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A cui il maestro disse: «Sicuramente di’: io veggio che tu non mi conosci bene e non sai ancora come io so tenere segreto. Egli erano poche cose che messer Guasparuolo da Saliceto facesse, quando egli era giudice della podestà di Forlimpopoli, che egli non me le mandasse a dire, perché mi trovava così buon segretaro. E vuoi vedere se io dico vero? Io fui il primaio uomo a cui egli dicesse che egli era per isposare la Bergamina: vedi oggimai tu!»

«Or bene sta dunque:» disse Bruno «se cotestui se ne fidava, ben me ne posso fidare io. Il modo che voi avrete a tener fia questo. Noi si abbiamo a questa nostra brigata sempre un capitano con due consiglieri, li quali di sei in sei mesi si mutano, e senza fallo a calendi sarà capitano Buffalmacco e io consigliere, e così è fermato: e chi è capitano può molto in mettervi e far che messo vi sia chi egli vuole; e per ciò a me parrebbe che voi, in quanto voi poteste, voi prendeste la dimestichezza di Buffalmacco e facestegli onore. Egli è uomo che, veggendovi così savio, s’innamorerà di voi incontanente, e quando voi l’avrete col senno vostro e con queste buone cose che avete un poco dimesticato, voi potrete richiedere: egli non vi saprà dir di no. Io gli ho già ragionato di voi, e vuolvi il meglio del mondo; e quando voi avrete fatto così, lasciate far me con lui.»

Allora disse il maestro: «Troppo mi piace ciò che tu ragioni; e se egli è uomo che si diletti de’ savi uomini e favellami pure un poco, io farò bene che egli m’andrà sempre cercando, per ciò che io n’ho tanto del senno, che io ne potrei fornire una città e rimarrei savissimo.»

Ordinato questo, Brun disse ogni cosa a Buffalmacco per ordine: di che a Buffalmacco parea mille anni di dovere essere a far quello che questo maestro sapa andava cercando. Il medico, che oltre modo disiderava d’andare in corso, non mollò mai che egli divenne amico di Buffalmacco, il che agevolmente gli venne fatto; e cominciogli a dare le più belle cene e i più belli desinari del mondo, e a Bruno con lui altressì, e essi si carapignavano, come que’ signori li quali, sentendogli bonissimi vini e di grossi capponi e d’altre buone cose assai, gli si tenevano assai di presso e senza troppi inviti, dicendo sempre che con un altro ciò non farebbono, si rimanevan con lui.

Ma pure, quando tempo parve al maestro, sì come Bruno aveva fatto, così Buffalmacco richiese; di che Buffalmacco si mostrò molto turbato e fece a Bruno un gran romore in testa, dicendo: «Io fo boto all’alto Dio da Pasignano che io mi tengo a poco che io non ti do tale in su la testa, che il naso ti caschi nelle calcagna, traditor che tu se’, ché altri che tu non ha queste cose manifestate al maestro.»

Ma il maestro lo scusava forte dicendo e giurando sé averlo d’altra parte saputo; e dopo molte delle sue savie parole pure il paceficò.

Buffalmacco rivolto al maestro disse: «Maestro mio, egli si par bene che voi siete stato a Bologna e che voi infino in questa terra abbiate recata la bocca chiusa; e ancora vi dico più, che voi non apparaste miga l’abicì in su la mela, come molti sciocconi voglion fare, anzi l’apparaste bene in sul mellone, ch’è così lungo; e se io non m’inganno, voi foste battezzato in domenica. E come che Bruno m’abbia detto che voi studiaste là in medicine, a me pare che voi studiaste in apparare a pigliare uomini: il che voi, meglio che altro uomo che io vidi mai, sapete fare con vostro senno e con vostre novelle.»

Il medico, rompendogli la parola in bocca, verso Brun disse: «Che cosa è a favellare e a usare co’ savi? chi avrebbe tosto ogni particularità compresa del mio sentimento, come ha questo valente uomo? Tu non te ne avvedesti miga così tosto tu di quel che io valeva, come ha fatto egli; ma di’ almeno quello che io ti dissi quando tu mi dicesti che Buffalmacco si dilettava de’ savi uomini: parti che io l’abbia fatto?»

Disse Bruno: «Meglio.»

Allora il maestro disse a Buffalmacco: «Altro avresti detto se tu m’avessi veduto a Bologna, dove non era niun grande né piccolo, né dottore né scolare, che non mi volesse il meglio del mondo, sì tutti gli sapeva appagare col mio ragionare e col senno mio. E dirotti più, che io non vi dissi mai parola che io non facessi ridere ogni uomo, sì forte piaceva loro; e quando io me parti’, fecero tutti il maggior pianto del mondo e volevano tutti che io vi pur rimanessi, e fu a tanto la cosa perché io vi stessi, che vollono lasciare a me solo che io leggessi a quanti scolari v’avea le medicine; ma io non volli, ché io era pur disposto a venir qua a grandissime eredità che io ci ho, state sempre di quei di casa mia; e così feci.»

Disse allora Bruno a Buffalmacco: «Che ti pare? Tu nol mi credevi quando io il ti diceva. Alle guagnele! egli non ha in questa terra medico che s’intenda d’orina d’asino a petto a costui, e fermamente tu non ne troveresti un altro di qui alle porti di Parigi de’ così fatti. Va’ tienti oggimai tu di non far ciò ch’è’ vuole!»

Disse il medico: «Brun dice il vero, ma io non ci son conosciuto. Voi siete anzi gente grossa che no, ma io vorrei che voi mi vedeste tra’ dottori, come io soglio stare.»

Allora disse Buffalmacco: «Veramente, maestro, voi le sapete troppo più che io non avrei mai creduto: di che io, parlandovi come si vuole parlare a’ savi come voi siete, frastagliatamente vi dico che io procaccerò senza fallo che voi di nostra brigata sarete.»

Gli onori dal medico fatti a costoro appresso questa promessa multiplicarono: laonde essi, godendo, gli facean cavalcar la capra delle maggiori sciocchezze del mondo e impromisongli di dargli per donna la contessa di Civillari, la quale era la più bella cosa che si trovasse in tutto il culattario dell’umana generazione.

Domandò il medico chi fosse questa contessa; al quale Buffalmacco disse: «Pinca mia da seme, ella è una troppo gran donna, e poche case ha per lo mondo nelle quali ella non abbia alcuna giurisdizione, e non che altri, ma i frati minori a suon di nacchere le rendon tributo. E sovvi dire che, quand’ella va da torno, ella si fa ben sentire, benché ella stea il più rinchiusa: ma non ha per ciò molto che ella vi passò innanzi all’uscio una notte che andava a Arno a lavarsi i piedi e per pigliare un poco d’aria: ma la sua più continua dimora è in Laterino. Ben vanno per ciò de’ suoi sergenti spesso da torno, e tutti a dimostrazion della maggioranza di lei portano la verga e ’l piombino. De’ suoi baroni si veggon per tutto assai, sì come è il Tamagnin dalla Porta, don Meta, Manico di Scopa, lo Squacchera e altri, li quali vostri dimestichi credo che sieno ma ora non ve ne ricordate. A così gran donna adunque, lasciata star quella da Cacavincigli, se ’l pensier non c’inganna, vi metterem nelle dolci braccia.»

Il medico, che a Bologna nato e cresciuto era, non intendeva i vocaboli di costoro, per che egli della donna si chiamò per contento; né guari dopo queste novelle gli recarono i dipintori che egli era per ricevuto. E venuto il dì che la notte seguente si dovean ragunare, il maestro gli ebbe ammenduni a desinare; e desinato ch’egli ebbero, gli domandò che modo gli conveniva tenere a venire a questa brigata; al quale Buffalmacco disse: «Vedete, maestro, a voi conviene esser molto sicuro, per ciò che, se voi non foste molto sicuro, voi potreste ricevere impedimento e fare a noi grandissimo danno; e quello a che egli vi conviene esser molto sicuro, voi l’udirete. A voi si convien trovar modo che voi siate stasera in sul primo sonno in su uno di quegli avelli rilevati che poco tempo ha si fecero di fuori a Santa Maria Novella, con una delle vostre più belle robe indosso, acciò che voi per la prima volta compariate orrevole dinanzi alla brigata e sì ancora per ciò che (per quello che detto ne fosse: non vi fummo noi poi) per ciò che voi siete gentile uomo, la contessa intende di farvi cavalier bagnato alle sue spese; e quivi v’aspettate tanto, che per voi venga colui che noi manderemo. E acciò che voi siate d’ogni cosa informato, egli verrà per voi una bestia nera e cornuta non molto grande, e andrà faccendo per la piazza dinanzi da voi un gran sufolare e un gran saltare per ispaventarvi; ma poi, quando vedrà che voi non vi spaventiate, ella vi s’accosterà pianamente. Quando accostata vi si sarà, e voi allora senza alcuna paura scendete giù dell’avello e senza ricordare o Idio o santi vi salite suso, e come suso vi siete acconcio, così, a modo che se steste cortese, vi recate le mani al petto, senza più toccar la bestia. Ella allora soavemente si moverà e recheravvene a noi: ma insino a ora, se voi ricordaste Idio o santi, o aveste paura, vi dich’io che ella vi potrebbe gittate o percuotere in parte che vi putirebbe. E per ciò, se non vi dà il cuore d’esser ben sicuro, non vi venite, ché voi fareste danno a noi senza fare a voi pro niuno.»

Allora il medico disse: «Voi non mi conoscete ancora: voi guardate forse perché io porto i guanti in mano e’ panni lunghi. Se voi sapeste quello che io ho già fatto di notte a Bologna, quando io andava talvolta co’ miei compagni alle femine, voi vi maravigliereste. In fé di Dio, egli fu tal notte che, non volendone una venir con noi (e era una tristanzuola, ch’è peggio, che non era alta un sommesso) io le diè prima dimolte pugna, poscia, presala di peso, credo che io la portassi presso a una balestrata; e pur convenne, sì feci, che ella ne venisse con noi. E un’altra volta mi ricorda che io, senza esser meco altri che un mio fante, colà un poco dopo l’avemaria, passai allato al cimitero de’ frati minori, e eravi il dì stesso stata sotterrata una femina, e non ebbi paura niuna: e per ciò di questo non vi sfidate, ché sicuro e gagliardo son io troppo. E dicovi che io, per venirvi bene orrevole, mi metterò la roba mia dello scarlatto con la quale io fui conventato: e vedrete se la brigata si rallegrerà quando mi vedrà e se io sarò fatto a mano a man capitano. Vedrete pure come l’opera andrà quando io vi sarò stato, da che, non avendomi ancora quella contessa veduto, ella s’è sì innamorata di me che ella mi vuol fare cavalier bagnato: e forse che la cavalleria mi starà così male, e saprolla così mal mantenere o pur bene! Lascerete pur far me!»

 

Buffalmacco disse: «Troppo dite bene, ma guardate che voi non ci faceste la beffa e non vi veniste o non vi foste trovato quando per voi manderemo; e questo dico per ciò che egli fa freddo e voi signor medici ve ne guardate molto.»

«Non piaccia a Dio!» disse il medico «io non sono di questi assiderati, io non curo freddo: poche volte è mai che io mi lievi la notte così per bisogno del corpo, come l’uom fa talvolta, che io mi metta altro che il pilliccion mio sopra ’l farsetto; e per ciò io vi sarò fermamente.»

Partitisi adunque costoro, come notte si venne faccendo il maestro trovò sue scuse in casa con la moglie; e trattane celatamente la sua bella roba, come tempo gli parve, messalasi indosso se n’andò sopra uno de’ detti avelli; e sopra quegli marmi ristrettosi, essendo il freddo grande, cominciò a aspettar la bestia. Buffalmacco, il quale era grande e atante della persona, ordinò d’avere una di queste maschere che usare si soleano a certi giuochi li quali oggi non si fanno; e messosi indosso un pillicion nero a rivescio, in quello s’acconciò in guisa che pareva pure un orso, se non che la maschera aveva viso di diavolo e era cornuta. E così acconcio, venendogli Bruno appresso per vedere come l’opera andasse, se n’andò nella piazza nuova di Santa Maria Novella; e come egli si fu accorto che messer lo maestro v’era, così cominciò a saltabellare e a fare un nabissare grandissimo su per la piazza e a sufolare e a urlare e a stridire in guisa che se imperversato fosse.

Il quale come il maestro sentì e vide, così tutti i peli gli s’arricciarono adosso e tutto cominciò a tremare, come colui che era più che una femina pauroso; e fu ora che egli vorrebbe essere stato innanzi a casa sua che quivi. Ma non per tanto pur, poi che andato v’era, si sforzò d’assicurarsi, tanto il vinceva il disidero di giugnere a vedere le maraviglie dettegli da costoro. Ma poi che Buffalmacco ebbe alquanto imperversato, come è detto, faccendo sembianti di rappaceficarsi, s’accostò all’avello sopra il quale era il maestro e stette fermo. Il maestro, sì come quegli che tutto tremava di paura, non sapeva che farsi, se su vi salisse o se si stesse. Ultimamente, temendo non gli facesse male se su non vi salisse, con la seconda paura cacciò la prima: e sceso dello avello, pianamente dicendo «Dio m’aiuti!» su vi salì e acconciossi molto bene; e sempre tremando tutto si recò con le mani a star cortese, come detto gli era stato.

Allora Buffalmacco pianamente s’incominciò a dirizzare verso Santa Maria della Scala, e andando carpone infino presso le donne di Ripole il condusse. Erano allora per quella contrada fosse, nelle quali i lavoratori di quei campi facevan votare la contessa a Civillari per ingrassare i campi loro. Alle quali come Buffalmacco fu vicino, accostatosi alla proda d’una e preso tempo, messa la mano sotto all’un de’ piedi del medico e con essa sospintolsi da dosso, di netto col capo innanzi il gittò in essa e cominciò a ringhiar forte e a saltare e a imperversare e a andarsene lungo Santa Maria della Scala verso il prato d’Ogni santi, dove ritrovò Bruno che per non poter tener le risa fuggito s’era: e ammenduni festa faccendosi di lontan si misero a veder quello che il medico impastato facesse. Messer lo medico, sentendosi in questo luogo così abominevole, si sforzò di rilevare e di volersi aiutar per uscirne, e ora in qua e ora in qua ricadendo, tutto dal capo al piè impastato, dolente e cattivo, avendone alquante dragme ingozzate, pur n’uscì fuori e lasciovvi il cappuccio: e spastandosi con le mani come poteva il meglio, non sappiendo che altro consiglio pigliarsi, se ne tornò a casa sua e picchiò tanto che aperto gli fu.

Né prima, essendo egli entrato dentro così putente, fu l’uscio riserrato, che Bruno e Buffalmacco furono ivi per udire come il maestro fosse dalla sua donna raccolto. Li quali stando a udir, sentirono alla donna dirgli la maggior villania che mai si dicesse a niun tristo, dicendo: «Deh, come ben ti sta! Tu eri ito a qualche altra femina e volevi comparire molto orrevole con la roba dello scarlatto. Or non ti bastava io? Frate, io sarei sofficiente a un popolo, non che a te. Deh, or t’avessono essi affogato, come essi ti gittarono là dove tu eri degno d’esser gittato! Ecco medico onorato, aver moglie e andar la notte alle femine d’altrui!» E con quelle e con altre assai parole, faccendosi il medico tutto lavare, infino alla mezzanotte non rifinò la donna di tormentarlo.

Poi la mattina vegnente Bruno e Buffalmacco, avendosi tutte le carni dipinte soppanno di lividori a guisa che far soglion le battiture, se ne vennero a casa del medico e trovaron lui già levato; e entrati dentro a lui, sentirono ogni cosa putirvi, ché ancora non s’era sì ogni cosa potuta nettare, che non vi putisse. E sentendo il medico costor venire a lui, si fece loro incontro dicendo che Idio desse loro il buon dì; al quale Bruno e Buffalmacco, sì come proposto aveano, risposero con turbato viso: «Questo non diciam noi a voi, anzi preghiamo Idio che vi dea tanti malanni, che voi siate morto a ghiado, sì come il più disleale e il maggior traditor che viva, per ciò che egli non è rimaso per voi, ingegnandoci noi di farvi onore e piacere, che noi non siamo stati morti come cani. E per la vostra dislealtà abbiamo stanotte avute tante busse, che di meno andrebbe uno asino a Roma: senza che noi siamo stati a pericolo d’essere stati cacciati della compagnia nella quale noi avavamo ordinato di farvi ricevere. E se voi non ci credete, ponete mente le carni nostre come elle stanno»; e a un cotal barlume, apertisi i panni dinanzi, gli mostrarono i petti loro tutti dipinti e richiusongli senza indugio.

Il medico si volea scusare e dir delle sue sciagure e come e dove egli era stato gittato; al quale Buffalmacco disse: «Io vorrei che egli v’avesse gittato dal ponte in Arno: perché ricordavate voi o Dio o santi? non vi fu egli detto dinanzi?»

Disse il medico: «In fé di Dio non ricordava.»

«Come» disse Buffalmacco «non ricordavate? Voi ve ne ricordate molto! ché ne disse il messo nostro, che voi tremavate come verga e non sapavate dove voi vi foste. Or voi ce l’avete ben fatta, ma mai più persona non la ci farà, e a voi ne faremo ancora quello onore che vi se ne conviene.»

Il medico cominciò a chieder perdono e a pregargli per Dio che nol dovesser vituperare, e con le migliori parole che egli poté s’ingegnò di paceficargli; e per paura che essi questo suo vitupero non palesassero, se da indi adietro onorati gli avea, molto più gli onorò e careggiò con conviti e altre cose da indi innanzi. Così adunque, come udito avete, senno s’insegna a chi tanto non apparò a Bologna.

NOVELLA DECIMA

Una ciciliana maestrevolmente toglie a un mercatante ciò che in Palermo ha portato; il quale, sembiante faccendo d’esservi tornato con molta più mercatantia che prima, da lei accattati denari, le lascia acqua e capecchio.

Quanto la novella della reina in diversi luoghi facesse le donne ridere, non è da domandare: niuna ve ne era a cui per soperchio riso non fossero dodici volte le lagrime venute in su gli occhi. Ma poi che ella ebbe fine, Dioneo, che sapeva che a lui toccava la volta, disse.

Graziose donne, manifesta cosa è tanto più l’arti piacere quanto più sottile artefice è per quelle artificiosamente beffato. E per ciò, quantunque bellissime cose tutte raccontate abbiate, io intendo di raccontarne una tanto più che alcuna altra dettane da dovervi aggradire, quanto colei che beffata fu era maggior maestra di beffare altrui che alcuno altro beffato fosse di quegli o di quelle che avete contate.

Soleva essere, e forse che ancora oggi è, una usanza in tutte le terre marine che hanno porto così fatta, che tutti i mercatanti che in quelle con mercatantie capitano, faccendole scaricare, tutte in un fondaco, il quale in molti luoghi è chiamato dogana, tenuta per lo comune o per lo signor della terra, le portano; e quivi, dando a coloro che sopra ciò sono per iscritto tutta la mercatantia e il pregio di quella, è dato per li detti al mercatante un magazzino nel quale esso la sua mercatantia ripone e serralo con la chiave; e li detti doganieri poi scrivono in su il libro della dogana a ragione del mercatante tutta la sua mercatantia, faccendosi poi del loro diritto pagare al mercatante o per tutta o per parte della mercatantia che egli della dogana traesse. E da questo libro della dogana assai volte s’informano i sensali e delle qualità e delle quantità delle mercatantie che vi son, e ancora chi sieno i mercatanti che l’hanno; con li quali poi essi, secondo che lor cade per mano, ragionan di cambi, di baratti e di vendite e d’altri spacci.

La quale usanza, sì come in molti altri luoghi, era in Palermo in Cicilia, dove similemente erano, e ancor sono, assai femine del corpo bellissime ma nemiche dell’onestà, le quali, da chi non le conosce, sarebbono e son tenute grandi e onestissime donne. E essendo non a radere ma a scorticare uomini date del tutto, come un mercatante forestiere vi veggono, così da’ libro della dogana s’informano di ciò che egli v’ha e di quanto può fare: e appresso con lor piacevoli e amorosi atti e con parole dolcissime questi cotali mercatanti s’ingegnano d’adescare e di trarre nel loro amore: e già molti ve n’hanno tratti, a’ quali buona parte della loro mercatantia hanno delle mani tratta, e a assai tutta; e di quegli vi sono stati che la mercatantia e navilio e le polpe e l’ossa lasciate v’hanno, sì ha soavemente la barbiera saputo menare il rasoio.

Ora, non è ancor molto tempo, adivenne che quivi, da’ suoi maestri mandato, arrivò un giovane nostro fiorentino detto Niccolò da Cignano, come che Salabaetto fosse chiamato, con tanti pannilani che alla fiera di Salerno gli erano avanzati, che potevano valere un cinquecento fiorin d’oro; e dato il legaggio di quegli a’ doganieri, gli mise in un magazzino, e senza mostrar troppo gran fretta dello spaccio s’incominciò a andare alcuna volta a sollazzo per la terra. E essendo egli bianco e biondo e leggiadro molto, e standogli ben la vita, avvenne che una di queste barbiere, che si facea chiamare madama Iancofiore, avendo alcuna cosa sentita de’ fatti suoi, gli pose l’occhio addosso; di che egli accorgendosi, estimando che ella fosse una gran donna, s’avvisò che per la sua bellezza le piacesse e pensossi di volere molto cautamente menar questo amore; e senza dirne cosa alcuna a persona incominciò a far le passate dinanzi alla casa di costei. La quale accortasene, poi che alquanti dì l’ebbe bene con gli occhi acceso, mostrando ella di consumarsi per lui, segretamente gli mandò una sua femina la quale ottimamente l’arte sapeva del ruffianesimo. La quale, quasi con le lagrime in su gli occhi, dopo molte novelle gli disse che egli con la bellezza e con la piacevolezza sua aveva sì la sua donna presa, che ella non trovava luogo né dì né notte; e per ciò, quando a lui piacesse, ella disiderava più che altra cosa di potersi con lui a un bagno segretamente trovare; e appresso questo, trattosi uno anello di borsa, da parte della sua donna gliele donò. Salabaetto, udendo questo, fu il più lieto uomo che mai fosse; e preso l’anello e fregatoselo agli occhi e poi basciatolo, sel mise in dito e rispuose alla buona femina che, se madama Iancofiore l’amava, che ella n’era ben cambiata per ciò che egli amava più lei che la sua propria vita e che egli era disposto d’andare dovunque a lei fosse a grado e a ogn’ora.

Tornata adunque la messaggera alla sua donna con questa risposta, a Salabaetto fu a mano a man detto a qual bagno il dì seguente passato vespro la dovesse aspettare; il quale, senza dirne cosa del mondo a persona, prestamente all’ora impostagli v’andò e trovò il bagno per la donna esser preso. Dove egli non stette guari che due schiave venner cariche: l’una aveva un materasso di bambagia bello e grande in capo e l’altra un grandissimo paniere pien di cose; e steso questo materasso in una camera del bagno sopra una lettiera, vi miser su un paio di lenzuola sottilissime listate di seta e poi una coltre di bucherame cipriana bianchissima con due origlieri lavorati a maraviglie; e appresso questo spogliatesi e entrate nel bagno, quello tutto lavarono e spazzarono ottimamente. Né stette guari che la donna con due sue altre schiave appresso al bagno venne; dove ella, come prima ebbe agio, fece a Salabaetto grandissima festa e dopo i maggiori sospiri del mondo, poi che molto e abbracciato e basciato l’ebbe, gli disse: «Non so chi mi si avesse a questo potuto conducere altri che tu; tu m’hai miso lo foco all’arma, toscano acanino.»

 

Appresso questo, come a lei piacque, ignudi ammenduni se ne entraron nel bagno e con loro due delle schiave. Quivi, senza lasciargli por mano addosso a altrui, ella medesima con sapone moscoleato e con garofanato maravigliosamente e bene tutto lavò Salabaetto, e appresso sé fece e lavare e stropicciare alle schiave. E fatto questo, recaron le schiave due lenzuoli bianchissimi e sottili, de’ quali veniva sì grande odor di rose, che ciò che v’era pareva rose; e l’una inviluppò nell’uno Salabaetto e l’altra nell’altro la donna e in collo levatigli ammenduni nel letto fatto ne gli portarono. E quivi, poi che di sudare furon restati, dalle schiave fuori di que’ lenzuoli tratti, rimaseno ignudi negli altri. E tratti del paniere oricanni d’ariento bellissimi e pieni qual d’acqua rosa, qual d’acqua di fior d’aranci, qual d’acqua di fiori di gelsomino e qual d’acqua nanfa, tutti costoro di queste acque spruzzarono; e appresso tirate fuori scatole di confetti e preziosissimi vini alquanto si confortarono. A Salabaetto pareva essere in Paradiso, e mille volte aveva riguardato costei, la quale era per certo bellissima, e cento anni gli pareva ciascun’ora che queste schiave se n’andassero e che egli nelle braccia di costei si ritrovasse. Le quali poi che per comandamento della donna, lasciato un torchietto acceso nella camera, andate se ne furon fuori, costei abbracciò Salabaetto e egli lei, e con grandissimo piacer di Salabaetto, al quale pareva che costei tutta si struggesse per suo amore, dimorarono una lunga ora.

Ma poi che tempo parve di levarsi alla donna, fatte venir le schiave, si vestirono e un’altra volta bevendo e confettando si riconfortarono alquanto; e il viso e le mani di quelle acque odorifere lavatesi e volendosi partire, disse la donna a Salabaetto: «Quando a te fosse a grado, a me sarebbe grandissima grazia che questa sera te ne venissi a cenare e a albergo meco.»

Salabaetto, il qual già e dalla bellezza e dalla artificiosa piacevolezza di costei era preso, credendosi fermamente da lei essere come il cuore del corpo amato rispose: «Madonna, ogni vostro piacere m’è sommamente a grado, e per ciò e istasera e sempre intendo di far quello che vi piacerà e che per voi mi fia comandato.»

Tornatasene adunque la donna a casa e fatta bene di sue robe e di suoi arnesi ornar la camera sua e fatto splendidamente far da cena, aspettò Salabaetto; il quale, come alquanto fu fatto oscuro, là se n’andò e lietamente ricevuto con gran festa e ben servito cenò. Poi, nella camera entratisene, sentì quivi maraviglioso odore di legno aloè e d’uccelletti cipriani, vide il letto ricchissimo e molte belle robe su per le stanghe. Le quali cose, tutte insieme e ciascuna per sé, gli fecero stimare costei dovere essere una grande e ricca donna. E quantunque in contrario avesse della vita di lei udito buscinare, per cosa del mondo nol voleva credere, e se pure alquanto ne credeva lei già alcuno aver beffato, per cosa del mondo non poteva credere questo dovere a lui intervenire. Egli giacque con grandissimo suo piacere la notte con essolei, sempre più accendendosi.

Venuta la mattina, ella gli cinse una bella e leggiadra cinturetta d’argento con una bella borsa, e sì gli disse: «Salabaetto mio dolce, io mi ti raccomando: e così come la mia persona è al piacer tuo, così è ciò che ci è, e ciò che per me si può è allo comando tuio.» Salabaetto, lieto abbracciatala e basciatala, s’uscì di casa costei e vennesene là dove usavano gli altri mercatanti.

E usando una volta e altra con costei senza costargli cosa del mondo e ognora più invescandosi, avvenne che egli vendè i panni suoi a contanti e guadagnonne bene. Il che la buona donna non da lui ma da altrui sentì incontanente; e essendo Salabaetto da lei andato una sera, costei incominciò a cianciare e a ruzzar con lui, a basciarlo e abbracciarlo mostrandosi sì forte di lui infiammata, che pareva che ella gli volesse d’amor morir nelle braccia; e volevagli pur donare due bellissimi nappi d’argento che ella aveva. Li quali Salabaetto non voleva torre, sì come colui che da lei tra una volta e altra aveva avuto quello che valeva ben trenta fiorin d’oro, senza aver potuto fare che ella da lui prendesse tanto che valesse un grosso. Alla fine, avendol costei bene acceso col mostrar sé accesa e liberale, una delle sue schiave, sì come ella aveva ordinato, la chiamò: per che ella, uscita della camera e stata alquanto, tornò dentro piagnendo e sopra il letto gittatasi boccone cominciò a fare il più doloroso lamento che mai facesse femina.

Salabaetto, maravigliandosi, la si recò in braccio e cominciò a piagner con lei e a dire: «Deh, cuor del corpo mio, che avete voi così subitamente? che è la cagione di questo dolore? Deh, ditemelo, anima mia!»

Poi che la donna s’ebbe assai fatta pregare, e ella disse: «Oimè, signor mio dolce, io non so né che mi fare né che mi dire! Io ho testé ricevute lettere da Messina, e scrivemi mio fratello che, se io dovessi vendere e impegnare ciò che ci è, che senza alcun fallo io gli abbia fra qui e otto dì mandati mille fiorin d’oro, se non che gli sarà tagliata la testa; e io non so quello che io mi debbia fare che io gli possa così prestamente avere: ché, se io avessi spazio pur quindici dì, io troverei modo da civirne d’alcun luogo donde io ne debbo aver molti più, o io venderei alcuna delle nostre possessioni; ma, non potendo, io vorrei esser morta prima che quella mala novella mi venisse»; e detto questo, forte mostrandosi tribolata, non restava di piagnere.

Salabaetto, al quale l’amorose fiamme avevano gran parte del debito conoscimento tolto, credendo quelle verissime lagrime e le parole ancor più vere, disse: «Madonna, io non vi potrei servire di mille ma di cinquecento fiorin d’oro sì bene, dove voi crediate potermegli rendere di qui a quindici dì; e questa è vostra ventura che pure ieri mi vennero venduti i panni miei, ché, se così non fosse, io non vi potrei prestare un grosso.»

«Oimè!» disse la donna «dunque hai tu patito disagio di denari? o perché non me ne richiedevi tu? Perché io non abbia mille, io n’aveva ben cento e anche dugento da darti: tu m’hai tolta tutta la baldanza da dovere da te ricevere il servigio che tu mi profferi.»

Salabaetto vie più che preso da queste parole, disse: «Madonna, per questo non voglio io che voi lasciate, ché, se fosse così bisogno a me come egli fa a voi, io v’avrei ben richesta.»

«Oimè!» disse la donna «Salabaetto mio, ben conosco che il tuo è vero e perfetto amore verso di me, quando, senza aspettar d’esser richesto, di così gran quantità di moneta in così fatto bisogno liberamente mi sovieni. E per certo io era tutta tua senza questo e con questo sarò molto maggiormente; né sarà mai che io non riconosca da te la testa di mio fratello. Ma sallo Idio che io malvolentier gli prendo, considerando che tu se’ mercatante e i mercatanti fanno co’ denari tutti i fatti loro: ma per ciò che il bisogno mi strigne e ho ferma speranza di tosto rendergliti, io gli pur prenderò, e per l’avanzo, se più presta via non troverò, impegnerò tutte queste mie case»; e così detto lagrimando sopra il viso di Salabaetto si lasciò cadere. Salabaetto la cominciò a confortare; e stato la notte con lei, per mostrarsi bene liberalissimo suo servidore, senza alcuna richesta di lei aspettare, le portò cinquecento be’ fiorin d’oro, li quali ella ridendo col cuore e piagnendo con gli occhi prese, attenendosene Salabaetto alla sua semplice promessione.