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Colomba

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Intanto la figurina gialla e bruna di Colomba era scomparsa dietro le macchie. Qualche paesano a cavallo passava, tornando verso il paese, e salutava rispettosamente i due signori.

La sera calava, Venere brillava sul cielo puro, e il sottilissimo anello d’argento della luna nuova volgeva giù verso i monti violacei dell’orizzonte.

I grilli cantavano: si respirava l’odore aspro delle macchie di cui tutto il paesaggio, a perdita d’occhio, appariva coperto. In lontananza brillavano fuochi di pastori; e risuonavano tintinnii di gregge.

Antonio Azar sentiva una pace improvvisa calargli sul cuore: si trovava finalmente in quel regno di solitudine, tanto agognato durante i giorni dolorosi della città. Qui la natura era primitiva: il vasto altipiano sparso di macchie e di alberi selvatici veniva attraversato solo dagli abitanti del paesello, dediti esclusivamente alla pastorizia.

L’ovile degli Azar distava circa un’ora dal paese, e i due amici vi giunsero quando la luna nuova al tramonto illuminava appena le creste delle montagne lontane.

Intorno all’ovile, sulle capanne, sulle siepi, sulla vasta spianata chiusa da roccie fosche, e più in là sulla brughiera, il giorno moriva.

Antonio ricordò d’aver pensato ad un crepuscolo simile ed alla selvaggia purezza di quel paesaggio, una notte, in teatro, nel palco della sua fidanzata, alla luce sfacciata di centinaia di lampade, davanti ad un cerchio di donne seminude. Ed ora invece, ora che si trovava lassù, smarrito nella pura solitudine crepuscolare dell’altipiano natio, egli ebbe una straziante nostalgia di quel teatro, di quei lumi, di quel palco, un desiderio angoscioso di ritrovarsi vicino alla fanciulla dalle pure spalle ignude, alla sua Maria inesorabilmente perduta per lui.

Attraversò la spianata immerso in questo sogno angoscioso. Efes Mulas fischiò; i cani abbaiavano rabbiosamente. E nell’apertura della capanna apparve un uomo piccolo e nero, dal profilo e gli occhi d’aquila: lunghi capelli neri gli cadevano sino al collo, incorniciandogli il volto raso.

Era il padre di Azar.

Egli sapeva della venuta del figlio e del Mulas; aveva quindi preparato una cena abbondante, di latticini, carne, frutta e miele.

– Tacete! – gridò ai cani: e i cani tacquero. – È mio figlio, che diavolo! Il professore! E poi c’è Efes Mulas riccone e cacciatore, che si degna visitare l’ovile del povero Giacobbe Azar. Muovete dunque la coda, cani rognosi.

E i cani, niente offesi dell’ultima ingiuria, cominciarono a far festa.

– Buona sera, zio Giacobbe; come state? Chi c’è la dentro? Chi vedo? Zio Martinu Colias? E vostra figlia Colomba? La lasciate così sola nell’ovile? Ah zio Martinu, cosa fate voi?

– Cosa, cosa? Buona sera signor Efes, buona sera signor Antonio; io sono venuto qui per prepararvi l’arrosto, per farvi l’insalata, per tenervi allegri – rispose zio Martinu. Era un uomo alto, selvaggio, con gli occhi obliqui, i capelli intricati, e due grandi baffi rossi che gli spiovevano a uncino sul mento.

– Abbiamo davvero visto Colomba: correva, portava sulla testa un involto -. Il Colias allora disse:

– Quando è così io vado.

– Tu vai? E non resti a cena, vecchio falco, che il diavolo ti roda il mento? Queste non son figure da farsi! Va, ma torna qui, subito, con tua figlia.

Il Colias nicchiava: voleva andarsene, ma non tornare.

– Oh che temi? – gridò zio Giacobbe. – Temi che la rubino al tuo Petru dagli occhi cisposi? O che pensi che Efes Mulas o mio figlio professore possano guardarla? Va, va; noi siamo servi e loro sono signori. Va.

E lo spinse per le spalle.

Zio Martinu andò, e ritornò poco dopo con Colomba, che veniva appunto per cercarlo nell’ovile degli Azar.

– Ah, tu venivi qui, Colomba mia? – le disse zio Giacobbe, prendendole le mani. Sapevi che c’erano dei giovanotti signori? Ti piacciono, eh? È inutile che tu li guardi, però: essi non sono per te; essi non vogliono sposare gonnelle di ruvido orbace, ma sottane di seta. Sta in guardia, Colomba mia; se ti guardano e tu china gli occhi, e vieni a dirlo a zio Giacobbe, ché li bastonerà.

– Voi siete matto; lasciatemi! – ella diceva, cercando di svincolarsi, eppur facendo la graziosa. – Io non guardo nessuno, zio Azar.

– Ah, tu guardi Petru Loi dagli occhi cisposi? È quello lì che vuoi? E perché lo vuoi? Perché ti vendi per quattro pecore tignose ch’egli ha?

– Finitela, compare! – disse zio Martinu, seccato.

I due amici, intanto, non cessavano di guardare Colomba. Ed ella, invece di turbarsi, cominciò a scherzare con loro, rispondendo con vivacità ai loro complimenti; ed intanto aiutava a preparar la cena, che riuscì lietissima. Sedettero tutti fuori, nella spianata, sopra sacchi di lana stesi come tappeti, e cenarono alla luce di una lampada di ferro appesa ad un ramo sporgente della capanna. La notte era così calma che la fiamma della lampada neppur tremolava. Quella luce vaga descriveva appena un semicerchio rossastro sulla spianata, illuminando le figure caratteristiche dei pastori e la pura bellezza di Colomba. Antonio credeva di sognare: mangiò poco, ma bevette assai, ed a poco a poco una dolcezza strana gli intorpidì le membra ed i pensieri.

– Sono ubriaco? – pensava. – No, non ho bevuto troppo. È la dolcezza del luogo e dell’ora. O Antonio Azar, senti l’odore della brughiera, la forte dolcezza della natura, madre benefica e sincera? La vita è ancora bella: io ho sbagliato via, dovevo farmi pastore, innamorarmi di questa fanciulla pura e sana, che sembra un cammeo egiziano. Qui tutto è sincero. Ella mi guarda perché le piaccio, e le piaccio non per il mio ingegno, come piacevo all’altra, ma per me stesso, per i miei occhi, per la mia bocca, per la mia voce. Forse non sono brutto come credo. Ella potrebbe guardare Efes Mulas, eppure guarda me; ed io ne provo dolcezza. Che ci sarà entro la sua anima semplice e selvaggia? È vivace, Colomba, è intelligente. Ah, dopo essermi smarrito nei labirinti di un’anima di fanciulla moderna, che mi ha tradito perché doveva far così e non altrimenti, vorrei penetrare in quest’anima primitiva e sana. Un tempo le paesane mi facevano ribrezzo; mi pareva avessero un odore selvatico, nauseabondo; ma Colomba è pulita, è bianca, e ben calzata; ha un odore di timo. Vorrei andar con lei, su quelle roccie, davanti all’orizzonte cinereo della brughiera, fra il melanconico tintinnio delle greggie pascenti, fra i cespugli aromatici, e sentire cosa dice, Colomba, come spiega, come comprende la vita, e come ama.

Così pensando la guardava fisso, con occhi quasi ardenti; ed ella se ne accorgeva e lo corrispondeva con sguardi pieni di languore, che certo non erano tutti di civetteria rusticana.

I due pastori, che bevevano e mangiavano a più non posso, si bisticciavano, col loro linguaggio figurato, e discutevano a proposito di Petru Loi dagli occhi cisposi, non accorgendosi che la fantasia di Colomba vagava in un campo pericoloso.

Ma se ne accorgeva il Mulas, e sebbene Colomba gli piacesse oltre il necessario, rallegravasi in cuor suo che piacesse anche ad Antonio.