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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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CAPITOLO VIII

Politia ecclesiastica del XIV secolo, per quel tempo che i Papi tennero la loro sede in Avignone, insino allo Scisma de' Papi di Roma e d'Avignone

Come suole avvenire nelle cose di questo Mondo, che qualora si veggono giunte al sommo, questo stesso tanto innalzarsi è principio del loro abbassamento: così appunto accadde al Pontificato romano in questo nuovo XIV secolo, la politia ecclesiastica del quale saremo ora a trattare. Bonifacio VIII calcando le orme dei suoi predecessori, credea aver ridotto il Pontificato in tanta elevatezza, che coronato di duplicate corone, e vestito del manto imperiale, volea esser riputato Monarca non meno dello spirituale, che del temporale, e che i maggiori Re e Principi della terra fossero a lui soggetti anche nel temporale, siccome, oltre la divisa presa de' due coltelli, lo dichiarò apertamente in quella sua stravagante Bolla Unam Sanctam. Prese per tanto a regolare le contese de' Principi, e fra gli altri quelle di Odoardo Re d'Inghilterra, e di Guido Conte di Fiandra con Filippo il Bello, Re di Francia. Entrò nell'impegno di distruggere affatto in Italia il partito de' Ghibellini e de' Colonnesi, e di far conoscere la sua potenza sopra tutti i Principi, vietando loro con sua Bolla d'esigere cos'alcuna sopra i beni degli Ecclesiastici. Queste ardite risoluzioni offesero grandemente l'animo di Filippo Re di Francia, il quale accortosi, che la proibizione, ancorchè generale, riguardava il Regno di Francia, vi s'oppose con vigore, e fece stendere un Manifesto contro la Bolla; e dall'altra parte seguitando Bonifacio a distruggere il partito de' Ghibellini e de' Colonnesi, questi furono costretti ritirarsi in Francia, dove furono dal Re accolti, onde maggiormente le contese s'inasprirono, le quali finalmente proruppero non pure in onte ed in contumelie, ma in esecuzioni di fatto; poichè portatosi il Signor di Nogaret Ambasciadore del Re in Italia, assistito da Sciarra Colonna entrò in Anagni, dove era il Papa, e lo fece prigione; e quantunque liberato da quel popolo fuggisse in Roma, fu tanta l'afflizione del suo animo, che non guari da poi se ne morì; e Dante ch'era Ghibellino, scrisse135, che la sua anima era con impazienza aspettata nell'Inferno da Niccolò III per dargli luogo fra Papi simoniaci.

Queste liti, che nel principio di questo secolo furono tra il Re Filippo e Papa Bonifacio, e molto più le contese, che arsero da poi tra Lodovico Bavaro con Giovanni XXII e Benedetto XII, furono cagione, onde il Pontificato Romano venne a decader non poco dalla sua opinione e possanza: poichè, oltre dello scadimento per la trasmigrazione della Sede Appostolica in Avignone, e dello Scisma indi seguito, di che favelleremo più innanzi, coll'occasione di questi contrasti tra i Papi, ed i Principi intorno alla potestà temporale, si diede luogo a ben esaminare questa materia, quando che prima non era molto curata; e cominciando pian piano a risorgere le lettere anche presso i Laici, furono trovati ingegni, che secondo le fazioni cominciarono a disputarla, ed i Ghibellini ne compilarono particolari trattati, onde s'ingegnarono a far avvertiti gli altri delle usurpazioni, e a dimostrare, che la potestà spirituale non avea che impacciarsi colla temporale, la quale tutta era de' Principi.

Fra i primi deve noverarsi Dante Alighieri Fiorentino, il quale ne' suoi tre libri de Monarchia, scritti a' tempi di Lodovico Bavaro, quest'appunto sostenne. Intorno a' medesimi tempi si distinse per quest'istesso Guglielmo Occamo dell'Ordine de' Frati Minori, il quale ancorchè nato in un villaggio della Contea di Surrey in Inghilterra, fiorì nell'Università di Parigi nel principio di questo secolo, e compose un'Opera della Potestà Ecclesiastica e Secolare, per difendere Filippo il Bello contro Bonifacio; e da poi fu uno de' grandi Avversarj di Papa Giovanni XXII, che lo condannò sotto pena di scomunica a starsene in silenzio. Si dichiarò poi apertamente per Lodovico di Baviera, e per l'Antipapa Pietro di Corbaria, che si faceva chiamare Niccolò V, e scrisse contro Giovanni XXII, che lo scomunicò l'anno 1330. Allora uscì di Francia, e se ne andò a trovare Lodovico di Baviera, che favorevolmente l'accolse, e terminando nella Corte di quel Principe i giorni suoi, morì in Monaco l'anno 1347. Giovanni di Parigi Dottor in Teologia dell'Ordine dei Predicatori, cognominato il Maestro Parisiense, intorno all'anno 1322, compose ancora un trattato della Potestà Regia e Papale. Arnoldo di Villanova Catalano, Marsilio di Padova e Giovanni Jande impugnarono pure l'autorità de' Pontefici sopra il temporale de' Re; ma costoro non seppero tener modo, nè misura, dando in una estremità opposta: poichè Arnoldo espresse molte proposizioni contro l'autorità della Chiesa, contro i Sacramenti, contro il Clero e contro i Religiosi; e Marsilio e Giovanni troppo concedendo ai Principi, attribuirono loro una giurisdizione, che appartiene unicamente alla Chiesa. Radulfo Colonna Canonico Carnutense, Lupoldo di Babenberg, Raolfo di Prelles, e Filippo di Mezieres Giureconsulti insigni, sostennero parimente co' loro Trattati i diritti de' Principi; ma chi da poi in Francia sopra tutti sostenesse le ragioni del Re Filippo di Valois contro l'intraprese degli Ecclesiastici, fu Pietro di Cugnieres suo Avvocato generale nel Parlamento di Parigi. Costui nell'anno 1329 ebbe grandi contrasti con Niccolò Bertrando Vescovo d'Autun, e poi Cardinale, e cogli altri Prelati di Francia, sopra i diritti della giurisdizione spirituale e temporale. Il Clero di Francia lo calunniarono, facendo artificiosamente correre rumore, che sotto pretesto di risecare l'intraprese delle loro Giustizie, si voleva loro togliere la roba, ancorchè le proposizioni di Cugnieres di ciò non parlassero punto: tanto che il Re Filippo dubitando eccitare nuovi torbidi, e temendo dell'autorità, che il Clero avea allora in Francia, non potè affatto risecarle, siccome fu eseguito da poi per l'Ordinanza del 1438.

Non meno che i Franzesi ed i Germani cominciarono da poi gli Spagnuoli a riscuotersi dal lungo sonno; oltre d'Arnoldo di Villanova Catalano, Alvaro Pelagio di Galizia in Ispagna dell'Ordine de' Frati minori, e poi Vescovo di Silva in Portogallo, distese un Trattato de Plantu Ecclesiae; opera eccellente sopra la riforma della disciplina della Chiesa. Anche sul fine di questo secolo, e nel decorso del seguente, prima, e dopo il Concilio di Costanza, il Cardinal Francesco Zabarella Arcivescovo di Fiorenza, Teodorico di Niem, Niccolò di Cusa, e poi Enea Silvio, travagliarono sopra questo soggetto. Ed al di loro esempio molti altri, che seguirono appresso, ne compilarono diffusi trattati; onde si diede materia a Simone Scardio136, delle loro opere farne Raccolta, e dappoi a Melchior Goldasto di farne un'altra più ampia ne' suoi volumi della Monarchia dell'Imperio.

Per queste contese si cominciò in Francia e nella Germania a contrastare agli Ecclesiastici il diritto di esercitar la giurisdizione temporale, e di giudicare sopra quelle cause, delle quali essi aveano tirata al Foro episcopale la conoscenza, di cui nel XIX libro di quest'Istoria si fece memoria. Fu lor contrastato di por mano in molte cause civili sotto pretesto di scomunica, di peccato e di giuramento; fu tentato ancora di assalire l'immunità de' Cherici e de' beni della Chiesa; e quantunque gli Ecclesiastici avessero gagliardamente difesi i loro diritti, nulladimeno fu rimediato a qualche abuso, e perdettero a poco a poco una parte della giurisdizione temporale; ed in Germania da questo tempo di Lodovico Bavaro cominciò il diritto Pontificio, spezialmente quello contenuto nelle Decretali, a perdere la sua autorità e vigore137.

Ma non così avvenne nel nostro Regno sotto questi Re della Casa d'Angiò: non ebbero essi alcun contrasto co' Romani Pontefici, anzi furono ora più che mai a' loro cenni ossequiosissimi; e Roberto, assai più che i suoi predecessori, avea obbligo di farlo per li tanti favori che avea ricevuti da Clemente V, da Giovanni XXII, da Benedetto XII Papi d'Avignone che lo preferirono al nipote nella successione del Regno; e sempre gli diedero ajuti contro Errico VII e Lodovico Bavaro, nell'impresa di Sicilia, e contro tutti i suoi nemici. Quindi questo Principe, non seguendo in ciò l'esempio della Francia, mantenne intatta la loro giurisdizione ed immunità, anzi giunse a tale estremità, che, come fu rapportato nel XIX libro di questa Istoria138, volle rendere immuni sino le concubine de' Chierici, lasciando il castigo di quelle alli Prelati delle Chiese139. Quindi avvenne, che nello stabilire i Rimedj contro le violenze degli Ecclesiastici, usasse tante riserbe, cautele e rispetti, perchè non venisse la loro immunità in parte alcuna offesa; e quindi avvenne ancora, che la traslazione della Sede Appostolica in Avignone non recò a noi verun cambiamento nella politia delle nostre Chiese: e che le querele di tutto il rimanente d'Italia per questo trasferimento non furono accompagnate da' nostri Regnicoli, i quali in ciò seguirono più tosto i desiderj de' Franzesi, che le doglianze degli Italiani: ciò che bisogna un poco più distesamente rapportare.

 

§. I. Traslazione della Sede Appostolica in Avignone

Benedetto XI, che a Bonifacio successe, non tenne più il Pontificato che nove mesi; e morto egli in Perugia il dì 6 luglio dell'anno 1304, i Cardinali quivi ragunati in Conclave per eleggere il successore, vennero in tali contenzioni, che divisi in due fazioni, i loro contrasti fecero, che la Sede stette vacante per lo spazio d'undici mesi. Capo dell'una fazione era Matteo Orsini, e Francesco Gaetano nipote di Bonifacio; dell'altra era Napolione Orsino dal Monte, e Niccolò da Prato, il quale, innanzi al Cardinalato, era stato dell'Ordine de' Predicatori. Non potendo accordarsi sopra un soggetto, a cagione della lite, ch'era fra la fazione de' Franzesi e quella degl'Italiani, convennero finalmente che gl'Italiani proponessero tre Arcivescovi oltramontani, e che il partito de' Franzesi eleggesse de' tre colui che più gli piacesse. Gl'Italiani fra' tre proposti nominarono Bertrando Got Arcivescovo di Bordeos; onde il Cardinal di Prato sollecitamente avvisandone il Re di Francia Filippo il Bello, fece, che il Re chiamasse a se Bertrando, e dicessegli ch'era in sua potestà di farlo Papa, e che lo farebbe, se gli acconsentiva ad alcune condizioni: Bertrando cupidissimo di tanta dignità, gli accordò quanto volle; onde il Re rescrisse al Cardinal di Prato che dasse opera, che l'elezione cadesse sopra di costui, siccome a' 5 giugno del 1305 fu eletto Pontefice, e chiamato Clemente V. Narrasi, che fra le condizioni accordate fossero che cassasse ciò che Bonifacio aveva fatto contro di lui e del suo Regno, ed annullasse la sua memoria: che restituisse nel Cardinalato Jacopo, e Pietro Colonnesi privati da Bonifacio: che spegnesse l'Ordine de' Templarj, e che in Francia si facesse coronare. In effetto egli rivocò la Bolla Unam Sanctam, e l'altre Bolle di Bonifacio: ristabilì i Colonnesi nelle lor dignità: dichiarò nulle tutte le sentenze che quel Pontefice avea pronunziate: diede l'assoluzione a tutti coloro ch'erano stati da esso scomunicati, eccettuatine il Nogaret e Sciarra Colonna; ed ordinò a' Cardinali che venissero a Lione di Francia, perchè quivi voleva essere egli incoronato. I Cardinali Italiani ciò malamente intesero, e narra S. Antonino140 Arcivescovo di Fiorenza, che l'apprese dall'Istoria di Giovanni Villani, che il Cardinal Matteo Orsini ch'era il più anziano, non si potè contenere di rimproverarne acremente il Cardinal di Prato, dicendogli: Assecutus es voluntatem tuam in ducendo Curiam ultra Montes, sed tarde revertetur Curia in Italiam.

Clemente, non ostante la repugnanza della maggior parte de' Cardinali, volle essere ubbidito; onde portatosi in Lione, fu quivi a' 14 di novembre incoronato, osservando al Re di Francia le promesse; e datosi in sua balìa, creò molti Cardinali, parte guasconi, e parte francesi, tutti uomini familiari del Re. Fermò per tanto la sua dimora in Francia, residendo ora in Lione, ora in Bordeos, ora in Avignone, dove nell'anno 1309 fermossi, e vi dimorò insino al Concilio di Vienna tenuto nell'anno 1311 e fin che resse il Pontificato; facendo varie dimore in diverse città della Francia, non pensò mai tornare in Italia. Venuto a morte in Carpentras nel mese di Aprile dell'anno 1314 entrarono i Cardinali nel Conclave, e vi dimorarono persino al dì 22 di luglio, senza poter accordarsi sopra l'elezione d'un Papa; poichè i Cardinali italiani volevano un Papa della loro Nazione che andasse a fare la sua dimora in Roma; i Guasconi volevano un Franzese, che facesse la sua residenza in Francia; e s'avanzaron tanto i contrasti, che essendosi ragunato il Popolo sotto la condotta dei nipoti del Papa defunto, si portarono armati al Conclave, domandando, che fossero dati in lor potere i Cardinali italiani, e che volevano un Papa franzese: ciò essendo lor negato, posero fuoco al Conclave: onde i Cardinali scappati via fuggirono chi qua e chi là, ed andaron per due anni dispersi141. Filippo il Bello fece quanto potette per adunargli, ma la sua opera riuscì vana. Morto Filippo, e succeduto nel Regno di Francia Lodovico Utino, questi mandò suo fratello in Lione, il quale chiamò a se i Cardinali, e gli fece chiudere nella Casa de' Frati Predicatori di Lione, e dicendo loro, che di là non sarebbero mai usciti e trattati con austerità, se non avessero tosto eletto un Papa: i Cardinali dopo essere stati rinchiusi per lo spazio di quaranta giorni, elessero finalmente nell'anno 1316 Giacomo d'Eusa, nativo di Cahors, prima Vescovo di Frejus, e poi d'Avignone, ed era allora Cardinale Vescovo di Porto. Questo Papa dopo la sua elezione prese il nome di Giovanni XXII, ed essendosi fatto coronare in Lione a' dì 5 di settembre del medesimo anno, partì subito per Avignone, dove fermò la sua residenza, nè vagò come Clemente per le altre città della Francia; ond'è, che i suoi successori ebbero per ordinaria lor sede Avignone; poichè avendo Giovanni tenuto il Pontificato 18 anni, stabilì maggiormente quivi la sua Sede: e morto egli in Avignone nel mese di decembre dell'anno 1334 i Cardinali nell'istesso mese elessero, e coronarono nella chiesa d'Avignone il Cardinal Jacopo Fournier Vescovo di Pamiers, nominato Benedetto XII il quale, ancorchè mostrasse intenzione di portarsi a far la sua dimora in Italia, avendo fatto chiedere a' Bolognesi, se lo avessero voluto ricevere nella loro città, e trovatigli mal disposti a farlo, fermò come il suo predecessore la sua residenza in Avignone, dove dimorò sin al 1342 anno della sua morte. Lo stesso fece Clemente VI suo successore, Innocenzio VI, Urbano V insino a Gregorio XI, il quale avendo voluto trasferire la sua Sede in Roma, malgrado de' Franzesi, fu cagione che dopo la sua morte, seguisse quello scandaloso scisma tra i Papi di Roma e d'Avignone che tenne lungamente travagliata la Chiesa, di cui avremo occasione di ragionare ne' seguenti libri di quest'Istoria.

Intorno a questa traslazione della Sede Appostolica in Avignone, vi è gran contrasto tra gli Scrittori nostri Italiani ed i Franzesi. Gli Italiani la chiamano Esilio Babilonico; poichè la Chiesa, mentre quello durò, stette sotto la schiavitù de' Franzesi, e spezialmente del Re Filippo il Bello: la chiamano prevaricazione della Casa di Dio: scandalo del Popolo cristiano, e ruina della Cristianità142. Che i Papi, che la ressero in quei tempi, furono più tosto mostri d'empietà e di scelleraggini, che Vicarj di Cristo: che non ad altro attesero, che a cumular denari, per nudrire la loro ambizione ed il fasto, vilmente servendo i Re di Francia. Dipinsero per ciò nelle loro opere i Papi d'Avignone per simoniaci, lussuriosi, crudeli, avari e rapaci; ed Avignone per una Babilonia. Dante nella sua Commedia143 scrisse di Clemente V cose orribili. Giovanni Villani144, e con esso lui Santo Antonino Arcivescovo di Fiorenza145 gli tessè una satira inclementissima: che e' fosse un uomo avaro, crudele, simoniaco, lussurioso, e che si teneva per concubina Brunisinda Contessa Petragoricense, bellissima donna figliuola del conte Fuxense, e madre del cardinal Talairando. Il nostro Giureconsulto Alberico di Rosate scrisse che lo sterminio e le crudeltà, che egli praticò co' Templarj, lo fece contro giustizia, e per compiacere al Re di Francia; siccome egli se n'era reso certo da un esaminatore della causa che ricevè la deposizione de' testimonj, dicendo: Destructus fuit ille Ordo tempore Clementis Papae V ad provocationem Regis Franciae. Et sicut audivi ab uno, qui fuit Examinator causae, et testium, destructus fuit contra justitiam. Et mihi dixit, quod ipse Clemens protulit hoc: Et si non per viam justitiae potest destrui, destruatur tamen per viam expedientiae, ne scandalizetur charus filius noster Rex Franciae. Quindi molti Storici riputarono la condanna de' Templarj ingiusta, e che fossero stati falsamente imputati di tanti delitti, ed estorte le confessioni dalla violenza de' tormenti, e dal timore della morte: che Filippo il Bello da gran tempo era ad essi contrario, accusandogli di avere eccitata, e fomentata una sedizione contro esso: che era particolar nemico del gran Maestro; e che voleva trar profitto dalle loro spoglie insieme col Pontefice Clemente, ancorchè in apparenza mostrassero di voler servirsi de' loro beni per la spedizione di Terra santa.

Peggiore è quel che narrano di Giovanni XXII suo successore. Giovanni Villani146 lo fa figliuolo d'un Tavernajo, che nudrito presso Pietro de Ferrariis Cancelliere del nostro Re Carlo II d'Angiò, ed educato nelle lettere, da lui riconobbe la sua fortuna: che giunto al Pontificato, niuno quanto lui fosse stato più intento a cavar denari d'ogni cosa, e ad inventar modi per cumular tesori. Egli divise in Francia molti Vescovadi, e vacando un beneficio ricco, usò di darlo a chi n'avesse un altro poco inferiore, dando quello, che vacava ad un altro, ed alle volte faceva sino a sei provvisioni, trasferendo sempre da un meno ricco, ad un più ricco, ed al minimo provvedendo d'un beneficio nuovo: sicchè tutti erano contenti, e tutti pagavano. Inventò anche le Annate, gravame sopra i beneficj, innanzi lui, non ancora udito: corruppe la disciplina della Chiesa colle tante dispense, onde con grandissimo scandalo congregò incredibil Tesoro; e con tutto che nello spendere, e donare non fu più ristretto de' suoi predecessori, pure alla morte sua lasciò più milioni147. E narra Giovanni Villani, che ad un suo fratello del Collegio de' Cardinali, dopo la morte del Papa, fu dato carico d'inventariar il denaro, che gli trovò 18 milioni in moneta coniata, e 7 milioni in vasi, e verghe da lui pesate. Lodovico Bavaro gli fè fabbricare addosso più processi, lo fece deponere, e dichiarar anche eretico. Le sue costituzioni dette Joannine furono riputate simoniache, ed anche eretiche. Egli è riputato l'Autore delle Regole della Cancelleria, dove si danno molti ingegnosi regolamenti per congregar denaro: in breve, ch'egli sopra ogni altro avesse corrotta la disciplina della Chiesa, riputando il patrimonio di Cristo esser i Regni, le città, le castella, le ricchezze e le possessioni; e li beni della Chiesa essere non già il disprezzo del Mondo, l'ardor della fede, e la dottrina dell'Evangelio, ma le obblazioni, le decime, le gabelle, le collette, la porpora, l'oro e l'argento.

 

Di Benedetto XII suo successore scrissero ancora, che fosse un Papa avarissimo, duro, crudele, diffidente e tenace: che si dilettava di buffoni, di conversazioni licenziose ed inoneste: che fosse lussurioso, che si giacesse con più meretrici, e che fortemente innamorato della sorella del Petrarca, tanto facesse, che l'ebbe a sua voglia, e che la stuprasse148: che fosse un gran bevitore di vino, tanto che da lui nacque proverbio nelle brigate, che quando volevano passar con allegria il tempo tra boccali e pransi, costumavano di dire: Bibamus Papaliter149. Quindi, essendo egli morto in Avignone nell'anno 1342 fu chi al suo sepolcro componesse questi versi.

 
Iste fuit Nero, laicis mors, vipera Clero,
Devius a vero, cuppa repleta mero 150.
 

Non meno che a Benedetto, imputavano a Clemente VI queste bruttezze, e che egli non meno, che il suo predecessore si contaminasse con meretrici. Ma assai più lo resero favola del Mondo per quella sua Bolla, che nel terzo anno del suo Pontificato pubblicò in Avignone, dove considerando la brevità della vita umana, restrinse il tempo del Giubileo a cinquanta anni; poichè per maggiormente animare qualunque sorta di persone da tutte le parti del Mondo a venire in Roma, anche senza richiedere licenza da' loro Superiori, gli assicurava, che se forse per istrada venissero a mancare, tanto avrebbero guadagnate le indulgenze e remission de' loro peccati, e le loro anime sarebbero state condotte subito in Cielo; e perciò comandava agli Angioli di Dio, che senza dimora alcuna gl'introducessero alla gloria del Paradiso: Et nihilominus (sono le parole della Bolla151) prorsus mandamus Angelis Paradisi, quatenus animam illius a Purgatorio penitus absolutam in Paradisi gloriam introducant.

Quindi parimente s'avanzarono a dire, che per li Papi d'Avignone, e per la loro scellerata vita, fossero sorte in questo secolo tante eresie, e tanti errori; e che si fosse data occasione a Giovanni Oliva Frate Minore studiando l'Apocalisse farne un Comentario, e adattando quelle visioni al suo secolo, ed alla vita corrotta degli Ecclesiastici, d'aprire la strada a' suoi seguaci di riputare la Chiesa d'Avignone da Babilonia, e perciò di promettere una Chiesa nuova più perfetta sotto gli auspicj di S. Francesco, come colui, che avea stabilita la vera Regola Evangelica, osservata da Cristo, e da' suoi Appostoli; prorompendo da poi in altre bestemmie, pubblicando il Papa essere l'Anticristo, la Chiesa d'Avignone la Sinagoga di Satana, e che perciò non si dovea prestar più ubbidienza a Giovanni XXII, nè considerarlo più come Papa.

Dall'altra parte gli Scrittori franzesi, pur troppo amanti del lor paese, e degli uomini della loro Nazione, non possono senza collera sentire ciò, che i nostri Italiani scrissero di questa traslazione, e de' loro Pontefici avignonesi. Negli ultimi nostri tempi il più impegnato in lor difesa si vede essere Stefano Baluzio152, il quale fa vedere quanto a torto gl'Italiani comparano quella traslazione all'Esilio Babilonico: che debba più tosto darsi la colpa a' Romani, i quali avendo ridotta Roma in una perpetua confusione piena di tumulti e di fazioni, costrinsero Clemente V a trasferire la sua Sede in Francia, la quale è stata sempre il sicuro asilo de' romani Pontefici: che agl'Italiani ciò non piacque, non per altro, se non perchè venivano ad esser privati de' comodi e guadagni, che lor recava la Corte di Roma; che se si dovesse in ciò dar luogo alle querele, più tosto la Francia dovrebbe dolersi di questo trasferimento in Avignone, la quale ne ricevè danni grandissimi, a cagion che li perversi Italiani, che quivi si portarono, corruppero i costumi de' Franzesi, i quali quando prima vivevano colla loro simplicità, menando una vita molto frugale, trasferita la Corte in Francia, appresero dagl'Italiani il lusso, le astuzie, le simonie, gl'inganni, ed i loro perversi costumi: tanto che Niccolò Clemange153 soleva dire, da quel tempo essersi introdotta in Francia la dissolutezza.

Sostengono ancora i Franzesi, che la residenza dei Papi in Avignone non iscemò in conto alcuno la possanza della Santa Sede, anzi che quivi si conservò con sommo onore ed unione: e che non servitù, ma protezione e riverenza ebbero da' loro Re. Che la vita e costumi de' Papi avignonesi comparati a quelli de' Papi di Roma, che ressero ivi la Sede Appostolica prima di questa traslazione, e da poi che quella fu restituita in Roma, furono meno peggiori, e meno scandalosi. Non doversi prestar intera fede a Giovanni Villani ed agli altri Scrittori italiani, che lo seguirono come appassionati; nè doversi l'esterminio de' Templarj attribuire al disegno che Clemente V ed il Re Filippo il Bello fecero d'occupare i loro beni, ma ai loro enormi delitti, ed esecrande eresie provate con reiterate confessioni de' rei. Ed il Baluzio nelle Note da lui fatte alle Vite de' Papi Avignonesi, adopera tutti i suoi talenti in purgar Clemente V da ciò, che gl'imputa il Villani: difende parimente Giovanni XXII, assolve Benedetto XII dallo stupro, che se gl'imputa della sorella del Petrarca, e dalla vinolenza. Si studia di far apparire apocrifa la Bolla di Clemente VI del Giubileo, ed in brieve prende con ardore la difesa di tutti que' Papi, che in Francia dimorarono.

Ma quantunque gl'Italiani nudrissero sentimenti contrarj a quelli de' Franzesi, a' nostri Regnicoli però fu uopo seguitare l'esempio de' loro Principi, ed allontanandosi da tutto il resto d'Italia, secondare i Franzesi. I nostri Re della Casa d'Angiò, siccome si è potuto osservare da' precedenti libri di quest'Istoria, erano grandemente obbligati a' Papi d'Avignone, e per conseguenza gli furono ossequiosissimi, e come leggi inviolabili erano i loro voleri prontamente eseguiti. Appena Clemente V diede avviso al re Carlo II della risoluzione presa, ed eseguita in Francia contro i Templarj, con richiedergli ch'egli lo stesso facesse eseguire ne' suoi Dominj, che subito questo Re lo ubbidì, e di vantaggio scrisse al Principe d'Acaja, che eseguisse parimente egli nel Principato d'Acaja quanto il Papa avea ordinato, con carcerare incontanente tutti i Templarj, ed occupare i loro beni, e tenergli in nome della Sede Appostolica154.

Il Re Roberto avea maggiori obbligazioni col Pontefice Clemente, come s'è detto, e non men col suo successore Giovanni XXII. Questo Papa, prima d'esserlo, fu nudrito in Napoli nella Corte di Roberto, e dopo la morte di Pietro de Ferraris succedè egli al posto di Cancelliere del Re155, e da poi a sua istanza fu fatto Vescovo d'Avignone: ed asceso al Pontificato si mantenne fra loro una stretta amicizia e corrispondenza. Quindi ciò che la Germania, e gli altri Stati d'Europa, per la contenzione che Giovanni ebbe con Lodovico Bavaro, non potè soffrire di questo Pontefice, presso di noi fu legge inviolabile. Egli c'introdusse le Regole della Cancelleria, e tutti i modi da lui inventati per cumular danari, furono nel Regno di Roberto prontamente eseguiti. Per questa ragione a questi tempi il nome de' Nunzj, e Collettori Appostolici si legge più frequente nel Regno; e la lor mano stesa anche sopra i beni delle Chiese vacanti.

135Dant. infer. canto 19.
136Simon. Schard. Syntagma Tractatuum, de Imperiali Jurisd.
137V. Struvium Hist. Jur Canon, c. 7 § 36.
138Lib. XIX cap. ult. n. 3.
139V. Chioccar. M. S. giurisd. to. 10.
140S. Antonin. par. 3 tit. 21 cap. 1
141Baluz. vita PP. Aven. tom. 1 pag. 112.
142Blondus Flavius. Anton. Campus l. 3 Hist. Cremon. Odor. Raynald. ann. 1314.
143Dant. Infern. cant. 19.
144Villan. l. 9 c. 58.
145S. Antonin. tit. 21 c. 3 § 21.
146Villan. l. 9 c. 79.
147V. Struv. Histor. Jur. Can. c. 7 § 28.
148V. Baluz. in Notis PP. Aven. t. 1 p. 825.
149Vita 8 Bened. XII apud Baluz. t. 1 p. 240.
150Vita 7 Bened. XII apud Baluz. l. c.
151Questa Bolla si legge presso Baluz. in 5 vita Clement. VI to. 1 p. 312, presso Cornelio Agrippa, ed altrove.
152Baluz. in Praefat. ad vitas PP. Aven.
153Nicol. de Clemang. cap. 27 de corr. Ecol. statu.
154Chiocc. M. S, giurisd. tom. 8.
155Baluz. in Notis ad Vitas PP. Aven. tom. I p. 796.