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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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Fu Giovanna, come la qualifica Angelo da Perugia, religiosissima, ed i monumenti che di lei abbiamo in Napoli, dimostrano, quanta fosse stata grande la sua pietà e religione. Edificò ella la chiesa e lo spedale di S. Maria Coronata dal palazzo, ove prima si reggeva giustizia, e la diede in custodia a' PP. della Certosa: la chiesa e l'ospedale di S. Antonio di Vienna fuori porta Capuana, dotandola di ricchissime rendite; e magnificò ed ampliò la chiesa e monastero di San Martino su 'l monte di S. Eramo.

Sono alcuni Scrittori, i quali la biasimano per aver ella favorito lo scisma contro Urbano VI, ed aderito alle parti di Clemente. Ma se in ciò fu in lei alcun difetto, fu non già di religione ma di Stato; poichè dall'aversi in quella guisa acerbamente offeso l'animo d'Urbano e fattoselo suo implacabil nemico, le portò l'ultima sua ruina. Il non averlo riconosciuto per vero Pontefice, fu non error suo ma universale di quasi la metà d'Europa, che non lo riconobbe per tale. La sua elezione era da' più saggi Teologi riputata nulla ed invalida, come seguita per timore e per violenza usata dal Popolo romano a' Cardinali nel Conclave.

Ed ancorchè Baldo nostro Giureconsulto, trovandosi in Toscana, provincia ove era Urbano riconosciuto, avesse ne' principii di quella elezione, essendo stato ricercato, scritto quel suo famoso Consiglio per la validità dell'elezione; nulladimanco i migliori Teologi della Francia riputarono valida l'elezion di Clemente e nulla quella d'Urbano, siccome credettero la maggior parte degli Scrittori franzesi; ed a' nostri tempi Stefano Baluzio nelle note alle vite de' Papi Avignonesi229 difende la causa di Clemente contro Urbano; e rendendo il cambio agli Autori italiani, rapporta quello stesso contro Urbano Papa di Roma, che coloro scrissero contro i Papi d'Avignone; che Urbano fosse un falso Papa, bugiardo, crudele, superbo, inesorabile e feroce; e che non volle mai commettere la sua causa dell'elezione al giudicio del Concilio generale230. Frossardo231 celebre Scrittore delle cose di Francia, ancorchè non sia da seguitarsi nelle cose che narra del nostro Regno, delle quali, come straniero, non ebbe esatta contezza, narra, che il Re di Francia avuta notizia dell'elezione dell'altro pontefice Clemente, fece tosto convocare più Ordini, e principalmente quello de' Teologi, acciò esaminassero in questa contrarietà d'opinione, a qual de due Papi dovesse prestarsi ubbidienza; fu lungamente dibattuto l'affare, ed in fine i Magnati del Regno, gli Ecclesiastici, i fratelli del Re, buona parte de' Teologi conchiusero, che si dovesse riconoscere Clemente, non già Urbano, come eletto per forza. Piacque al Re la censura, che fu notificata e sparsa per tutto il Regno di Francia, affinchè quei popoli sapessero, qual de due Pontefici dovessero riconoscere per legittimo. La Spagna, ancorchè prima avesse riconosciuto Urbano, informata delle violenze usate nella sua elezione, riconobbe da poi per vero pontefice Clemente232. Lo stesso fecero il Conte di Savoia, il Duca di Milano e gli Scozzesi. E que' della provincia d'Annonia in Fiandra non vollero riconoscere nè l'uno nè l'altro. Cade per ciò a proposito quel che parlando dell'altro famoso scisma accaduto nel Regno del Re Ruggiero tra Innocenzio II ed Anacleto, fu detto nel XI libro di quest'Istoria; e quel che in simili dubbiezze per norma delle coscienze scrisse S. Antonino233 Arcivescovo di Firenze, il quale non imputò ad errore a S. Vincenzo Ferreri d'aver seguitato le parti di Benedetto XIII successor di Clemente. Parimente Niccolò Tedesco, detto comunemente l'abate Panormitano234, il Cardinal Zabarella235, ed il Cardinal Gaetano236, sostennero non doversi riputare scismatici coloro, che seguitarono le parti di Clemente; ed ultimamente Stefano Baluzio237 e Lodovico Maimburgo238 contro Odorico Rainaldo, fan vedere, che in questo gran dubbio gli uomini più savi, siccome non ardirono chiamare Urbano falso Papa, così nè meno osarono di nominare Clemente Antipapa.

(Se vogliono riguardarsi in ciò gli antichi esempi, famoso è quello rapportato da Teodoreto lib. 4 cap. 23 dello scisma tra Flaviano ed Evagrio, ambidue dalle lor fazioni riputati per veri e legittimi Patriarchi di Antiochia. Flaviano era ammesso generalmente da tutte le chiese di Oriente, Evagrio era sostenuto dal Vescovo di Roma e dalle chiese di Occidente; durante la controversia, ciascun partito senza scrupolo di coscienza seguitava quello, che credeva vero Patriarca, e ciascuno in ciò adempiva il tuo dovere; finchè non si fosse il dubbio deciso, e terminata la controversia, siccome saviamente avvertì Binghamo239).

Fu Giovanna per giustizia simile al Duca di Calabria suo padre; proccurò per quanto comportavano i suoi tempi torbidi, che i Magistrati fossero severi ed incorrotti, scegliendo i più dotti ed integri che fiorissero nella sua età, e ne' dubbii, che accadevano sopra termini di giustizia e sopra qualche successione feudale tra' Baroni, oltre il consiglio de' suoi Savi, ricercava ancora il parere de' più insigni Giureconsulti forastieri, che fiorivano allora in Italia. Chiarissimo esempio di questo suo costume fu quando, dopo la morte d'Andrea d'Isernia, essendo insorto dubbio intorno alla successione feudale per li fratelli uterini, la Regina mandò a consultare il caso a que' due famosi Giureconsulti, che fiorivano allora in Italia, Baldo ed Angelo, richiedendogli, che per verità dessero il lor parere; sopra la di cui domanda diedero fuori un loro responso, che si legge tra' consiglj d'Angelo240. A tal fine fu ella amantissima degli uomini di lettere, ed ebbe sommamente a cuore i Giureconsulti e l'Università degli studi. Tutti coloro, che cominciarono a fiorire negli ultimi anni del Re Roberto suo avo, e che nel Regno suo, ancorchè turbato erano avanzati nelle lettere e nelle discipline, favorì ella con onori e pensioni; fra' quali sopra ogni altro innalzò Niccolò Spinello da Giovenazzo detto di Napoli, che oltre avergli dato il Contado di Gioia, lo fe' gran Cancelliere del Regno, e Siniscalco della Provenza e del quale si valse nelle cose di Stato più gravi e rilevanti, esercitandolo in Ambascerie, e ne' consiglj più secreti e di maggior confidenza. Ed in usare beneficenza e liberalità fu così savia e prudente, che soleva dire, che facean male que' Principi, i quali pigliando a favorire ed ingrandire alcuni, lasciavano tutti gli altri marcire nella povertà; e che si dovea nel ripartir delle mercedi e beneficj donar più tosto moderatamente a molti, che profusamente a pochi.

 

Ebbe gran pensiero di tener Napoli abbondante, non solo di cose necessarie al vitto, ma allo splendore ed ornamento della città. E perchè concorsero per ciò Mercatanti d'ogni nazione con loro mercatanzie, per molto che ella si fosse trovata in bisogno, mai non volle ponere sopra i Mercatanti gravezza alcuna, come si suole da' Re che sono oppressi da invasioni e da guerra. Restano ancor oggi i segni della providenza che usò, che i forastieri al suo tempo stessero ben trattati e quieti; perocchè ordinò la Ruga Francesca e la Ruga Catalana, acciò che stando quelle nazioni separate, stessero più pacifiche. Fece tra 'l Castel Nuovo e quello dell'Uovo una strada, per Provenzali, che ora resta disfatta, per essere occupata dall'edificio del palazzo regio, e fece la loggia per gli Genovesi, ove oggi è sol rimasto il nome. Fu nel vivere modestissima, e di bellezza più tosto che rappresentava maestà, che lascivia o dilicatura: ed in somma fu tanto graziosa nel parlare, sì savia nel procedere, e sì grave in tutti i gesti, che parve ben erede dello spirito del gran Roberto suo avolo.

FINE DEL LIBRO VENTESIMOTERZO

LIBRO VENTESIMOQUARTO

Stabilito nel Regno Carlo III di Durazzo per la rotta data al Principe Ottone, e per la cattività del medesimo e della Regina, subito tutti i Baroni mandarono a dargli ubbidienza eccetto tre Conti, quello di Fondi, il Conte d'Ariano e l'altro di Caserta, i quali ostinatamente seguir vollero le parti della Regina: ma Carlo poco curandosi di loro, attese a purgare il Regno, cacciandone tutti i soldati stranieri che aveano militato per la Regina; poi per ordinare le cose di giustizia, mandò Governadori e Capitani per le province, e per le Terre della Corona. Era allora in grande stima il Conte di Nola Orsino, il quale persuase al Re, che chiamasse il Parlamento generale per lo mese d'aprile del seguente anno 1382 per trattare d'imporre un donativo, e 'l Re che ben conosceva esser necessario di fare qualche provisione, poichè sin d'allora si prevedeva, che il Duca d'Angiò adottato dalla Regina non avrebbe voluto abbandonare le sue ragioni, mandò per lettere chiamando tutti i Baroni a Parlamento; e per mantenersi l'amicizia di Papa Urbano, fece pigliar prigione il Cardinal di Gifoni creato da Clemente, e fece menarlo a Santa Chiara, dove fattogli spogliar in pubblico l'abito di Cardinale, e toltogli il cappello di testa, fece tutto buttare nel fuoco, che s'era perciò fatto accendere in mezzo della Chiesa; fecelo anche abiurare e confessar di sua bocca che Clemente era falso Papa, ed egli illegittimo Cardinale, e da poi fece restituirlo in carcere, riservandolo all'arbitrio di Papa Urbano241.

Nel mese di novembre seguente, venne Margarita sua moglie, co' piccioli figliuoli Giovanna e Ladislao, e nel giorno di Santa Caterina con grandissima pompa fu coronata ed unta, e menata, secondo il costume, per la città sotto il baldacchino. E per levare in tutto una tacita mestizia che si vedeva universalmente per Napoli, per la ruina della Regina Giovanna, si fecero per più dì grandissime feste, giostre e giuochi d'arme, ne' quali il Re armeggiò più volte con molta lode; poi ad emulazione di Re Luigi di Taranto, volle istituire un nuovo ordine di Cavalieri che intitolò la Compagnia della Nave; volendo alludere alla nave degli Argonauti, affinchè i Cavalieri che da lui erano promossi a quell'ordine, avessero da emulare il valore degli Argonauti.

Venne in questo tempo il dì del Parlamento generale, nel quale adunati tutti i Baroni in Napoli, il Conte di Nola per vecchiezza e per nobiltà, e molto più per lo gran valore di Roberto e Ramondo suoi figliuoli, d'autorità grandissima, propose che ogni Barone ed ogni città suggetta alla Corona dovesse soccorrere il Re con notabil somma di danari, e per dare buon esempio agli altri, si tassò egli stesso di diecimila ducati; e perchè pareva pericoloso mostrare mal animo al nuovo Re, che stava ancora armato, non fu Barone, che rifiutasse di tassarsi, tal che si giunse sino alla somma di trecentomila fiorini, e celebrato il Parlamento, presero licenza dal Re tutti i Baroni, promettendo di mandare ogn'uno quel tanto che s'era tassato, e pareva con quel donativo, e con l'amicizia del Papa che Re Carlo potesse fortificarsi nel Regno, e temer poco l'invasione, che già di giorno in giorno si andava più accostando.

CAPITOLO I

Origine della discordia tra Papa Urbano, e Re Carlo. Entrata nel regno di Luigi I d'Angiò, e sua morte. Carlo assedia in Nocera Urbano, il quale coll'aiuto de' Genovesi, e di Ramondello Orsino, e di Tommaso Sanseverino scampa e fugge a Roma

Papa Urbano dappoichè vide Re Carlo stabilito nel Regno, e che si tardava d'adempire il concordato fra loro, quando gli diede l'investitura, non volle aspettar più; onde gli mandò un Breve, esortandolo, che poichè le cose del Regno erano acquistate, dovesse consegnare a Butillo la possessione del Principato di Capua e degli altri Stati che gli avea promessi; ma il Re non si poteva in niun modo inducere a dismembrare la città di Capua dalla Corona, e però dava parole, menando la cosa in lungo, donde cominciarono fra loro quelle dissensioni, che poi risultarono in guerre aperte, con molta ruina e calamità del Regno; poichè Urbano vedendosi a questo modo deluso, cominciò a pensare di cacciar ancor lui dal Regno; e per avere un più numeroso partito, fece nuova creazione di Cardinali, tra' quali creò Pietro Tomacello di Napoli.

Ma mentre queste cose si facevano in Italia, Luigi Duca d'Angiò senza contrasto alcuno s'insignorì del Contado di Provenza, nel che ebbe i Provenzali favorevoli, i quali ubbidendo a quanto la Regina Giovanna avea loro comandato, non vollero riconoscere per lor Sovrano Carlo, ma sì bene Luigi, il quale favorito anche da Clemente fu da costui, approvando l'adozione della Regina, investito del Regno, e fatto gridare in Avignone Re di Napoli, con sovvenirlo ancora di buona somma di fiorini, e sperava che calando Luigi potente, non solo avrebbe ricuperata l'ubbidienza del Regno di Napoli, ma anche di tutta Italia.

(Morta la Regina Giovanna, e riconosciuto Luigi da' Provenzali per lor sovrano, e da Clemente per Re di Napoli, venendo con valido esercito per discacciar l'emolo dal Regno, Carlo di Durazzo per risarcir la sua fama, che riputava rimaner offesa da alcune parole contumeliose, dette da Luigi, lo sfidò a singolar duello, e scrissegli un biglietto in lingua franzese, dove rinfacciandogli la nullità dell'adozione, e che la Regina Giovanna non poteva cedergli il Regno, lo invita a battersi seco. Luigi rispose a Carlo con pari acrimonia, ed accettò il duello; anzi spedì salvo condotto a Carlo, per assicurar il luogo del campo destinato, affin di comparire con sicurezza egli ed i suoi. Si leggono presso Lunig242, oltre il salvo condotto suddetto, quattro biglietti, scritti vicendevolmente due da Carlo e due altri da Luigi, nell'idioma stesso franzese; ma non si legge che il duello fosse seguito, poichè si venne a combattere, non già a solo a solo, a corpo a corpo, ma con eserciti armati).

Come questo si seppe nel Regno, molti Baroni che aveano promessa la tassa nel Parlamento, non solo non la mandarono, ma di più si deliberarono di alzare le bandiere d'Angiò, e tra costoro fu Lallo Camponesco in Apruzzo, e Niccolò d'Engenio Conte di Lecce in Terra d'Otranto.

Nel medesimo tempo Giacomo del Balzo figlio del Duca d'Andria, vedendo, che Ottone già Principe di Taranto era prigione, venne nel Regno, e ricovrò tutto il Principato, e prese per moglie Agnese sorella della Regina Margarita, la quale era vedova di Cane della Scala, Signor di Verona. Questa parentela offese tanto i Sanseverineschi, capitali nemici di Casa del Balzo, che sebbene erano di sangue e di parentela congiunti col Re, in poco tempo se gli scoversero nemici; onde il Re vedendo la revoluzione di tanti Baroni nelle più grandi ed importanti province del Regno, e sentendo che il Conte di Caserta di Francia scrivea, e tenea intelligenza con molti, cominciò a pensare a' casi suoi: al che s'aggiungeva, che il Duca d'Andria non si trovava niente soddisfatto del Re, perchè avea sperato, che subito dopo l'acquisto del Regno, avesse dovuto rimetterlo interamente in tutto il suo Stato di prima, il che il Re non avea fatto per la potenza di Casa Marzano che possedevano la città di Sessa, e quella di Teano. E per ultimo, trovandosi in queste angustie di mente, non mancarono di quelli che cominciarono a porgli sospetto, che Giacomo del Balzo Principe di Taranto, che s'intitolava ancora Imperadore di Costantinopoli, non volesse occupare il Regno di Napoli, pretendendo per la persona d'Agnesa sua moglie nipote carnale della Regina Giovanna, di maggiore età della Regina Margarita, che il Regno toccasse a lui di ragione. Questo sospetto ebbe tanto più presto luogo nella mente del Re, quanto che Papa Urbano di natura ritroso ed inquieto minacciava di volerlo cacciare dal Regno, alla qual cosa pareva abile suggetto la persona del principe di Taranto; e per questo il Re imbizzarrito, per assicurarsi di tutti coloro che potessero con qualche ragione pretendere al Regno, fece carcerare la Duchessa di Durazzo sorella maggiore della Regina Margarita, e cercò d'avere in mano il Principe di Taranto, lasciando la moglie in Napoli, la quale similmente Re Carlo fece carcerare, e poi mandò alla città di Muro.

Intanto Luigi d'Angiò, preso il possesso del Contado di Provenza e dell'altre Terre della Regina di là da' Monti, fu coronato da Papa Clemente Re di Napoli, e si pose in viaggio, mandando innanzi dodici galee nelle marine del Regno per sollevare gli animi di quelli del partito della Regina, e per accertarli della venuta sua per terra. Queste dodici galee comparvero alli 17 giugno di quest'anno 1383 nelle marine di Napoli, ed andarono a Castello a Mare, e 'l presero, ed all'improvviso la sera seguente vennero sin al Borgo del Carmelo, e 'l saccheggiarono, poi passarono ad Ischia. Il Re Carlo vedendo, che così poca armata potea far poco effetto, si pose in ordine per andare ad incontrare il Re Luigi, che veniva per terra, e ragunò sue truppe in numero di tredicimila cavalli. Ma questo numero era assai poco appetto dell'innumerabil esercito del Re Luigi; il quale essendo entrato nel Regno, per avergli dato il passo Ramondaccio Caldora, l'esercito suo, per lo concorso di que' Baroni, che giudicando le forze di Carlo poco abili a resistere, aveano preso il partito del Re Luigi, era cresciuto in numero di trentamila cavalli: perciò Re Carlo non volle allontanarsi da Napoli.

Quei che vennero di Francia col Re Luigi, furono il Conte di Ginevra fratello di Papa Clemente, il Conte di Savoja, ed un suo nipote, Monsignor di Murles, Pietro della Corona, Monsignor di Mongioja, il Conte Errico di Bertagna, Buonigianni Aimone, il Conte Beltrano tedesco, e molti altri Oltramontani di minor nome. Quelli del Regno, che andarono ad incontrarlo, furono il Gran Contestabile Tommaso Sanseverino, Ugo Sanseverino, il Conte di Tricarico, il Conte di Conversano, (ancora che fosse per l'Ordine della Nave obbligato a Carlo) il Conte di Caserta, il Conte di Cerreto, il Conte di Sant'Agata, il Conte d'Altavilla, il Conte di S. Angelo e molti altri Baroni e Capitani243. Finalmente essendo Re Luigi dalla via di Benevento giunto in Terra di Lavoro, perchè Capua e Nola si tenevano per Re Carlo, andò a ponersi a Caserta, la quale stava già con le bandiere sue, e da Caserta occupò anche Madaloni; ma consumandosi tuttavia lo strame e le vettovaglie per lo gran numero de' cavalli, fu forza che passasse in Puglia; il qual passaggio, ancorchè Re Carlo avesse proccurato d'impedirglielo, nientedimanco riuscì finalmente al Re Luigi di condurre il suo esercito sicuro nel piano di Foggia.

 

Il Re Carlo vedendosi rotto il suo disegno, ed avendo avuta novella, che Papa Urbano era partito di Roma e veniva verso Napoli, geloso, che quell'uomo di natura superbo e bizzarro non alterasse gli animi dei Napoletani, subito prese la via di Napoli a gran giornate; e giunse a tempo, che il Papa era a Capua, dove andò subito a ritrovarlo, ed insieme vennero ad Aversa: l'uno simulava coll'altro; ma giunti a Napoli il Re non volle permettere, che il Papa albergasse nel Duomo, ma sotto colore di amorevole rimostranza e di buona creanza lo condusse al Castel Nuovo: quivi trattarono delle cose a loro appartenenti: il Papa dimandò al Re il Principato di Capua, con molte Terre circostanti, come Cajazzo e Caserta, le quali furono già del Principato di Capua; dimandò ancora il Ducato d'Amalfi, Nocera, Scafati, ed un buon numero d'altre città e castella, e cinquemila fiorini l'anno di provisione a Butillo suo nipote; e per contrario promettea d'ajutare il Re alla guerra, e lasciarli a pieno il dominio del Regno tutto, con quelle condizioni, che l'aveano tenuto i Re suoi antecessori. Furono accordati e fermati questi patti con grand'allegrezza dell'una e dell'altra parte. Il Papa ottenne dal Re di uscire del castello, ed andare ad alloggiare al Palazzo arcivescovile, e con gran pompa fu accolto dall'Arcivescovo Bozzuto, che era stato rimesso in quella Cattedra dopo la ruina della Regina, dove il Re e la Regina andarono molte volte a visitarlo, e con intervento loro si fecero due feste di due nipoti del Papa, l'una data per moglie al Conte di Monte Dirisi, e l'altra a Matteo di Celano, gran Signore in Apruzzo; e la Vigilia di Natale il Papa scese alla chiesa, e furo cantati i Vespri con solennità Papale. Accadde in questi medesimi dì in Napoli un gran tumulto, poichè Butillo Principe di Capua nipote del Papa entrò violentemente in un monastero di donne Monache, e violò una delle più belle, che vi era dentro, e delle più nobili, del che si fe' gran tumulto per la città, e quelli del governo essendo andati al Re a lamentarsi, furono dal Re mandati al Papa, i quali avendo esposta con gran veemenza querela di quel fatto, il Papa, che com'era nell'altre cose severissimo, così all'incontro era nell'indulgenza e nell'amore verso i suoi mollissimo, rispose, che non era tanta gran cosa essendo il Principe suo nipote spronato dalla gioventù: e Teodorico di Niem, che scrive questo, si ride, che il Papa scusasse colla gioventù il nipote, il quale a quel tempo passava quarant'anni244. Venne il dì di Capo d'anno e perchè i progressi, che faceva Re Luigi in Puglia richiedevano, che Carlo andasse ad ostarli, il Papa volle celebrare la messa, e pubblicò Re Luigi, che ei chiamava Duca d'Angiò, per eretico, scomunicato e maledetto, bandì cruciata contro di lui, promettendo indulgenza plenaria a chi gli andava contro, e fe' Confaloniero della Chiesa Re Carlo, benedicendo lo stendardo, che il Re tenne con la man destra sin che si celebrò la messa.

Si pose per tanto in ordine Carlo per andare in Puglia a cacciar l'inimico, ed ordinò alla Cancelleria che scrivesse a tutti i Feudatari, che dovessero star pronti; e perchè il Papa non dava altro che parole, ed indulgenze, non già danari, fu astretto di pigliar dalla Dogana tutti i panni, che vi erano di Fiorentini, Pisani e Genovesi, per distribuirgli parte a' soldati ordinarj, e parte a' Cavalieri napoletani, che s'erano offerti di seguirlo; e venuto il mese d'aprile di questo anno 1384 si partì di Napoli per andare in Puglia, e giunse a Barletta; ed ancorchè il Re Luigi proccurasse venire a battaglia finita, Re Carlo approvando il consiglio del Principe Ottone (che a questo fine l'avea fatto sprigionare) non volle uscire, ma i due eserciti si trattenevano in far varie scaramucce; onde Luigi vedendo, che non potea venir più a fatto d'arme, si ritirò a Bari, dove venne a trovarlo Ramondello Ursino, a cui Luigi sposò Maria d'Engenio donzella nobilissima e ricchissima, poichè per via della madre era succeduta al Contado di Lecce.

Mentre queste cose si facevano in Terra di Bari, il Papa attediato in Napoli dalle lunghe promesse di Carlo (il quale in effetto andava estenuando quanto poteva le promesse fatte a' suoi parenti) si parti in fine mal soddisfatto di Napoli, e con tutti i Cardinali e suoi parenti ed amici andò a Nocera, la quale era stata già assegnata liberamente a Butillo suo nipote, ma non già Capua, nella quale si tenevano le fortezze in nome del Re. Il Papa come era persona iraconda e superba, lasciava scapparsi delle parole, che davano indizio del suo mal animo contra il Re, tal che faceva egli molto più paura a Carlo, che non gli faceva Re Luigi, e certamente l'avrebbe indotto a lasciar la guerra di Puglia, se la morte di Luigi accaduta opportunamente a' 20 settembre di quest'anno 1384 non l'avesse liberato da questa molestia; poichè i Franzesi rimasi senza Re, costernati in gran parte, ritornarono in Francia. Morì Luigi d'Angiò in Biscaglia; Principe assai valoroso, e savio, che fu il primo Luigi della Casa d'Angiò, che regnò in parte del Regno di Napoli, ancorchè in quanto al nome fosse secondo, a rispetto del Re Luigi di Taranto, che fu il primo.

(Re Luigi I nel precedente anno 1383 a 20 di settembre, fece in Taranto il suo solenne Testamento, che dettò in Lingua Franzese, nel quale istituiva erede nel Regno Luigi Duca di Calabria suo primogenito; ed a Carlo secondogenito lasciava altri Stati e Contee, facendo altre disposizioni, e Legati pii a molte chiese, ospedali e conventi. Leggesi il testamento presso Lunig245).

Liberato adunque Re Carlo, per la morte di sì importante nemico, dalla guerra di Puglia, se ne venne in Napoli, ove giunto al dì 10 novembre, fu ricevuto da' Napoletani con grand'allegrezza; e riposatosi alcuni dì, mandò poi solenne ambasceria al Papa in Nocera, facendogli dire, che desiderava sapere per qual cagione era partito da Napoli, ed insieme a pregarlo di tornarvi, perchè aveano da conferire insieme molte cose. Il Papa ritroso, com'era il suo solito, rispose, che se avea da conferir seco, venisse il Re a trovar lui, essendo del costume, che i Re vadano a' Papi e non i Papi vadano a trovare i Re a posta loro; nè potè tanto frenare l'impeto dell'animo suo, che non dicesse agli Ambasciadori, che riferissero al Re, che se 'l voleva per amico, dovesse levare subito le gabelle, che avea poste nel Regno. Il Re udite queste cose dagli Ambasciadori, rispose, che sarebbe ben egli andato a trovarlo, ma armato, ed alla testa d'un fioritissimo esercito: che intorno all'imporre al Regno suo nuove gabelle, non s'apparteneva al Papa di vietarlo; ch'egli s'impacciasse solo de' Preti; perchè il Regno era suo, acquistato per forza d'arme, e per ragione della successione della moglie; e che il Papa non gli avea dato altro, che quattro parole scritte nell'investitura246. E replicando il Papa, che il Regno era della Chiesa, dato a lui in feudo, con animo, che avesse da signoreggiare moderatamente, e non iscorticare i vassalli, e che perciò era in elezion sua, e del Collegio dei Cardinali di ripigliarsi il Regno, e concederlo a più leale e più giusto Feudatario: venne la cosa a tale, che il Re mandò il Conte Alberico suo gran Contestabile ad assediarlo nel Castello di Nocera; e questo fu su 'l dubbio, ch'egli avea, che se per caso veniva a morte Papa Clemente in Avignone, Urbano avrebbe confermato a' figli di Luigi d'Angiò, già morto, il Regno. Il Papa vedutosi cinto d'assedio, cominciò a scomunicare, come il solito e maledire: scomunicò Re Carlo, e tre volte il giorno affacciavasi alla finestra, ed a suon di campanello, con torce di pece accese imprecava, maladiceva e scomunicava sempre l'esercito del Re, ch'era a sua veduta. I cinque Cardinali ch'erano seco, de' quali era capo il Cardinal Gentile di Sangro, vedendosi in tanto periglio, cominciarono a persuadergli, che volesse pacificarsi col Re, almeno finchè ritornasse a Roma, perchè parea cosa molto dura contrastare con sì potente nemico, senz'altre arme, che 'l suono del campanello: e perchè mostrarono in ciò troppo avidità della pace, il Papa gli ebbe tanto sospetti, che per una cifra, che fu trovata, che veniva ad uno de Cardinali, gli fè pigliare tutti cinque, e tormentare acerbissimamente senza rispetto; e Teodorico di Niem, che si trovava là suo Segretario, scrive, ch'era un piacere vedere il Papa, che passeggiava, dicendo l'Ufficio, mentre il Cardinal di Sangro, che era corpulento, stava appiccato alla corda, ed egli interrompendo l'ufficio, gridava, che dicesse, come passava il trattato; in fine, benchè non confessasse niuno di loro, gli fè tutti cinque morire. Il Collenuccio narra, che i Cardinali furon sette, e che quando Urbano scappò fuori da Nocera, navigando verso Genova, cinque d'essi fece porre dentro i sacchi, e gittare in mare, e gli altri due giudicialmente convinti in Genova, in presenza del Clero e del Popolo gli fece morire a colpi di scure, i di cui corpi fatti seccare ne' forni e ridurli in polvere, ne fece empire alcuni valigioni e quando egli cavalcava, se gli faceva portare innanzi sopra i muli co' cappelli rossi, per terrore di coloro, che volessero insidiargli la vita, E congiurar contra di lui. Il Panvinio, de' Cardinali carcerati e tormentati in Nocera ne annovera sei, i quali furono il Cardinal di Sangro, Giovanni Arcivescovo di Corfù, Lodovico Donati Veneziano Arcivescovo di Taranto, Adamo Inglese Vescovo di Londra, ed Eleazaro Vescovo di Rieti: vuole che i primi cinque fossero stati gittati in mare, ed il sesto lasciato in vita ad istanza di Riccardo Re d'Inghilterra, e del settimo non fa parola.

Il Pontefice Urbano vedendo sempre più stringersi l'assedio, mandò secretamente in Genova a pregar quella Signoria, che gli mandasse diece galee, la quale con intervallo di pochi dì le mandò, e comparvero alle marine di Napoli, senza sapere qual fosse l'intendimento loro. Allora i Napoletani, che sentivano grandissimo dispiacere della discordia tra 'l Papa e 'l Re, furono a supplicarlo, che volesse pacificarsi con Urbano, perchè tal discordia non potea partorir altro, che danno alla Corona sua ed a tutto il Regno; e 'l Re loro rispose, che esso non resterebbe di mostrarsi sempre ubbidiente figliuolo del Papa e di Santa Chiesa; ed in pruova di ciò non avrebbe egli ripugnanza di riporre in mano di quelle persone, che deputasse la città di Napoli, la potestà di concordarlo e di patteggiare col Papa in nome suo; ed in fatti, ancorchè non si trovi memoria de' nomi degli Deputati dell'altre Piazze, per la Piazza di Nido però si trova proccura di que' Nobili, i quali deputarono le persone di Niccolò Caracciolo, come scrive il Summonte o di Giovanni Carafa, secondo il Costanzo, e di Giovanni Spinello di Napoli, perchè in nome della lor Piazza avessero da intervenire a maneggiar questa pace. Intanto Papa Urbano, nell'istesso tempo, che mandò in Genova per le galee, mandò ancora in Puglia a chiamare Ramondello Ursino, acciocchè sforzando l'assedio, l'avesse potuto condurre alla marina ad imbarcare su le galee: venne Ramondello con ottocento cavalli eletti, ed arditamente a mal grado dell'esercito del Conte Alberico si fece la strada con l'armi; ed entrato nel castello di Nocera, fu dal Papa molto onorato e ringraziato; e poichè seppe l'intenzion sua, conoscendo, che le genti sue erano poche per cacciarlo di mano de' nemici, persuase al Papa, che mandasse un Breve a Tommaso Sanseverino, che venisse con le sue genti a liberarlo, e s'offerse egli di portare il Breve, e di condurli. Il Papa accettò il consiglio, fece stendere il Breve, e gli diede più di diecimila fiorini d'oro e lo benedisse; ed egli partito con molta diligenza, in capo di tredici dì ritornò insieme col Sanseverino, col quale erano tremila cavalli di buona gente, e per la via di Materdomini entrarono nel castello, e baciato il piede al Papa, lo fecero cavalcare, conducendolo per la strada di Sanseverino e di Gifoni al Contado di Buccino, e di là mandato ordine alle galee genovesi, che venissero alla foce del fiume Sele, condussero il Papa ad imbarcarsi, come fece. Donò allora il Papa, per usar gratitudine a Ramondello, la città di Benevento e la Baronia di Flumari, che consistea in diciotto castella. Il Sanseverino se ne ritornò in Basilicata, e Ramondello in Puglia, e 'l Papa giunse a Cività Vecchia salvo.

229Baluz. tom. 1 pag. 1093 et seqq. usq. ad 1104 et pag. 1182 usque ad pag. 1192.
230V. Baluz. to. 1 pag. 1278, 1459, 1036, 1101, 1126, 1369 et 1474.
231Paul. Aemil. l. 9 de reb. in Gal. gest. Fross. hist. lib. 2.
232Paul. Aemil. l. 6 de reb. in Gallia gest.
233S. Antonin. par. 3 tit. 22 cap. 2 § 2.
234Panorm. in prooem. Decretal.
235Zabarell. Tract. de schismate, p. 569.
236Cajet. Tract. de auth. Papae, et Conc. cap. 8.
237Baluz. in Praefat. ad Vitas Papar. Aven. tom. 2.
238Maimburg. Istoria del grande Scisma d'Occidente, l. 1 et 3.
239Bingamo, de Orig. Eccl. l. 16 c. 1 § 6.
240Angel. cons. 110.
241Costanzo lib. 8.
242Tom. 2 pag. 1182 et 1183.
243Tutini de' Contestabili, pag. 123. Costanzo lib. 8.
244Costanzo lib. 8.
245Tom. 2 pag. 1192.
246Costanzo lib. 8.