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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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CAPITOLO VI

Re Alfonso tenta rientrare nella grazia della Regina, ma in vano. Nozze di Re Luigi con Margarita figliuola del Duca di Savoia; sua morte, seguita poco da poi da quella della Regina Giovanna

Quando il Re Luigi, che stava in Calabria, ed avea fermata la sua sede in Cosenza, intese la morte del G. Siniscalco, si credette che la Regina lo mandasse subito a chiamare; ma la Duchessa di Sessa, che con questa morte era divenuta potentissima, persuase alla Regina che non lo chiamasse, e per trattenerlo gli fè commettere nuovi negozi in quella provincia: e per questo si crede, che quel Re per poca ambizione avesse perduto per se e per gli suoi successori questo Regno; il contrario di quel che avea fatto Re Alfonso, che per troppa ambizione se ne trovava fuori. Era allora Alfonso in Sicilia, e quando intese la novella della morte del G. Siniscalco, si rallegrò molto e molto più si rallegrò quando intese, che la Duchessa di Sessa era quella che governava; e confidando molto in costei, venne in speranza di essere chiamato dalla Regina, ed essere confermato nella prima adozione. Per non mancare a questa prima opportunità, venne con alcune galee in Ischia, che si tenea per lui, e cominciò segretamente con messi a pregare e trattare con la Duchessa, che avesse indotta alle voglie sue la Regina; ed avrebbe forse questo trattato avuto il suo effetto, se il troppo desiderio di Alfonso non l'avesse guasto; poichè non contento del maneggio della Duchessa, mandò a trattar col Duca di Sessa suo marito finchè alzasse le sue bandiere, perchè di grande l'avrebbe fatto grandissimo; del che subito che fu avvisata la Duchessa, ch'era capital nemica del marito, non solo converse in odio l'affezione che avea col Re Alfonso, ma accusò il marito alla Regina del trattato che tenea di ribellarsi, e fece che Ottino Caracciolo e gli altri del Consiglio supremo mandassero genti d'arme per lo Stato del Duca, acciocchè non potesse mutarsi a favore d'Alfonso, il quale vedendosi usciti vani amendui i maneggi, fece tregua per diece anni colla Regina, e se ne tornò con poca riputazione in Sicilia.

Nel seguente anno 1433 Margarita figliuola del Duca di Savoia fu sposata col Re Luigi, la quale partita da Nizza, dopo una crudelissima tempesta, arrivò a Sorrento molto maltrattata dal viaggio; la Regina voleva farla condurre in Napoli, con quell'onore che si conveniva, e mandare a chiamare il Re da Calabria, per far celebrare con pomposità lo sponsalizio in Napoli; ma la Duchessa di Sessa la distolse, dandole a sentire, che si guardasse di farlo, perchè avrebbe conturbato lo Stato, e che per quel poco tempo che le restava di vita, volesse vivere e morire Regina senza contrasto. E per questo la Regina, che mutava d'ora in punto sempre pensiero, mandò solamente a visitare la sposa ed a presentare, e di là quella Signora andò in Calabria, dove si fece la festa in Cosenza con le maggiori solennità che si poterono. Ma ben tosto fu tal nodo disciolto; poichè nel mese di novembre del seguente anno 1434, dopo avere Re Luigi in quella state guerreggiato col Principe di Taranto, ritirato in Calabria, tra le fatiche durate in quella guerra, e tra l'esercizio del letto con la moglie, gli venne un accidente di febbre, del quale morì senza lasciar di se prole alcuna. Fece testamento, e lasciò che il corpo suo fosse portato all'Arcivescovado di Napoli, ed il cuore si mandasse in Francia alla Regina Violante sua madre, e questo fu eseguito subito; ma il corpo restò nella maggior chiesa di Cosenza, dove ancora si vede il suo tumulo; perchè non vi fu chi si pigliasse pensiero di condurlo in Napoli. Questo Re fu di tanta bontà, e lasciò di se tanto gran desiderio a' popoli di Calabria che si crede, che per questo sia stata sempre poi quella provincia affezionatissima del nome d'Angiò.

La Regina, quando ebbe la nuova della sua morte, ne fece grandissimo pianto, lodando la grandissima pazienza che quel Principe avea avuta con lei, e l'ubbidienza che l'avea sempre portata, e mostrò grandissimo pentimento di non averlo onorato e trattato com'egli avea meritato. E nell'entrar del nuovo anno 1435, travagliata da' dispiaceri dell'animo ed oppressa dagli anni e da' suoi mali, rese lo spirito nel dì 2 di febbrajo, giorno della purificazione di Maria Vergine, in età di sessanta cinque anni, dopo averne regnato venti e sei mesi: ordinò che fosse seppellita alla Chiesa della Nunziata di Napoli senza alcuna pompa, in povera ed umile sepoltura, ove ora giace.

Questa Regina fu l'ultima di Casa Durazzo: e non avendo nè col primo, nè col secondo marito concepiti figliuoli, durando ancor in lei l'odio contro il Re Alfonso, fece testamento nel quale istituì erede Renato Duca d'Angiò e Conte di Provenza, fratello carnale del Re Luigi, esprimendo in quello le cagioni, per le quali fu mossa a talmente stabilire. Ecco ciò che si legge in una particola di questo testamento, fatta imprimere dal Tutini nel suo trattato de' Contestabili del Regno: Praefata Serenissima, et Illustrissima Domina nostra Regina Joanna fide digna, et veridice informata, quod bonae memoriae Dominus Papa Martinus V per quasdam Bullas Apostolicas olim concessit clarae memoriae Domino Ludovico III Calabriae, et Andegaviae Duci, ipsius Reginalis Majestatis consanguineo, et ejus filio arrogato, et ejus fratribus haeredibus, et successoribus hoc Regnum Siciliae post ipsius Reginalis Majestatis obitum: nec non noscens omnes Regnicolas ejusdem Regni affectos, intentos, et inclinatos velle unum ex germanis fratribus dicti q. Domini Ludovici in Regem, et quod si secus fieret, vel evenerit, fieri non posset absque maxima aspersione sanguinis, miserabilique clade, et strage, et finaliter calamitate, et destructione hujus Regni. Nec minus et considerans, quod Serenissimus, et Illustrissimus Princeps Dominus Renatus Dux Bari, etc. ipsius Majestatis Reginalis consanguineus, praefatique quondam Domini Ludovici germanus frater ab inclita, et Christianissima Regia Stirpe domus Franciae, sicut ipsa Reginalis Majestas, suam claram trahit originem; volens praefatis futuris scandalis tacite providere, et salubriter obviare, et per consequens votis, et desideriis dictorum suorum Regnicolarum satisfacere, cupiensque praeterea, quod hoc Regnum potius perveniat ad suum clarissimum Francorum sanguinem, et inclitam progeniem, quam ad quamvis aliam nationem: Jam dictum Serenissimum, et Illustrissimum Principem Dominum Renatum ejus consanguineum, ac dicti q. Domini Ludovici ejus arrogati filii germanum fratrem, ejusdem Regnicolis ita gratum, desideratum et acceptum, in quantum ad ipsam Serenissimam Reginalem Majestatem spectat, et in ea est, et quod potest omni meliori via, modo et forma quibus de jure melius, et aptius potest et debet suum universalem haeredem, et successorem in hoc Regno Siciliae, et in omnibus aliis ejus Regnis, Titulis et Juribus, Actionibus, et cum omnibus Provinciis, Juribus, Jurisdictionibus, et omnibus pertinentiis suis quacumque vocabuli appellatione distinctis, et ad illam spectantibus, et pertinentibus, quovis modo, coram nobis, instituit, ordinavit et fecit, infrascriptis legatis, et fideicommissis, dumtaxat exceptis.

Lasciò cinquecentomila ducati alla Tesoreria che avessero da servire in beneficio della città di Napoli, ed in mantenimento del Regno nella fede di Renato, ed ordinò che sedici Baroni Consiglieri e Cortigiani suoi, governassero il Regno fin alla venuta di Renato.

CAPITOLO VII

Politia del Regno sotto i Governadori deputati da Giovanna. Governo che da poi vi tenne la Regina Isabella moglie e Vicaria di Renato d'Angiò. Guerre sostenute da costui col Re Alfonso: da cui in fine fu costretto ad uscirne ed abbandonare il Regno

Non meno la morte che il testamento della Regina Giovanna pose in maggiori sconvolgimenti questo Reame; quando prima era combattuto da due Pretendenti, ecco che ora ne surge un terzo, cioè il Pontefice romano. Papa Eugenio intesa la morte della Regina, fece intendere a' Napoletani ch'essendo il Regno Feudo della Chiesa, non intendeva che fosse data ad altri che a colui ch'egli dichiarasse ed investisse; ed intanto che dovesse egli amministrarlo, e destinar il Balio par reggerlo. Alfonso lo pretendeva per se in vigor dell'adozione, e Renato in vigor di questo testamento.

(La Bolla d'Eugenio IV spedita del mese di giugno in Fiorenza nel 1445, colla quale si comanda ai Napolitani di non riconoscere per Re nè Alfonso, nè Renato, è rapportata da Lunig275).

Ma i Napoletani ch'erano allora quasi tutti affezionati alla parte Angioina, sentendo la pretensione del Papa, se gli opposero fortemente, e si dichiararono che non volevano altro Re che Renato, ed insino a tanto che egli non venisse a reggerlo, dovesse eseguirsi il testamento della Regina; in effetto furono eletti per lo governo que' sedici Baroni destinati dalla Regina, li quali furono Raimondo Orsino, Conte di Nola: Baldassarre della Rat, Conte di Caserta: Giorgio della Magna, Conte di Pulcino: Perdicasso Barrile, Conte di Montedorisi: Ottino Caracciolo, Conte di Nicastro e Gran Cancelliere, Gualtieri e Ciarletta Caracciolo tutti tre Rossi: Innico d'Anna Gran Siniscalco: Giovanni Cicinello ed Urbano Cimmino, l'uno Nobile di Montagna e l'altro di Portanova: Taddeo Gattola di Gaeta ed altri che si leggono nel testamento della Regina. Questi dubitando che tal reggimento in fine non si convertisse in Tirannia, crearono essi venti uomini Nobili e del Popolo, i quali furono chiamati Balj del Regno. Da costoro fu sollecitato che si dovesse mandar tosto in Francia a notificar a Renato il testamento e volontà della Regina ed il desiderio della città, ed a sollecitarlo che venisse quanto prima; ed in effetto furono tosto mandati tre Nobili a chiamarlo, e fra tanto in lor difesa chiamarono Giacomo Caldora, al quale diedero denari, perchè assoldasse genti; soldarono ancora Antonio Pontudera con mille cavalli e Micheletto da Cotignola con altrettanti, per reprimere gl'insulti d'Alfonso: ed in cotal guisa quelli mesi che corsero tra la morte della Regina, fin alla venuta della Regina Isabella moglie di Renato fu governato il Regno; ond'è, che negl'Istrumenti che si stipularono in quel tempo, non si metteva altro Regnante, ma si diceva: Sub regimine Illustrium Gubernatorum relictorum per Serenissimam Reginam Joannam clarae memoriae.

 

Dall'altra parte il Re Alfonso avendo intesa la morte della Regina, persuaso che, secondo si dicea, quel testamento non fosse stato di libera volontà della medesima, si apparecchiò subito a far la guerra, e tirò molti al suo partito, come il Duca di Sessa, quello di Fondi, il Principe di Taranto ed alcuni altri; e sollecitato da costoro partì da Messina ove era, e venne a Sessa, indi si portò all'assedio di Gaeta. L'assedio di questa Piazza che durò lungo tempo, poco mancò che non recasse ad Alfonso l'ultima sua ruina, e se non fosse stata la magnanimità del Duca di Milano, la guerra sarebbe finita; poichè il Duca di Milano avendo sollecitati i Genovesi che soccorressero quella città, nè sopportassero che il miglior Porto del Mar Tirreno venisse in potere de' Catalani nemici loro: i Genovesi avendo posto in mare una potente armata, ed Alfonso all'incontro un'altra potentissima, nella quale vi erano personaggi cotanto illustri, quanto oltre Alfonso, erano il Re di Navarra, D. Errico Maestro di S. Giacomo, e D. Pietro suoi fratelli, il Principe di Taranto, il Duca di Sessa, il Conte di Campobasso, il Conte di Montorio, e grandissimo numero d'altri Baroni del Regno di Sicilia e d'Aragona: venutosi a' 5 agosto di quest'anno 1435 ad una battaglia nell'acque di Ponza che durò diece ore, finalmente i Genovesi ruppero l'armata d'Alfonso, e fecero prigionieri il Re istesso, il Re di Navarra, D. Errico, il Principe di Taranto ed il Duca di Sessa, con molti Cavalieri e Baroni, forse al numero di mille; solo si salvò fuggendo ad Ischia D. Pietro con la nave sua. Furono i prigionieri condotti a Savona, e poi portati a Milano, dove il Duca ricevè il Re Alfonso da ospite, non già da prigioniere, e fu tanta la magnanimità del Duca che non solo gli accordò la libertà; ma persuaso da Alfonso che la sicurezza del suo Stato, era l'aver in Italia Aragonesi e non Franzesi, perciocchè se Renato occupava il Reame di Napoli, non resterebbe di movere il Re di Francia a toglierli lo Stato, conchiusero insieme lega; e con cortesia che non ebbe altra simile al Mondo, donò la libertà a lui, a suo fratello ed a tutti gli altri prigionieri, e prima che si fossero firmati i Capitoli della lega, il Duca permise che il Navarra ed il Maestro di S. Giacomo andassero in Ispagna a far nuovo apparato per la guerra di Napoli, e che il Principe di Taranto, il Duca di Sessa e gli altri Baroni del Regno venissero in Napoli a dar animo ai partigiani del Re che credeano che mai più Alfonso potesse sperare d'avere una pietra nel Regno. Poco da poi fu firmata la lega, ed il Duca mandò in Genova ad ordinare che si preparasse l'armata, per andare col Re all'impresa di Napoli.

Mentre queste cose succedettero ne' nostri mari, gli Ambasciadori napoletani, ch'erano stati mandati in Francia a chiamar Renato, trovarono che il Duca di Borgogna, il quale in una battaglia l'avea fatto prigione, e che poi l'avea liberato sotto la fede di tornare, richiese a Renato che osservandoli la fede data fosse tornato a lui, e quando tornò lo pose in carcere: o fosse per invidia, vedendo ch'era chiamato a così gran Regno o fosse per far piacere a Re Alfonso: ciocchè diede materia di discorrere, qual fosse stata maggiore, la sciocchezza di Renato ad andarvi o la discortesia del Duca a porlo in carcere, la quale parve tanto più vituperosa e barbara, quanto che fu quasi nel medesimo tempo della cortesia che fece il Duca di Milano ad Alfonso. Gli Ambasciadori non ritrovandolo, operarono che con loro, come Vicaria del Regno, venisse a prenderne il possesso in vece del marito Isabella, la quale con due piccioli figliuoli Giovanni e Lodovico, sopra quattro galee Provenzali partì, e nel principio d'ottobre giunse a Gaeta, dove dai Gaetani fu ricevuta con molto onore ed ella lodò quei cittadini ch'erano stati fedeli, e loro fece molti privilegj. Passò poi a Napoli dove giunta a' 18 d'ottobre di quest'anno 1435 fu ricevuta con somma allegrezza di tutta la città, alla quale era venuto in fastidio il governo della Balìa e de' Governadori, e dal Conte di Nola le fu giurato omaggio, al cui esempio, quasi tutti i Baroni fecero il simile; ed ella come Vicaria del Re suo marito, cominciò a governare il Regno.

Questa Regina per la sua gran prudenza e bontà fra poco tempo s'avea acquistata presso tutti grandissima benevolenza, tanto che se la fortuna non avesse prosperate tanto le cose d'Alfonso, e attraversate quelle di Renato suo marito, avrebbe stabilito il Regno nella di lui posterità. Ma la lega pattuita col Duca di Milano quando men si credea, e la libertà data ad Alfonso ed a suoi fratelli con inaudita, e non creduta magnanimità, pose in grande spavento la Regina Isabella e tutta la parte Angioina. A questo s'aggiunse, che Gaeta la quale con tanti assalti, e con tante forze non avea potuto pigliarsi, per una tempesta occorsa a D. Pietro fratello d'Alfonso, venne in mano degli Aragonesi; perchè D. Pietro che stava in Sicilia, essendosi mosso con cinque galee per andare alla Spezie a pigliar il Re ch'era stato già liberato, essendo arrivato ad Ischia, fu ritenuto da una grave tempesta di mare nella marina di Gaeta; e perchè in quella città v'era la peste, ed i Gaetani più nobili e più facoltosi erano usciti fuori della Città, e per caso il Governadore era morto, alcuni Gaetani che teneano la parte del Re Alfonso andarono ad offerirsegli, e a dargli la città in mano. D. Pietro restò in Gaeta, e mandò Raimondo Periglio con le galee a Porto Venere, dove trovò il Re che avuta la novella della presa di quella Piazza, tosto si incamminò a quella volta, ed il dì 2 febbrajo del nuovo anno 1436 vi si portò, e passarono molti mesi che senza fare impresa alcuna andava e veniva da Gaeta a Capua che se gli era parimente resa. S'aggiunse ancora la ribellione del Conte di Nola, di quello di Caserta e di molti altri Baroni che vennero al suo partito.

Questa prosperità d'Alfonso fece pensare alla Regina, ed a coloro della sua parte di dimandar al Papa soccorso; e furono inviati Ottino Caracciolo e Giovanni Coffa al Pontefice Eugenio a chiederlo, il quale con molta prontezza il diede; perchè il Papa, sapendo l'ambizione del Duca di Milano che da se solo tentava di farsi Signore di tutta l'Italia, pensava ora che molto maggiore sarebbe stata l'audacia sua, essendogli giunta l'amicizia del Re d'Aragona e di tanti altri Regni; onde mandò Giovanni Vitellisco da Corneto Patriarca Alessandrino, uomo più militare che ecclesiastico, con tremila cavalli e tremila fanti in soccorso della Regina, e con questo si sollevò molto la parte Angioina; e tanto più quanto che acquistò l'amicizia de' Genovesi ch'erano diventati mortali nemici del Duca e del Re d'Aragona, li quali con grandissima fede favorirono quella parte fino a guerra finita.

Si guerreggiò per tanto con dubbio evento per ambe le Parti, e mentre ardea la guerra in molte parti del Regno, il Duca di Borgogna, ricevuta una grossa taglia, liberò Renato, il quale senza perder tempo si imbarcò in Marsiglia, e con vento prospero venne a Genova, ove a' 8 di aprile di quest'anno 1438 fu con sommo onor ricevuto; ed avute da' Genovesi sette altre galee sotto il governo di Battista Fregoso si partì, e navigando felicemente, a' 9 maggio giunse in Napoli.

(Prima di partir Renato da Marsiglia a' 20 gennaro dell'anno 1438 spedì Legati ad Eugenio, a' quali diede mandato di filial ubbidienza, e procura di poter transigere col Papa ogni controversia, ed in suo nome intervenire nel Concilio designato dal Papa, di doversi convocare in Ferrara o in altro luogo che piacerà ad Eugenio; il qual si legge presso Lunig276).

Fu a Napoli con gran festa ricevuto Renato, cavalcando per la città con Giovanni suo primogenito con giubilo ed applauso grande, e per tutto il Regno sollevò molto gli animi della parte Angioina per la gran fama delle cose fatte da Luigi nelle guerre di Francia contro gl'Inglesi; la qual fama comprobò colla presenza e co' fatti; perchè subito che fu giunto, e dai Napoletani ricevuto come Angelo disceso dal Cielo, cominciò a voler riconoscere i soldati ch'erano in Napoli, e la gioventù napoletana e ad esercitargli; onde acquistò grandissima riputazione insieme e benevolenza. Mandò subito a chiamare il Caldora, col quale consultò di ciò che dovea farsi per l'amministrazione della guerra; e deliberarono, dopo essersegli resa Scafati, di passare in Abruzzo ed all'assedio di Sulmona.

Ma mentre che Renato era in Abruzzo colla maggior parte della gioventù napoletana, il Re Alfonso, al quale da Sicilia e da Catalogna eran venute molte galee per rinforzo, andò con quindicimila persone ad accamparsi a Napoli sopra la riva del fiume Sebeto. I Napoletani per l'assenza del Re loro, restarono per lo principio molto sbigottiti; ma non mancarono poi con l'ajuto de' Genovesi di far una valida difesa, tanto che Alfonso fu costretto a levar l'assedio e ritirarsi a Capua, nel quale vi perdè D. Pietro suo fratello, che vi rimase ucciso da una palla di cannone.

Renato, ridotte tutte le terre di Abruzzo a sua devozione, sentendo l'assedio di Napoli, per la via di Capitanata e di Benevento tosto venne a soccorrerla; e dopo aver tolto a' Catalani la torre di S. Vincenzo, entrò in speranza di ricuperare il Castello Nuovo che per tanti anni era stato in mano degli Aragonesi: ordinò per tanto al Castellano di S. Eramo che cominciasse a danneggiarlo, poich'essendogli cominciato a mancar la polvere ed il vitto, era impossibile potersi difendere, ed il soccorso che avrebbe potuto venirgli dal Castel dell'Uovo ch'era in mano d'Alfonso, era impedito dalle navi de' Genovesi. In questo arrivarono in Napoli due Ambasciadori di Carlo VI Re di Francia, il quale dubitando che Renato suo parente non ritornasse discacciato dal Regno per le poderose forze d'Alfonso, mandò a trattar la pace tra questi Re; e prima d'ogni altra cosa trattarono i patti della resa del castello. Ma il Renato che stava esausto per le spese fatte alla guerra, fece proponer ad Alfonso la tregua per un anno, offerse di contentarsi che 'l castello si ponesse in sequestro in mano degli Ambasciadori, e passato l'anno si restituisse al Re Alfonso munito per quattro mesi. Ma Alfonso che vedea le forze di Renato tanto estenuate, elesse di perdere più tosto il castello che dargli tanto spazio di respirare, e con nuove amicizie riassumere forze maggiori, talchè gli Ambasciadori franzesi se ne ritornarono senza aver fatto altro effetto che intervenire alla resa del castello, il qual si rese a' 24 agosto di quest'anno 1439, con patto che il presidio se ne uscisse con quelle robe che ciascun soldato potea portarsi, non senza dispetto d'Alfonso, il quale in faccia sua si vide perdere quel castello che s'era per lui tenuto undici anni, quando egli non possedeva una pietra nel Regno, ed ora perdersi in tempo che con sì grand'esercito possedeva le tre parti del Regno.

Compensò non però Alfonso questa perdita coll'acquisto che fece della città di Salerno, la quale se gli rese senza contrasto, e della quale ne investì con titolo di Principe, Ramondo Orsino Conte di Nola, al quale l'anno avanti avea data per moglie Dianora d'Aragona sua cugina col Ducato d'Amalfi, e poi subito tornò in Terra di Lavoro.

La morte improvvisa seguita a' 15 di ottobre di quest'anno di Giacomo Caldora celebre Capitano di quei tempi indebolì in gran parte le forze di Renato; poichè quantunque Renato avesse ad Antonio Caldora suo figliuolo confermati tutti gli Stati paterni, e l'Ufficio di G. Contestabile277, e di più l'avesse mandato il privilegio di Vicerè in tutta quella parte del Regno che gli ubbidiva; nulladimanco essendo poi venuto in sospetto, che il Caldora tenesse secreta intelligenza con Alfonso lo fece imprigionare. Ciò che cagionò il maggior suo danno; poichè i soldati Caldoreschi levatisi in tumulto, con quella facilità che fu carcerato, colla medesima fu liberato. Antonio per questa ingiuria avendo ragunato il suo esercito, impetrò dal Re Alfonso tregua per 50 giorni, e venuti insieme a parlamento, il Caldora se gli offerse con tutte le sue genti. Intanto Acerra e poi Aversa nel 1421 si resero ad Alfonso; onde Renato rimasto molto debole per la partenza del Caldora, e vedendo in tanta declinazione lo stato suo, ne mandò la Regina Isabella sua moglie ed i figliuoli in Provenza; e cominciò a trattare accordo ed offerire di cedere il Regno al Re Alfonso, purchè pigliasse per figlio adottivo Giovanni suo primogenito, il qual dopo la morte d'Alfonso avesse da succedere al Regno. Ma i Napoletani che stavano ostinatissimi ed abborrivano la Signoria de' Catalani, il confortavano e pregavano che non gli abbandonasse, perchè Papa Eugenio, il Conte Francesco Sforza ed i Genovesi, a' quali non piaceva che 'l Regno restasse in mano de' Catalani, subito che avessero intesa la ribellione del Caldora, avrebbero mandati nuovi aiuti; e per questo lo sforzarono a lasciare la pratica della pace: e già fu così, perchè i Genovesi mandarono nuovi soccorsi, ed il Conte Francesco mandò a dire che avrebbe inviati gagliardi e presti aiuti.

 

Ma tutti questi aiuti non poterono far argine alla prospera fortuna d'Alfonso; poichè nel seguente anno 1442, quando meno 'l pensava, stando in Capua, venne un Prete dell'isola di Capri ad offerire di dargli in mano la Terra: Alfonso mandò subito con lui sei galee, e senza difficoltà il trattato riuscì, ed ebbe quell'isola, la quale se ben parea piccolo acquisto, tra poco si vide che importò molto: poichè una galea che veniva da Francia, avendo corsa fortuna e credendo che l'isola fosse a devozione del Re Renato, pose le genti in terra, le quali furono tutte prese dagli isolani e si perderono con la galea ottantamila scudi, che si mandavano a Renato per rinforzo: il che parve che avesse tagliato in tutto i nervi e le forze di Renato, poichè con quelli danari avria potuto prolungare buon tempo la guerra.

Così vedendo Re Alfonso, che la fortuna militava per lui, andò ad assediar Napoli dove accampato, vedendo quella città tanto indebolita di forze, che appena poteano guardare le porte e le mura, mandò parte delle genti ad assediar Pozzuoli, che dopo valida resistenza si rese con onorati patti; indi mandò a tentare la torre del Greco, che si rese subito: poi per tenere più stretta la città di Napoli fece due parti dell'esercito, una parte ne lasciò alle paludi che sono dalla parte di levante con D. Ferrante suo figliuol bastardo e l'altra condusse ad Echia, e s'accampò a Pizzofalcone. La città fece valida difesa, ma introdotte per un acquedotto le genti di Alfonso dentro la città di Napoli, a' 2 giugno di quest'anno 1442 fu presa; e benchè l'esercito aragonese, irato per la lunga resistenza, avesse cominciato a saccheggiar la città, il Re Alfonso con grandissima clemenza cavalcò per le strade con una mano di Cavalieri e di Capitani eletti, e vietò a pena della vita che non si facesse violenza nè ingiuria a' cittadini, sicchè il sacco durò solo quattro ore, nè si sentì altra perdita che di quelle cose, che i soldati poteano nascondere, perchè tutte le altre le fece restituire.

Renato, ridotto nel Castel Nuovo, permise a Giovanni Cossa, ch'era Castellano del castel di Capuana, che rendesse il castello per cavarne salva la moglie ed i figli; ed il dì seguente essendo arrivate due navi da Genova piene di vettovaglie, in una di esse montò con Ottino Caracciolo, Giorgio della Magna e Giovanni Cossa, e fatta vela si partì, mirando sempre Napoli, sospirando e maledicendo la sua rea fortuna, e con prospero vento giunse a porto Pisano, e di là andò a trovare Papa Eugenio ch'era in Fiorenza, il quale fuor di tempo gli diede l'investitura del Regno, confortandolo che si sarebbe fatta nuova lega per farglielo ricuperare: Renato, che non vide altro che parole vane, gli rispose, che voleva andarsene in Francia, acciocchè non facessero mercatanzia di lui i disleali Capitani italiani; e perch'era debitore di grandissima somma di denari ad Antonio Calvo genovese, che l'avea lasciato Castellano del Castel Nuovo di Napoli, poichè vide che da Papa Eugenio non avea avuto altro che conforto di parole, scrisse ad Antonio che cercasse di ricuperare quel che dovea avere, vendendo il castello al Re Alfonso, come fece.

Ecco il fine della dominazione degli Angioini in questo Reame, li quali da Carlo I d'Angiò insino alla fuga di Renato l'aveano governato centosettantasette anni. Ecco come fu trasferito in mano degli Aragonesi, che da poi lo tennero settantadue anni. Ma Renato partendo portò seco in Francia tali semi di discordie e di crudeli guerre, che lungamente turbarono il Regno; poichè i Re di Francia succeduti nelle di lui ragioni ed a quelle di suo figliuolo Giovanni, spesso lo combatterono; e quantunque sempre con infelice successo, non è però che non fossero stati cagione di grandissimi sconvolgimenti e disordini, come si vedrà ne' seguenti libri di quest'Istoria.

275Tom. 2 pag. 1235.
276Pag. 1238.
277Tutin. de' Contest. pag. 145.