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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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CAPITOLO V

Alfonso riordina il Tribunal della regia Camera; e come si fosse riunito col Tribunale della regia Zecca retto da' M. Razionali

Fra le molte virtù d'Alfonso non tralasciarono i nostri Scrittori400 notare un vizio, nel quale la stessa troppa sua liberalità e magnificenza lo fecero cadere. Egli donando profusamente ed innalzando pur troppo alcune famiglie, ridusse il regio Erario in angustie tali, sicchè gli fu duopo per supplire agli eccessivi doni e spese, pensare a nuove imposizioni e ad inventare altri gravosi mezzi per congregar tesori. Volse per tanto i suoi pensieri a riordinare il Tribunale della regia Camera, perchè i suoi Ministri stessero più accorti ed intenti a procacciar danari.

Questo Tribunale, non meno di quello della Gran Corte della Vicaria, lo compongono due Tribunali che prima divisi, poi col correr degli anni s'unirono e ne formarono un solo, dove si tratta del patrimonio del Re, nella maniera che oggi si vede. I M. Razionali, come fu da noi rapportato ne' precedenti libri di questa Istoria, formavan il lor Tribunale che si chiamava il Tribunal della Zecca, ed essi erano anche chiamati Razionali della Gran Corte401. Qual fosse la loro autorità ed incombenza fu a bastanza da noi esposto altrove. Era una dignità assai onorevole, e per ciò veniva conferita per lo più a' Nobili, ed a' primi Giureconsulti di que' tempi. Fu alcun tempo, che i M. Razionali reggevano questo lor Tribunale nel castello di S. Salvatore a Mare, che ora diciamo il castello dell'Uovo, come si vide nel Regno di Carlo I d'Angiò; ed il di lor numero fu assai maggiore di quello che ora si vede. Sotto il Re Ladislao se ne contavano sino a sessantacinque; sotto Alfonso il di lor numero fu ridotto a trentasei, e poi nel 1585 non eran più che diciotto402.

La Regina Giovanna I nel 1350 spedì loro ampissimo privilegio, che vien rapportato dal Reggente Capece Galeota403; ma poi i Razionali di quello abusandosi, e volendo stender la loro giurisdizione nelle cause, le quali non eran della loro incombenza, narra il Sargente404, che l'istessa Regina nell'anno 1370 ristrinse la loro autorità, proibendo loro d'impacciarsi nelle cose altrui, e di stender le mani più di quello che comportava il di lor posto.

Oltre a questo Tribunale, eravi sin da' tempi antichissimi l'altro, in cui parimente trattavasi del patrimonio regale, chiamato regia Camera ovvero regia Audientia, Curia Summaria, e finalmente nomossi la regia Camera della Summaria, nome che anche oggi ritiene405. Era amministrato da' Magistrati, i quali prima erano chiamati Auditori (onde fu il Tribunale anche detto regia Audientia) e poi si dissero Presidenti della regia Camera.

Poichè gli Ufficiali di questi due Tribunali, per trattar d'un medesimo soggetto, riconoscevano un sol Capo, qual'era il G. Camerario o suo Luogotenente, e sovente doveansi assembrar insieme, divenne perciò più facile l'unione, e che di due si fosse fatto un sol Tribunale, e che le prerogative degli uni con facilità passassero agli altri.

La maniera colla quale questi Ufficiali trattavano gli affari del regal patrimonio, così nel Regno degli Angioini come degli Aragonesi, ce la descrive l'istesso Re Alfonso in un suo diploma rapportato dal Toppi406, oltre il Surgente407 e gli altri Scrittori del Regno che lo seguirono. Tutti coloro che amministravano le ragioni fiscali ed esigevano le rendite regali, eran obbligati portare i conti in particolari quinterni nella Camera regia. Questi conti portati in Camera, doveansi vedere da' Presidenti e Razionali insieme aggiunti, ma sommariamente, cioè separar tosto le partite dubbie dalle liquide, e ciò che rimaneva di debito liquido, mandar subito in esecuzione l'esazione, onde si spedivan dal Gran Camerario e Presidenti lettere significatoriali dirette al Tesoriere ch'esigesse tosto da' debitori le somme in quelle significate. Le partite dubbie si rimettevano a' M. Razionali, affinchè pienamente le rivedessero, le discutessero, riassumessero i dubbj e finalmente le determinassero. Solamente quando occorrevan delle difficoltà intorno al dritto, le comunicavano a' Presidenti, i quali anche sommariamente doveano giudicarle: Hinc evenit (come ben a proposito scrisse il Surgente408) ut Camera Summariae sit appellata, cum prius Audientia Rationum appellaretur.

Nel Regno del Re Ladislao cominciò ad introdursi, che i Presidenti, non meno che i Razionali dovessero anch'essi pienamente discutere e determinar i dubbj e spedir le quietanze. Ma Alfonso in questo suo diploma dato nel Castel Nuovo a' 23 novembre dell'anno 1450 comandò, che i conti riportati nella regia Camera si dovessero da' Presidenti non pur sommariamente, ma pienamente discutere, e finalmente terminare, senza che i M. Razionali s'intromettessero nella decisione, e determinazione di quelli; trasfondendo a' Presidenti tutta l'antica autorità che in ciò tenevano, e tutte le loro prerogative e preminenze, succedendo essi in luogo di coloro; onde avvenne, che poi solamente il di lor ministero si restringesse in riferire e proporre i dubbj ed aspettarne da' Presidenti la decisione. Quindi è nata la gran differenza, che ora si vede tra' M. Razionali antichi ed i moderni dei nostri tempi.

Prima a' M. Razionali s'apparteneva interamente la cura del regal patrimonio, ma poi Carlo I d'Angiò la commise alla Camera regia409. Ed Alfonso innalzò poi sopra tutti gli altri Re questo Tribunale, poichè stese la sua cognizione a molte cause, che prima si appartenevano al Tribunale della G. Corte, o al sagro Consiglio. Ordinò, secondo che narra il Costanzo410, che avesse cura non solo del patrimonio regale, ma che conoscesse delle cause feudali. Quindi avvenne, che imitando gli altri successori Re l'esempio d'Alfonso, favorissero tanto questo Tribunale, con estendere la sua giurisdizione in tutte le cause, ove il Fisco, attore o reo, v'avesse interesse; di conoscere delle Regalie, delle cause giurisdizionali quando si tocasse il suo interesse, dell'investiture de' Feudi, delle cause di successioni feudali, de' giuramenti di fedeltà e di ligio omaggio, de' relevj, di adoe, delle devoluzioni de' Feudi; de' padronati regj, delle dignità ecclesiastiche ed altri beneficj di collazione, o presentazione regia: d'aver la soprantendenza sopra tutti gli ufficj vendibili: la cura delle regie galee, de' regj castelli, delle torri, delle loro provvisioni così da bocca come da guerra, de' cannoni, della polvere, del nitro, e di tutto ciò che riguarda il provvedimento degli arredi militari: la soprantendenza dell'amministrazione dell'Università del Regno, delle tratte, de' dazj, delle gabelle e delle risulte del Cedulario. Conoscere de' conti di tutti i Ministri regj, della dogana, delle miniere, de' tesori, delle strade, de' ponti, de' passi: in breve di tutto ciò che tocca il suo regal patrimonio e sue ragioni fiscali.

 

Tenendo la conoscenza e giurisdizione sopra tutto ciò, quindi avvenne che soprastasse a molti altri Tribunali inferiori, i quali alla regia Camera sono perciò subordinati, come alli Tribunali dello Scrivano di Razione, del Tesoriere generale del Regno, della dogana grande e di tutte l'altre dogane del Regno: del Montiere maggiore: del Portolano di Napoli, e di tutti gli altri Portolani delle province, de' Vicesecreti, de' Fondachi del sale e di tutti gli altri del Regno; della regia zecca: delle monete, de' pesi e misure: dei Capitani della grassa: della custodia de' passi e dei Consulati delle nobili arti della seta e della lana. Conoscesse di tutti i Percettori, ovvero Tesorieri del Regno, de' Commessari proposti all'esazioni fiscali, de' Maestri di Camera, de' Segretari, delle regie Audienze, del Percettore della Gran Corte della Vicaria e del Segretario del Sagro Consiglio: soprastasse alli Tribunali dell'Arsenale, della regia cavallerizza, della gabella del vino, del giuoco; e ad infinite altre cose a ciò attenenti soprantendesse.

Angelo di Costanzo411 narra che avendo il Re Alfonso stesa cotanto la giurisdizione di questo Tribunale, avessegli perciò costituiti quattro Presidenti Legisti, o due Idioti ed un Capo, il qual fosse Luogotenente del Gran Camerario, e che il primo Luogotenente fosse stato Vinciguerra Lanario Gentiluomo di Majori, del quale s'era servito avanti in molte cose d'importanza. Ciò che non concorda co' cataloghi dei Luogotenenti e Presidenti che tessè il Toppi412; poichè prima d'Alfonso era questo Tribunale governato dal Gran Camerario, ovvero dal suo Luogotenente che n'era Capo; e Vinciguerra Lanario vi fu Luogotenente molto tempo prima d'Alfonso. Il primo Luogotenente nel Regno d'Alfonso, si porta in quest'istesso anno della riforma di questo Tribunale 1450. Niccolò Antonio de' Monti patrizio di Capua che fu Luogotenente di Francesco d'Aquino Conte di Loreto Gran Camerario, il qual in niun conto volle assistere al Tribunale, pretendendo, che come persona illustre potesse servire per mezzo del Luogotenente suo sustituto, e l'ottenne413; onde fu creato Luogotenente Niccolò Antonio, e da questo tempo in poi i Gran Camerarj non assisterono più nel Tribunale, ma i loro Luogotenenti, de' quali insino a' suoi tempi Niccolò Toppi tessè lungo catalogo; quindi in discorso di tempo, i Gran Camerarj non molto impacciandosi di questo Tribunale, avvenne che i Re creassero i Luogotenenti, ed a' Gran Camerarj non rimanesse se non questo nome vano senza funzione, e sol per titolo d'onore e di preminenza.

Il numero de' Presidenti, non meno che quello dei Consiglieri, fu sempre vario, ed erano parimenti amovibili ad arbitrio del Re, passando vicendevolmente gli uni nel Tribunale degli altri. Secondo che narra il Costanzo, in tempo d'Alfonso non eran più che quattro Togati e due Idioti; poi crebbe a meraviglia il di lor numero, tanto che nel 1495 si videro reggere questo Tribunale ventisei Presidenti tutti uomini insigni non men per nobiltà di sangue, che per lettere414.

Questo eccesso fece pensare alla riforma; onde nel medesimo anno 1495, sotto Ferdinando II, fu riformato il Tribunale, e si lasciarono solamente cinque Presidenti, i quali in una Ruota, come costumavano i Consiglieri di S. Chiara s'univano. Ma in discorso di tempo, crescendo tuttavia nel Regno l'entrate regali, fu bisogno ampliar il numero, e per conseguenza non capendo in una Ruota, il Re Filippo II con sua carta de' 24 dicembre del 1596 drizzata al Conte d'Olivares Vicerè415, ordinò che il Tribunale si dividesse in due sale, in ciascheduna delle quali assistessero tre Presidenti Togati ed uno Idiota, e il Luogotenente ora in una, ora in altra, secondo la maggior gravità ed occorrenza del negozio, vi soprastasse. Nè ciò bastò all'immensità degli affari del Tribunale; ma fu d'uopo che nel 1637, per la più pronta spedizione di quelli, il Conte di Monterey Vicerè aggiungesse la terza Ruota. Ora il di lor prefisso numero è di dodici, otto Togati, e quattro Idioti, i quali, toltane la dignità della toga, e d'astenersi al votare nel caso che s'abbia a decidere qualche punto di ragione, hanno le medesime prerogative che i Togati, e siedono dopo di questi. Filippo II, nel 1558, ne' privilegi conceduti alla città e Regno, dispose che de' Presidenti di Camera due parti fossero Nazionali; e la terza ad arbitrio del Re416: ma nel Regno degli altri Austriaci s'è veduto sempre questo Tribunale essere stato governato da quattro Italiani, e quattro Spagnuoli; ed ancorchè i Presidenti Idioti fossero stati per lo più Nazionali, pure sovente se ne videro Spagnuoli. Ora per le novelle grazie417, tre Togati ed uno Idiota sono rimasi ad arbitrio del Re.

Tiene questo tribunale un Avvocato fiscale, ed un Proccuratore che alla gran mole degli affari appena basta, tanto che il Tassone desiderava fin da' suoi tempi, che almeno fossero due Fiscali. Fu a' dì nostri ciò posto in effetto, ma da poi si ritornò ad uno, come ora si vede. Egli è vero, che in parte fu provveduto a questo difetto, per essersi con nuova provvisione aggiunto un Fiscale detto de' Conti, che chiamiamo di Cappa corta, il quale siede dopo l'Avvocato fiscale togato, e tien soldo di mille ducati418. Teneva ancora questo Tribunale venti Razionali; ma ora il di lor numero è ristretto a quindici: dodici destinati per gli affari delle dodici province: due per lo regal patrimonio, ed uno per la dogana di Foggia; l'autorità de' quali, ancorchè sia molto diminuita, e per la maggior parte sia stata trasferita a' Presidenti, pure nella relazione e discussione de' Conti è grande. Sono non meno che i Presidenti e l'Avvocato e Proccuratore fiscale, creati dal Re, ed è lor facile l'ascendere da Razionali a Presidenti Idioti, ciocchè, siccome ci testimonia Toppi419, si praticava ancora in tempo degli Aragonesi e di Carlo V, e godono tutte le prerogative, preminenze ed esenzioni, che tutti gli altri Ufficiali del Tribunale.

Tiene il suo Notajo, ovvero Segretario, che quantunque sia ufficio vendibile, nulladimanco la confirma pure dipende dal Re. Tiene tre Archivarj secondo i tre archivi che vi sono: quello della regia zecca, l'altro de' Quinternioni, ed il terzo del Gran Archivio, de' quali e delle loro preminenze il Toppi420 tessè lunghi discorsi e copiosi cataloghi.

Tiene parimente il Suggellatore, gl'Ingegnieri, che fanno le veci de' Tavolarj e quattro principali Mastrodatti, i quali han facoltà di creare otto Attuarj, due per ciascheduno, oltre dodici altri, che ne crea il Luogotenente, tutti nazionali: molti Scrivani ordinarj approvati con decreto del medesimo, precedenti debiti requisiti: moltissimi estraordinari e più portieri; sopra de' quali tutti il tribunale tiene la cognizione delle loro cause, così civili come criminali.

Ecco in qual'eminenza oggi sia questo Tribunale, arricchito di tanti privilegi e prerogative non meno da' Re aragonesi, che da' successori Principi austriaci, tanto che si è reso per se stesso Tribunal supremo, ed indipendente da qualunque altro per ciò che riguarda l'amministrazione del regal patrimonio. È assomigliato al Procurator di Cesare de' Romani. Ha la retrattazione, come il S. C. in guisa che non può dalle sue determinazioni appellarsi ad altro Tribunale, ma per via di reclamazione, egli stesso le rivede, non impedita l'esecuzione. Non meno che il Tribunal del S. C. da esso escono le decisioni, e gli arresti, ed i decreti generali che nel Regno han forza non inferiore alle leggi ed a' riti e costumanze degli altri Tribunali supremi. Quindi oltre i riti, gli arresti ed i decreti generali, de' quali abbastanza fu da noi discorso nel libro XII di quest'Istoria, tiene particolari Scrittori che compilarono le sue decisioni, come il Reggente Revertera, Ganaverro, Moles, Ageta ed altri. E nel Regno degli Aragonesi, prima che nel 1505 si fosse da' Spagnuoli eretto il Consiglio Collaterale, teneva questo Tribunale il secondo luogo dopo quello del S. C. di S. Chiara, da cui in ogni tempo ed in ogni luogo, fuor che in casa propria, dove i Presidenti siedono al lato destro ed i Consiglieri al sinistro, è stato sempre preceduto.

CAPITOLO VI

Disposizione e numero delle province del Regno sotto Alfonso, ed in che modo fossero dalla Regia Camera amministrate; e come fossero numerati i fuochi di ciascuna città e terra che lo compongono

Io non veggio donde Marino Freccia421 abbiasi appreso che il Re Alfonso avesse diviso questo Regno in sei province. Sin da' tempi dell'Imperador Federico II, siccome si vide nel XVII libro di quest'Istoria, era diviso in otto province. Il Principato, che per la sua estensione si divise poi in due, citra ed ultra. La Calabria, che per la sua ampiezza bisognò poi dividerla parimente in due, in Terra Giordana, che diciamo ora Calabria ultra, e Val di Crati che Calabria citra oggi s'appella. La Puglia divisa poi parimente in due, Terra d'Otranto e Terra di Bari, e l'Apruzzo, che pur fu diviso in due province; onde a queste otto aggiunte l'altre quattro, cioè Terra di Lavoro, Basilicata, Capitanata e Contado di Molise, venne il di lor numero ad arrivare a dodici, come è al presente. Ed è tanto lontano che Alfonso avesse ristretto il di lor numero, che fu costante opinione de' nostri Scrittori, ch'egli avesse diviso l'Apruzzo in due province per toglier le brighe che solevan insorgere fra' Questori per l'esazion delle tasse e dei dazj422. Ma niun'altra scrittura più manifestamente convince nel Regno d'Alfonso il numero di queste province essere di dodici, quanto la general Tassa delle Collette che furono nuovamente imposte per l'entrata trionfale di Alfonso, che fece in Napoli nel 1443, e per la quale fu anche tassato il popolo napoletano. Fu questa scrittura impressa de Camillo Tutini423 nel suo libro de' sette Ufficj del Regno, ch'egli estrasse dall'Archivio maggiore della Regia Camera. Mancavi solamente la provincia di Terra d'Otranto, non sappiamo se per la voracità del tempo, ovvero perchè possedendosi questa provincia per la maggior sua parte dal Principe di Taranto, parente del Re, ne fosse stata perciò eccettuata; e nel novero delle città e terre di tutte le altre province mancano ancora le città demaniali, per le quali bisogna credere che si fosse fatta tassa separata. I registratori però commisero errore in notarne la rubrica, perchè in vece di dire: Triumphi Regis Alphonsi, dissero: Tassa Collectarum felicis Coronationis Regis Alphonsi noviter imposita ad recolligendum a Baronibus Provinciarum Regni, ultra Terras demaniales; poichè ancor che Alfonso nel 1445 avesse ottenuta Bolla da Papa Eugenio, per la quale se gli prometteva di mandargli il Cardinal di S. Lorenzo o altra persona per solennemente coronarlo; nulladimanco non fu mai questa solennità celebrata in tutto il tempo che visse. Si registrano in questa cedola, toltane Terra d'Otranto, tutte l'altre undici province, colle città e terre baronali ed i loro baroni con quest'ordine e nomi: Principato citra, et ultra: Basilicata: Terra di Lavoro e Contado di Molise: Apruzzo citra: Apruzzo ultra: Provincia Calabriae Vallis Cratis: Provincia Calabriae ultra: Capitanata: Provincia Terrae Bari.

 

Ecco dunque che nel Regno d'Alfonso le province del Regno non erano minori di quel che vediamo ora. Nel che si convince parimente l'errore del Guicciardino424, il quale scrisse che Alfonso avesse variata la denominazione antica delle province, ed avendo rispetto a facilitare l'esazioni dell'entrate, avesse diviso tutto il Regno in sei province principali; cioè, in Terra di Lavoro, Principato, Basilicata, Calabria, Puglia ed Apruzzi; delle quali la Puglia era divisa in tre parti, cioè in Terra d'Otranto, Terra di Bari e Capitanata. Errore quanto degno di scusa a questo Scrittore, che come forestiere non potè averne esatta notizia, altrettanto da non condonarsi a Marino Freccia Scrittor nazionale e regio Ministro di Napoli.

Ma ciò che dovrà notarsi nel tempo di questo Re, sarà il vedere che non pure tutte le isole a queste province adjacenti, delle quali si parlerà più innanzi, ma anche l'isola di Lipari, non già alla Sicilia, ma alla Calabria era attribuita.

Accrebbe ancora questo Principe la provincia del Principato ulteriore, col nuovo acquisto della città di Benevento, e distese sopra lo Stato della Chiesa romana li confini di Terra di Lavoro più di quello che ora sono; ed aggiunse parimente al Regno la Sovranità sopra lo Stato di Piombino.

La città di Benevento, come si è potuto vedere ne' precedenti libri di quest'Istoria, per le cagioni ivi rapportate, fu lungamente posseduta da' Pontefici romani; ed ancorchè sovente fosse stata interrotta la loro possessione da Roberto Guiscardo, da Ruggiero I Re di Sicilia, da Guglielmo II, dall'Imperador Federico II e da altri Re, secondo che le congiunture della guerra o d'inimistà portarono; nulladimanco sempre poi ne' trattati di pace fu alla Chiesa restituita, riputandosi questa città come fuori del Regno; poichè quando di queste province se ne formò un Regno, si trovava già da quella divisa e separata, e sotto l'ubbidienza de' romani Pontefici; ond'è, che in tutte le investiture fu sempre quella eccettuata. Nel Regno di Carlo III di Durazzo, Urbano VI la diede in governo a Ramondello Orsino, che fu poi Principe di Taranto, per averlo liberato dalle mani di Carlo, quando lo teneva assediato in Nocera. Chiamato Alfonso alla conquista del Regno per l'adozione della Regina Giovanna II essendo insorti que' contrasti che finalmente proruppero in sanguinose guerre; Alfonso che tenne contrarj due Papi, occupò Benevento, senza che pensasse di doverla mai restituire, come avean fatto gli altri Re suoi predecessori. Ne' trattati di pace che si s'ebbero in Terracina col Legato di Papa Eugenio, fa molto dibattuto sopra la sua restituzione, la quale non fu accordata dal Re; e sol si convenne che insieme con Terracina dovesse ritenerla in nome della Chiesa per tutto il tempo di sua vita: ma che all'incontro si lasciassero sotto il governo del Papa Città Ducale, Acumoli e la Lionessa, terre importantissime della provincia d'Apruzzo ulteriore. Ma da poi essendo ad Eugenio succeduto Niccolò V, furono ad Alfonso restituite le suddette Terre della Montagna dell'Amatrice; ond'è che il Contado di Acumoli, confinando con quello di Norcia, perchè si togliesse ogni occasione di controversia di confini fu dal Conte di Miranda, nell'anno 1389, pubblicata prammatica425, colla quale fu proibita ogni sorte d'alienazione de' territorj d'Acumoli, che sono ne' suddetti confini, a' forestieri, e specialmente a' Norcesi; e rimasero parimente Benevento e Terracina in potere del Re, assolvendolo ancora dal tributo de' due Sparvieri, che per dette due città dovea alla Sede Appostolica: onde la provincia di Principato ultra in tutto il tempo che regnò Alfonso, riconobbe, anche perciò che riguarda la politia temporale, Benevento per suo capo e metropoli. Nè dopo la morte d'Alfonso fu restituita alla Chiesa, ma Ferdinando I suo successore parimente la ritenne per lungo corso di tempo: in appresso dopo varj trattati avuti col Pontefice Pio II la restituì al medesimo; dal qual tempo in poi, con non interrotta possessione, insino ad ora si vide sotto il dominio della Sede Appostolica, e riputata città fuori del Regno. Della medesima avea a' tempi de' nostri avoli tessuta una esatta e piena istoria Alfonso di Blasio gentiluomo Beneventano; ed il quarto volume conteneva quest'ultimo stato, nel quale giacque suddita a' Papi. Secondo una sua epistola del 1650 rapportata dal Toppi426, nella quale ci dà l'idea di quest'opera, egli v'avea travagliato trent'anni, e secondo i varj suoi stati (prima d'essere stata soggiogata da' Romani, nel tempo che fu dominata da' medesimi in forma di Colonia, sotto i suoi Duchi e Principi, e finalmente sotto i Papi) l'avea divisa in quattro volumi. Sosteneva che l'antichissima città di Sannio fosse stata Benevento, rifiutando l'opinione di Cluverio e di Salmasio che negarono la sussistenza della città di Sannio. Ma morto al piacere dell'immortal suo nome che senza dubbio per cotal opera avrebbesi acquistato, non potè vederne il fine; ed i suoi manuscritti con tanta trascuraggine non curati, giacciono ora sepolti in profonda caligine, senza che vi fosse stato chi se ne avesse presa cura o pensiere di fargli imprimere.

La provincia di Terra di Lavoro nel Regno d'Alfonso distese molto più i suoi confini sopra lo Stato della Chiesa romana che ora non tiene. Li Pontefici romani pretesero che la città di Gaeta s'appartenesse allo Stato della lor Chiesa; e fondavano questa lor pretensione, come si disse ne' precedenti libri di quest'Istoria, nella liberalità di Carlo M. quando pretese toglierla a' Greci per farne un dono alla Chiesa di Roma, siccome avea fatto di Terracina e dell'altre spoglie de' Greci. Ma essendosi in que' tempi opposto Arechi Principe di Benevento, frastornò ogni lor disegno, e proccurò che tosto questa città ritornasse sotto la dominazione degl'Imperadori d'Oriente, i quali vi mandavano i Patrizj loro Ufficiali per governarla. Ma non per ciò si astennero i Pontefici romani, quando le congiunture lo portavano, di far dell'intraprese, e quando vedevano non poterle mantenere, ne investivano un Principe più potente. Così leggiamo che Giovanni VIII la concedè a Pandolfo Conte di Capua, che morì nell'anno 882427; e Lione Ostiense428 scrive, che Gaeta in que' tempi serviva al Papa; ma ritornò ben tosto sotto gl'Imperadori d'Oriente, e ne' tempi seguenti, avendo i Normanni spogliati i Greci di ciò che loro era rimaso in queste nostre province, essi se n'impadronirono; ond'è che s'intitolavano ancora Duchi di Gaeta. A' Normanni essendo succeduti i Svevi, e poi gli Angioini, ed a questi ora Alfonso, e poi gli altri Aragonesi e finalmente gli Austriaci, questa città fu con continuata e non interrotta possessione da' nostri Re ritenuta, e come una delle città di questa provincia fu sempre riputata.

Ma la medesima sorte non ebbe Terracina se non a' tempi d'Alfonso. Questa città pure come spoglia de' Greci fu da Carlo M., avendola tolta a' medesimi, donata alla Chiesa romana429; ma i Normanni, discacciati i Greci, in lor vece la pretesero430. Non l'abbandonaron con tutto ciò i Pontefici e la riebbero: tanto che con interrotta possessione ora da Papi, ora da' nostri Re fu occupata e sempre combattuta, finchè solamente Alfonso per via d'accordo e di capitolazioni avute con due Pontefici, stabilmente non la unisse a questa provincia; e per lungo tempo i confini del Regno verso quella parte si distesero sino a questa Città. Eugenio IV come si è veduto, in iscambio d'Acumoli, città Ducale e Lionessa, diede in governo ad Alfonso, Benevento e Terracina per tutto il tempo di sua vita; da poi s'ampliò la concessione a Ferdinando ed a' suoi successori perpetualmente. Niccolò V suo successore confermò quanto Eugenio avea fatto; anzi restituì ad Alfonso quelle Terre, e volle che Benevento e Terracina rimanessero a lui senz'alcuna obbligazione di censo. Fu Terracina nel Regno d'Alfonso, e ne' primi anni di Ferdinando suo figliuolo ritenuta. Ma poi Ferdinando per tenersi amico Pio II, che gli diede l'investitura, negatagli da Calisto, bisognò che la restituisse431 insieme con Benevento; onde i romani Pontefici di nuovo l'incorporarono al loro Stato, donde mai da poi potè divellersi: sursero quindi le tante controversie ne' confini tra la Sede Appostolica ed i nostri Re, i quali conservarono sempre queste ragioni per riaverla secondo che le congiunture portassero; ed il Chioccarello nel ventesimoprimo tomo de' suoi M. S. Giurisdizionali di tutte queste ragioni ne fece particolare ed accurata raccolta432.

Non trascurò Alfonso le sue ragioni sopra altri luoghi di quest'istessa provincia pur pretesi ed invasi da' romani Pontefici. Il Castello di Pontecorvo, non più che otto miglia lontano da Monte Cassino433, dove ora risiede il Vescovo d'Aquino, era certamente dentro il distretto di questa provincia di Terra di Lavoro. Fu edificato nel tenimento d'Aquino presso un ponte curvo, onde prese il nome, da Rodoaldo Castaldo, ne' tempi dell'Imperador Lodovico, siccome narra Lione Ostiense434. Il monastero Cassinense, a cui fu poi nel 1105 conceduto da Riccardo Principe di Benevento, per lungo tempo lo tenne435: ma gli Abati di questo monastero eran in que' tempi entrati in pretensione di posseder tutte le terre del loro monastero, come Signori assoluti, senza dipender da altro Principe, nè riconoscere altro supremo ed eminente dominio: perciò independentemente ne infeudavano gli altri con farsi prestare il giuramento di fedeltà e di ligio omaggio, de' quali giuramenti l'Abate della Noce436 ne porta due formole. Porta ancora questo Autore l'investitura, che l'Abate Oderisio fece della metà di questo castello a Giordano Pinzzast durante la sua vita solamente, ma che dopo la sua morte tornasse al monastero. Questa pretensione certamente in que' tempi se la fecero valere, poichè eran entrati in tanta alterigia, che poser eserciti armati in campagna, e mosser guerre in que' tempi turbolentissimi, difendendosi i loro castelli con mano armata. Ma in decorso di tempo, sterminati da queste province tanti piccioli Signori e ridotte quelle in forma di Regno sotto il famoso Ruggiero I Re di Sicilia, le Terre di questo Monastero furono trattate da' Re normanni, da' Svevi ed Angioini non meno che l'altre Terre degli altri Baroni, delle quali i Re aveano il supremo ed eminente dominio ed alta giurisdizione. Quindi noi leggiamo, che gli Abati di Monte Cassino nel Regno di Carlo I d'Angiò, volendo tornar all'antiche pretensioni fur ripressi da questo Principe, il quale nell'anno 1275 scrisse a' suoi Ufficiali, dicendo loro, che le Terre che possedeva il monastero Cassinense erano soggette al Re, come tutte l'altre Terre e vassalli del Regno, e che quel monastero e suo Abate non v'aveano altro che il vassallaggio: onde ordina ad essi, che non facciano aggravare i suddetti vassalli dall'Abate. Carlo II suo successore, nel 1292, mentre questo Monastero era amministrato nel temporale e spirituale dal Vescovo di Tripoli, mandò due Commessari a distinguere i confini de' Territori tra le Terre di Rocca Guglielma e Pontecorvo, e porvi i termini: e nel 1307 scrisse al Giustiziere di Terra di Lavoro e Contado di Molise, che rendesse giustizia all'Abate e monastero suddetto di non fargli molestare nella possessione d'alcuni beni stabili, ragioni e vassalli, che tenevano nel distretto di Pontecorvo, spettanti al suddetto monastero, ma che gli mantenesse nella possessione, nella quale si trovavano.

Il Re Roberto nel 1311 ordinò all'abate Cassinense che tenesse ben guardate le fortezze e luoghi di detta Badia esposti all'offesa de' suoi nemici, e spezialmente S. Germano e Pontecorvo; e nel 1324 essendo di nuovo insorta lite de' confini tra Rocca Guglielma e Pontecorvo, commise al Giustiziere di Terra di Lavoro e Contado di Molise, che dividesse i confini dei territorj delle Terre suddette e vi ponesse i termini.

La Regina Giovanna I nel 1343 ordinò al Giustiziere di Terra di Lavoro e Contado di Molise, che non procedesse ex officio contra agli uomini della Terra di Pontecorvo vassalli del monastero Cassinense negli loro delitti, eccettuatine quelli, che de jure spettano. E la Regina Giovanna II, nel 1431, creò Capitano di Pontecorvo per lo rimanente di quell'anno Niccolò di Somma di Napoli Milite.

400Michel Riccio lib. 4 de Reg. Neap. et Sic. Fazzello de Reb. Sicul. decad. 2 lib. 7 in Alphonso.
401Surg. de Neap. illustr. cap. 7 n. 1, 2.
402V. Topp. de Orig. Trib. tom. 1 lib. 4 cap. 3 num. 8 et 11.
403Reg. Cap. Galeot. resp. fiscal. 1 num. 51.
404Surg. loc. cit. Reg. Cap. Galeot. loc. cit. num. 37.
405Topp. loc. cit. cap. 1 num. 12.
406Questo diploma si legge presso Toppi de Orig. Trib. tom. 1 pag. 259
407Surg. loc. cit. num. 2.
408Surg. loc. cit. num. 2.
409Surg. loc. cit. num. 3.
410Costanzo lib. 16.
411Costanzo lib. 18.
412Toppi tom. 1 de Orig. Tribunal. cap. 7 et 8.
413V. Tasson. de Antel. vers. 3 obs. 3 nu. 142.
414Toppi tom. 1 de Orig. Tribunal. cap. 2 lib. 4 n. 3 et cap. 14 n. 1 et 3.
415Si legge nel tom. 1 del Toppi de Orig. Tribunal. pag. 97.
416Tasson. de Antef. vers. 3 obs. 3 n. 140.
417Grazie dell'Imper. Carlo VI tom. 2 p. 255.
418V. Capece Galeot. resp. fisc. 2 nu. 7.
419Toppi tom. 1 de Orig. Trib. lib. 4 cap. 7 num. 11.
420V. Toppi loc. cit. lib. 2 cap. 2 ad 9.
421Freccia lib. 1 de subfeud. tit. de Prov. et Civ. Reg. num. 16.
422Mazzella nella descrizione del Reg. Prov. d'Apruzzo ultra.
423Tutin. de' M. Giustiz. pag. 80.
424Guicciard. lib. 5. Istor.
425Pragm. 10 de empt. et vendit.
426Toppi Biblioth. Neap. fol. 356.
427Erchemp. num. 63.
428Ostiens. lib. 1 cap. 43.
429Hadrian. epist. 64 et 72.
430Camill. Pelleg. fines Duc. Ben. ad merid. p. 27.
431Summ. tom. 3 pag. 249.
432Chiocc. loc. cit. de Juribus, quae antiqui Neapolitani Reges habuerunt in Civitate Terracina, quam nunc Apostolica Sedes possidet.
433Abb. de Nuce in Not. ad Cron. Cass. lib. 1 cap. 38.
434Lione Ostiense lib. 1 cap. 38.
435Cron. Cass. lib. 4 cap. 25.
436Abb. de Nuce in Chron. Cass. lib. 3 cap. 52.