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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

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CAPITOLO V
Delle leggi, che Ferdinando il Cattolico ed i suoi Vicerè deputati al governo del Regno ci lasciarono

Ferdinando ci lasciò poche leggi, ma quelle del G. Capitano, del Conte di Ripacorsa e di D. Antonio di Guevara suo Luogotenente, di D. Raimondo di Cardona e di D. Bernardino Villamarino suo Luogotenente, furono più numerose.

Merita tra le leggi di Ferdinando essere annoverata in primo luogo quella, che a richiesta della città stabilì per ristoramento dell'Università degli Studi di Napoli: erano i nostri Studi per li precedenti disordini e rivoluzioni di cose quasi che estinti, ed i pubblici Lettori, a' quali dal regio erario erano somministrati i soldi, per le tante guerre precedute, non erano pagati: pregarono per tanto i Napoletani il Re Ferdinando, ch'essendo il Regno pervenuto nelle di lui mani, ed essendo stato nella città di Napoli capo del Regno, e sede regia, da tempo antichissimo lo Studio generale in ogni facoltà e scienza, ed in quello essendo stati Cattedratici i più famosi Dottori in ogni facoltà, salariati da' Re suoi predecessori, era allora per le precedute guerre quasi che mancato ed estinto; onde lo pregarono di volerlo ristaurare, e ridurlo al primiero stato, preponendo alle letture i Dottori napoletani ed i regnicoli a' forastieri, ed ordinare il pagamento a' Lettori sopra alcuna speziale entrata di S. M. nella città di Napoli, o nella provincia di Terra di Lavoro. Il Re benignamente vi acconsentì, ed ordinò al suo Tesoriere, che delle sue più pronte e spedite rendite pagasse ogni anno agli Eletti della città per mantenimento de' Lettori ducati duemila, come dal suo diploma spedito nella città di Segovia sotto li 30 settembre del 1505.301 Ciò che poi fu confermato dall'Imperador Carlo V nel Parlamento generale tenuto in sua presenza in Napoli nel 1536302.

Le altre sue leggi si leggono nel volume delle nostre prammatiche. Prima di venire a Napoli ne promulgò alcune nelle città di Toro, di Segovia e di Siviglia. Venuto in Napoli ne promulgò altre, che portano la data nel Castel Nuovo. Ritornato in Ispagna insin che visse ne stabilì alcune altre, le quali secondo l'ordine de' tempi furono raccolte nella Cronologia prefissa al primo tomo delle nostre prammatiche, secondo l'ultima edizione del 1715.

Nella sua assenza i Vicerè suoi Luogotenenti, ai quali era di dovere, che per la lontananza della sua sede regia, si dasse questa potestà, ne stabilirono moltissime.

Il Gran Capitano in febbrajo ed in giugno dell'anno 1504 ne promulgò due, ed un'altra in decembre del seguente anno 1505.

Il Conte di Ripacorsa ne stabilì pure alcune savie e prudenti. Diede egli per le medesime l'esilio dal Regno a tutti i Ruffiani: proibì severamente i giuochi e le usure, e riordinò la disciplina con leggi severe e serie, la quale per li preceduti disordini si trovava in declinazione e quasi che spenta. Alla di lui intercessione deve il Regno quelle prerogative, che Ferdinando il Cattolico gli concedette epilogate in 37 Capitoli303: siccome in tempo del suo Governo furono stabiliti in Napoli i Capitoli del ben vivere304, donde fu con tanta esattezza e saviezza provveduto alla dovizia ed abbondanza della città. Ed in que' pochi giorni, che D. Antonio Guevara come suo Luogotenente, governò il Regno, ne fu da costui stabilita una molto savia, per la quale furono rinovati i regolamenti, che Ferdinando I avea dati intorno a' Cherici e Diaconi Selvaggi305.

D. Raimondo di Cardona così nel Regno di Ferdinando, come in quello di Carlo V, che lo confermò Vicerè, ci lasciò pure sue prammatiche, siccome D. Bernardino Villamarino suo Luogotenente; le quali, per non tesserne qui un noioso catalogo, possono secondo l'ordine de' Tempi osservarsi nella suddetta Cronologia prefissa al primo Tomo delle nostre prammatiche.

Queste furono le prime leggi, che ci diedero gli Spagnuoli: leggi tutte provvide e savie, nello stabilir delle quali furono veramente gli Spagnuoli più d'ogni altra Nazione avveduti, e più esatti imitatori dei Romani.

CAPITOLO VI
Politia delle nostre Chiese durante il Regno degli Aragonesi insino alla fine del secolo XV, e principio del Regno degli Austriaci

Siccome si è potuto osservare ne' precedenti libri di quest'Istoria, i Pontefici romani, dopo essere interamente estinto lo Scisma, si occuparono più nelle guerre d'Italia, e a favorire, o contrastare uno de' Principi contendenti, che alle spedizioni contra i Turchi, o ad altre più grandi imprese. Si applicarono ancora, cominciando da Calisto III agl'interessi della propria Casa, e ad ingrandire i loro parenti e nipoti: instituto che continuato da' successori portò in Italia nelle loro private famiglie due grandi Signorie, quella di Fiorenza nella Casa de' Medici, e l'altra di Parma in quella de' Farnesi; e coloro, che non ebbero opportunità d'innalzarli cotanto, li provvidero almanco di ampi Stati ed estraordinarie ricchezze. Alessandro VI svergognò il Pontificato, perchè tutta la sua avarizia, tutta la sua ambizione e crudeltà, e tante altre sue scelleratezze le indirizzò a questo fine, d'innalzar Cesare Borgia suo figliuolo da privato ad assolute ed independenti Signorie.

L'avidità di cumular tesori e tirar denaro in Roma da tutte le parti e per ogni cosa, li tenne solleciti, di stender la loro giurisdizione sopra il temporale; dì ricevere le appellazioni in ogni sorta di causa, e di tirare in fine tutte le liti in Roma. Si tirarono ancora le collazioni di quasi tutti i Beneficj, colle riserve, grazie, aspettative, prevenzioni, annate e pensioni; e la maggior parte de' Beneficj più doviziosi furono posti in commenda. Tutti gli Arcivescovadi, Vescovadi, Badie, Priorati e Prepositure furono tirate in Roma. Le Indulgenze, che a questi tempi più del solito erano concedute da' Pontefici, le dispense, le decime, che erano imposte a' Cleri, e tanti altri emolumenti tiravano alla Camera Appostolica grandi ricchezze.

Ma sopra ogni altro dagli Spogli, particolarmente in Italia, si ricavavano somme considerabilissime. Ancorchè il Concilio di Costanza avesse proccurato porvi freno, con tutto ciò, morto il Beneficiato, prima che che se gli fosse dato il successore, ciò che lasciava, applicavasi alla Camera del Pontefice. Si mandavano Collettori e Sottocollettori per tutto, li quali con severe estorsioni mettevano in conto di spoglie eziandio gli ornamenti delle Chiese, e davano molta molestia agli eredi, anche sopra i beni acquistati dal defunto con industria, o cavati dal suo Patrimonio; ed in dubbio di qual qualità fossero i beni, sentenziavano a favor della Camera: e coloro che ad essi si opponevano, eran travagliati con scomuniche e censure.

In Francia e nella Germania tutte queste intraprese trovarono delle opposizioni, ed in Ispagna la legge degli Spogli fu ristretta a' soli Vescovi. Ma nel nostro Reame, come si è veduto nel XXII libro di quest'Istoria, mentre durò il Regno degli Angioini ligi de' Pontefici romani, si sofferirono queste ed altre cose peggiori.

Trasferito poi il Regno agli Aragonesi, Alfonso I e gli altri Re suoi successori della Casa d'Aragona, ancorchè seguendo gli esempi di Spagna; non piacesse loro usare que' forti ed efficaci rimedi, che si cominciavano a praticare in Francia; con tutto ciò andavano medicando le ferite con unguenti e con impiastri, affin di togliere, come meglio potevano, almeno gli abusi più gravi ed intollerabili. Essi, perchè i pregiudizi sofferti da' loro predecessori non loro ostassero, tiravano il titolo di regnare non già dagli Angioini, ma dagli Svevi e dall'ultimo Re Corradino, per l'investitura che ne fece al Re Pietro d'Aragona marito di Costanza figliuola del Re Manfredi.

Alfonso I nel Conclave, che nell'anno 1431 si tenne per l'elezione del nuovo Pontefice, proccurò che i Cardinali promettessero con giuramento di non pretendere più Spogli; ond'essendo l'elezione seguita in persona d'Eugenio IV, nell'investitura che questo Pontefice gli diede del Regno di Napoli, per quel che s'apparteneva agli Spogli e frutti delle Chiese vacanti, espressamente fu dichiarato, che si dovesse il tutto regolare JUXTA CANONICAS SANCTIONES. Quindi per tutto il tempo, che corse nel Regno de' Re d'Aragona, anche di Ferdinando il Cattolico, insino ai principj del Regno dell'Imperador Carlo V, fu presso noi introdotto stabile costume e pratica, che quando moriva alcun Prelato o Beneficiato, non solamente di quelle Chiese e Beneficj ch'erano di regia collazione, o presentazione, ma universalmente di tutte le Chiese e Beneficj del Regno, si dava dal Cappellano Maggiore la notizia della vacanza a' nostri Re, da quali per le loro Segreterie si spedivano commessioni a persone, che lor fossero più a grado, affinchè in nome della regia Corte ne prendessero il possesso, facessero degli Spogli esatto e fedele inventario, e quelli insieme co' frutti, che andavano maturando in tempo delle vacanze, conservassero in beneficio del successore, senza che vi s'intromettesse la Camera Appostolica. Da poi, conferitasi la Chiesa o Beneficio, si presentavano dal provvisto le Bolle, e dato a quelle l'exequatur Regium, spedivasi ordine al Commessario regio conservatore degli Spogli e de' frutti suddetti, acciò immettesse il provvisto nella possessione, e nell'istesso tempo gli dasse i frutti. Gli esempi di questa pratica ne' Regni d'Alfonso I, di Ferdinando I e del Re Federico, si descrivono in una consulta, che il Duca d'Alcalà fece al Re Filippo II nel 1571, mentr'era Vicerè del Regno306; ed insino a D. Ugo di Moncada, nel Regno di Carlo V, tal'era il costume, ancorchè a tempo di Ferdinando il Cattolico non si tralasciasse da Roma, quando le veniva in acconcio, di far delle sorprese, siccome finalmente le riuscì nel 1528, quando essendo accaduto nel precedente anno il sacco di Roma, Clemente VII per cavar denari per suo riscatto, destinò Commessarj per tutto, li quali a torto e a diritto esigessero spogli, annate e quanto potevano per far denari, come vedremo ne' seguenti libri di quest'Istoria.

 

Ferdinando I non tralasciò, per quanto potè, andar incontro ad altri abusi: egli, come si è veduto, regolò la prestazione delle collette, e l'altre immunità pretese da Cherici o Diaconi Selvaggi: ripresse gli attentati d'Innocenzio VIII307, e cose maggiori se ne potevano sperare da' suoi successori, se li tanti disordini accaduti poi nel Regno, non li avessero costretti a pensare alla conservazione del medesimo ed alla propria loro salute e scampo.

Ferdinando il Cattolico non discostandosi da' costumi spagnuoli, usava piacevolezza e lentezza. Quindi nè molto si badò a' progressi, che tuttavia gli Ecclesiastici facevano in distender la loro giurisdizione, ed ampliare i loro Tribunali, in guisa, che fu duopo ancor ad essi stabilire vari Riti (siccome fece l'Arcivescovado di Napoli) per meglio regolarli e molto meno si badò agli eccessivi acquisti, che non tanto le chiese, quanto i monasteri facevano de' beni temporali.

Monaci e beni temporali

Gli Aragonesi, ed infra gli altri il Re Alfonso II, arricchirono cotanto i Religiosi di Monte Oliveto, che siccome fu veduto nel XXV libro di questa Istoria, di buone Terre, di grandi e magnifiche abitazioni, e di preziosa suppellettile, gli fornirono. Di che però que' Monaci ne furono a coloro gratissimi; poichè nella loro bassa e povera fortuna non mancarono sovvenirgli, e si legge ancora una compassionevole lettera scritta da Alfonso II, mentre dimorava in Sicilia, a' PP. Olivetani di Napoli, pregandoli, come fecero, che si ricordassero di lui nelle loro orazioni, raccomandandolo a Dio, al quale era piaciuto di ridurlo in quello stato lagrimevole, perchè avesse di lui pietà e misericordia. E nelle calamità della Regina Isabella, moglie del discacciato Re Federico, gli Olivetani con molta gratitudine la sovvennero: poichè avendo, come si disse, presa la risoluzione di ritirarsi in Ferrara, s'era quivi co' suoi figliuoli ridotta in tanta povertà, che se gli Olivetani non la soccorrevano di 300 ducati l'anno, non poteva vivere; di che questa savia Regina per sua lettera, scritta da Ferrara, rende loro molte grazie, che in quelle avversità le avessero usata tanta gratitudine308

Nel principio del Regno degli Aragonesi, Alfonso I ad imitazione di molti Conventi, che s'erano fondati in Ispagna, portò a noi l'ordine di S. Maria della Mercede, istituito per la redenzione de' Cattivi dalle mani degl'Infedeli: egli fu il primo che nell'anno 1442, secondo il diploma che rapporta il Summonte309, fondò in Napoli un monastero di quest'Ordine, dotandolo di molti beni, e concedendogli molti privilegi. Il qual Ordine in tempo degli Austriaci fu da poi accresciuto d'altri monasteri in Napoli ed altrove.

Ma niun Ordine fu cotanto celebre, e che più si allargò di quanti ne furono in questo secolo istituiti, quanto quello de' Minimi, surto in Calabria, e che ebbe per autore Francesco di Paola, nome della Terra, ove e' nacque. Si dissero prima Romiti di S. Francesco, perchè, secondo narra Filippo di Comines Signor d'Argentone310 (che trovandosi allora nella Corte del Re Luigi XI ebbe congiuntura di trattarvi, quando da questo Re fu chiamato in Francia) egli dall'età di dodici anni infino alli quarantatrè, quanti ne avea, quando venne e lo conobbe in Francia, avea menata una vita di Romito, abitando sempre in una spelonca sotto un altissimo sasso. Non mangiò in tutto il corso di sua vita nè carne, nè pesce, nè uova, nè latte, astenendosi di quasi tutti i cibi comuni all'uman genere. Era egli uomo idiota e senza lettere, nè giammai avea appresa cos'alcuna. Ciò che, come narra Comines, dava maggior ammirazione per le risposte prudenti e savie, che egli faceva. La fama di tanta e sì estraordinaria austerità e ritiratezza lo rese celebre per santità in tutta Europa, ond'era chiamato il Sant'uomo di Calabria.

Luigi XI Re di Francia fu assalito a questi tempi d'una stravagante infermità, la quale l'avea quasi alienato di mente, e ridotto a far cose straordinarie e pazze. Si era chiuso nel suo castello di Plessis di Tours e pieno di sospetti fece ben chiudere il palazzo, dentro il quale niun personaggio voleva che s'alloggiasse, per grande che fosse. Desideroso di ricuperar sua salute, mosso dalla fama del Sant'uomo di Calabria, mandò un suo Maestro di Casa a torlo, ma non volendo quegli partire senza commessione del Papa e del suo Re, fu duopo, che Federico allora Principe di Taranto figliuolo del Re Ferdinando, andasse in compagnia dell'Inviato franzese a torlo dalla spelonca, e lo condussero in Napoli, dove dal Re e dai suoi figliuoli fu ricevuto con somma stima ed onore Ciò che diede ammirazione fu, che essendo uomo idiota e semplice, ragionava con esso loro, con tanta saviezza, come se fosse nutrito ed allevato in Corte. Passò poi in Roma, dove fu da' Cardinali accolto con grande onore, e molto più dal Pontefice Sisto IV, dal quale ebbe tre segrete e lunghe udienze, facendolo sedere presso a lui in sedia splendidamente ornata. Rimase il Pontefice così sopraffatto della prudenza delle sue risposte, che gli diede autorità di poter istituire un novello Ordine chiamato da lui de' Romiti di S. Francesco. Partito da Roma e giunto in Francia, con maggiori onori fu ricevuto dal Re: tutto ansioso di riaver la sanità, gli andò incontro e vedutolo, s'inginocchiò a' suoi piedi, istantemente pregandolo, che gli concedesse sanità e lunghezza di vita; ma egli saviamente, e come ad uom prudente si conviene, gli rispose. E narra Monsignor d'Argentone, ch'egli sovente l'avea inteso ragionare in presenza di Carlo poi Re, e dov'erano tutti i Grandi del Regno, di molte cose con tanta sapienza, che in un uomo idiota e senza lettere era impossibile, che senza divina ispirazione potesse favellarne; ma poichè, mentre egli scriveva, era costui ancor vivo, e come e' dice, si poteva cangiare in meglio, o in peggio, perciò di lui non faceva più parola. Alcuni della Corte del Re si ridevano della venuta del Romito, chiamandolo per beffe il Santuomo; ma dice questo Scrittore, che costoro parlavano così, perchè non erano informati, come lui, della stravaganza del male del Re, nè aveano vedute le cose, che glie ne diedero cagione, ed il desiderio grandissimo, che avea di liberarsene.

Ancorchè il Re Luigi niente impetrasse per l'intercessione di questo Santuomo, poichè il male se gli accrebbe in guisa, che non guari da poi gli tolse la vita: con tutto ciò Carlo VIII suo figliuolo, che gli succedè nel Regno, l'ebbe in somma stima e venerazione, ed in suo onore nell'entrata del parco della città di Tours, fece poi edificare una chiesa, onde in Francia cominciò il suo nascente Ordine ad introdursi; ed avendo Francesco fatta poi quivi la sua dimora, in poco tempo molti monasteri furono ivi costrutti.

In Napoli, il primo che s'ergesse, fu in luogo a que' tempi solitario, dove era una piccola cappella dedicata a S. Luigi Re di Francia; ond'è che ora quel monastero ritenga ancora il nome di quel Santo. In Calabria fondò anch'egli un picciolo monastero de' suoi Religiosi vicino a Paola sua patria. Se ne fondarono parimente in Roma; onde poi si diffuse quest'Ordine per tutte l'altre province d'Europa, essendo stata la sua Regola confermata da' Pontefici successori di Sisto, da Alessandro VI e da Giulio II, ed in Napoli e nel Regno si moltiplicaron poi i monasteri di questo Ordine in non picciol numero; e col mezzo delle loro particolari divozioni, che ancor essi inventarono, crebbero in ricchezze, e loro abitazioni in fabbriche magnifiche, dotate d'ampie rendite in quello stato, che ora ciascun vede.

FINE DEL LIBRO TRENTESIMO

LIBRO TRENTESIMOPRIMO

La morte di Ferdinando il Cattolico, ancorchè portasse la successione di tanti Regni ad un gran Principe, quanto fu l'Arciduca Carlo, e per quel ch'era, e per quello che dopo la morte di Massimiliano suo avo dovea essere, onde pareva, che non si dovessero temere nuove turbolenze: nulladimeno quest'istesso accese l'animo di Francesco I Re di Francia all'impresa di Napoli, e a porre di nuovo in iscompiglio questo nostro Reame. Veniva egli lusingato, ch'essendo il Regno per la morte del Re male ordinato alla difesa, nè potendo l'Arciduca essere a tempo a soccorrerlo, fosse facilmente per ottenerne la vittoria. Credeva che il Pontefice Lione X avesse da facilitare l'impresa anche per interesse proprio, dovendogli essere sospetta la troppa grandezza dell'Arciduca successore di tanti Regni, e successore futuro di Massimiliano Cesare. Sperava oltra questo, che l'Arciduca conoscendo potergli molto nuocere l'inimicizia sua nello stabilirsi i Regni di Spagna, e spezialmente quello d'Aragona, sarebbe proceduto moderatamente ad opporsegli.

Al regno d'Aragona, se alle ragioni fosse stata congiunta la potenza, avrebbero potuto aspirare alcuni della medesima famiglia, perchè, sebbene vivente il Re morto ed Isabella sua moglie, fosse stato nelle Congregazioni di tutto il Regno interpetrato, che le Costituzioni antiche di quel Regno escludenti le femmine dalla successione della Corona, non pregiudicavano a' maschi nati di quelle, quando nella linea mascolina non si trovavano fratelli, zii o nipoti del Re morto, e di chi gli fosse più prossimo del nato dalle femmine, o almeno in grado pari; e che per questo fosse stato dichiarato appartenersi a Carlo Arciduca, dopo la morte di Ferdinando, la successione: adducendo in esempio, che per la morte di Martino Re d'Aragona, morto senza figliuoli maschi, era stato per sentenza de' Giudici deputati a questo da tutto 'l Regno, preferito Ferdinando avolo di questo Ferdinando (benchè congiunto per linea femminina) al Conte d'Urgelli, ed agli altri congiunti a Martino per linea mascolina, ma in grado più remoto di Ferdinando; nondimeno era stata fin d'allora tacita querela ne' Popoli, che in questa interpetrazione, e dichiarazione avesse più potuto la potenza di Ferdinando e d'Isabella, che la giustizia; non parendo a molti debita interpetrazione, che escluse le femmine, possa essere ammesso chi nasce di quelle; e che nella sentenza data per Ferdinando il vecchio, avesse più potuto il timore dell'armi sue, che la ragione.

 

Queste cose essendo note al Re di Francia, e noto ancora, che i popoli della provincia d'Aragona, di Valenza e della Contea di Catalogna (includendosi tutti questi sotto 'l Regno d'Aragona) avrebbono desiderato un Re proprio; sperava che l'Arciduca, per non mettere in pericolo tanta successione e tanti Stati, non avesse finalmente ad essere alieno dal concedergli con qualche convenevole composizione il Regno di Napoli.

Ma mentre il Re Francesco era deliberato di non differire il muover le armi, fu necessitato per nuovi accidenti a volger l'animo alla difesa propria, poichè Massimiliano si preparava per assaltare, come avea convenuto con Ferdinando, il Ducato di Milano; laonde fu costretto a cercar modo di pacificarsi col Re Carlo, e per mezzo suo coll'Imperadore. Carlo, che cercava di rimovere le difficoltà del passare in Ispagna, per istabilirsi in que' Regni: per consiglio di Monsignor di Ceures, Fiamengo, con l'autorità del quale, essendo allora nell'età di sedici anni, totalmente si reggeva, non ricusò, accomodandosi alle necessità ed a' tempi, di farlo; ed avendo i loro Ministri convenuto di congregarsi a Nojon, s'assemblarono quivi per la parte del Re di Francia, il Vescovo di Parigi, il G. Maestro della sua Casa, ed il Presidente del Parlamento di Parigi, e per la parte del Re Cattolico, Monsignor di Ceures, ed il G. Cancelliere dell'Imperadore. Convenuti i Deputati de' due Re a Nojon, ai 13 agosto di quest'anno 1516, fu la pace conchiusa, e per ciò che riguarda il Regno di Napoli, furono stabilite tali Capitolazioni.

Che tra 'l Re di Francia e 'l Re di Spagna fosse perpetua pace e confederazione per difesa degli Stati loro contra ciascuno. Che il Re di Francia desse la figliuola Luisa, ch'era d'età di un anno, in matrimonio al Re Cattolico, dandogli per dote le ragioni che pretendeva appartenersegli sopra il Regno di Napoli, secondo la divisione già fatta da' loro antecessori; ma con patto, che fin che la figliuola non fosse d'età abile al matrimonio, pagasse il Re Cattolico per sostentazione delle spese di lei al Re di Francia ciascun anno centomila scudi311. Il Giovio312 rapporta, che questi centomila scudi dovevano pagarsi dal Re Cattolico al Re di Francia, come tributo, acciocchè apparisse, che i Franzesi avessero qualche ragione nel Regno di Napoli. Ma i capitoli di questa pace, che interi si leggono nella Raccolta di Federigo Lionard313, convincono il contrario, dove non per tributo, ma per cagion delle spese non per sempre, ma insino che Luisa arrivasse all'età nubile, furono promessi.

Fu ancora convenuto, che se la designata sposa fosse morta innanzi al matrimonio, ed al Re nascesse alcun'altra figliuola, quella coll'istesse condizioni si desse al Re Cattolico, ed in caso al Re non ne nascesse alcuna, si desse per isposa Renata, quella, ch'era stata promessa nella Capitolazione fatta a Parigi. E morendo qualunque di esse nel matrimonio senza figliuoli, ritornasse quella parte del Regno di Napoli al Re di Francia. Fu ancora, secondo questi patti, cercata a Papa Lione l'assoluzione de' giuramenti dati nel trattato, che si trovava antecedentemente fatto del matrimonio con Renata in Parigi; e Lione a' 3 di settembre del medesimo anno 1516 ne spedì Bolla314.

Fermata questa pace, Re Carlo, che dimorava a Brusselles s'accinse per intraprendere il viaggio da Fiandra per Ispagna; e quasi alla fine del seguente anno 1517 giunse con felice navigazione in Ispagna a pigliare la possessione di que' Regni; avendo ottenuto dal Re di Francia (tra' quali erano dimostrazioni molto amichevoli, ciascuno palliando la mala disposizione, che intrinsecamente covavano) che gli prorogasse per sei mesi il pagamento de' primi centomila ducati.

Giunto Carlo in Ispagna fu ricevuto con incredibile amorevolezza, e la Regina Giovanna sua madre gli cedè l'amministrazione di que' Regni, con condizione che ne' titoli non si tralasciasse il suo nome, e che governasse i Regni in nome suo e di Giovanna. Confermò nel Viceregnato di Napoli D. Raimondo di Cardona e scrisse un'altra lettera a' Napoletani piena d'affetti e di paternal amore. Nel medesimo tempo, essendo morta la figliuola del Re di Francia destinata ad essere sposa del Re di Spagna, fu riconfermata tra loro la pace e la prima capitolazione, con la promessa del matrimonio della seconda figliuola, celebrando l'uno e l'altro Principe questa congiunzione con grandissime dimostrazioni estrinseche di benivolenza; il Re di Spagna, che gli avea già fatto pagare in Lione i centomila ducati, portò pubblicamente l'Ordine di S. Michele il dì della sua festività, ed il Re di Francia il giorno dedicato a S. Andrea, portò pubblicamente l'Ordine del Tosone.

301Inter Cap. et Privileg, Civit. Neap. fol. 53.
302Im Parlam. gener. c. 30.
303Si leggono nel volume de' Capit. e graz. della Città, e Regn. fol. 63
304Si leggono nel cit. vol. fol. 70.
305Pragm. 5 De Cleric. seu Diac. Salvat.
306V. Chiocc. tom. 3 M. S. Giurisd.
307V. Rainald. Ann. 1477. n. 18 Ann. 1484 n. 33, 34 Ann. 1486 n. 13, 14, 33.
308Capaccio nel Forastiero, giorn. 9 dove rapporta le riferite lettere.
309Summ. Hist. tom. 3 pag. 5. Unum Monasterium ejus Ordinis in hoc Regno, in quo nullum erat, apud Civitatem Neapolitanam, etc. construi fecimus.
310Argenton. Memor. lib. 6 cap. 8.
311Guid. l. 12.
312Giov. l. 18 in fin.
313Fed. Lionard tom. 2 pag. 144.
314La Bolla è rapportata da Lionard nella sua Raccolta tom. 2 pag. 149.