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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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CAPITOLO VIII

Re Ladislao tenta nuove imprese in Italia: sua morte, sue virtù e suoi vizj; ed in che stato lasciasse il Regno alla Regina Giovanna II, sua sorella ed erede

Ladislao, restando fuori della sua credenza libero da ogni sollecitudine, per la partita di Luigi, cominciò per vendicarsi di Papa Giovanni, ad infestar lo Stato ecclesiastico. Stava allora il Papa in grandissima confusione, perchè ristretto con gl'intimi suoi nel consultarsi dell'andata al Concilio, trovò diversi pareri; poichè molti consigliavano, che non andasse, e tra costoro uno era Cosmo di Medici fiorentino, uomo di grandissima prudenza, che gli disse, non convenire nè al decoro dell'autorità pontificale, nè alla dignità d'Italia, di andare comandato a sottomettersi in mano ed al giudizio di Barbari; ma essendo egli di grande spirito, e confidando nella giustizia, che gli parea di avere, essendo stato eletto Papa universale da quelli stessi Cardinali, che aveano rifiutato Benedetto e Gregorio, come Antipapi, deliberò di andare, opponendo alle ragioni contrarie una ragione assai probabile, dicendo che non era bene, che in contumacia sua, facesse fare un altro Papa in Germania; il qual calando poi col favor dell'Imperadore in Italia a tempo ch'egli era inimicato con Re Ladislao, l'avesse consumato e cacciato dalla sede. Prima però che si partisse, tentò di pacificarsi con Ladislao, mandando il Cardinal Brancaccio per questo effetto in Napoli, uomo per vita, e per età venerabile, il quale, benchè Ladislao, conoscendo la necessità del Papa stesse duro, pure con destrezza e diligenza l'indusse ad accettar la pace, per virtù della quale il Re liberava un fratello ed alcuni parenti del Papa, ch'erano prigioni, e riceveva dal Papa ottantamila fiorini.

In quest'anno 1412 la Regina Margarita, ch'era stata molti anni a Salerno, città data a lei per appanaggio, insieme con altre Terre e con la città di Lesina in Capitanata, partendosi da quella città per la peste che vi era, se n'andò all'Acqua della Mela, Casale di S. Severino, ove ammalatasi, nelle proprie braccia del Re suo figliuolo a' 7. agosto morì, e fu con onorevolissime esequie portato il cadavere nella chiesa di S. Francesco di Salerno, ove le fece fare un gran sepolcro di marmo con iscrizione secondo l'uso di que' tempi, che ancor oggi ivi si vede.

Papa Giovanni essendosi già risoluto d'andare al Concilio, avea lasciato Braccio Capitano della Chiesa, perchè debellasse Francesco di Vico, il qual era ribello della medesima, e s'intitolava Prefetto di Roma: Re Ladislao, che non sapeva star in ozio, intesa la partenza del Papa, soccorse il ribelle; per la qual cosa Braccio scrisse al Papa, che il Re avea rotta la pace. Ma le cose del Concilio andavano per Giovanni tanto travagliate, che l'avean fatto lasciare in tutto il pensiero delle cose d'Italia; onde Ladislao, lasciato ogni rispetto della pace l'anno seguente 1413 occupò Roma, e proccurò ancora con grande arte che oltre a Sforza, venisse al di lui soldo anche Paolo Orsino; poichè l'uso di que tempi era, che i Capitani di ventura finito il soldo con un Principe, solevano andare a servire un altro, senza che restasse rancore nel primo, che aveano servito; con tutto ciò Paolo conoscendo il Re di natura vendicativo, stava pur sospeso; e credendo che la sola di lui fede non gli bastasse, volle dal Re sicurtà, che li fu data. Vennero perciò Paolo, ed Orso Orsini con molte compagnie di genti d'arme bene in ordine, e 'l Re gli mostrò buon viso. Ma covando dentro il pensiero di fargli morire, volle farsi benevolo Sforza, al quale, ancorchè pure l'odiasse, siccome odiava tutti i Capitani di ventura, nulladimanco gli portava più rispetto, e dubitava più di romper la fede a lui, che agli altri. Erasi per tanto Ladislao apparecchiato per la guerra di Toscana; ed i Fiorentini sospetti della sua ambizione cercavano di prepararsi alla difesa della loro libertà. Ma Ladislao per sorprendergli mostrava altrove voler volgere le sue truppe; onde partito di Roma, ed avendo agevolmente occupate tutte le Terre della Chiesa, distribuì per quelle i Capitani e le genti ed egli si fermò a Perugia con disegno di non scoprire per alcuni dì l'animo suo, volendo tenere in timore tutte le Terre di Toscana, di Romagna e di Lombardia, per taglieggiarle: mandarono subito Ambasciadori, Fiorenza, Lucca, Siena, Bologna ed altre Terre, ed egli fece buon viso a tutti egualmente; ma nel parlare era ambiguo, mostrando segno talora di voler passare in Lombardia. Ma all'ultimo accettando dall'altre Terre l'offerte de' presenti, andava trattenendo in parola gli Ambasciadori fiorentini, i quali tennero per certo, che l'animo suo era di assaltar Fiorenza, e per questo presero un sottile ed industrioso partito; poichè avendo inteso, che'l Re stava innamorato della figliuola d'un Medico perugino, con la quale spesso si giaceva, è fama, che avessero con gran somma di denari subornato il Medico, acciocchè per mezzo della figliuola l'avesse avvelenato: che il Medico indotto dall'avarizia, anteponendo il guadagno alla vita della figliuola, l'avesse persuasa ad ungersi le parti genitali d'una unzione pestifera, quando andava a star col Re, dandole a credere, che quella fosse una composizione atta a dare tal diletto al Re nel coito, che non avrebbe potuto mai mancare dall'amor suo; e che per questo il Re si fosse infermato d'un malo al principio lento ed incognito; nel qual tempo essendo venuto Paolo ed Orso a visitarlo, fece prendere amendue, e porgli in carcere strettissimo; ed essendo tutti i Capitani venuti a pregarlo, che non volesse rompere la fede data, il Re loro rispose, che avendo saputo che, Paolo teneva pratica co' Fiorentini di tradirlo, era stato astretto per assicurarsi, di farlo arrestare; ma quando non fosse vero, l'avrebbe liberato. Fu questa istanza e trattenimento molto opportuno per la lor salute, perchè aggravandosi il male, e partendosi il Re da Perugia per venirsi ad imbarcare su le galee ad Ostia, quando volle condur seco i prigionieri, i Capitani elessero il Duca d'Atri, che andando sotto colore di far compagnia al Re, aresse da provvedere, che i prigioni non fossero gittati in mare. Giunto il Re ad Ostia si imbarcò assai grave del male, e quasi farneticando mostrava, che ogni suo intento non era in altro, se non che i prigioni non fuggissero; e giunto a Napoli a' 2 d'agosto di quest'anno 1414 fu dalla marina portato in lettiga al castello, e subito che fu messo in letto comandò, che Paolo fosse decapitato. Il Duca d'Atri parlò con Giovanna sorella del Re, che governava il tutto, perchè la Regina moglie stava più a modo di prigioniera, che di Reina, e dissele quanto potea pregiudicare all'anima ed allo Stato del Re, se un tal personaggio fosse stato senza legittima cagione fatto morire; ed operò, che la mattina seguente quelli, che vennero a visitar il Re, dissero, che a Paolo era stata mozza la testa ed il corpo tagliato in quarti. Nè perchè mostrasse il Re di questo grandissimo piacere, mancò un punto la violenza del male, per la quale giunto il sesto dì d'agosto uscì di vita con fama di mal Cristiano. Giovanna, perch'era morto scomunicato, lo mandò senza pompa a seppellire a S. Giovanni a Carbonara. Ma poi gli fece fare quivi un sepolcro per la qualità di que' tempi assai magnifico e reale, che ancor oggi si vede.

Morì Ladislao non avendo ancor compiti ventiquattro anni di Regno, come di lui cantò il Sannazzaro:

Mors vetuit sextam claudere Olympiadem: e visse trentanove anni. Nel suo regnare, come suole avvenire, che si siegua l'esempio del Principe, fiorirono le armi, e si diede bando alle lettere; perciò non leggiamo noi in questi tempi que' chiari Giureconsulti e tanti altri Letterati, che sotto il Regno di Roberto e di Giovanna sua nipote fiorirono. Le tante guerre in un Regno diviso, e dove sovente due regnavano, obbligavano i Popoli a tener più le armi in mano, che i libri; quindi non si vide, che per meglio stabilire il governo civile e politico, si pensasse a far nuove leggi, a riordinar i Tribunali e l'Università degli studj: di Ladislao solamente una legge abbiamo tra' Capitulari de' Re angioini; poichè i due Re contendenti, Luigi e Ladislao, tenea ciascuno la sua Corte ed i suoi Ufficiali; quindi nacque quella confusione, che osserviamo in questi tempi tra i sette Ufficiali della Corona, dei quali non potè tenersi certa e continuata serie e successione. Per quest'istessa cagione leggiamo ancora nello stesso tempo due G. Contestabili, due G. Protonotarj e così degli altri, e sovente mancare e poi esser l'Ufficiale rifatto e restituito, secondo mancavano o si restituivano nel dominio i Principi contendenti.

L'animo bellicoso ed invitto di Ladislao, siccome nel Regno restituì la disciplina militare, così l'accrebbe di Baroni, e non poco impoverì il regal patrimonio per tante vendite e concessioni di Feudi che fece; onde anche per questa parte si vide notabile cangiamento. Prima pochi erano i Baroni e molto più pochi i Conti. De' Duchi (poichè i Principati sol erano de' Reali, o di coloro al lor sangue congiunti) non s'intese altro, che quello d'Andria nella casa del Balzo e l'altro di Sessa nella casa Marzano: poi nel tempo, che corse dalla morte di Giovanna I al regno di Ladislao, alcuni Signori, che nutrivano genti d'arme, occupavano le Terre e si usurpavano i titoli a lor modo e tra costoro fra' Sanseverineschi fu Vincislao Sanseverino, il qual vedendo nella casa del Balzo e di Marzano questo titolo, s'usurpò anch'egli il titolo di Duca di Venosa. Tra' Signori Acquaviva l'istesso fece il Duca d'Atri, nella cui casa se bene il Marchese di Bellante, disceso da questo Duca, dicesse ad Angelo Costanzo, che nella Casa Acquaviva venisse il titolo di Duca per privilegio della Regina Giovanna II, che regnò alquanti anni da poi; nulladimanco prima di questo tempo scrive il Costanzo261 trovar titolo di Duca in questa casa nel libro del Duca di Monteleone di carta e carattere tanto antico che si mostra che fu scritto a quelli tempi, siccome anche l'avea letto nelle Annotazioni di Pietro d'Umile che accuratamente scrisse le cose del Re Ladislao, e parte della Regina Giovanna II; ond'è che l'uno e l'altro sia verissimo, e che questo Duca d'Atri, che si trovò alla morte di Ladislao, e 'l padre, che fu Generale a Taranto, si fossero chiamati Duchi avanti, che ne avessero il privilegio dalla Regina Giovanna II. Ed è veramente cosa degna da notarsi, che tra le tante revoluzioni e cangiamenti, che per lo corso di più secoli abbiamo veduti in questo Regno, questa sola famiglia avesse ritenuto nella sua casa questo titolo, e col titolo anche il dominio di quelle medesime Terre, che li famosi gesti de' suoi illustri predecessori da tanti secoli s'aveano acquistate. Alcune altre, come quella di Sanseverino; i Ruffi del Contado di Sinopoli; i Capua del Contado d'Altavilla, ed altri, ritengono ancora questi titoli, cioè di Conti, come prima i loro antenati erano, non già di Duchi. Il Ducato di Andria, e l'altro di Sessa sono più antichi; ma da altre famiglie sono ora posseduti.

 

De' Marchesi, ancorchè nel resto d'Italia si cominciassero a sentire, nel nostro Regno non ve n'era alcuno; e solo nel Regno di Ladislao s'intese Cecco del Borgo Marchese di Pescara, e notò il Costanzo, che prima di costui non trovò, che altri avesse titolo di Marchese nel Regno di Napoli.

I Conti, ancorchè nel Regno, non meno degli Angioini, che de' Svevi e Normanni, fossero non pochi, ne' tempi di Ladislao si accrebbe molto il numero, de' quali il Summonte ne tessè lungo catalogo; ma per le tante concessioni di Feudi, che fece questo Principe, il numero di Baroni crebbe non poco. Oltre ad essere stato stretto sovente dal bisogno per mantener tante guerre, vendergli a prezzo vilissimo, era Ladislao fuor di misura liberalissimo; e quando aveva e quando gli mancava, non poneva mente nè a giusto, nè ad ingiusto per aver denari. Essendo amatore di uomini valorosi e dilettandosi spesso in continue giostre e giuochi d'arme, come quegli ch'era valentissimo in ogni spezie d'armeggiare; a colui, dal quale vedea qualche pruova, non si poteva mai saziare di donare e far onore. Quando la seconda volta trionfò in Roma, sentendo gli apparati di Re Luigi, che col favore del nuovo Pontefice Alessandro faceva per l'impresa del Regno, lasciando il Conte di Troja in Roma, se ne venne egli a Napoli a provveder di danari; e narra Angelo di Costanzo262, che in quell'anno, secondo i registri che ritrovano, fece infinite vendite di terre e di castelli a vilissimo prezzo, non solo a Gentiluomini napoletani, ma a molti della plebe ed a Giudei poco innanzi battezzati. Vendè anche molti Ufficj ed insino al grado di Cavalleria, del che solea poi ridersi; e di alcune Terre faceva a persone diverse in un tempo diversi privilegi. Quando poi apparecchiossi alla guerra di Toscana, ritornò parimente in Napoli per far danari, e cominciò a vendere terre e castelli non solo di coloro, ch'erano giudicati e condennati per ribelli, ma di coloro eziandio, in cui non era una minima sospizione. Si vede nell'Archivio regio un registro grande di terre e castelli comprati da Gurrello Origlia per bassissimo prezzo, benchè il Re dicesse, che il più che valevano, il donava a conto di remunerazione. Ed è certamente cosa degna di ammirazione la grandezza di questo Gurrello, che in una divisione che fece tra' suoi figliuoli di quello che avea acquistato, si nominano tra città, terre e castelli più di sessanta, che di sei figli, non fu chi non ne avesse almeno otto; ma questa felicità ebbe pochissimo spazio di tempo, perchè la Regina Giovanna, che successe, gli spogliò d'ogni cosa. Parimente per farsi più benevolo Sforza donò a Francesco primogenito di lui Tricarico, Senisi, Tolve, Crachi, la Salandra e Calciano; la qual profusione si vide ancora praticata con gli Stendardi, Mormili ed altri, di cui Costanzo263 fece lungo catalogo.

Per questa cagione avvenne, che quando prima pochi Conti erano, che possedevano Contadi e molti Baroni, allora si videro assai più Conti e moltissimi Baroni, non pur cittadini delle altre città principali del Regno, ma anche molte famiglie di Napoli, ancor che fuori de' Seggi, si videro aver Feudi e castelli; e quando prima della rovina di tanti gran Baroni sterminati da Ladislao, non erano più, che diciassette famiglie in tutti i Seggi, che avessero terre e castelli e quelle poche e piccole; nella morte sua si trovarono aggiunte più di ventidue altre famiglie, particolarmente di quelle di Porta Nova e di Porto; i gentiluomini de' quali Seggi furono da lui mirabilmente e quasi per istituto naturale favoriti; e ciò oltra di quelle che non erano ne' Seggi, le quali o per dono o per vendita si videro con Feudi e Baronie.

Di tre mogli ch'egli ebbe, Costanza di Chiaramonte da lui repudiata, Maria sorella del Re di Cipro e la Principessa di Taranto, con niuna generò figliuoli; perciò gli succedette nel Regno Giovanna sua sorella. Oltre a queste mogli, essendo un Principe libidinosissimo, ebbe ancora molte concubine, cioè la figliuola del Duca di Sessa, un'altra chiamata la Contessella, di cui il Costanzo non potè trovar nome, nè cognome; e queste le teneva nel Castel Nuovo, da dove non si partirono, nè tampoco quando si casò colla Principessa di Taranto, di ch'ella tanto mostrossi ingiuriata, non avendo fatto almeno tanto conto di lei, che avesse fatte appartare quelle e mandarle al Castel dell'Uovo, dove stava Maria Guindazzo altra sua concubina. Ne ebbe ancora altre di Napoli e di Gaeta, tenendo persone deputate a questo fine, che glie le provvedessero delle più vivaci e più belle a somiglianza de' Soldani d'Egitto e degl'Imperadori Ottomani d'oggi. Sua sorella Giovanna non volle in ciò essere riputata meno di suo fratello; onde da poi che rimase vedova del Duca d'Austria, si provvide anch'ella di concubini, tanto che possiam dire, che Carlo III di Durazzo e la Regina Margarita sua moglie avessero dati al mondo due portentosi mostri di libidine e di laidezza. Di tante concubine sol da una donna di Gaeta generò un figliuolo bastardo chiamato Rinaldo, che l'avea intitolato Principe di Capua, se ben senza dominio, il quale lo casò con una figliuola del Duca di Sessa. Costui nelle tante rivoluzioni, che avvennero nel Regno di Giovanna sua zia, non parendogli di stare più in Napoli si ritirò in Foggia, dove ben veduto dalla Regina menò i giorni suoi, e quivi morì e fu sepolto nella chiesa maggiore di quella città, nella stessa cappella, dove era stato in deposito il corpo del Re Carlo I ceppo della Casa d'Angiò. Rimasero di lui un maschio chiamato Francesco e molte femmine. Francesco ebbe un sol figliuolo, nominato anch'egli dal nome dell'avolo Rinaldo; il quale casato con Camilla Tomacella, poco da poi se ne morì e fu sepolto nella medesima cappella, dove il padre, che poco appresso lo seguì, gli fece ergere un sepolcro con epitaffio, trascritto dal Summonte264, che ancor ivi si vede.

FINE DEL LIBRO VENTESIMOQUARTO

LIBRO VENTESIMOQUINTO

La morte del Re Ladislao pianta amarissimamente da tutti i Nobili napoletani e del Regno, che seguivano l'arte militare, dissipò in un tratto tutta quella buona disciplina e que' buoni ordini di milizia, che subito si rivolsero in una confusione grandissima; poichè, mancando le paghe, quasi tutti i soldati, lasciando i Capitani proprj, si ridussero sotto Fabrizio e Giulio Cesare di Capua e sotto i Caldori e sotto il Conte di Troja, li quali se gli condussero nelle Terre loro, e quivi sostentandogli aspettavano d'esser soldati da altre potenze, come alcuni d'essi fecero da poi. Ed in questo modo si dissipò in breve tutto quel grand'esercito, che militava sotto l'insegne di questo valoroso Re. E di tante Terre prese nella Campagna di Roma, solo si tenne Ostia e Castel di S. Angelo in Roma, in nome di Giovanna vedova del Duca di Austria, che il dì medesimo della morte di Ladislao suo fratello era stata da' Napoletani gridata Regina, senza che per allora si richiedesse investitura alcuna al Pontefice. Sforza avendo intesa la morte del Re venne in Napoli a trovarla e fermò la sua condotta con lei.

La città di Napoli, benchè si trovasse meno gran numero di Nobili della parte Angioina, li quali erano in Francia, e que' ch'erano in Napoli rimasi in gran povertà, nullamanco mentre vi regnò Ladislao stette pur molto in fiore, non solo per l'arte militare che era in uso con onore di tanti personaggi, ed utilità di tanti Nobili, che onoratamente viveano con gli stipendj; ma molto più gli Stati che in dono o in vendita avea Ladislao compartiti per le famiglie di tutti i Seggi e fuori di quelli ancora. Ma si scoverse subito nel principio del Regno della Regina Giovanna II tal mutazione di governo, che molti savj pronosticarono che in breve la parte di Durazzo non starebbe niente meglio dell'Angioina, con universale distruzione del Regno; poichè Giovanna, essendo Duchessa, s'era innamorata d'un suo Coppiere o come altri vogliono Scalco, chiamato Pandolfello Alopo, al quale secretamente avea dato il dominio della persona; quando poi si vide Regina, rotto il freno del timore e della vergogna, gli diede ancora il dominio del Regno, perchè avendolo creato G. Camerario, l'ufficio del quale come altrove fu detto, è d'aver cura del patrimonio e dell'entrate del Regno, e lasciando amministrare ogni cosa a suo modo, gli era quasi soggetto tutto il Regno. Ma praticando Sforza in Castello per trattar la sua condotta con la Regina, scherzando ella con lui molto liberamente, riprendendolo che non pigliava moglie: Pandolfello entrò in gelosia, perchè Sforza se ben'era di quarant'anni, era di statura bella e robusta, con grazia militare, atta a ponere su i salti la natural lascivia della Regina: e senza dar tempo che potesse passar più innanzi la pratica, disse alla Regina, che Sforza era affezionato a Re Luigi, e ch'avea mandato a chiamare le sue genti nel Regno, con intenzione di pigliar Napoli e se poteva il castello ancora e lei; e che quest'era cosa, che l'avea saputa per vie certissime e bisognava prestar provisione. La Regina non seppe far altro, che dire a lui, che provedesse e gli ordinò; che la prima volta, che Sforza veniva nel castello, se gli dicesse che la Regina era nella Torre Beverella; onde Sforza entrato là trovò tanti che lo disarmarono e lo strinsero a scendere al fondo dove stava Paolo ed Orso.

Quando questa cosa si seppe per Napoli, diede gran dispiacere alla parte di Durazzo, e massime a coloro ch'erano stati del Consiglio del Re Ladislao, i quali andarono tosto a dire alla Regina, che molto si maravigliavano, che col solo parere del Conte Pandolfello avesse fatto imprigionare Sforza tanto famoso e potente Capitano, dov'era necessario averne consiglio da tutti i savj di Napoli e di tutto il Regno, non solo degli altri della Corte, perchè ciò importava l'interesse non solo della sua Corona, ma di tutto il Regno, che anderia a sangue ed a fuoco, se le genti di Paolo si unissero con quelle di Sforza, per venire a liberare i loro Capitani. La Regina rispose che avea ordinato al Conte, che l'avesse conferito col Consiglio e che colui non avea avuto tempo da farlo per lo pericolo, ch'era nella tardanza; ma che avrebbe ordinato, che si vedesse di giustizia se Sforza era colpevole, e trovandosi innocente il farebbe liberare. Quelli fecero di nuovo istanza che si commettesse la cognizione della causa a Stefano di Gaeta Dottor di legge, e così fu ordinato.

 
261Costanzo lib. ii.
262Ang. Cost. lib. II in fin.
263Costan. lib. II.
264Summont. lib. 4 to. 2 pag. 602.