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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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CAPITOLO II

Re Carlo è invitato al trono d'Ungaria. Sua elezione ed incoronazione a quel Regno, e sua morte

Essendo morto Lodovico Re d'Ungaria, quegli che venne due volte nel Regno di Napoli per vendicar la morte di Re Andrea suo fratello, senza lasciar di se stirpe maschile; i Principi e Prelati d'Ungaria giurarono fedeltà ad una picciola fanciulla figliuola di lui primogenita, chiamata Maria247; e per mostrare, che in tal fanciulla vivea il rispetto e l'amore, che essi portavano al morto Re Lodovico, fecero decreto, che si chiamasse non Regina ma Re Maria e così fu gridato da tutti i Popoli: ma poichè Elisabetta madre della fanciulla, e sua balia e tutrice, governava ogni cosa ad arbitrio di Niccolò Bano di Gara (che a quel Regno è nome di dignità, poichè non vi sono nè Principi, nè Duchi, nè Marchesi) molti altri Baroni per invidia cominciarono a sollevarsi e pentirsi di aver giurata fedeltà al Re Maria; tanto maggiormente, che aveano inteso essere destinata per moglie a Sigismondo di Luxemburgo, figliuolo di Carlo IV Imperadore e Re di Boemia; e conoscendo il Re Carlo nella Corte del Re Lodovico morto, e nel campo quando guerreggiò per quel Re contra i Veneziani; giudicarono lui personaggio degno di succedere a quel Regno, per lo parentado che avea col Re morto. Mandarono per tanto per Ambasciadore il Vescovo di Zagrabia a chiamarlo, ed a pregarlo che avendo bisogno quel Regno d'un Re bellicoso, e non d'una fanciulla Regina, volesse venire, che gli porrebbero senz'alcun dubbio in mano la Corona di quell'opulentissimo Regno, e che non v'avrebbe contraddizione alcuna. La Regina Margarita, quando ebbe intesa la proposta dell'Ambasciadore, come presaga di quel che avvenne, cominciò a pregare il marito, che in niun modo accettasse tale impresa, che dovea bastargli, che da privato Conte, Iddio gli avea fatta grazia di dargli la possessione di questo Regno, nel quale era più savio consiglio stabilirsi in tutto, e cacciarne i nemici, che lasciare a costoro comodità, che potessero cacciarne lei ed i figli, mentre egli andava a spogliare quella povera fanciulla del Regno paterno, ad istanza di gente infedele e spergiura, la quale non avendo osservata fede alla Regina loro, figliuola di un Re tanto amato, e benemerito di quel Regno, non era da credere, che avessero da osservare fede a lui. All'incontro Re Carlo vedendosi ora in prospera fortuna, poichè di due nemici, che avea nel Regno, il Re Luigi era morto, e Papa Urbano fuggito, e considerando ancora, che per la puerizia de' figliuoli del Re Luigi, avrebbe tempo d'acquistare quel Regno, senza timore di perdere questo; finalmente si risolse di partire, ed a' 4 di settembre si pose in via con pochissima gente; per due cagioni, l'una per non volere mostrare agli Ungheri, che egli volesse venire ad acquistare il Regno per forza d'arme, ma solo per buona loro volontà; e l'altra per lasciare più gagliarda la parte sua contra quella del Re Luigi: ed imbarcato a Barletta, con felice navigazione arrivò in sei dì in Zagrabia, dove il Vescovo l'accolse con grandissima magnificenza, e si fermò là per alcuni dì, per far intendere agli altri Baroni della conspirazione la sua venuta, a tal che più scovertamente e senza rispetto, si movessero contra la Regina e con lettere a diversi amici suoi, ch'erano ancora sotto la fede della Regina, si sforzò d'ampliare il numero de' parteggiani suoi, con promesse non solo a loro, ma a tutto il Regno di rilasciare i tributi, e concedere nuovi privilegi, e far indulto a tutti i fuorusciti. E già con quest'arte in pochi dì gli parve d'aver guadagnato tanto, che potesse senza fatica andare a coronarsi Re, perchè non si vedea essere rimasti altri dalla parte della Regina, che il Bano di Gara; onde si mosse ed andò verso Buda.

Queste cose erano tutte notissime alla regina Elisabetta vecchia, ed al Re Maria, onde con molta prudenza mandarono subito per lo sposo, e fecero celebrare le nozze tra Sigismondo e Maria, dubitando, che re Carlo per agevolare più l'acquisto del Regno, pubblicasse da per tutto, che non veniva per cacciare il Re Maria dal Regno, ma per darla per moglie a Ladislao suo figliuolo Duca di Calabria, con la quale arte avrebbe senza dubbio tirato a se tutto il resto dei partigiani occulti del Re Maria, i quali per non volere Sigismondo Boemo, sarebbonsi più tosto contentati di lui; ma celebrate che furono le nozze, Sigismondo ch'intendea, che il re Carlo se ne veniva a gran giornate, se ne andò in Boemia.

La fama di queste nozze dispiacque molto a Re Carlo, perchè giudicava, che l'imperator Carlo IV248 padre di Sigismondo non avrebbe mai sofferto, che il figlio fosse cacciato insieme colla moglie dal Regno, debito a loro, senza fare ogni sforzo di cacciarne lui; ma le due Regine dopo la partita di Sigismondo con grandissima arte dissimulando, mandarono a Re Carlo a dimandargli se veniva come parente o come nemico, perchè venendo come parente avrebbero fatto l'ufficio, che conveniva, nell'andargli incontro, e nel riceverlo con ogni dimostrazione di amorevolezza; se come nemico, il che non credevano, sariano venute a pregarlo come donne infelici ed abbandonate, che avesse loro qualche rispetto, non già per lo parentado, ma per non aver mai avuto da loro nè in fatti nè in parole offesa alcuna. Re Carlo dissimulando rispose, ch'egli veniva come fratello della Regina, la quale avea inteso in quanti travagli stava per le discordie del Regno, perch'egli era tanto obbligato alla memoria di Re Lodovico suo benefattore, che avea pigliata questa fatica di lasciare il Regno suo in pericolo, per venire ad acquietare le discordie e pacificare il Regno d'Ungaria, che potesse quietamente ubbidire al Re Maria, e che però l'una e l'altra stessero con l'animo quieto; e con questa risposta credendosi, che le Regine la credessero, andò in Buda con miglior animo, pensando che ancora l'Imperadore credendolo, non si movesse a richiesta delle due Regine a disturbare il suo disegno. Ma le Regine, ancorchè non si fidassero a tal risposta, vedendo che non potevano resistere con aperte forze, deliberarono guerreggiare con arti occulte, e dimostrando allegrezza della venuta del Re, come fratello, fecero apparecchiare nel castello una gran festa ed uscirongli incontro con grandissima pompa, con tanta dissimulazione, che veramente non pure Re Carlo, ma tutti gli Ungheri credevano, che stessero in quell'errore, e che quelle accoglienze fossero fatte non meno con l'animo che con l'apparenza; e per questo Carlo, quando le vide, discese da cavallo ad abbracciarle, e quando furono insieme entrati in Buda, per mostrare più modestia, non volle andare ad alloggiare in castello, ma ad un palazzo privato della città, fin che si fosse trovato modo di farsi pubblicare per Re. Il dì seguente entrato nel castello a visitare le Regine, furono con pari dissimulazione replicate le accoglienze vicendevolmente ed i ringraziamenti; e così in apparenza credeano ingannare l'uno l'altro; ma l'uno e l'altro stava sospetto e tenea secrete spie di quel che si facea.

Niccolò Banno di Gara fidelissimo servidore delle Regine, che conoscea, che tutto quel male era nato per cagion sua, non si partiva mai da loro, avendo cura, che nella guardia reale fossero tutte persone fidelissime, a tal che non fosse fatta forza alcuna. All'incontro Re Carlo facendosi chiamare Governador del Regno, stava aspettando il modo ed il tempo di occuparlo e d'entrare nel castello; e dall'altra parte le Regine si guardavano quanto più potevano. Ma da questa guardia delle Regine nacque più tosto comodità a Carlo che impedimento, perchè vedendosi dal volgo, che le Regine erano poco corteggiate, perchè le guardie non lasciavano entrare se non pochissimi personaggi; vennero subito in dispregio, e tutte le faccende si facevano in casa del Governadore; e per questo quelli, che si trovavano aver chiamato Re Carlo, andavano sollevando la plebe, con dire che il governo de' Regni non sta bene a donne, che son nate per filare, e per tessere, ma ad uomini valorosi e prudenti, che possono in guerra ed in pace difendere, ampliare e governare le nazioni soggette; e con queste e simili esortazioni commossero a grandissimo tumulto il Popolo; onde le Regine timide, non solo si teneano in pericolo di perdere il Regno, ma anche la vita. Comparvero Intanto alcuni Vescovi e Baroni veramente fautori di Carlo, e sotto spezie di volere acquietare il tumulto promisero alla plebe di voler trattare dell'elezione del Re; nè essendo per anche finito il tumulto, Re Carlo sotto colore di temerlo, entrò nel castello, e trovando sbigottite le guardie, lasciò in luogo loro alcuni Italiani, ch'erano venuti con lui: e salito alle Regine, disse loro, che stessero di buon animo; e poco da poi ritornato nel suo palazzo, trovò ch'era stato gridato Re dalla plebe, e confermato da molti Baroni, anzi da tutti, parte con parole, e parte con silenzio, perchè quelli ch'erano dalla parte del Re Maria, per timore del Popolo non ebbero ardire di contraddire; onde volle che si mandasse da parte di tutti i Baroni, Prelati e Popolo, uno, che dicesse al Re Maria, come per beneficio del Regno, che non potea essere ben governato da donne, aveano eletto nuovo Re, e comandavano, che ella lasciasse il Regno e la Corona, nè volesse contrastare alla volontà universale di tutto il Regno.

 

Le povere Regine a questa imbasciata per un pezzo restarono attonite; ma poi il Re Maria generosamente rispose: Io mai non cederò la Corona ed il Regno mio paterno; ma voi seguitate quella via, che avete presa, ch'io se non potrò contrastare spero, che quando vi pregherò per la memoria di Lodovico mio padre, che mi vogliate lasciare andare in Boemia a ritrovare mio marito, non sarete tanto discortesi, che avendomi levato il Regno ereditario, mi vogliate ancora levare la libertà, e questo poco d'onore, che vi cerco per ultimo ufficio della fedeltà, che mi avete giurata, della quale siete tanto poco ricordevoli. Ma la Regina Elisabetta per risarcire la risposta della figlia, più generosa di quel che il tempo richiedeva, pregò colui, che venne a far loro l'imbasciata, che rispondesse ai Signori del Consiglio, che poichè le donne sono in questo imperfette, che non possono, o senza molto pensare, o senza consiglio risolversi nelle cose di tanta importanza, gli pregavano, che dessero loro tempo di rispondere; e partito che fu, si levò un pianto da loro e da tutte le donne ed uomini della Corte, che s'udiva per tutta la città, per la quale ancora molte persone discrete, e da bene andavano meste, che parea, che fosse spenta la memoria di tanti e sì grandi beneficj ricevuti, e che Iddio ne mostrerebbe miracolo contro il Regno, che sopportava tanta scelleratezza. Ma tornando nuova imbasciata al castello a dimandare alle Regine la corona, e lo scettro, la Regina Elisabetta saviamente confortò la figlia, che poichè col contrastare non potean far altro effetto, che porre ancora in pericolo le vite loro, volesse cedere ed uscire del castello, avanti che il Popolo furibondo venisse a cacciarle: ammonendola, che Dio vendicatore delle scelleraggini l'avrebbe per qualche via sollevata, e ricordandole del costume efferato degli Ungheri, che un dì per furia sono crudelissimi e ferocissimi animali, e l'altro, mancata la furia, sono vili pecore, e come non pensano a quel che fanno, si pentono spesso di quel che hanno fatto: pigliata la corona andò a visitare Re Carlo, lasciando la figlia in amarissimo pianto; ed essendo ricevuta da Carlo con grand'onore, cominciò a dirgli queste parole: Poich'io veggio il Regno d'Ungaria, per l'aspra e crudele natura degli Ungheri, impossibile ad essere ben governato per mano di donne, ed è volontà di tutti, che mia figlia ne sia privata, io l'ho confortata, e per l'autorità, che ho con lei, come madre le ho comandato, che ceda alla volontà loro ed alla fortuna, ed ho piacere, che sia più tosto vostro, che discendete dalla linea di Re Carlo, che di altri; ma almeno vi priego, che ne lasciate andare in libertà. Il Re rispose cortesissimamente, che stesse di buon animo, che avrebbe lei in luogo di madre e la figliuola in luogo di sorella, e ch'era per contentarle di quanto desideravano, e fu tanta la prudenza e la costanza di questa donna, e seppe si ben dissimulare l'interno dolor suo e della figlia, che per la città si sparse fama, che di buona voglia avessero rinunziato il Regno al Re Carlo lor parente; e l'istesso Carlo ancora in questo ingannato, mandò a convitarle alla festa dell'Incoronazione, che avea da farsi in Alba, e le donne con mirabile astuzia vi andarono insieme con lui, come fossero esse ancora partecipi della festa, e non condotte là per maggior dolore e più grave loro scorno.

Venuto il dì della Coronazione, Re Carlo posto nella sedia regale, fu coronato dall'Arcivescovo di Strigonia, di cui è particolar ufficio coronar coloro, che i Baroni, Prelati e' Popoli eleggono per Re; e quando fu a quella cerimonia di voltarsi dal palco, e dimandare tre volte a' circostanti, se volevano per Re Carlo, quanto più alzava la voce, tanto con minor plauso gli veniva risposto, perchè in effetto la terza volta non risposero, se non quelli che aveano proccurata la venuta di Carlo; e senza dubbio la presenza delle due Regine commosse a grandissima pietà la maggior parte della turba, e massimamente quelli, che più si ricordavano dell'obbligo, che tutto il Regno avea alle ossa del Re Lodovico; e si conobbe subito un pentimento universale tra coloro, ch'erano condescesi alle voglie de' fautori di Carlo, ed un raffreddamento negli animi d'essi fautori, tanto più che successe una cosa, presa per pessimo augurio, che finita la Coronazione, volendo Re Carlo tornare a casa, colui, che portava innanzi, com'è solito, la bandiera, che fu di Re Stefano (quegli che per le virtù sue fu canonizzato per Santo) non avendo avvertenza nell'uscire della porta di abbassarla, la percosse nell'architrave della porta della chiesa; e com'era per vecchiezza il legno e la bandiera fragile, si ruppe e lacerò in più parti: e da poi nel dì medesimo, venne sì grave tempesta di tuoni e di venti, che gl'imbrici delle case andavano volando per l'aria, e molte case vecchie e debili caddero con grandissima uccisione; ed a questo s'aggiunse un altro prodigio, ch'una moltitudine infinita di corbi entrarono con strepito grandissimo nel palazzo reale, che fu una cosa molestissima a sofferire, massimamente non potendosi in niun modo cacciare, e per questo stavano gli animi di tutti quasi attoniti; del che accorto Re Carlo cominciò a dimostrare di farne poca stima, e di dire, che queste erano cose naturali, e l'averne paura era ufficio femminile.

Le due Regine ridotte nel castello non aveano altro refrigerio, che i buoni ufficj di Niccolò Bano di Gara, il quale con grandissima divozione fu loro sempre appresso, confortandole e servendole; e perchè già s'accorgevano del pentimento degli Ungheri, e della poca contentezza, che s'avea della coronazione di Re Carlo, cominciarono a rilevarsi d'animo; e ragionando un dì il Re Maria e la madre a Niccolò del modo, che potea tenersi di ricovrar la perduta dignità e '1 Regno, Niccolò disse loro, che quando a loro piacesse avrebbe fatta opera, che Re Carlo fosse ucciso: queste parole furono avidamente pigliate dalle due Regine, e ad un tempo risposero, che non desideravano cosa al mondo più di questa: e Niccolò pigliando in sè l'assunto di trovar l'omicida, diede a loro il carico di adoperarsi, che 'l Re venisse in camera loro, e mentre egli attese a far la parte sua, le Regine con la solita dissimulazione trovarono ben modo d'obbligare il Re a venire all'appartamento loro, perchè la Regina Elisabetta disse, che avrebbe fatta opera, che Sigismondo sposo della figliuola avesse ceduto, come avean esse ceduto al Regno, purchè il Re con alcuni non gravi patti ne avesse mandata la moglie in Boemia; e poichè Re Carlo ebbe inteso con molto suo piacere questo pensiero della Regina, la ringraziò molto, e la pregò, che conducesse questo trattato a fine, ch'egli era per conceder, non solo, che se n'andasse la Regina giovane al marito, ma che si portasse ancora tutti i tesori reali, occulti, e palesi: e dopo alcuni dì, avendo Niccolò trovato un valentissimo uomo chiamato Blasio Forgac, persona intrepida, che avea accettata l'impresa d'uccidere il Re, e condottolo nel castello, avendo ad una gran quantità de' suoi confidenti ordinato, che venissero parte nel castello e parte restassero fuori con armi secrete; le Regine mandarono a dire al Re, che aveano lettere da Sigismondo piene d'allegrezza, e 'l Re, che non desiderava altro, si mosse ed andò subito alla camera loro, e posto in mezzo nel tempo, che volevano mostrargli la lettera, entrò Niccolò sotto specie di volere invitare il Re, e le Regine alle nozze di una figlia sua, e con lui entrato Blasio, il quale subito con una spada ungara diede una ferita al Re in testa, che gli calò fino all'occhio. Il Re gridando cadde in terra; e gl'Italiani che 'l videro caduto, e versare una grandissima quantità di sangue, pensarono tutti a salvarsi; in modo, che Blasio non ebbe alcuna fatica per ponersi in sicuro, perchè subito concorsero i parteggiani di Niccolò, e se n'uscì dal castello colla spada insanguinata; e Niccolò accortosi della paura della guardia del Re, e degl'Italiani, senza contrasto pose le guardie al castello di persone tutte affezionate alle Regine. Poichè il Re fu ridotto ferito alla camera sua, e si conobbe dagli Italiani non essere speranza alcuna alla vita sua, cominciarono a fuggire e salvarsi col favore di alcuni Ungheri, che aveano tenuta la parte del Re Carlo; la notte poi grandissima moltitudine, non solo de' cittadini di Buda, ma delle ville convicine, concorsa al rumore di sì gran fatto, cominciò a gridare: Viva Maria figlia di Lodovico, viva il Re Sigismondo suo marito, e mora Carlo tiranno, e traditori seguaci suoi: e col medesimo impeto saccheggiarono le case di quanti mercanti Italiani erano in Buda. Le Regine allegre fecero portare il Re Carlo così ferito a Visgrado, simulando di fargli onore, con mandarlo a seppellire dove era solito di seppellirsi gli altri Re d'Ungaria, e sono alcuni che dicono, che per non aspettare che morisse della ferita lo fecero, o avvelenare o affogare, perchè s'intendea, che Giovanni Banno di Croazia, Capo de' fautori di Carlo, con gran numero di valenti uomini veniva a favore del Re per farlo governare. Il corpo del Re, poichè fu morto, fu condutto a seppellire alla chiesa di S. Andrea com'era costume di seppellire gli altri, ma poco da poi venne ordine da Papa Urbano, che fosse cavato da chiesa, essendo morto scomunicato e contumace di Santa Chiesa.

Questo fu il fine di Re Carlo III di Durazzo, del quale si potea sperare, che avesse da riuscire ottimo Principe, se non s'avesse fatto accecare dall'ambizione, e si fosse contentato di possedere quel Regno, che con qualche colorato titolo parea che possedesse. Fu, secondo che narra Paris de Puteo249, di sua persona valoroso, anzi valentissimo ed amatore de' Letterati, ancorchè nel Regno suo torbido e fluttuante pochi ne fiorissero, affabilissimo con ogni persona e molto liberale; solo fu tacciato di crudeltà ed ingratitudine verso la Regina Giovanna e le cognate sorelle della moglie, del che solamente potea scusarlo la gelosia del Regno. Di lui non abbiamo leggi, che si lasciasse, come gli altri Re suoi predecessori. Visse anni quarantuno, e regnò in Napoli anni quattro e cinque mesi, da agosto 1381 fin a' 6 febbraio 1386. Lasciò di Margarita sua moglie due figliuoli, Giovanna già grandetta, e Ladislao ch'era di dieci anni.

CAPITOLO III

Di Re Ladislao e sua acclamazione. Nuovo Magistrato istituito in Napoli. Guerre sostenute col Re Luigi II d'Angiò competitore di Ladislao

Giunta in Napoli l'infelice novella della morte di Re Carlo, la Regina Margarita, ancorchè per qualche tempo proccurasse tenerla occulta, nulladimanco, essendo poi venuta a Roma a Papa Urbano, non potendo ella celarla più, la pubblicò alla città; e con dimostrazione d'infinito dolore celebrò l'esequie, essendo rimasta vedova di trentotto anni ed afflitta, per la poca età del figlio, e per lo timore degli nemici. Furono molti, che le persuasero, che facesse gridare se stessa per Regina, poichè il Regno apparteneva a lei, come nipote carnale della Regina Giovanna I. Ma vinsero quelli che le persuasero, che facesse gridare Re Ladislao suo figlio, col dubbio che il Papa non avesse potuto dire, che la Regina Giovanna non potea trasmettere agli eredi il Regno, essendone stata privata in vita per sentenza, come scismatica. Fu per tanto gridato a' 25 febbraio 1386 per tutta Napoli Re Ladislao, che avea poco più di dieci anni; e la Regina la prima cosa che fece, mandò per Ambasciadore al Papa Antonio Dentice, per mitigarlo, supplicandolo umilmente, che con l'esempio di colui, del quale era Vicario in terra, volesse scordarsi dell'offese del padre, e pigliare la protezione dell'innocente fanciullo, prendendosi quelle Terre del Regno, ch'e' volesse, per darle a' suoi parenti. Il Papa parte mosso a pietà, parte sazio d'aver veduto morto Re Carlo, e parte per disegno di poter disporre di gran parte del Regno, rispose, fuor della natura sua, benignamente, e creò Gonfaloniero di Santa Chiesa Ramondello Orsino, e per un Breve Appostolico gli mandò a comandare che pigliasse la parte del Re Ladislao, e per lo Vescovo di Monopoli suo Nunzio gli mandò ventimila ducati, acciocchè potesse assoldare più genti di quelle che tenea, e con questo la Regina restò alquanto confortata.

 

Ma Margarita, come donna poco esperta ad un governo tale ed a tal tempo, essendo a lei detto dai suoi Ministri, che le maggiori armi e forze per mantener i Regni sono i danari, avea cari più degli altri quei Ministri, che più danari facevano, senza mirare, se gli facevano per vie giuste o ingiuste, nè dava udienza a coloro che venivano a lamentarsi. Oltra di ciò, avea abbracciata tanto volentieri, ed impressasi nella mente così tenace l'opinione di far danari, che le erano sospetti tutti coloro, ch'entrassero a consigliarla altramente, senza por mente alle persone, se fossero di autorità, e se fossero affezionate alla parte sua. A questo aggiunse di più, che trovandosi aver fatta mala elezione de' primi Uffiziali, e creando poi gli altri a relazione e voto de' primi, quelli non proponevano se non persone dependenti da loro, mirando poco se fossero abili o inabili, onde perderono ogni speranza i Dottori e gli altri uomini prudenti e di giudizio, di potere avere parte alcuna ne' Governi e negli altri Ufficj; e quindi ogni dì si vedean fatti mille torti tanto a' cittadini quanto a' nobili. Per questo i cinque Seggi uniti col Popolo deliberarono di risentirsi, e crearono un nuovo Magistrato che fu chiamato degli Otto Signori del Buono stato, che avessero da provedere, che da' Ministri del Re non si avesse a far cosa ingiusta. Questi otto furono Martuccello dell'Aversana per Capuana, Andrea Carafa per Nido, Giuliano di Costanzo per Portanova, Tuccillo di Tora e Paolo Boccatorto per Montagna e per Porto, Giovanni di Duca, nobili, ed Ottone Pisano, e Stefano Marsato popolani, i quali cominciarono con grandissima autorità ad esercitare il loro Magistrato, andando ogni dì un di loro a' Tribunali, a vedere quel che si facea, affinchè non fosse fatto torto ad alcuno. Talchè in breve parve, che fossero più temuti essi dagli Ufficiali, che gli Ufficiali dal resto della città; nè perchè la Regina col suo Supremo Consiglio facesse ogni sforzo, bastò ad abolire tal Magistrato; onde entrò in grandissimo timore di perdere Napoli, come in breve succedette.

Intanto la Regina Maria vedova del Re Luigi I e madre del picciolo Re Luigi, avendo la protezione di Clemente, era presso il Papa in Avignone a proccurare l'investitura, e lo ristabilimento del suo figliuolo nel Regno, e stante la minorità del medesimo, erasi dichiarata sua governatrice e balia; ma Clemente che non meno degli altri suoi predecessori, pretendeva il Baliato appartenere alla Sede Appostolica, non volle darla, se prima non si pensava il modo da tenere, per togliere questa difficoltà: onde concertato l'affare coi Cardinali e Ministri della Regina, fu risoluto, che la Regina Maria in pubblico Concistoro dimandasse al Papa ed al Collegio il Baliato, siccome fu fatto, e Clemente assentì; da poi il Re e la Regina diedero il giuramento di fedeltà ed omaggio, ed il Papa investì Luigi del Regno, dandogli in segno dell'investitura lo stendardo, e ne gli spedì Bolla nel mese di maggio dell'anno 1385250.

La fazione Angioina riconoscendo altro Papa ed altro Re, e fra gli altri Tommaso Sanseverino Gran Contestabile, e Capo della parte Angioina, e della famiglia sua, subito che intese la disposizione in cui stava la città di Napoli, si usurpò il titolo di Vicerè per parte di Luigi II Duca d'Angiò ch'era assente, e convocò un Parlamento per lo ben pubblico ad Ascoli, nel quale vennero tutti i Baroni che aveano seguita quella parte, e con l'esempio di Napoli che avea creati gli Otto del Buono stato della Città, furono eletti in quel Parlamento sei Deputati per lo Buono stato del Regno. Questi furono Tommaso suddetto, Ottone Principe di Taranto, Vincislao Sanseverino Conte di Venosa, Niccolò di Sabrano Conte d'Ariano, Giovanni di Sanframondo Conte di Cerreto, e Francesco della Ratta Conte di Caserta. Nel Parlamento fu anche conchiuso, che avessero tutti i Deputati da unirsi a Montefuscolo con tutte le forze loro, e così fu fatto, perchè due mesi dopo il Parlamento comparvero tutti, e fatto un numero di quattromila cavalli, e duemila fanti, vennero a tentare Aversa, e non potendola avere, vennero a porre il Campo due miglia lontano da Napoli; e mandarono Pietro della Mendolea in Napoli a tentar gli animi degli Otto del Buono stato, ed a sollecitargli che volessero rendere la Città a Re Luigi II d'Angiò, erede della Regina Giovanna I. Gli Otto risposero che non erano per mancare della fede debita al Re Ladislao, ed andarono subito a trovar la Regina, e ad offerirsi d'intervenire alla difesa della città. La Regina adirata, lamentandosi, che tutto quel male era cagionato dal governo loro, stette in punto di fargli carcerare; ma se n'astenne per consiglio del Duca di Sessa, che allora era in Napoli e lor disse, che attendessero a guardar bene la città, perchè verrebbe presto il Confaloniere della Chiesa, ch'era al Contado di Sora a far genti per soccorrerla. Pietro ch'era stato in Napoli due giorni, se ne ritornò al campo con la risposta degli Otto, e disse che Napoli non poteva tardar molto a far novità perchè avea lasciata la plebe alterata, ed i padroni delle ville dolenti di non poter uscire a far la vindemia. Nè fu vano il pronostico, perchè fermandosi il campo dove stava, ad ogni ora correvano i villani ad annunziare a' padroni delle ville i danni che facevano i soldati agli arbusti; onde a' 20 settembre si mossero alcuni cittadini, ed andarono a S. Lorenzo a trovare gli Otto, e far istanza che provvedessero: questi davan loro parole e speranza che fra breve verrebbe il Confaloniere coll'esercito del Papa a liberargli; ma il Popolo minuto che a que' dì soleva uscire per le ville, e portarne uve ed altri frutti, vedendosi privo di quella libertà in tempo che più ne avea bisogno, corse con gran tumulto a S. Lorenzo, e, prese l'armi, sarebbe trascorso a far ogni male, se accorsi da una parte molti Cavalieri e Nobili in difesa degli Otto, e dall'altra interpostisi alcuni gentiluomini vecchi e popolani di rispetto e prudenti, non avessero sedato il rumore. Questi ponendosi in mezzo fra la plebe ed i nobili, cominciarono a trattare con gli Otto il modo d'acquetar il tumulto, ed infine gli Otto temendo che la plebe non corresse ad aprire la porta del mercato a' Deputati del Regno, vennero a contentarsi di trattar una tregua che i cittadini potessero uscire per le loro ville, ed i soldati de' Deputati potessero a trenta insieme entrare nella città, per quel che loro bisognava.

La Regina, che per l'odio che portava agli Otto, avea avuto piacere di questo tumulto, con isperanza, che la plebe gli avesse tagliati a pezzi, ebbe dispiacere quando intese, che n'era uscita questa tregua, per la quale tutti que' del suo Consiglio diceano che Napoli potea tenersi per perduta; onde per darci qualche rimedio operò, che l'Arcivescovo Niccolò Zanasio, che al Bozzuto era succeduto251, l'Abate di S. Severino, ed alcuni altri Religiosi cavalcassero per la città, sollevando un'altra volta la plebe, con dire, ch'era vergogna, che un popolo così cristiano ed amato tanto da Papa Urbano vero Pontefice, sopportasse, che praticasser per Napoli i soldati dell'Antipapa scismatico; e mentre andavano predicando con simili parole, alcuni nobili di Portanova cominciarono a riprendergli, con dir loro, ch'era ufficio di mali Religiosi andar concitando sedizioni e discordie, e massimamente ad un popolo, al quale essendo una volta tolto il freno, poi non se gli può agevolmente riporre; e rispondendo l'Arcivescovo superbamente, e più gli altri, ch'erano con lui, fidandosi all'Ordine Sacro furono alcuni di loro malamente conci e feriti. Ma due dì da poi, essendo venuto avviso alla Regina che Ramondello veniva con molta gente, i Ministri della Regina senza fare stima degli Otto, si armarono con tutti coloro, ch'erano della fazione di Durazzo, sotto pretesto di voler cacciare i soldati, ch'erano entrati; ma poi corsero alle case d'alcuni Cavalieri, ch'erano reputati affezionati alla parte Angioina, i quali, prese l'armi, cominciarono gagliardamente a difendersi: gli Otto mandarono subito a dire all'una e all'altra parte che posassero l'armi, e non meno da questo comandamento, che dalla notte, che sopravvenne, la zuffa fu divisa. Ma il dì seguente essendo giunto l'avviso, che Ramondello era a Capua, gli Otto e quelli della parte Angioina temendo d'essere sterminati, mandarono a dire a Tommaso Sanseverino, che trasferisse il Campo alle Correggie, dove la sera venne. Vennero ancora in questo tempo di Provenza due galee, mandate dal Re Luigi con venticinquemila ducati per la paga de' soldati; il che inteso dalla Regina Margarita, si partì dal castel dell'Uovo, ove erasi ritirata, e disperando dello stato del figliuolo, se ne andò a Gaeta che fu a lei, ed a Ladislao sempre fedele, dove durando queste guerre, stette per tredici anni. Ma appena giunto la sera il campo nemico alle Correggie, la mattina seguente all'alba venne Ramondello, ed entrò come nemico nella città per la porta Capuana, che gli fu subito aperta, perchè la città fin a quell'ora stava nella fede del Re Ladislao, e fece gridare: Viva Urbano, e Re Ladislao. Gli Otto del Buono stato con la maggior parte de' Nobili, stavano a Nido armati, gridando: Viva Re Ladislao, e 'l Buono stato. Ma Ramondello, giunto che fu a Nido, diede sopra di essi, e gli ributtò con morte di molti, sin a' cancelli di S. Chiara; allora si mossero que' di Portanova e di Porto, ch'erano della parte Angioina, ed andarono ad aprire Porta Petruccia: onde entrato l'esercito de' Deputati, una parte corse a dar soccorso agli Otto e l'altra con gran furia diede sopra a' soldati di Ramondello, gridando: Viva Re Luigi, e Papa Clemente. Questi cominciando a cedere, obbligarono Ramondello a ritirarsi a Nola, onde la città venne interamente in mano di Tommaso Sanseverino, il quale rimasto vincitore, richiesto dagli Otto del Buono stato, provide con molti banni, che non fosse fatta violenza alle case della parte contraria, e 'l dì seguente fatto salvocondutto a tutti, fece giurare omaggio nella chiesa di S. Chiara in nome di Re Luigi II, del quale si faceva chiamare Vicerè, e lasciando pochi soldati dentro la città, distribuì gli altri per li Casali.

247Bonfinio Hist. d'Ungaria, Costanzo lib. 8.
248Se dovranno attendersi gli Scrittori rapportati da Struvio Syntag. Hist. Germ. Dissert. 24 § 35 l'Imperatore Carlo IV a quei tempi era già morto; poichè narrano esser accaduta la sua morte in Praga la vigilia di Sant'Andrea Apostolo nell'anno 1378.
249Paris de Puteo lib. de Duello, cap. 14 lib. 9.
250V. Baluz. in Notis ad Vitas PP. Aven. tom. 1 pag. 1253.
251Ughell. tom. 5. Ital. sacr. de Archiep. Neap. pag. 207.