Il Ventottesimo Libro

Tekst
Loe katkendit
Märgi loetuks
Kuidas lugeda raamatut pärast ostmist
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

Giorni dopo, seguito ormai da una folla, è salito coi discepoli sulla cima d’una collinetta che sorge nella nostra campagna, che alcuni chiamano montagna, ma con una certa forzatura visto che è alta poco più di trecento cubiti28 , s’è messo a sedere fra i suoi e ha meditato, gli occhi chiusi. Dopo un certo tempo, illuminato, s'è levato in piedi, lo sguardo all'orizzonte, e ha proclamato ad alta voce, ché tutti udissero:

"Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti,

perché saranno consolati.

Beati i miti,

perché erediteranno la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore,

perché vedranno l’Altissimo.

Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli dell’Altissimo.

Beati i perseguitati per causa della giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli".

Qui s'è rivolto ai discepoli e ha aggiunto qualcosa d'inaspettato: "Beati tutti voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. Voi siete il sale della terra; ma se il sale non avesse più il sapore, come si potrebbe restituirglielo? Potrebbe solo essere buttato via e calpestato. Voi siete la luce del mondo. Una città sopra a un monte non può restare nascosta. Neppure si accende una lucerna per metterla sotto il moggio29 dell’orzo; si pone invece sul lucerniere perché illumini tutta la casa. Così risplenda davanti agli uomini la vostra luce, affinché vedendo le vostre opere buone gli uomini rendano gloria al vostro Padre celeste".

Nel ritorno, Giuda Iscariota, sconcertato, ha detto a bassa voce ai compagni vicini: "Chi mai potrebbe perseguitare i seguaci del re Unto protetto dall’Altissimo? Suvvia! e poi, ditemelo voi: conquistare un regno con quelle idee?! No, penso che voglia mettere a prova la nostra lealtà". Giovannino s'è intromesso: "Secondo me, non c'entrano i regni terreni"; ma è stato zittito dall’Iscariota con le parole: "…e cosa, se no? I diabolici regni marini30 ?". "No, Giuda, egli ha parlato dei cieli", ha insisito il giovinetto; "…e via! cosa vuoi capirne tu che sei poco più d’un bambino?". È intervenuto Giuda figlio di Taddeo: "Io penso che Gesú abbia voluto avvertirci che la conquista del regno sarà un'azione lunga, densa di pericoli, e che dovremo fare attenzione a non perdere la vita: in guerra è sempre così, c'è chi muore e c'è chi sopravvive per godersi la vittoria". "Sì", s'è aggiunto Filippo, "lo immagino anch'io; però abbiamo capito che creerà un regno di totale pace, e d'altronde non è forse promesso dalle Scritture?". Quando i condiscepoli m’hanno riferito quelle parole del Maestro, ho riflettuto anch'io, e penso d'aver capito almeno questo: Gesú vuol avere le folle dalla sua prima di prendere il potere. Assicurare la giustizia è di certo il modo migliore per ingraziarsele: chi, essendo un poveraccio, non seguirebbe colui che lo comprende e gli promette giustizia?! Penso che, inoltre, abbia voluto far sapere che sarà un re mite. Una cosa è comunque certa, che Gesú è il Messia: quello stesso giorno, mentre stavano per arrivare a casa, ha detto ai discepoli: "Non pensiate che io sia venuto ad abolire la Torah o i profeti; non sono venuto per questo ma per dare compimento, perché si capisca che la giustizia non viene dall'osservanza di formalità e nemmeno, soltanto, dal seguire i comandamenti, come fanno certi farisei che s'illudono d'essere santi, ma viene dal perdonare gratuitamente. A che serve pregare l’Altissimo se non si perdona?! A che serve non rubare se si odia qualcuno?! Non bisogna rubare e neppure bisogna odiare. Ordina il Signore nel Levitico: Desidera per il tuo prossimo quello che desideri per te, e l’Altissimo non dice solo per il prossimo amico; e nei Proverbi ci dice: Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere; così voi dovete fare il bene a tutti, anche agli avversari". È chiaro che Gesú ha inteso proclamarsi ufficialmente il re Unto, il Messia promesso dalle Scritture, ché dopo pochi passi ha aggiunto: "Vi dico in verità: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure il più piccolo segno dell'alfabeto della Legge, neppure il puntino dello jod, o un trattino, senza che tutto quanto ho detto sia compiuto. Chi trasgredirà uno solo dei miei precetti d’amore, anche minimi, e insegnerà agli altri a fare lo stesso sarà considerato minimo nel regno dei cieli": egli ha detto "miei precetti", miei per evidenziare ch’egli è senz’altro il Messia del Signore che parla come sua voce. Ha continuato: "Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini sarà considerato grande nel regno dei cieli. Vi dico che se la vostra giustizia non supererà quella solo formale degli scribi e di quei farisei ipocriti che ruotano attorno al sinedrio, non entrerete nel regno dei cieli". Ho capito che noi discepoli dobbiamo essere concretamente giusti per ingraziarci il popolo, altrimenti non saremo nominati ministri del regno o, peggio ancora, ne saremo esclusi. Chi sa perché lo chiama "dei cieli"? Sarà questo il nome che gli darà? Poiché l’Altissimo non può essere mai chiamato col suo vero nome, cielo oppure regno dei cieli è da sempre una delle espressioni che lo designano. Sarebbe dunque come chiamare il nuovo regno: l’Altissimo. D'altra parte, essendo Gesú il suo Messia, forse proprio questo vuole l’Altissimo, un regno dove venire lui stesso a passeggiare, come faceva nell'Eden; anzi, che in qualche modo coincida con lui: il pensiero m’è venuto proprio spontaneo, anche se non mi è chiaro.

Giacomo Bar Zebedeo m’ha raccontato che, giorni dopo il discorso sull’altura, e questo lo sapevo anch'io perché la notizia era corsa, uno zelota ha tagliato la gola a tradimento a un soldato d’una decuria di ronda, isolatosi un momento per un suo bisogno corporale; l’uomo non ha fatto in tempo a fiatare prima di morire e accasciarsi sul suo sterco, ma l’assassino è stato visto, benché circospetto, allontanarsi tra i cespugli dal decurione, che s’è insospettito e l’ha fatto catturare. Poco dopo s’è scoperto il cadavere e i superstiti hanno caricato di legnate il partigiano. Il Maestro l’ha poi visto percorrere sanguinante in mezzo ai soldati la via centrale della città, in catene, verso la caserma dove sarebbe stato processato e condannato alla crocifissione; il suo cadavere sarebbe stato lasciato in pasto ai rapaci per tre giorni, prima d’essere calato dalla croce. Intanto, nel vederlo passare Gesú ha avuto per lui, che pesto com’era si trascinava con enorme fatica e grave dolore, un'espressione di gran compatimento. Quando l'uomo e i militi non sono più stati alla vista, il Maestro ha rivolto lo sguardo ai suoi discepoli e ha detto loro: "Sapete ch’è antico precetto di non assassinare e che chi ha ucciso dev’essere processato. Io dico di più: chiunque si arrabbia col prossimo sarà sottoposto a giudizio, o chi lo diffama dicendolo falsamente stupido, oppure pazzo, così danneggiandolo nei quotidiani rapporti umani31 ; e il reo sarà condannato alla Geenna". Penso che con Geenna abbia inteso pena di morte. Sappiamo infatti, dal libro di Geremia, che il luogo era usato anticamente dai pagani per i sacrifici umani a Moloc, il principe delle mosche. Oggi, com’è noto, è l'immondezzaio di Gerusalemme e vi si bruciano le cose inutili, così che finiscano per sempre nel nulla. Invero c'è chi dice che il fumo non è il nulla, ma comunemente la gente intende così. I condannati a morte dal re Unto saranno bruciati in quel luogo pestifero e fatti cadere per sempre nel nulla?32 Certo che essere bruciati solo per un insulto, e per di più tra le immondizie...! Forse questo non piacerà al popolo: vorrei dirlo a Gesú, ma non oso. Il Maestro, e questa me l'ha riferita Giovannino, ha aggiunto: "…dunque, se mentre presenti l'offerta all'altare ti ricordi che uno ha qualcosa contro di te, lascia il dono, riconciliati e poi torna a offrire il dono: è inutile pregare se non si cerca prima la pace col prossimo, perché il cielo non ascolta. Se sei inadempiente, chiunque sia il tuo creditore accordati con lui in qualche modo non appena lo incontri per via, così ch’egli non ti denunci e il giudice non ti faccia incarcerare da una guardia, poiché nessuno esce di prigione sino a che non abbia pagato fin all'ultimo spicciolo del suo debito". Forse non a tutti i creditori piacerà d’accordarsi per una cifra minore di quella loro spettante ma, per me, è meglio una parte dei soldi e il debitore libero piuttosto che il debitore in prigione e nessun pagamento: il Maestro ha molto buon senso. Secondo il giovane Giovanni però, Gesú non s'è riferito tanto ai debiti pecuniari quanto, in generale, a qualunque obbligazione, anche morale, ha inteso cioè dire del perdono.

Un sabato, mentr’era in sinagoga, Gesú ha udito Zebedeo padre di Giacomo e Giovanni giurare davanti ai rotoli della Torah a un certo Geremia, carpentiere, che gli avrebbe pagato puntualmente il prezzo se gli avesse costruito una barca nuova. All'uscita il Maestro ha colto l'occasione per ammaestrare i discepoli così: "Avete inteso che fu detto dagli antichi di non spergiurare e di mantenere i giuramenti davanti all’Altissimo; però io vi dico di non giurare affatto, né per il cielo né per la terra né per Gerusalemme, e neppure sul vostro capo, ché neppure un suo capello vi appartiene. Invece il vostro parlare sia sì, sì; no, no. Il resto viene dal maligno". Gli ha domandato Giovannino con dispiacere: "Mio padre è stato ispirato da Satana?". "No, solo d’ora in poi ha da essere così. Prima non era stato rivelato. La rivelazione dell’Altissimo è progressiva e io sono venuto a completarla. Ascolta, Giovanni: più tardi va' col tuo parente a casa del vostro babbo e, quando nessun altro ascolta, perché non sia umiliato, ditegli da parte mia che l’Altissimo non vuole si giuri". Ahi loro! I due poveracci sono ritornati dal Maestro doloranti per le botte che Zebedeo aveva loro comminato sul groppone gridando: "Tornate qui a lavorare invece d'insegnare a vostro padre, imbecilli pelandroni presuntuosi!". "Quell'uomo ancora non sceglie di salvarsi", ha commentato tristemente Gesú, "eppure, un genitore dovrebbe volere la libertà dei figli adulti, non il proprio orgoglio e il proprio tornaconto; ma io pregherò l’Altissimo per lui".

 

Tempo dopo, com’è ben noto in tutto il paese, s’è acceso un duello tra due vignaioli che lavoravano presso lo stesso padrone. L'uno, un certo Amos, s’era invaghito della sposa dell’altro, chiamato Saulo, e quel cattivo giorno, dopo che il marito era uscito per la fatica quotidiana, invece d'andare egli pure al lavoro è entrato nella loro casa, ha legato e imbavagliato la donna, di nome Giuditta, e se l’è caricata sul suo asino per portarsela in un altro paese. Qualcuno però, di lontano, l'ha visto partirsene con la prigioniera ed è corso ad avvisare il marito che, ottenuto dal padrone un cavallo, s’è lanciato all’inseguimento. Raggiunto il rapitore ha visto che la moglie era liberissima e procedeva con l’uomo di propria volontà: evidentemente era stata una messa in scena per salvare, in paese, l’onore della donna se qualcuno li avesse visti partire. Come poi avrebbe raccontato davanti all’assemblea dei concittadini, colmo d’ira il tradito ha estratto il coltello. L’altro non s’è fatto intimidire, tanto più che lei l’ha incitato a ucciderle lo sposo: ha cavato la sua sica e ha cercato di colpire il rivale alla gola. Questi è riuscito in parte ad abbassarsi, così che il fendente gli ha accecato un occhio invece d’ammazzarlo. Nonostante l’atroce ferita, in risposta lui ha trafitto il rapitore, prendendolo in pieno petto e uccidendolo; poi, sulla base del principio antico dell’occhio per occhio, ha appunto cavato un occhio al cadavere, l'ha buttato in terra e l'ha schiacciato sotto un piede; quindi ha rincorso la moglie che stava scappando, l'ha agguantata, l'ha picchiata, l'ha legata e se l’è ripresa. Tornato in paese, Saulo il guercio, come da allora viene chiamato, ha accusato pubblicamente la sposa d’adulterio e, ottenuta l’approvazione dei compaesani, insieme con alcuni di loro, che tenevano ferma la donna, l’ha strozzata33 . In base alla Legge anche tutti i suoi atti contro il defunto Saul erano stati leciti e non ha avuto noie. Conosciuto il fatto però, come Andrea m’ha raccontato, Gesú ha detto ai miei condiscepoli: "Quando quell’uomo ha capito che la donna era consenziente, doveva cercare di convincerla a tornare, invece d’estrarre l’arma; e se sua moglie non ne voleva proprio sapere, doveva lasciar andar via i due peccatori: nel loro stesso peccato avevano già condanna davanti all’Altissimo. Anche se fu detto occhio per occhio e dente per dente, io vi dico: d'ora in poi non opponetevi al malvagio. La perfezione è questa, che se uno vi schiaffeggia sulla guancia destra, voi porgiate la sinistra per un nuovo schiaffo..." "Dobbiamo farci riempire di botte dai nemici, Maestro?!" l'ha interrotto preoccupatissimo l'impetuoso Simone. Pazientemente, Gesú gli ha risposto: "Capisco che non conosci appieno la nostra simbologia. No, quanto ho detto significa, al di là del simbolo, che non dovete prendervi vendetta giammai e che dovete essere disposti a ricevere ancora male dall’aggressore, sempre senza farlo pagare. Se dunque vi chiamano ingiustamente in giudizio per togliervi la tunica, voi date subito anche il mantello, o se pretendono il mantello, voi donate pure la tunica; se poi vi si vuole costringere a fare un pezzo di strada, come fanno i soldati romani quand’ordinano ai passanti di portare i loro fardelli, fatene il doppio; se ne avete i mezzi e vi chiedono un prestito, datelo, invece d'allontanarvi. Voi dovete imparare ad amare gli avversari e i vostri persecutori e a pregare per loro. Così, Giacomo e Giovanni devono pregare per Zebedeo loro padre che, nella sua superbia, li odia". "Maestro, qual è il miglior modo di pregare?" gli ha chiesto Giovannino. "Pregando, non usate tante parole, perché non sono le tante parole che piacciono all’Altissimo. Egli sa di cosa abbisognate prima che apriate bocca. Ecco dunque come dovete pregare il Padre vostro che è l’Altissimo:

Padre nostro che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome;

venga il tuo regno;

sia fatta la tua volontà,

come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

e rimetti a noi i nostri debiti

come noi li rimettiamo ai nostri debitori

e non ci abbandonare alla tentazione,

ma liberaci dal male.

Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre celeste perdonerà anche voi; se invece non perdonerete, neppure voi sarete perdonati dal Padre. Affidatevi alla paternità dell’Altissimo: avrete l'aiuto del suo amore e riuscirete a perdonare. Molti uomini non sono buoni padri, ma l’Altissimo è sempre il perfetto padre amoroso. Perdonate ogni cosa a ciascuno, anche se non domanda perdono, e perdonate subito, senza lasciar tramontare il sole, e facendo di tutto per cacciare nel profondo il ricordo delle offese, anche se dimenticare appieno non si può, ché la capacità di scordare per sempre i peccati è solo dell’onnipotente. Non perdonate solo a parole ma coi fatti: fate il bene a chi vi fa il male, restituendogli la vostra fiducia anche se non ha mostrato di meritarla. Voi siete giudici di voi stessi, con la misura d'amore con cui misurate gli altri, sarete misurati". "Maestro", gli ha chiesto Simone di Cana, "posso avere un consiglio?". "Puoi". "Ebbene, da ragazzo ero amico di uno che pensavo amico. Mio padre era ricco, aveva terre, mentre il suo era bracciante. Così lo si invitava sovente alla nostra buona tavola, perché avesse a godere del nostro, e finì ch'egli girasse per la casa come se fosse della famiglia, venendo e andando come voleva, trattato dai miei quasi come un figlio e dai servi quasi come un padrone. Fui anche capo del corteo alle sue nozze. Come poi seppi, in tutti quegli anni, per invidia, egli era andato calunniando, di nascosto da noi, i miei genitori e me. Diceva che si era voluto umiliarlo mettendo in mostra con lui il nostro benessere e affermava, con falsa indignazione, ogni altra sorta di male. Nel frattempo era salito socialmente, riuscendo a comprarsi un pezzo di terra, e insieme era montato in superbia. Un giorno, conosciute finalmente le sue calunnie, lo affrontai pubblicamente all'osteria, ed egli ribadì pomposo innanzi a tutti le sue diffamazioni, con improntitudine assoluta, e mi lanciò in viso altre accuse e molti insulti; anzi, attribuì a me quanto di male aveva fatto lui, dicendosi mia vittima e mostrando grande sdegno. Non ci fu modo di fargli ammettere che mentiva. Recitò così bene che tutti credettero a lui e presero a tenergli le parti e a insultarmi. Profondamente mortificato e adirato, scappai fuori a piangere e mai più tornai all'osteria: l'avrei ucciso; ma riuscii a trattenermi, perché il Santo34 ce lo vieta. Tante altre volte ebbi occasione di vederlo, ché il nostro paese è piccolo, e in ciascuna ricevetti da lui almeno uno sgarbo. Pensando che così volesse il cielo, non reagivo e me ne andavo per non fargli del male, ed egli ogni volta calcava le dosi, certo pensandomi un vigliacco. Cercai dunque d'evitarlo: mi muovevo con circospezione, se lo vedevo di lontano cambiavo strada, se lo incontravo all'improvviso, poche parole, una scusa, e tiravo via. Ebbene: per questo mio fuggirlo, gli tolsi la mia fiducia e peccai contro la carità?". "Pregavi per il suo bene?". "No, Maestro". "In questo certo mancasti. D'ora in poi fallo, ché l’Altissimo lo converta. Sfuggendolo,ci fu in te la prudenza d'evitare che il male aumentasse, non il desiderio di fargli del male. Il peccato è nel non volere il bene del nemico, nel non aiutarlo se ti chiede aiuto o se vieni a sapere che ne abbisogna, e nel non pregare per lui. Per quanto riguarda l'essere considerati vili perché non ci si vendica, questo è il giudizio del mondo, ch’è peccatore, ma quello del Padre è il solo che conta. Prega per quell'uomo e sta' in pace". S'è rivolto a Giacomo e Giovannino: "Quanto a voi, andate da vostro padre e, non appena lo vedete, dategli la vostra benedizione e augurategli la pace". Sono andati. Al ritorno, hanno riferito con gioia a Gesú che Zebedeo invitava a pranzo lui e i suoi: grazie alle preghiere del nostro Rabbì, s'era convertito al rispetto della libertà dei figli.

Per la Festa della Capanne35 Gesú s’è recato coi suoi a Gerusalemme, ospite d’un amico, Giuseppe, che è un membro del sinedrio, originario d’Arimatea. a suo tempo suo compagno di studi presso la scuola di Hillel. È l’unico potente che segua il Maestro, ma segretamente, per non avere noie. Gesú è andato al tempio coi discepoli e ha insegnato in pubblico. I presenti si sono di molto stupiti. Prima, vedendo il suo povero abbigliamento, l’avevano creduto un ignorante; e pensare che anche il grande rabbì Hillel vestiva poveramente e si manteneva come taglialegna; ma, si sa, la gente più semplice guarda solo alle apparenze. Uno di coloro ha affermato: "Come mai uno così conosce tanto bene le Scritture?" e un altro: "Non sarà forse quello là che gira di paese in paese e che i farisei avversano?"; un terzo: "Quello che si proclama falsamente Messia? Eppure sta parlando nel tempio e nessun sacerdote gli dice di smettere. Che l’abbiano riconosciuto come il vero Unto?!" e un quarto: "No, conosco un servo di chi lo ospita e so che quell’uomo è della Galilea; ma nessun profeta può venire da là. Quando il Messia si manifesterà, nessuno saprà da quale luogo provenga"; un quinto: "Sbagli, la profezia dice precisamente che verrà da Betlemme e sarà stirpe di Davide, dunque, non si tratta certo di quel nazareno". Allora Gesú: "Sì, sapete che sono galileo, ma non sapete che non da me sono venuto: chi m’ha inviato l’ha fatto in verità ed egli è l’inconoscibile.36 Solo io lo conosco, perché m’ha mandato". S'è levato un putiferio. Hanno gridato in coro d’arrestarlo per bestemmia e il Maestro è uscito in fretta dall'area del tempio, prima che giungessero le guardie del sinedrio. "Non è ancora l’ora ch’io sia arrestato", ha detto ai suoi, "devo diffondere ancora la parola dell’Altissimo e non posso lasciarmi fermare; ma vedo ch’è troppo presto perché qui a Gerusalemme capiscano; dunque, usciamo in fretta dalla città". Sulla via per la Galilea, più volte, ha pregato ad alta voce il Padre celeste perché lo illuminasse ancora di più.

Giorni dopo il suo ritorno a Cafarnao, mentre stava avviandosi coi discepoli alla collinetta detta monte per raccogliersi in preghiera essendo accompagnato da una folla, il Maestro ha visto passare un ricco superbo assieme al seguito, e sul viso gli è comparso un sorriso triste. Ha detto ai discepoli: "Quell'uomo, che ha grandi ricchezze, vuole ancora aumentarle e in questo momento sta pensando: Userò i miei averi per seminare e mietere e piantare alberi e molto di più riempirò i miei granai di raccolto così che non mancherò di nulla. Così ragiona nel suo cuore; ma questa stessa notte, morirà. Chi ha orecchi per intendere, intenda". "Abbiamo capito, Maestro", ha detto Giovannino per tutti. Allora Gesú ha esortato: "Sì, non accumulate tesori sulla terra dove tignola e ruggine li consumano e ladri vengono per rubarli, ma accumulateli nel vostro cuore davanti all’Altissimo che li conserva incorruttibili in eterno e senza che possano essere rubati. Come l'occhio è la lucerna del corpo e se è accecato la luce non entra, così la luce che è in te non sia ottenebrata dal male che acceca. È impossibile nello stesso tempo per un solo uomo cavalcare due cavalli o tendere due archi. Non si possono servire due padroni, non il bene e il male, non la ricchezza spirituale dell’Altissimo e la ricchezza materiale: se uno serve due padroni tra loro avversi, ne ama uno e odia e disprezza l'altro. Servite l’Altissimo e non mammona". Io mi chiedo: i potenti del regno dell'Unto saranno poveri? Ho lasciato la mia professione e i miei beni sperando d'averne non solo il potere ma anche maggiore ricchezza, e dovremo invece donare tutto agli altri? Se fosse così, unica consolazione resterebbe che, se non altro, saremmo potenti. Mi hanno riferito che il Maestro, immediatamente dopo, ha aggiunto: "Non preoccupatevi per il cibo e per le bevande e neppure per i vestiti, perché la vostra vita vale più degli alimenti e delle vesti e il Padre la conserva finché non sia giunto il momento di perderla. Gli uccelli non seminano e non raccolgono né accumulano nei granai, ma il Santo li nutre. Voi contate certo più di loro; e la lunghezza della vostra vita dipende solo dall’Altissimo. Neppure per il vestito affannatevi, guardate come la veste dei gigli, che il Padre ha loro donato, è più sontuosa di quella di Salomone. Eppure, qualunque erba diviene infine secca e viene bruciata; dunque il cielo non farà forse molto di più per voi, che siete ben maggiori?! Lasciate che i pagani si preoccupino del mangiare, bere e vestire. Cercate l’Altissimo e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in più. Non affannatevi per il domani: basta a ciascun giorno la sua pena": magra soddisfazione davvero sarebbe il solo fatto di non morir di fame e non girare ignudi! Spero proprio che avremo anche ricchezza! Poco dopo Gesú è giunto in cima all’altura e, dopo aver pregato a lungo il Padre perché gli desse luce, ha annunciato alla folla quant’altro gli era nato nel cuore, che riporto come mi è stato riferito:

 

"La coscienza di ognuno non appartiene a nessun altro e solo il Santo può giudicare. Non giudicate o sarete giudicati, e avrete lo stesso giudizio con cui avete giudicato, con la stessa misura con cui avete misurato. Perché mai tu osservi la pagliuzza nell'occhio del prossimo e non t'accorgi della trave ch'è nel tuo? Come potrai dirgli: Lascia che ti tolga la pagliuzza se prima non hai tolto dal tuo occhio la trave? Non essere ipocrita. Togli la trave dal tuo occhio per vedere bene, e così potrai togliere la pagliuzza dall'occhio del prossimo: tante volte la tua colpa è più grave della sua!".

"Non bisogna scherzare con ciò ch’è sacro e chi lo farà avrà a soffrire a causa della sua stessa azione; né bisogna rispondere a chi vi domanda per celia di parlargli del bene: non date ai cani cose sante e non gettate perle ai porci perché non le calpestino e poi non si voltino per sbranarvi!".

"Sappiatelo: pregare l’Altissimo è rivolgersi all'assoluto amore e nessuno che lo chiami sarà rifiutato, fosse pure il peggiore dei peccatori. Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Siate certi che se chiederete al Padre ch’è nei cieli riceverete, così come io ricevo. Se cercherete, troverete e se busserete alla porta del regno dell’Altissimo, vi si aprirà. Chi infatti al figlio che chiede pane dà una pietra, o una serpe se gli domanda pesce?! Se dunque gli esseri umani, che sono cattivi, sanno dare cose buone ai figli, quanto più il Padre darà cose buone a coloro che gliele chiedono!".

"Non limitatevi a non fare il male: non basta! Tutto quanto di bene volete che gli altri facciano a voi, fatelo a loro: è questa infatti l'essenza dei testi della Legge e di quelli dei profeti, quanto cioè dei Libri dovete prendere in considerazione nei vostri rapporti cogli altri essere umani".

"Entrate per la porta stretta. La porta e la via che conducono alla perdizione sono larghe, spaziose. Molti entrano purtroppo dalla porta larga. Nel regno dei cieli si entra solo dalla porta difficile, ma sono in pochi a trovarla e varcarla: il Padre non vuole che si sia schiavi dei propri pensieri, paure, abitudini, impulsi, ma che si scelga il rigore, secondo la via da lui indicata".

"Ci sono impostori che sfruttano i sentimenti religiosi a vantaggio proprio. Solo il comportamento d’una persona è testimone del suo vero sentire, non le sue parole se non corrispondono al suo agire. Guardatevi dai falsi profeti che vi si presentano travestiti da pecore miti ma sono lupi rapaci. Non si raccoglie uva dalle spine e fichi dai cespugli di rovi; ogni albero buono dà buoni frutti e ogni cattivo ne dà di cattivi, e il contrario non è possibile. L'albero che produce cattivi frutti viene tagliato e bruciato. È dai frutti che potrete riconoscere i veri e i falsi profeti. Non chiunque dice: Signore Signore entra nel regno dei cieli ma solo chi fa la volontà del Padre ch'è nei cieli. Saranno in molti a dirmi, chiedendo d'entrare nel regno: Noi abbiamo profetato e cacciato demòni e compiuto molti miracoli nel tuo nome; io però dirò loro: Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me, operatori di male".

"Io testimonio con la mia vita le mie parole. Dunque ascoltatele. Chi le ascolta e le mette in pratica si può dire simile a un uomo saggio che ha costruito sulla roccia la propria casa. Cade la pioggia, straripano i fiumi, soffiano i venti e si abbattono su quella casa, ma essa non cade perché è fondata su roccia. Chi invece, sentendo le mie parole, non le mette in pratica è simile a chi costruisce la sua casa sulla sabbia, così che quando cade la pioggia e i fiumi straripano e il vento si abbatte sulla dimora, questa cade con grande rovina".

La folla è rimasta ammirata. Tutti lo hanno elogiato, esclamando: "Insegna con autorità, non come gli scribi!".

Non c'è dubbio che sia così, anche se a volte dice cose troppo alte, onde noi non le si comprende appieno. Certo è ch’egli mostra la sua autorità morale con continui segni. Lo fa con assoluta semplicità, senza evocare niente che sappia di magico: sembra che sia per lui la cosa più naturale del mondo fare meraviglie, non qualcosa di straordinario e macchinoso. È chiaro che non vuole far mostra di personale potenza e che sa che è l’Altissimo che agisce in lui perché si comprenda che il tempo è venuto e ch’è lui il Messia; non vuole strabiliare la gente, a differenza di quanto fanno i maghi. Elenco i miracoli che, secondo quanto mi hanno narrato condiscepoli, egli ha compiuto quel giorno per dare più forza alle sue parole e, come al solito, senza esibizionismi. Disceso dal monte, gli s'è avvicinato un lebbroso, bandito dalla comunità come prescrive la Legge. I suoi si sono bloccati per paura del contagio, Gesú invece è andato incontro al poveretto. Non appena sono stati l'uno davanti all'altro, il lebbroso s'è prostrato al Maestro dicendogli: "Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi" e Gesú s’è commosso. Con gesto inusitato l’ha toccato, e gli ha detto: "Lo voglio. Sei sanato". La lebbra è scomparsa. Il Maestro ha raccomandato al guarito di non raccontarlo a nessuno, ma semplicemente di mostrarsi al sacerdote per ottenere la dichiarazione ufficiale di sanità, per essere riammesso fra la gente. Gli ha chiesto di presentare a Mosè l'offerta prescritta per i guariti, così che i sacerdoti avessero testimonianza che grazie al bene era avvenuta la guarigione, non per opera del maligno. Ecco l’inaspettato commento del giovane Giovanni, subito dopo avermi raccontato l'episodio: "Quell'uomo, inginocchiandosi, ha voluto mostrare al Maestro d'adorarlo: in lui ha sicuramente riconosciuto il cielo stesso!". Stava per aggiungere altro ma io, esterrefatto, l'ho zittito prima che qualcuno potesse udirlo e accusarlo di bestemmia. Non abbiamo, dopo secoli e secoli, ritenuto divini neppure Abramo, Mosè ed Elia, i più grandi di noi! I più grandi ma pur sempre semplici uomini! Gesú, è vero, perdona i peccati, e questo è prerogativa dell’Altissimo, ma certo lo fa in nome e col benestare del cielo, essendo suo Messia, non credendosi lui stesso l’Altissimo. Possibile che Giovannino sia così impulsivo da pensare che Gesú sia Colui che cammina sulla sfera di cristallo del firmamento? Egli è l'Unto, ma può forse essere considerato maggiore di Mosè? e se pure lo fosse, quale abisso, comunque, rispetto all'Incommensurabile! Giovannino è ancora un ragazzo, lo capisco, ma dovrebbe studiare a fondo la Torah e avere un po' più di prudenza. M'ero proprio sbagliato nel pensare che avesse una buona cultura religiosa.

Olete lõpetanud tasuta lõigu lugemise. Kas soovite edasi lugeda?