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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

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CAPITOLO I
Ferdinando II è discacciato dal Regno da Carlo Re di Francia. Entrata di questo Re in Napoli, a cui il Regno si sottomette

Ferdinando, il quale dopo la partita di Roma si era ritirato ne' confini del Regno, essendo stato per la fuga del padre richiamato in Napoli, da poi ch'ebbe assunto l'autorità ed il titolo regale raccolse il suo esercito, e s'accampò a S. Germano per proibire, che i nemici non passassero più innanzi. Ma avanti che il Re di Francia giungesse a S. Germano, Ferdinando con grandissimo disordine abbandonò la Terra ed il passo; ond'entrato il Re in S. Germano, Ferdinando si ritirò a Capua, dov'entrò accompagnato con poca gente, non avendovi i terrazzani voluto introdurre alcuna banda de' suoi soldati. Quivi fermatosi poche ore, e pregata quella città a mantenersi a sua divozione, promettendole di ritornare il dì seguente, se n'andò a Napoli, temendo di quello che gli avvenne, cioè di ribellione. L'esercito lo dovea aspettare a Capua; ma quando egli vi tornò il giorno seguente non trovò nessuno. Intanto Re Carlo da S. Germano era giunto a Tiano, ed alloggiò a Calvi vicino due miglia a Capua. I Capuani tosto l'introdussero nella loro città con tutto il suo esercito; indi passato in Aversa, i Napoletani seguendo l'esempio di Capua, trattavano di mandargli Ambasciadori ad incontrarlo e rendersi a lui, sotto condizione, che gli fossero conservati gli antichi privilegi.

Allora fu, che Ferdinando, veduti tali andamenti, e che il Popolo e la Nobiltà era in manifesta ribellione, e con l'armi alla mano, vedendo di non poter ripugnare all'impeto cotanto repentino della sua fortuna, deliberò uscire della città, e convocati in su la piazza del Castel Nuovo molti gentiluomini e popolani, gli disciolse dal giuramento ed omaggio, che pochi dì avanti gli avean dato, e gli diede licenza di mandare a prendere accordo col Re di Francia, con sentimenti cotanto compassionevoli ed affettuosi, che espresse in quella sua orazione, cotanto ben descritta dal Guicciardino210, che udita con compassione a molti commosse le lagrime. Ma era tanto l'odio in tutto il popolo, e quasi in tutta la nobiltà, del Re suo padre, e tanto il desiderio de' Franzesi, che per questo non si fermò il tumulto, anzi sfacciatamente alla sua presenza il popolo cominciò a saccheggiar le sue stalle, onde uscito dal castello per la porta del Soccorso, montò su le galee sottili, che l'aspettavano nel Porto, e con lui s'imbarcò anche D. Federico suo zio e la Regina vecchia moglie dell'avolo, con Giovanna sua figliuola; e seguitato da pochi de' suoi navigò all'isola d'Ischia, detta dagli antichi Enaria, replicando spesso con alte voci, mentre che aveva innanzi agli occhi il prospetto di Napoli, il versetto del Salmo di Davide: Nisi Dominus custodierit Civitatem, frustra vigilat qui custodit eam.

Per la partita di Ferdinando da Napoli ciascuno cedeva per tutto, come ad uno impetuosissimo torrente, alla fama sola de' vincitori; ed intanto gli Ambasciadori napoletani trovato Carlo in Aversa, gli resero la città, avendo egli conceduto alla medesima con somma liberalità molti privilegi ed esenzioni. Entrò Carlo in Napoli, secondo il Guicciardino, il dì vigesimo primo di febbrajo di quest'anno 1495, ricevuto con tanto applauso ed allegrezza da ogn'uno, che vanamente si tenterebbe esprimere, concorrendo con festeggiamento incredibile, ogni sesso, ogni età, ogni condizione, ogni qualità, ogni fazione d'uomini, come se fosse stato padre e fondatore di quella città. E ciò che fu più di stupore, quegli stessi o i loro maggiori ch'erano stati esaltati o beneficati dalla casa d'Aragona, non mostrarono minor giubilo degli altri, e Gioviano Pontano istesso, che partito Alfonso era stato da Ferdinando rifatto suo Segretario, nell'Orazione che gli fece, quando fu incoronato Re nel Duomo di Napoli, non si ritenne di distendersi soverchio nella vituperazione dei Re di Casa d'Aragona, da' quali era stato sì grandemente esaltato.

Fu Carlo condotto ad alloggiare in Castel Capuano, poichè Castel Nuovo si teneva per Ferdinando dal Marchese di Pescara; e si videro in breve tempo tutte le province del Regno passare sotto la dominazione de' Franzesi. Toltone Ischia e Gaeta, tutta Terra di Lavoro fu sottomessa. La Calabria tosto si diede a Carlo, dove furono mandati Monsignor d'Aubignì, e Perone del Baschie senz'esercito. L'Apruzzo si rivoltò da se stesso e la prima fu la città dell'Aquila, che fu sempre di fazione franzese. La Puglia fece il simigliante, eccetto il Castello di Brindisi e Gallipoli, che fu conservata dal presidio che v'era dentro, altrimenti il popolo si sarìa sollevato. Nella Calabria tre luoghi solamente si mantennero alla divozione di Ferdinando. I due primi furono Amantea e Tropea antichi Angioini, i quali avendo innalzate le bandiere di Carlo, vedutisi poi esser donati a Monsignor di Persì, tosto le tolsero e vi riposero l'insegna d'Aragona: il terzo fu Reggio, che sempre si stette costante al suo Principe. E narra il Signor d'Argentone, che tutto ciò che rimase in fede, fu per difetto di mandarvi gente, poichè in Puglia ed in Calabria non ne andò pur tanta, che fosse stata bastante a guardare una sola terra. La città di Taranto s'arrese insieme colla fortezza. Il medesimo fecero Otranto, Monopoli, Trani, Manfredonia, Barletta e tutto 'l rimanente. Venivano le città ad incontrare i Franzesi tre giornate lontane per darsi al Re Carlo, e poi ciascuna mandava a Napoli i loro Sindici a renderle.

Tutti i Signori e Baroni del Regno concorsero a Napoli per fargli omaggio: toltone il Marchese di Pescara, lasciato da Ferdinando alla guardia del Castel Nuovo, anche i suoi fratelli e nipoti v'andarono. Il Conte d'Acri ed il Marchese di Squillace fuggirono in Sicilia; perchè il Re Carlo avea donato lo Stato loro a Monsignor d'Aubignì: si trovarono anche in Napoli il Principe di Salerno, il Principe di Bisignano suo fratello co' figliuoli, il Duca di Melfi, quel di Gravina ed il vecchio Duca di Sora, il Conte di Montorio, il Conte di Fondi, il Conte della Tripalda, quel di Celano, il Conte di Troja il giovane, nodrito in Francia e nato in Scozia, ed il Conte di Popoli, che fu trovato prigioniere in Napoli: il Principe di Rossano, dopo essere stato lungo tempo in carcere col padre, era stato liberato, e se n'andò o volentieri, o forzato con Ferdinando. Vi si trovarono eziandio il Marchese di Venafro e tutti i Caldoreschi: il Conte di Metallina ed il Conte di Marigliano, ancorchè questi ed i loro predecessori avessero servito sempre la casa d'Aragona. In brieve vi furono in Napoli a dar ubbidienza al Re Carlo tutti i Signori del Regno, salvo que' tre di sopra nominati.

Ecco, come saviamente ponderò il Guicciardino, che per le discordie domestiche, per le quali era abbagliata la sapienza tanto famosa de' nostri Principi italiani, e per la leggerezza e pazzo amore alla novità de' Napoletani, si alienò con sommo vituperio e derisione loro e della milizia italiana, e con grandissimo pericolo ed ignominia di tutti, una preclara e potente parte d'Italia, dall'Imperio degli Italiani all'Imperio di gente oltramontana trapassando; perchè Ferdinando il vecchio, se ben nato in Ispagna, nondimeno perchè insino dalla prima gioventù era stato o Re o figliuolo di Re continuamente in Italia, e perchè non avea altro Principato in altra provincia, ed i figliuoli e nipoti tutti nati e nutriti a Napoli, erano meritamente riputati italiani. E quantunque la dominazione dei Franzesi sparisse come un baleno, non fu però, che il Regno stabilmente ritornasse di nuovo sotto Ferdinando o Federico suo zio, buono e savio Principe, che avrebbe potuto cancellare ogni memoria dell'odio, che portavano i popoli ad Alfonso; poichè vedutisi questi da dura necessità costretti di ricorrere agli aiuti e soccorsi di Ferdinando il Cattolico Re di Spagna, se sottrassero il Regno dalla dominazione de' Franzesi, lo videro poi con estremo lor cordoglio cadere sotto l'imperio degli Spagnuoli, e riconoscere non più Principi nazionali ma stranieri, che da rimotissime parti amministrandolo per mezzo de' loro Ministri, quanto perdè di dignità reale e di decoro, altrettanto si vide malmenato ed abbietto.

CAPITOLO II
Carlo parte dal Regno, e vi ritorna Ferdinando, che ne discaccia i Franzesi coll'aiuto del G. Capitano; viene acclamato da' popoli, ed è restituito al Regno: suo matrimonio e morte

I Franzesi, che non sapendo reprimere la violenza della prospera fortuna, si resero vie più altieri ed ambiziosi, oltre d'aversi alienati gli animi de' popoli, dando sospetto a' Principi d'Italia, ed a coloro medesimi che ve gli aveano invitati, se gli alienarono in guisa, che finalmente congiurati gli discacciarono interamente d'Italia. Resi ormai padroni del Regno, e per intelligenza e pratica avuta co' Tedeschi che lo guardavano, resi ancor padroni del Castel Nuovo, e poi del castello dell'Uovo e di Gaeta; non restava loro altro di maggior rimarco, che impossessarsi d'Ischia. Tanto che Ferdinando perduta ogni speranza, lasciando quell'isola in guardia ad Innico d'Avalos fratello del Marchese di Pescara, partì e se ne passò in Sicilia, dove a' 20 marzo di quest'istesso anno 1495 fu da' Messinesi con amor grande ricevuto, e quivi, consultando con Alfonso suo padre che ancor vivea, del modo come ricuperar potessero, e con quali aiuti il perduto Regno, dimorava.

Intanto Re Carlo mal sapendo co' suoi Capitani governarsi in un Regno nuovo, e per soverchio orgoglio de' suoi, nulla soddisfazione dandosi alla nobiltà, in brevissimo spazio vide mutarsi quella gloria e quella fortuna, che cotanto l'avea favorito. Narra il Signore d'Argentone, allora suo Ambasciadore in Vinegia, che il Re dopo essere entrato in Napoli, infino alla sua partita, non attese ad altro che a' piaceri ed a' sollazzi; ed i Franzesi suoi Ufficiali a rapine, ed a ragunar denari: alla nobiltà non fu usata nè cortesia nè carezzo alcuno; anzi con difficoltà erano introdotti nella sua corte. Gli Caraffa furono i meno maltrattati, ancorchè fossero veri Aragonesi. A niuno lasciarono ufficj, nè dignità, e peggio trattarono gli Angioini che gli Aragonesi. E Matteo d'Afflitto211 rapporta, che Carlo istigato da' suoi, che lo stimolavano a ridurre i Baroni del Regno nello stato, nel quale sono i Baroni di Francia, fece consultare il modo come potesse toglier loro il mero e misto imperio, che sin dal tempo del Re Alfonso I d'Aragona esercitavano ne' loro feudi. Non si spedivano privilegi ed ordinazioni del Re, che i Ministri, per le cui mani passavano, non ne riscuotessero denari. Tutte le autorità e carichi furono conferiti a due o tre Franzesi. Si levavano i Ministri dai loro posti, e non senza denari poi si restituivano. Così i Napoletani (gente naturalmente più d'ogni altra mutabile) quel pazzo amore, che prima aveano ai Franzesi, lo cominciarono a mutar in odio.

 

Intanto giunto Ferdinando in Sicilia, consultando con Alfonso suo padre di trovar qualche riparo alla loro rovina, aveano deliberato di ricorrere agli aiuti di Ferdinando il Cattolico, come ad un Principe non men potente, che a lor congiunto di sangue; ma sopra tutto, perch'essendo padrone della Sicilia, avrebbe presa la loro protezione, non tanto per la strettezza del sangue, quanto che a' suoi propri interessi importava, che il Regno di Napoli non fosse in mano dei Franzesi, i quali dominando un Regno così possente e ricco, e cotanto alla Sicilia vicino, forte dubitar si poteva, che finalmente non s'invogliassero d'invaderla, ed a quel di Napoli non pensassero d'unirla. Mandarono per ciò in Ispagna al Re Cattolico, Bernardino Bernaudo Segretario di Ferdinando, perchè ne pigliasse la protezione, e con validi soccorsi gli riponesse nel possesso del perduto Regno. Missione per gli Aragonesi di Napoli pur troppo infelice; e se la necessità, che allora li premeva non gli scusasse, fu questa una deliberazione pur troppo mal regolata ed imprudente, non solo perchè s'esposero all'ambizione degli Spagnuoli, che per aver la Sicilia vicina facilmente potevano invogliarsi alla occupazione del Regno di Napoli, come l'evento lo dimostrò; ma ancora perchè Ferdinando il Cattolico figliuolo di Giovanni Re d'Aragona fratello d'Alfonso I riputava il Regno di Napoli essersi ingiustamente tolto alla Corona d'Aragona, a cui spettava, e che Alfonso non poteva lasciarlo a Ferdinando suo figliuol bastardo, ma che in quello vi dovea succedere Giovanni, siccome succedette nella Sicilia, nell'Aragona e negli altri Regni posseduti da Alfonso. E le cose succedute appresso dimostrarono, che agli Aragonesi di Napoli sarebbe stato più facile e maggiore la speranza di ricuperare il Regno, se fosse rimaso nelle mani de' Franzesi, che cadendo in potere degli Spagnuoli perder affatto ogni speranza di riaverlo.

Ferdinando il Cattolico ricevè molto volentieri l'invito ed accettò l'impresa; onde mandò tosto in Sicilia con sufficiente armata Consalvo Ernandez di casa d'Aghilar, di patria Cordovese, uomo di molto valore ed esercitato lungamente nelle guerre di Granata: il quale nel principio della sua venuta in Italia, cognominato dalla jattanza spagnuola il Gran Capitano per significare con questo titolo la suprema podestà sopra loro, meritò per le preclare vittorie ch'ebbe da poi, che per consentimento universale gli fosse confermato e perpetuato questo soprannome, per significazione di virtù grande e di grande eccellenzia nella disciplina militare. Giunto Consalvo in Messina colle sue truppe, fu con incredibile allegrezza accolto da Alfonso e da Ferdinando; ed avendo confortato que' Re a star di buon cuore, sbarcò le sue genti in Calabria, ove riportò sopra i Franzesi rimarchevoli vantaggi.

Dall'altra parte i Principi d'Italia, ed il Duca istesso di Milano conchiusero in Vinegia a danni del Re Carlo una ben forte lega, nella quale oltre i Vinegiani, v'entrarono ancora il Re de' Romani e Ferdinando Re di Castiglia. Il Papa Alessandro VI vi volle ancor egli essere incluso, per liberarsi da continui timori, e dalle violenze che temeva da' Franzesi: era egli entrato in diffidenza di Carlo, e cominciavano ad alienarsi, e l'alienazione a scoppiare in manifeste inimicizie; poichè avendo il Re Carlo più volte ricercato il Papa, che l'investisse del Regno, e gli destinasse un Legato che lo incoronasse, Alessandro non volle acconsentirvi; onde Carlo sdegnato lo minacciò, che avrebbe fatto congregare un Concilio per farlo deporre; di che dubitando il Papa, e temendo la minaccia non fosse posta in effetto a cagion che teneva nemici molti Cardinali, e fra gli altri il Cardinal della Rovere, che poi fu Papa Giulio II, fu da dura necessità costretto mandargli l'investitura ed il Legato per l'incoronazione la quale seguì a' 20 maggio di questo anno 1495, con grande pompa e celebrità nel Duomo di Napoli.

Ma pubblicata che fu la lega di questi Principi, i quali per renderla più plausibile pubblicarono ancora i fini, per li quali essi furon mossi a firmarla, cioè per difesa della Cristianità contra il Turco, per difesa della libertà d'Italia, e per la conservazione degli Stati propri; allora entrò il Re in tanto sospetto che non fu possibile a' suoi Capitani di quietarlo, ed essendo precorsa voce, che Francesco Gonzaga Marchese di Mantova, eletto Generale dell'esercito della lega, lo minacciava, o d'ucciderlo o di prenderlo prigione, deliberò partir da Napoli, risoluto di ritornarsene in Francia per la medesima strada, dond'era venuto, benchè la lega s'apparecchiasse di vietarglielo. Si ritirò per tanto appresso di se le migliori truppe, e lasciò per guardia del Regno assai debole sostentamento, non più che cinquecento uomini d'arme franzesi, duemila cinquecento Svizzeri, ed alcune poche fanterie Franzesi. Vi rimase per Capitan Generale Monsignor di Monpensieri della Casa di Borbone, in Calabria Eberardo Stuard Monsignor d'Aubignì di nazione Scozzese, il quale era stato da lui eletto Gran Contestabile del Regno, ed al quale avea donato il Contado di Acri, col Marchesato di Squillace. Lasciò Stefano di Vers, Siniscalco di Beaucheu, Governadore di Gaeta, fatto da lui Duca di Nola e d'altri Stati e Gran Camerario, per le cui mani passavano tutti i denari del Regno. Monsignor D. Giuliano di Lorena, creato Duca della città di S. Angelo, restò alla difesa del proprio Stato. In Manfredonia vi rimase Gabriello da Montefalcone: in Taranto Giorgio de Sully: nell'Aquila il Rettor di Vietri; ed in tutto l'Apruzzo Graziano di Guerra. Lasciò i Principi di Salerno e di Bisignano, che l'aveano ottimamente servito, molto ben contenti ed in buono e ricco stato.

Partì per tanto il Re, dopo aver ordinato in così fatta guisa la guardia del Regno, nell'istesso mese di maggio di quest'anno 1495 con tanta velocità, che pareva esser seguitato da innumerabile esercito, e giunto a Roma, non trovandovi il Pontefice, il qual per tema, o per non vederlo, erasi ritirato in Orvieto e poi in Perugia, proseguì avanti il suo cammino, fin che giunto al fiume Taro, fu incontrato dall'esercito de' Vineziani, dove seguirono fieri combattimenti, perchè i Vineziani cercavano impedirgli il passaggio, e Carlo aprirsi il passo con le armi alle mani. Si pugnò ferocemente, e resta ancor oggi fra' Scrittori in dubbio, se fossero rimasi più tosto vincitori i Franzesi, che, malgrado dell'opposizione, finalmente passarono, o i Vineziani, che saccheggiarono il campo e le bagaglie di Carlo, di che, oltre l'Argentone, ampiamente scrissero il Guicciardino e Paolo Paruta nei suoi Discorsi.

La partita di Carlo dal Regno portò tanto cangiamento negli animi de' Popoli, che si videro mutar tosto le inclinazioni, ed i desiderj insieme con quella fortuna, che due mesi prima gli era stata cotanto favorevole. I Napoletani, mentre il Gran Capitano stava guerreggiando in Calabria co' Franzesi, mandarono sino in Sicilia con grandissima fretta a chiamar Ferdinando. Questi partì tosto con 60 grossi legni e 20 altri minori, ed ancorchè le sue forze fossero picciole, era però grande per lui il favore e la volontà de' Popoli; per ciò arrivato alla spiaggia di Salerno, subito questa città, la Costa d'Amalfi e la Cava alzarono le sue bandiere. Volteggiò da poi per due giorni sopra Napoli, e finalmente s'accostò coll'armata al lido per porre in terra alla Maddalena; ma uscito fuori della città Mompensieri con quasi tutti i soldati per vietargli lo scendere, i Napoletani, presa tale opportunità, si levarono subito in arme e cominciarono scopertamente a chiamare il nome di Ferdinando; ed occupate le porte lo fecero a' 7 luglio di quest'istesso anno 1495 entrare in Napoli, con alcuni de' suoi a cavallo, e cavalcando per tutta la città con incredibile allegrezza di ciascuno, fu da tutti ricevuto con grandissime grida; nè si saziando le donne di coprirlo dalle finestre di fiori e d'acque odorifere, molte delle più nobili correvano nella strada ad abbracciarlo e ad asciugargli dal volto il sudore. Seguitarono subito l'esempio di Napoli, Capua, Aversa e molte altre Terre circostanti, e Gaeta parimente cominciò a tumultuare. In Puglia la città d'Otranto sin da che intese la lega, vedutasi senza provvedimento di gente di guerra, e vicina a Brindisi e Gallipoli, aveva alzate le bandiere d'Aragona; onde Federico ch'era in Brindisi, la fornì tosto d'ogni cosa necessaria.

Nel tempo istesso che Ferdinando entrò in Napoli, l'armata vineziana accostatasi a Monopoli e fattovi sbarco, prese per forza la città, e poi, per accordo, Pulignano. Taranto fu difesa con valore da Georgio di Sully, e la conservò sotto l'insegne di Carlo infin che la fame non lo costrinse a renderla, dove poi egli si morì di peste. Ma Gabriello di Montefalcone, che avea in guardia Manfredonia, la rese subito per mancamento di vettovaglie, ancor che avesse egli ritrovata quella piazza copiosa di tutte le cose. Molte altre città tosto si resero per mancanza di viveri, e narra l'Argentone, che molti vendettero tutto ciò che trovarono dentro le Piazze commesse alla loro fede, e perciò eran costretti di subito renderle. S'aggiungeva ancora che tutte le Terre e Fortezze del Regno restarono mal fornite di denari, perchè stando assignati i soldi sopra le rendite delle Province, queste mancando, tosto vennero quelli a mancare, e la Calabria era stata quasi che tutta manomessa dal Gran Capitano. Fu fama che Alfonso poco innanzi alla sua morte, la qual accadde in questo tempo, avendo inteso, che il Regno erasi restituito sotto l'ubbidienza di Ferdinando suo figliuolo, avesse fatta istanza al medesimo di ritornare in Napoli, ove l'odio già avuto contra di lui credeva essersi convertito in benevolenza, e si dice che Ferdinando, potendo più in lui (com'è costume degli uomini) la cupidità del regnare, che la riverenza paterna, non meno mordacemente, che argutamente gli rispondesse, che aspettasse insino a tanto, che da lui gli fosse consolidato talmente il Regno, ch'egli non avesse un'altra volta a fuggirsene212.

Poco adunque restando a Ferdinando a fare per discacciare interamente qualche reliquia de' Franzesi, ch'erano rimasi in Aversa ed in Gaeta, egli per maggiormente corroborare le cose sue con più stretta congiunzione col Re di Spagna, tolse per moglie, con la dispensa del Pontefice, Giovanna sua zia, nata di Ferdinando suo avo, e di Giovanna sorella del Re. E proseguendo con non interrotto corso di benigna fortuna a discacciare i suoi nemici dal Regno, non mancandogli quasi altro, che Taranto e Gaeta, si vide collocato, in somma gloria, ed in speranza grande d'avere ad esser puri alla grandezza de' suoi maggiori; ma ecco, mentre colla novella sposa si diverte a Somma, Terra posta nelle radici del Monte Vesuvio, che, o per le fatiche passate, o per disordini nuovi, gravemente infermatosi, vien disperato di salute, e portato a Napoli, finì fra pochi giorni in ottobre di questo anno 1496 la sua vita, non finito ancora l'anno della morte di Alfonso suo padre, e fu seppellito nella Chiesa S. Domenico, dove si vede il suo tumulo.

 

Lasciò per la riportata vittoria, e per la nobiltà dell'animo, e per molte virtù regie, le quali in lui risplendevano, non solo in tutto il Regno, ma eziandio per tutta Italia grandissima opinione del suo valore; ed ancorchè non avesse regnato che un solo anno ed otto mesi, pure ci lasciò alquante leggi savie e prudenti, le quali si leggono infra le prammatiche de' Re aragonesi. Morì senza figliuoli nell'età di 28 anni, e però gli succedette D. Federico suo zio, avendo questo Reame nello spazio di soli tre anni veduti cinque Re; Ferdinando il vecchio, Alfonso suo figliuolo, Carlo VIII Re di Francia, Ferdinando il giovine, e Federico suo zio

210Guic. l. 1.
211Afflict. in Prooem. Constit. Regn.
212Guic. lib. 2.