidia videro mai cosa, che potessero calunniarla, ancorchè gli animi umani siano indicati a tirare ogni cosa a cattivo fine, ponendo in dubbio ogni sincera virtù. Nè il Collenuccio dice vero, trattando per impudica non men la Regina, che Maria Duchessa di Durazzo sua sorella, riputandola quella, per cui il Boccaccio scrisse que' due libri, il Filocolo e la Fiammetta, ed alla quale facesse mozzar il capo il Re Carlo; poichè Maria, come si vede nella sua sepoltura a Santa Chiara, morì alcuni anni innanzi, moglie di Filippo Principe di Taranto, ed il Boccaccio non iscrisse per lei il libro del Filocolo, ma per Maria figliuola bastarda del Re Roberto, della quale restò egli preso nella chiesa di S. Lorenzo, come appare nel principio del libro istesso del Filocolo; nè poteva esser questa Maria Duchessa di Durazzo, perchè il Boccaccio era d'età provetta nel tempo che quella era in fiore.

211V. Chioccar. de Archiep. Neap. ann. 1378.
212Vincenti in Teatr. Ugo Sanseverin.
213Summonte part. 2 c. 3 pag. 457.
214È rapportata da Chioccarel. in M. S. giurisd. tom. 1.
215Rainald. ann. 1380 § 4.
216Costanzo l. 7.
217Tom. 2 p. 1147.
218Scip. Ammir. ne' Ritratti parlando della Regina Giovanna Prima.
219Chioc. M. S. Giurisd. tom. 1.
220Lunig, pag. 1140 e seqq.
221Pag. 1146.
222Sono rapportati dal Costanzo lib. 7.
223V. Baluz. in Notis ad Vitas PP. Aven. tom. 1 pag. 1157.
224Felyn. Epito de Regno Apuliae, et Siciliae, c. 2. Grammat. decis. 1 num. 23 et 27.
225Angel. cons. 110.
226Costan. lib. 7.
227Ammirat. nei Ritratti.
228Costanzo lib. 7.