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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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CAPITOLO VI

De' Riti della Regia camera

Pure sotto il Regno di Roberto furono compilati i riti della Regia Camera. Questo Tribunale non solo in tempo dell'Imperador Federico II si reggeva dai maestri Razionali, ma anche nel Regno di questi Re angioini. Erano questi Ufficiali di grande autorità, e perciò vediamo i più distinti personaggi di que' tempi impiegati a queste cariche; e dalla Regina Giovanna I furono di maggiori prerogative e privilegi arricchiti. La principal loro incombenza era d'invigilare sopra i diritti e rendite fiscali, costringere i minori Ufficiali come Doganieri, Tesorieri, Credenzieri ed altri, a render ragione della loro amministrazione, ricevere da essi i conti dell'esazioni fatte, e raccogliere il denaro per mandarlo alla Camera del Re. Queste rendite per la maggior parte si cavavano da' dazi, gabelle, dogane, regalie e da altre ragioni fiscali, così antiche come nuove. Nel Regno de' Normanni queste esazioni restringevansi a poco numero, ed erano assai moderate, e particolarmente in tempo del buon Re Guglielmo; ma da poi che l'Imperator Federico I restituì le regalie, che s'erano quasi perdute in Italia, e che tutti gli altri Principi, al di lui esempio, vollero anche restituirle ne' loro Stati, s'accrebbe il di lor numero, e furono più pesanti. Così passato questo Regno dai Normanni a' Svevi, Federico II ve n'impose delle nuove: instituto, che fu poi dagli altri Re suoi successori continuato, come quello che conduceva molto all'abbondanza del loro erario, donde potevano sostenere più grandi eserciti e numerose armate. I Re della casa d'Angiò, ancorchè più volte ne' loro Capitoli promettessero moderarle, e di ridurle secondo erano al tempo del Re Guglielmo il Buono; con tutto ciò, per le lunghe ed ostinate guerre che soffrirono, e particolarmente per quella di Sicilia, non ne fecero nulla, anzi di tempo in tempo più crebbero. Furono per ciò queste ragioni fiscali divise in antiche e nuove.

Dell'antiche, cioè di quelle, che furono prima dall'Imperador Federico II nel Regno di Guglielmo, e suoi successori Normanni, abbiamo che Andrea d'Isernia64 ne formò due Cataloghi: uno se ne legge nelle note, che fece alle Costituzioni del Regno sotto la rubrica de decimis: e l'altro tra i riti della Regia Camera, pure sotto il medesimo titolo65. In poche cose, e sol nell'ordine è l'uno vario dall'altro: ecco il novero, che ne fece nelle Costituzioni.

Jura vetera sunt haec, videlicet

Dohana.

Anchoragium.

Scalaticum.

Glandium, et similium.

Jus Tumuli.

Portus, et Piscaria.

Jus Affidaturae.

Herbagium, Pascua.

Passagium vetus.

Jus Casei, et Olei non est ubique per Regnum.

Ecco l'altro che pose fra i Riti della Camera.

Jura vetera sunt haec

Jus Dohanae.

Jus Anchoragii.

Jus Scolatici, ovvero

Jus Colli.

Jus Tumuli.

Jus Portus, et Piscariae vetus.

Jus Bucceriae vetus.

Jus Affidaturae herbagii, pascuorum, glandium, et similium.

Jus Casei, et Olei, non est ubique per Regnum.

Jus Passagii vetus.

Delle nuove parimente ne abbiamo del medesimo Autore ne' luoghi allegati due cataloghi. Furono queste introdotte da Federico II Principe appo gli Scrittori Guelfi, che scrissero sotto il Regno degli Angioini, riputato tiranno, e che angariasse in cento maniere i suoi sudditi: Andrea d'Isernia sopra gli altri l'ha sempre nelle sue opere malmenato, e dipinto per un crudele, e lo pone per ciò nel fuoco penace dell'Inferno: dice nelle Costituzioni66, che perciò la Chiesa non vuole le decime di queste esazioni, come ingiuste, ed imposte da Federico contro Dio e la giustizia: De illis non vult Ecclesia decimas, tanquam de male oblatis, quae imposita fuerunt per illum contra Deum, et justitiam: per quod videtur ille Federicus quiescere in pice, et non in pace. E nel Rito I sotto il titolo de Jure Tinctoriae, et Celandrae, dicendo che questi dritti come nuovi ed odiosi non doveano stendersi per interpetrazione, ma più tosto restringersi, scrisse: Imposita fuerunt haec ab eo, qui depositus fuit a Regno, et Imperio: poena sua propterea in Inferno crescit semper, sicut poena Arii, ut Augustinus dicit. Ma queste erano vane querele, parole inutili e buttate al vento. S'incolpava, e detestava Federico per avergli introdotti, si declamavano per empj ed ingiusti; ma non per questo i Re Angioini, Roberto istesso, e Carlo suo padre, sotto i quali egli scrivea, gli tralasciarono; anzi Roberto per avergli rigidamente esatti ed accresciuti ne fu imputato d'avarizia.

L'istesso Andrea67, che declamando dice, che la Chiesa nè men per quelli vuol decime, ci racconta, che Filippo Minutolo Arcivescovo di Napoli, mal soddisfatto della convenzione passata col Re Carlo II che si dovessero pagar le decime per le due terze parti, lasciandone una, che si credette poter importare per li nuovi ed illeciti diritti, tornò a moverne litigio, credendo essere stato ingannato; ma dopo un lungo contrasto, essendosi appurato che importava assai meno ciò che gli apparteneva, quando non voleva esigere per li nuovi dazj, i quali importavano somma assai maggiore dei vecchi, e che perciò bisognava restituir grosse somme, niente curandosi più dell'indebita esazione, nè di proseguirla per l'avvenire, pregò il Re che per grazia glie le accordasse, e continuasse ad esigere le due terze parti, come prima; e per togliere ogni scrupolo, il Re acconsentì, che per l'avvenire si pagassero a lui due parti intere; ma che ciò che gli veniva per questo suo dono, dovesse impiegarlo per l'edificio del Duomo di Napoli, e quello finito, se gli dovesse continuare il pagamento con peso di pregare Iddio per l'anime de' suoi genitori, e di dover ergere in quella Chiesa alcuni altari, siccome narra Isernia, che a suo tempo si faceva e si pagava68.

Questi nuovi diritti, secondo il novero, che fa Isernia nelle Costituzioni del Regno, sono:

Nova sunt haec, videlicet

Jus Fundici Ferri.

Azarii. Picis.

Salis.

Jus Staterae, seu Celandrae.

Ponderaturae.

Jus Mensuraturae.

Riae de nove.

Jus Setae. Jus Cambii.

Saponis. Molendini.

Bechariae novae.

Imbarcaturae. Jus Sepi.

Jus Portus, et piscariae novum.

Jus Exiturae.

Jus Decini. Tentoriae.

Jus Marchium.

Jus Balistrarum. Jus Gallae.

Jus Lignaminum non est ubique.

Jus Gabellae auripellis non est ubique per Regnum.

Jus Resinae, seu reficae majoris, et minoris non est ubique, sed Neapoli.

L'altro Catalogo delle medesime, che pose fra i Riti è questo.

Jura nova sunt haec

Jus Fundici.

Jus Ferri.

Jus Azarii.

Jus Picis.

Jus Salis.

Jus Staterae, seu ponderaturae.

Jus Mensuraturae.

Jus Exiturae.

Jus Setae.

Jus Tinctoriae, et Celandrae.

Jus Cambii.

Jus Bucceriae novum.

Jus Imbarcaturae.

Jus Sepi.

Jus Partus, et Piscariae novum.

Jus Decini.

Jus Balistrarum.

Jus Reficae majoris, et minoris.

Jus Marium, saponis, molendini, et gallae, non sunt ubique, sed in Apulea.

Jus Lignaminum, non est ubique.

Jus Gabellae auripellis.

Di tutte queste ragioni fiscali, delle loro esazioni, delle persone che erano obbligate a pagarle, del modo di riceverne conto da' Doganieri, Credenzieri, Gabellotti, ed altri minori Ufficiali, delle loro colpe e difetti nell'amministrazione de' loro pleggi, degl'incanti, che doveano premettersi per gli affitti, e degli escomputi pretesi, e di tutte le quistioni e liti che insorgevano intorno a ciò tra le Parti e 'l Fisco, questo Tribunale della Camera de' Conti n'era il giudice competente. Veniva retto, oltre il Luogotenente del Gran Camerario suo Capo, da' Maestri Razionali, chiamati così, a rationibus quibus praesunt69. Era perciò questo Tribunale nomato Auditorium rationum: poi fa detto Audientia Summaria: e finalmente Camera Summaria70. Accadevano per conseguenza molto spesso de' dubbj intorno a tutte queste cose, ed i M. Razionali li decidevano, e secondo le loro decisioni, da quelle che furono in ogni tempo uniformi e costanti, ne sursero vari Riti e stili di giudicare, e varie norme e regole per potersi in casi simili, in decorso di tempo, valere. Prima d'Andrea d'Isernia questi Riti ed osservanze non si potevano ricavare, se non dai libri del Tribunale, ove erano notati: e poichè a tutti non era facile averne copia o comodità d'osservargli, non erano così universalmente noti e palesi. Furono, egli è vero, alcuni regolamenti a ciò attenenti fatti inserire nelle nostre Costituzioni, come sotto il titolo de Officio Magistrorum Fundicariorum, ed in alcuni altri; ma dice l'istesso Andrea nelle note a questa Costituzione, che gli altri statuti di Federico a ciò riguardanti, erano nelle dogane, nè furono uniti a quel volume delle Costituzioni: Sicut dicunt alia statuta Imperialia, quae sunt in Dohanis, nec sunt redacta in hoc volumine. Questo gravissimo Giureconsulto fu dunque, che trattigli da' registri delle dogane e degli Atti di quel Tribunale, gli compilò, e ridusse in quella forma che ora si leggono. Nè era da sperare che altri avessero potuto con tanta diligenza, ed esattezza por mano a quest'opra, con quanta da lui si fece. Era stato egli creato M. Razionale dal Re Carlo II, e poi visse tale in tutto il tempo che regnò Roberto, che vuol dire 34 altri anni, sin che dalla Regina Giovanna I non fosse innalzato al posto di Luogotenente; onde niuno meglio di lui poteva darci i Riti di questo Tribunale, e compilargli con tanta nettezza e dottrina, con quanta si vede.

 

Ch'egli ne fosse stato il Compilatore, non è da dubitare: abbiamo veduto per lo confronto fatto dei Cataloghi di queste ragioni fiscali, riconoscer quelli un medesimo Autore. È manifesto ancora da un altro confronto, che può farsi di ciò che scrisse l'istesso Andrea ne' Commentarj de' Feudi sotto il titolo, Quae sint regalia, in § vectigalia, in add. n. 14 e nelle note alla Costituzione suddetta de Officio Magistrorum Fundicariorum, e da ciò che si legge in questi Riti sotto la rubrica de jure fundici71, ove si veggono ripetute ad literam l'istesse parole. Il medesimo Andrea nell'ultimo Rito de jure Dohanae nel fine cita se stesso; si rimette a quel ch'egli medesimo avea scritto in cap. unico, § Sacramentum, de consuet. rect. feud. Ce lo testificano ancora gli Autori suoi coetanei, o che fiorirono non molto dopo lui. Luca di Penna fu suo contemporaneo, perchè fu coetaneo di Bartolo, e quegli attesta, il Compilatore di questi Riti essere stato Andrea72. Goffredo di Gaeta, che nell'anno 1460 come e' dice nel Rito 2 de decimis, compose i Commentarj, ovvero letture sopra i medesimi, passa in più luoghi per cosa fuor d'ogni dubbio che Andrea ne fu l'Autore73. Il medesimo scrissero Liparulo nella di lui vita74, e l'Anonimo75 Autor delle Note a' Riti suddetti. E finalmente a lettere cubitali ciò si legge nel Codice di questi Riti, che si conserva nell'Archivio della Regia Camera, che porta in fronte questo titolo: Ritus Domini Andreae de Isernia super universis juribus Dohanarum, et aliarum Regni Siciliae Gabellarum.

Furono appellati da Andrea questi Riti Jura Imperialia, non perchè l'Imperador Federico nella maniera, che ora si leggono, gli avesse egli fatti compilare, come fece del libro delle nostre Costituzioni; ma perchè alcuni dritti, che si leggono in essi, furono nuovamente da Federico introdotti, e chiamati per ciò jura nova, ovvero Imperialia, a differenza degli antichi, chiamati jura vetera, ch'erano prima di lui nel Regno de' Normanni. Ancorchè Andrea d'Isernia, per privato studio e diligenza, avesse fatta questa Compilazione, non per pubblica autorità, siccome furono da poi fatti compilare i Riti della G. Corte della Vicaria dalla Regina Giovanna II, che per sua Costituzione diede loro forza e vigore; non è però, che i medesimi non abbiano avuta sempre, siccome ritengono ancora oggi, tutta l'esecuzione ed osservanza, e che non abbiano presso noi quel medesimo vigore, che hanno le leggi nostre scritte, come dipendenti da un non mai interrotto stile, e da un antico uso di questo Tribunale76. Egli è vero, che per lo corso poco men di quattro secoli, da che furono compilati, molte cose sono mutate, ed altre cose nuove introdotte, onde di questo Tribunale, oltre i Riti, abbiamo ora anche molti Arresti raccolti dal Reggente de Marinis; nulladimanco in ciò, che per nuova legge non fu mutato, o per contrario uso andato in dimenticanza, han tutta la forza e tutto il lor vigore.

Abbracciò Andrea in questa Compilazione tutti i dritti così antichi, come nuovi di sopra annoverati, divisegli con più distinzione in più rubriche, e collocò sotto ciascuna di esse più o meno Riti, secondo che la copia, o brevità del soggetto richiedeva. Trattò ancora, quasi per appendice, di molte cose appartenenti agli Ufficiali, che hanno l'amministrazione ed esazione de' medesimi, con rubriche separate, come si vede nella rubrica 1, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 33, 34, 35, 36, 37 e 38. Egli è da avvertire che fra questi si leggono alcuni Arresti fatti dai M. Razionali dopo la compilazione fatta da Isernia, e inseriti da poi ne' luoghi adattati al soggetto, com'è l'arresto, che si legge sotto la rubrica 11 de Tracta, fatta a settembre dell'anno 1382 e consimili. In oltre la rubrica 31 ch'è l'ultima, de jure Falangae, seu Falangagii, fu aggiunta dopo la Compilazione d'Isernia; perchè questo nuovo dritto o sia gabella, ch'è membro della Dogana, fu imposto nell'anno 1385 dal Re Carlo III di Durazzo: questo Principe l'impose dalla città di Gaeta insino a Reggio per quanto corre il Mar Tirreno77: da poi Alfonso I d'Aragona nell'anno 1452 lo stese per tutto il Regno, dal fiume Tronto insino a Reggio per quanto corre il Mar Adriatico: tra questi due Mari è collocato il Regno.

Il primo, che dopo un secolo e più anni commentasse questi Riti fu Goffredo di Gaeta figliuolo di Carlo, che fiorì sotto il Re Ladislao e la Regina Giovanna II, in qualità di Avvocato fiscale. Goffredo suo figliuolo emulando le virtù paterne, e calcando le medesime sue pedate, fu gran tempo nel Regno della Regina Giovanna II M. Razionale, da poi dal Re Alfonso I avendo questo Principe al Tribunale della Camera de' Conti aggiunti quattro Presidenti di toga, e due idioti, fu creato Presidente della medesima; la qual carica continuò nel Regno di Ferdinando I infino al tempo di sua morte, che accadde nell'anno 1463 è verisimile che cominciasse questa sua fatica nel Regno d'Alfonso, e la terminasse sotto Ferdinando, già che nel Rito 2 de decimis, dice, che a riguardo del tempo, nel quale egli scrivea, cioè nel 1460 i diritti imposti da Federico non si potevano dir più nuovi, ma antichi, essendo scorsi dal dì della sua deposizione (che la pone nel 1244) ducento e sedici anni. I suoi Commentarj sono dotti, gravi e proprj della materia che si tratta, senza divagarsi in quistioni inutili ed estranee, come allora correva il vizio degli altri Commentatori. Perciò furono dai Professori de' seguenti tempi tenuti in sommo pregio, e riputato l'Autore per uno de' maggiori Giureconsulti de' suoi tempi. Morì egli in Napoli nel 1463 come lo dimostra l'iscrizione del suo sepolcro, che si vede nella chiesa di S. Pietro Martire nella cappella della sua famiglia, ove giace sepolto insieme con Carlo suo Padre.

Dopo il corso d'un altro secolo abbiamo che fossero state fatte quelle note, che si leggono a questi Riti d'un Autore incerto ed Anonimo; poichè s'allegano dal medesimo decreti ed arresti della Camera degli anni 1554, come nel Rito primo de Jure Ponderaturae, del 1565 come nel Rito 14 de Jure Fundici, ed altrove allega molte scritture e consulte di quel Tribunale fatte in questi medesimi tempi. Allega spesso Goffredo di Gaeta, Matteo d'Afflitto, e sovente anche Autori del decimosesto secolo. Queste note sono proprie, dotte ed utilissime, ripiene di molte notizie degli atti del Tribunale, de' suoi arresti, lettere, consulte, carte regali, registri e ogni altro che poteva conducere alla vera intelligenza de' vocaboli, e de' sentimenti di questi Riti e delle mutazioni, aggiunzioni e variazioni ch'erano seguite insino a' suoi tempi, intorno alle nuove imposizioni d'altri diritti e gabelle, e delle loro origini, e progressi ed abusi; tanto che non meriterebbe il suo nome presso i posteri essere rimaso così oscuro e sepolto.

Abbiam veduto poi a dì nostri un altro Commento, ovvero come l'Autor gli chiama, nuove Addizioni su questi Riti, compilato per Cesare Nicolò Pisani Giureconsulto napoletano, il quale nell'anno 1699 insieme co' Commentarj di Gaeta, e note dell'Anonimo, gli diede in Napoli alle stampe. Sono indegne d'esser paragonate, e poste insieme colle fatiche di que' due insigni Giureconsulti; sono piene di cose vane ed inutili, ricolme di quistioni lontane ed estranee di quel che ricercava il soggetto: diffuse e goffe, ed unicamente poste insieme senz'ordine e senza metodo, per far crescere il volume.

CAPITOLO VII

Degli Uomini illustri per lettere, che fiorirono sotto Roberto, e sotto la Regina Giovanna sua nipote

Fra gli altri pregi, che adornarono la persona di Roberto, fu l'essere stato amantissimo di tutti i Scienziati eccellenti de' suoi tempi, e gran letterato insieme e protettore delle lettere.

 

Di questo Principe veramente potè dirsi, che

 
Fur le Muse nudrite a un tempo istesso,
Ed anco esercitate.
 

Leggansi i tanti elogi di Giovanni Villani78, del Petrarca79, e del Boccaccio80 suoi contemporanei, che per ciò con tante lodi innalzarono. Si legge di questo Re un trattato delle virtù morali composto da lui in varie rime toscane. Questo trattato lo fece imprimere in Roma l'anno 1642 insieme con alcune rime del Petrarca estratte da un suo originale, col Tesoretto di Ser Brunetto Latini, e con quattro canzoni di Bindo Bonichi da Siena, il Conte Federico Ubaldini, e porta questo titolo: Il trattato delle virtù morali di Roberto Re di Gerusalemme. Egli, come dice l'Ubaldini, cimentò le forze del suo ingegno nella vecchiaja, applicandosi a rimare, e volle più tosto per questa opera imitare i più saggi Re della terra come Salomone (onde perciò non volle al libro porre altra inscrizione, che di Re di Gerusalemme), l'Imperador M. Aurelio Antonino, che lasciò scritti in greco dodici libri morali della sua vita (se non sono favolosi, come gli credette il Castelvetro), Basilio Macedone, Lione Isaurico, Emmanuel Comneno ed altri Imperadori greci, che ne composero de' simiglianti; che andar dietro a' suoi predecessori Re di Sicilia, come all'Imperador Federico II ed al Re Manfredi, ad Enzio, e simili, i quali tutti intesi a cose amorose, solamente di quelle vollero tesser canzoni. Scrisse ancora, oltre le suddette rime, alcune lettere latine in prosa, due delle quali sono volgarizzate presso Giovanni Villani, mandate, l'una nell'anno 1333 al Popolo fiorentino, e l'altra a Gualtieri Duca d'Atene, quando nell'anno 1341 pigliò la Signoria di Fiorenza.

Nel suo Regno fiorirono le lettere in guisa, che i Professori di qualunque condizione si fossero, ancorchè di bassa fortuna, gl'innalzava a' primi onori, e con umanità grandissima gli accoglieva ed accarezzava: andava a sentire in piedi i pubblici Lettori, che leggevano in Napoli, ed onorava gli Scolari.

Per tralasciar infiniti esempi, venendo il Petrarca di Francia per pigliare la Corona di lauro a Roma, mandò Gio. Barile, che in suo nome assistesse in Campidoglio quella giornata come suo Ambasciadore, scusandosi col Petrarca, che l'estrema vecchiezza era cagione, che non venisse in persona a ponergli la corona in testa di sua mano; ed ambiva, che l'Affrica composta da costui, a lui s'indirizzasse. Favorì grandemente i Teologi ed i Filosofi81, tanto che nel suo Regno queste facoltà cominciarono a fiorire in Napoli.

La teologia Scolastica ridotta ne' suoi tempi in arte, e fatta pedissequa della filosofia d'Aristotele, secondo il metodo prescritto dagli Averroisti, vi pose piede, e si rese più considerabile per le famose fazioni de' Tomisti, e degli Scotisti sostenute da due Ordini allora considerabili de' Frati Predicatori e de' Frati Minori. I primi seguivano la dottrina d'Alberto Magno, e da poi di S. Tommaso, nomato il Dottor Angelico suo discepolo, che si rese poi Capo di questa Setta di Scolastici, detti perciò Tomisti. I secondi seguivano Alessandro de Ales del loro Ordine, e da poi il famoso Giovanni Duns, detto il Dottor Sottile, e Scoto, perch'era Scozzese, benchè alcuni l'abbiano creduto Inglese, ed altri Ibernese, il quale si rese Capo di questa Setta, donde i suoi seguaci furono chiamati Scotisti; onde nacque la divisione di queste due Scuole. Alcuni nondimeno fecero un terzo partito, seguendo un metodo nuovo, chiamati Nominali, ed uno de' principali Capi di questo partito fu Guglielmo Ocamo della Contea di Surrey in Inghilterra, il quale ancorchè dell'Ordine de' Minori, si divise dagli altri facendosi Capo di questa Setta, e perciò ne acquistò il titolo di Dottor Singolare. Si disseminarono le loro Scuole per tutta Europa ed in Napoli, ne' tempi di Roberto, essendo multiplicati i loro Maestri, la Teologia in cotal maniera trasformata, era pubblicamente e con sommo applauso ed ammirazione professata, ed i Teologi da questo Principe favoriti; poichè proccurava che molti Teologi eccellenti e di buona vita fossero provisti di Prelature e Vescovadi del Regno, e gli onorò sempre sopra tutti gli altri Baroni laici82.

Nelle Calabrie ed in Terra d'Otranto, per lo gran numero de' Greci, e per lo continuo commercio d'Oriente, i Monaci de' Conventi fondati sotto la Regola di S. Benedetto non la ricevettero se non molto tardi: seguitavano le pedate de' Greci e la loro dottrina: e si distinse sopra tutti gli altri Barlaamo Monaco Basiliano di Calabria, nato in Seminara, assai dotto e sottile, il quale essendosi portato in Costantinopoli, entrato in somma grazia dell'Imperador Andronico, fu adoperato dal medesimo negli affari più gravi dello Stato, e per comporre, e riunire la Chiesa Greca alla Latina. Fu inviato da Andronico in Napoli al nostro Re Roberto per domandargli soccorso; ma perchè non poteva sperar d'ottenerlo se non col riunirsi le due Chiese, ne fu data a lui parimente la commessione. Fu la unione lungamente trattata, ma ogni progetto fu ributtato, e la sua opera rimase inutile ed infruttuosa.

Ebbe grandi ed ostinate contese con Palamas suo Antagonista, ma dopo varie vicende, vedendo finalmente approvata in un Concilio tenuto in Costantinopoli la dottrina di Palamas, e la sua condannata, partì da Oriente, e si ritirò in Occidente, e prese il partito de' Latini, onde fu fatto Vescovo di Geraci in Calabria83. Ci lasciò molte sue opere, che compose contro Palamas, e contro i Monaci Quietisti da lui perseguitati ed accusati come rinovatori degli errori degli Euchiti, e sopra altri soggetti.

Scrisse un libro de Primatu Papae: De Algebra; ed altre insigni opere, delle quali l'Allacci, ed il Nicodemo tesserono copiosi Cataloghi84. Instruì molti dei nostri nelle discipline, e nella lingua greca e latina, e fu Maestro di Giovanni Boccaccio, di Paolo Perugino Giureconsulto e Prefetto della Biblioteca del nostro Re Roberto, di Leonzio Tessalonicense e di molti altri85.

In questi medesimi tempi fioriva in Otranto un monastero di Basiliani lontano da quella città non più che mille e cinquecento passi. Era dedicato a S. Niccolò, e i suoi Monaci professavano non men teologia, che filosofia, ed erano istruttissimi di lettere greche, ed alcuni anche di latine. Insegnavano la gioventù, e l'istruivano delle cose greche e della lor lingua. Vi andavano i giovani ad apprenderla da tutte le parti del regno, a' quali con somma liberalità, e magnificenza erano dati i Maestri senza mercede, domicilio e vitto: tanto che le discipline greche, che per la decadenza dell'Impero d'Oriente venivano a retrocedere e mancare, si sostentavano, e lor si dava per essi riparo in queste nostre parti. Narra Antonio Galateo86, che a tempo de' suoi grand'avoli, che vengono a punto a cadere nel regno di Roberto e di Giovanna, quando ancora Costantinopoli non era passata in man de' Turchi, fu fatto Abate di questo Monastero il celebre Filosofo Niccolò d'Otranto, nominato Niceta: questi vi rifece una famosa Biblioteca, e fece ricercare senza risparmio libri da tutta la Grecia d'ogni genere, e quanto più ne potè raccogliere, tutti fece trasportare nel suo monastero, e fra gli altri molti di Filosofia, e di Logica. Fu, per la sua saviezza ed integrità di costumi, adoperato dagl'Imperadori d'Oriente e da' Sommi Pontefici in varie Legazioni, i quali nelle contese fra di loro nate, o per causa di religione o di Stato, si servivano della di lui persona per comporle, e spesse volte era mandato e rimandato da Costantinopoli a Roma dall'Imperadore, e da Roma in Costantinopoli dal Papa. In discorso di tempo di questi libri, per negligenza de' nostri Latini, e per lo disprezzo e poca cura, che fu presso de' nostri delle lettere greche, alcuni ne furono trasportati a Roma, al Cardinal Bessarione, e quindi a Venezia; ed il resto fu poi tutto consumato e perduto per lo memorabil sacco, che i Turchi calati in Otranto diedero nell'anno 1480 in quella città e monastero e suoi contorni.

Roberto, oltre di favorire i Teologi, non trascurò ancora i Filosofi e'Medici87. Nell'Università degli studj di Napoli proccurò che insegnassero queste scienze i migliori Professori dell'età sua; e perchè altrove così queste, come l'altre facoltà non si potessero apparare, ma solo in Napoli, rinovò gli editti dell'Imperador Federico II, e proibì le Scuole nell'altre città del Regno88; pose in maggior osservanza i privilegi che il Re Carlo II suo padre aveva conceduto al Collegio degli studj di Napoli, li quali egli inserì in quel suo Capitolo, che comincia Universis, che abbiamo tra i suoi Capitoli, sotto il titolo Privilegium Coll. Neap. Studii. Poichè ne' suoi tempi la filosofia d'Aristotele, secondo il metodo prescritto dagli Averroisti, era nelle Scuole universalmente insegnata, e quella sola teneva il campo, posposti tutti gli altri antichi Filosofi, per le cagioni dette da noi altrove; e la medicina non altronde, che da' libri di Galeno era tratta; quindi Roberto ad imitazione di Federico II deputò Niccolò Ruberto famoso Medico e Filosofo di que' tempi, e gli fece fare una traduzione del Greco in Latino dei libri d'Aristotele di Filosofia, e de' libri di Galeno di Medicina, come ricavasi da' regali registri rapportati dal Summonte89.

Amò ancor Roberto, che la sua Corte e la sua Cancelleria fosse ripiena d'uomini dotti, ponendo sommo studio, che usassero in quella i più insigni letterati dell'età sua: il che, come ponderò assai a proposito il Costanzo90, si conosce ancora dallo stile, e frase de' suoi Capitoli e privilegi, che sono più culti, ed ornati di molte clausole oratorie, per quanto comportavano i suoi tempi, ne' quali l'eloquenza e l'eleganza dello scrivere, non era arrivata in quell'elevatezza, che abbiam veduta da poi a' nostri tempi, e dei nostri avoli. E benchè, come soggiunge questo Autore, di tutte le discipline gli piacesse meno dell'altre la poetica, desiderò nientedimeno grandemente d'aver appresso di sè il famoso Petrarca, e che, come si disse, gli dedicasse il suo poema dell'Affrica91. Amò per questa cagione, sopra gli altri Cortigiani suoi, Giovani Barrile, al quale diede il governo di Provenza e di Linguadoca, e Guglielmo Marramaldo, ambedue letterati, ed amici del Petrarca; ed il Petrarca92 e 'l Boccaccio93 scrivono, che nella vecchiaja pentissi di aver tenuto tanto poco conto de' Poeti, e riputava come suo infortunio d'essersi tardi avveduto delle bellezze ed artificj di quelli; ond'è che in vecchiaja si pose a comporre in rima delle virtù morali.

Ma chi nel Regno di Roberto, e negli anni tranquilli del Regno di Giovanna I sua nipote fiorissero sopra tutti gli altri, furono i nostri Giureconsulti, elevati sempre a' primi onori del Regno, ed in somma stima e riputazione avuti. Fiorirono nella Corte di Roberto sopra tutti gli altri Legisti Bartolommeo di Capua, e Niccolò d'Alife. Di Bartolommeo non accade qui ripetere quanto di lui, e sotto il Regno di Carlo II, e sotto quello di Roberto fu detto; fu egli esaltato ad esser G. Protonotario del Regno e suo intimo Consigliere, reggendosi ogni cosa col suo consiglio e colla sua penna: oltre averlo innalzato a' primi onori del Regno, gli donò molte terre e castella col titolo di Contado d'Altavilla. Bartolo94 famoso Giureconsulto di questi tempi lo cumula d'eccelse lodi, e dice che per le sue proprie virtù meritò, che fosse fatto da Roberto Gran Conte. Luca di Penna, Baldo95, Guido Pancirolo96, ed altri celebrano in mille luoghi le virtù e la dottrina di un tanto uomo. Ed Angelo di Costanzo97 fin da' tempi ne' quali egli scrisse quella gravissima e saggia sua Istoria, ponderò, che veramente le tante remunerazioni fatte, e da Carlo e da Roberto a questo insigne Giureconsulto, bisognava dire, che fossero un gran indizio della bontà e virtù di quell'uomo; poichè si vede, che senza mai perdersi per niuna di tante revoluzioni, che da quel tempo in qua sono state nel Regno, ancora durano ne' descendenti suoi, e sono state cagione di fargli maggiori, accrescendovi poi col trattare onoratamente l'armi, i titoli del Principato di Molfetta, e di Conca, e del Ducato di Termoli; e se vedesse a' dì nostri la sua stirpe accresciuta, oltre questi Stati, di altri maggiori, chiari argomenti, non già indizj avrebbe, non men della giustizia e della virtù, che della bontà di sì insigne Giureconsulto.

Niccolò Alunno della città d'Alife fu ancor egli uno de' nostri famosi Legisti, che fiorissero nel Regno di Roberto, e di Giovanna I sua nipote. Pier Vincenti nel Teatro de' Protonotarj del Regno, lo fa dell'istessa famiglia di Giovanni d'Alife, che nel 1262 sotto il Re Manfredi fu G. Protonotario del Regno. Fu egli sotto il Re Roberto Secretario e Notajo della sua Regia Cancelleria, e da poi fu creato Maestro Razionale dalla Regina Giovanna I, non già da Roberto, come credette il Costanzo: fu fatto G. Cancelliere del Regno, mancato che fu il Vescovo Cavillocense, e l'esercitò fin alla sua morte, che accadde l'ultimo di dicembre dell'anno 1367. Giace sepolto in Napoli nella chiesa dell'Ascensione fuori la Porta di Chiaja, ch'egli in vita avea edificata a' Monaci Celestini, ove si vede il suo sepolcro con lunga iscrizione, rapportata anche dall'Engenio nella sua Napoli Sacra98 Ebbe in dono dal Re alcune Terre nella provincia di Bari, che lasciò a' suoi figliuoli, uno de' quali da Urbano VI nell'anno 1284 fu promosso al Cardinalato, detto perciò il Cardinal d'Alife99. Non abbiamo di questo Giureconsulto, che lasciasse di se memoria per qualche opera legale, che avesse composta, siccome abbiamo di Bartolommeo di Capua, d'Andrea d'Isernia, di Niccolò di Napoli, di Luca di Penna, e d'altri suoi coetanei.

64Andr. in Constit. quanto caeteris, de decimis.
65Rit. 1 de decimis, etc.
66Andr. Constit. quanto de caeteris, de decimis.
67Rit. 2. R. Cam. de decimis.
68V. Chioccar. de Archiep. Neap. ann. 1288 pag. 188.
69L. fin. C. si propter pubblicas pensitationes.
70Auctor, Anonym. in notis Rit. R. C. rub. 36.
71Rit. 18.
72Luc. de Penna in l. si tempora. C de fid. instrum. et host. fisc. lib. 10.
73Goffred. de Gaeta de jure Dohanae, n. 179 et 181 et in rubr. de non positis, aut subtract. in quater. etc. num. 2.
74Lipar. in vita Andr. vers. Invenimus etiam Andream compilasse, etc.
75Auth. in annot. ad rubr. 1.
76Rov. it. decis. 18 n. 4. Galeot. resp. Fiscal. 15 num 5. Philippis diss. Fiscal. 1 n. 147.
77Annot. in rub. ult. de jure Falangae.
78Villan. lib. 11 hist. et lib. 12.
79Petrar. rer. memor. lib. 23.
80Boccac. in Genealog. Deor. lib. 14 cap. 9 et 22 et lib. 15 c. 13.
81Petrarc. Rer. memorand. lib. 2. Sacrar. Scripturar. peritissimus: Philosophiae charissimus alumnus.
82Costanz. lib. 6.
83Alacci de Eccl. Occid. etc. lib. 2. cap. 17.
84V. Alacci l. c. V. Nicod. in Addit. ad Bibliot. Toppi.
85Boccac. Genealog. l. 5 c. 6. Nicod. l. c.
86Galat. de Situ Japigiae.
87Petrar. l. c. Philosophiae charissimus Alumnus: Orator egregius: incredibili Physicae notitia.
88Cap. Robertus, etc. Grande fuit.
89Summon. t. 2 l. 3 p. 411.
90Costanzo lib. 6.
91Boccac. Gen. Deor. lib. 15 cap. 13.
92Petrarc. Rer. memor. l. 2.
93Boccacc. in Genealog. Deor. l. 14.
94Bart. in Auth. Presbyteros, C. de Episc. et Clericis.
95Bald. l. properandum in fin. C. de Judiciis.
96Pancirol. de Clar. II. interpr. l. 2 c. 48.
97Costanzo l. 6.
98Caesar. Engen. Nap. Sacra, p. 657.
99P. Vincenti de' Protonot. Ciarlanto del Sannio l. 4 c. 29.