Tasuta

Una vita

Tekst
iOSAndroidWindows Phone
Kuhu peaksime rakenduse lingi saatma?
Ärge sulgege akent, kuni olete sisestanud mobiilseadmesse saadetud koodi
Proovi uuestiLink saadetud

Autoriõiguse omaniku taotlusel ei saa seda raamatut failina alla laadida.

Sellegipoolest saate seda raamatut lugeda meie mobiilirakendusest (isegi ilma internetiühenduseta) ja LitResi veebielehel.

Märgi loetuks
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

Si era sull’imbrunire. Alfonso sentiva una profonda tristezza. Ora appena comprendeva quanto in ogni caso egli perdesse dall’avventura della notte. White partiva ed egli se ne risentiva come se lo avesse abbandonato una persona che molto avesse importato nella sua vita. Si sentiva solo. Che cosa poteva ora essere la sua vita quando, ventiquattr’ore dopo raggiunto, riconosceva che lo scopo per cui era vissuto non dava la felicità?

Eppure ancora desiderava Annetta. Avvicinandosi l’ora in cui doveva rivederla, egli evocava la bella figura e esaminava con curiosità quale impressione gli producesse. Era di desiderio, ma un desiderio che non gli toglieva nessuna delle sue ripugnanze e gli parve una nuova ragione per apprezzare i propri sentimenti. Ora poteva vantarsi dell’odio al proprio misfatto perché pur desiderando, amando, egli diceva, Annetta, non provava meno ripugnanza per il modo con cui ne aveva conquistato l’affetto. E nella sua tristezza fu colto da una compassione commossa per Annetta riconoscendo che dagli avvenimenti di cui egli si doleva ella perdeva molto più che lui. Credette che questa commozione formasse la parte maggiore della sua ripugnanza.

Giunto vicino al piazzale si mise a correre temendo di arrivare in ritardo. Annetta non c’era ancora. Secondo quanto gli aveva scritto, ella doveva trovarsi dinanzi alla scuola, verso il Tribunale. Anche in quella sera, avendo paura degli sguardi indiscreti, non volle stare fermo e fece due volte con passo lento la piccola erta designata. Come si accingeva a risalire, venne chiamato.

– Signor Alfonso!

Era Francesca, non Annetta. Ella gli venne incontro, il volto leggermente arrossato e lo salutò con quella sua voce solita, inalterata che finiva col sembrare quella di una macchina.

– Avrei lassù, – e accennò verso villa Necker, – la carrozza nella quale si potrebbe parlare con piena calma ma preferisco camminare. Già, io sono perfettamente irriconoscibile.

Non lo era ad onta del fitto velo che le copriva il volto, e Alfonso pensò ch’egli avrebbe riconosciuto anche a grande distanza quel corpo gracile dai movimenti virili nel vestito nero, molle.

– E Annetta? – chiese rammentandosi finalmente di dimostrare disillusione.

Ella s’era messa a camminare con passo piccolo ma rapido verso villa Necker sull’erta ove a lui già una volta era mancato il fiato. Lo precedeva di due passi per far credere ai passanti che non si trovava in sua compagnia. Soltanto dopo il Tribunale lo attese e rispose alla sua dimanda. Annetta non poteva venire e lo pregava di scusarla; precisamente all’ora destinata per l’appuntamento, il padre per una disgraziata combinazione aveva avuto il capriccio di trattenerla con sé. Gli porse un bigliettino di Annetta, due parole scritte in fretta all’ultimo momento.

– Lo leggerà dopo, – disse con impazienza allorché egli accennò di volerlo aprire subito. – Non so che cosa pensi di me, – ella disse senza rossori e senza esitazioni, – ma la parte d’intermediaria mi è stata imposta; è il meglio che ora, per il bene di Annetta, mi resti a fare. Si deve giungere al più presto al risultato voluto.

Questo risultato voluto doveva essere il matrimonio; era l’unico sottinteso e quello per nessuna ragione necessario.

– Annetta dice… – continuò Francesca e già da quest’esordio si comprendeva che alle comunicazioni ch’era stata incaricata di fare avrebbe fatto seguire le proprie considerazioni e i propri consigli. Era evidente che Francesca aveva riflettuto a tutto quanto voleva dirgli e se dopo dimostrò sorprese e dubbî ciò avvenne perché il contegno di Alfonso fu troppo differente da quanto ella avesse potuto prevedere.

Annetta semplicemente gli faceva ripetere quanto già gli aveva scritto. Non voleva ch’egli avesse a subire degli affronti, voleva che si allontanasse per qualche tempo dalla città acciocché ritornando trovasse tutto regolato. Di nuovo soltanto c’era la comunicazione, ch’ella aveva avuto l’opportunità di parlare con Cellani e che sarebbe stato costui che gli avrebbe dato il chiesto permesso.

Francesca s’interruppe accorgendosi del mutismo di Alfonso ch’ella interpretò con la sua consueta rapidità:

– A lei questo piano dispiace? – e con soddisfazione calma aggiunse: – Oh! io lo prevedevo!

– No! non mi dispiace! – fece Alfonso esitante. Quello che maggiormente lo impensieriva era la paura che Francesca potesse comprendere ch’egli non dedicava alla questione l’interesse che avrebbe dovuto. Con voce che volle sembrasse addolorata aggiunse: – E sarà duro per la signorina Annetta di fare i passi di cui ella qui mi parla?

– Perché?

– Oh bella! può avere a udire qualche brutta parola!

S’era adirato, perché nulla è più irritante che non venir subito compreso quando si finge.

– Ad Annetta non può importare nulla di una parola dura ricevendola per una questione che ha per essa un’enorme importanza, quantunque a lei signor Alfonso pare non sembri così!

La sua voce si prestava molto bene all’ironia. Egli sentiva ch’ella era molto lontana dal sospettare quanto con quel rimprovero si apponesse al vero, ma l’ironia l’offendeva istesso.

– Lei può facilmente immaginare quanta importanza abbia per me questa faccenda, ma però a me non piace di lasciare la signorina Annetta qui sola a combattere anche per mio conto!

Ella lo guardò attentamente:

– Ella dunque non vuole partire?

– Io non voglio nulla, ma, mi sarà permesso, lo spero, di esprimere un mio piacere o un mio dispiacere?

Ella parve disillusa.

– Così…? Senta, voglio essere franca. Io non vedo la ragione per cui ella dovrebbe allontanarsi. Annetta è padrona in casa e alla prima parola ch’essa dirà, se sarà detta come si deve, nessuno avrà più nulla da opporre. Non vi sono dunque a temere degli affronti per Annetta o per lei. – Poi, vedendolo esitante e sorpreso: – Io non so come conquistarmi in sì breve tempo la sua fiducia, ma ne ho di bisogno. Ella sta per commettere una sciocchezza ed io voglio impedirgliela. Dunque mi ascolti, segua un mio consiglio, non parta. – Gli disse che a lui voleva bene, che si rammentava sempre con uguale commozione del villaggio, dell’anno trascorsovi e della madre sua ch’ella aveva amata, tutto questo con la sua voce esile, dolce, ma calma e fredda, incapace di finzione. – Dunque abbia fiducia in me, non parta! – E parlò ancora. Gli disse ch’ella non aveva sentito dolore all’apprendere che Annetta lo amava, perché si trattava di lui, ma che se Annetta si fosse data a quel modo ad altri, ella non se ne sarebbe consolata mai più perché il tutto era potuto accadere soltanto per un suo errore, perché non aveva avuto il coraggio di far intervenire Maller a tagliare la tresca ch’ella sapeva incominciata. – Ho errato, ma, se la conseguenza del mio errore ha da essere il suo matrimonio con Annetta, il mio pentimento è ben piccolo. Mi accade proprio di venir premiata di un errore.

L’erta era finita. Più che a guardare ove andavano erano occupati ad osservarsi l’un l’altra. Quasi istintivamente Alfonso voleva attraversare la piazza perché tirando dritti si doveva passare per una via molto popolata, ma ella lo fece deviare:

– La carrozza mi attende là!

– Ma perché ho da agire contro l’espresso volere di Annetta?

– Insomma come lei stesso ha detto, è dovere di cavaliere di non lasciare a questo modo il posto. – Ella accettava un argomento che, per leggerezza, poco prima aveva distrutto. – E di più sarebbe da poco accorto.

Ella gli dava dunque il consiglio di rimanere acciocché non vi fosse pericolo per il matrimonio ch’ella già aveva dato prova di desiderare vivamente. Una seconda volta dava consigli, si rendeva, peggio che sua complice, sua istigatrice. Egli ne fu agghiacciato.

– Io non mi opporrò mai al volere della signorina Annetta. Obbedirò con scupolosa esattezza ai suoi ordini o desiderî.

Parlava col tono di chi vuole tagliar corto. Non portava argomenti lui; aveva deciso così e non si curava di sapere ove sarebbe giunto con l’obbedienza passiva di cui parlava.

Ella lo guardò stupefatta, non certa ancora di aver udito per bene. Poi parlò di nuovo e per la prima volta Alfonso udì quella vocina alterarsi; rimaneva sempre esile ma era rotta dall’affanno e, gridata, aveva perduto ogni dolcezza.

– Ma se seguendo i consigli di Annetta espone a grande pericolo la felicità ch’ella crede di avere in saccoccia? Ma quale amore crede lei di averle ispirato, forse di quelli delle dame antiche, amori che resistevano agli ostacoli e duravano per tempo infinito? – Rise perché volle ridere. – Ella si affida di lasciarla qui esposta ai consigli del padre e dei parenti? Se ne vada pure giacché lo vuole e ritorni anche dopo una sola settimana. Sarà ridivenuto il travetto della banca Maller e Annetta non si rammenterà neppure di averla conosciuta. – Le parole le erano uscite di bocca compatte come un solo grido. Continuò più calma:

– Conosco i Maller. Crede ella che quando si sarà spiegato ad Annetta quello che oggi, ma oggi soltanto, ha dimenticato, crede che le rimarrà ancora fedele?

– Lo credo! – disse tranquillamente Alfonso.

A questa soluzione non aveva pensato durante la lunga giornata, ma non appena rammentata da Francesca la riconobbe quale la più probabile e nello stesso tempo la più felice. Infatti non era quasi certo che l’ambizione di Annetta, per breve tempo dimenticata, riconquisterebbe subito il suo posto avendolo occupato sempre fino ad allora? Era una soluzione felice perché, mentre egli aveva temuto di venir costretto a fare lui la parte di traditore, tutto ad un tratto diveniva il tradito e non gli restava altro compito che di dare generosamente il suo perdono, cosa facile e aggradevole.

– Allora per lei tutto è perduto! – disse Francesca con voce che per dare maggior serietà a queste parole ridivenne calma per un istante. – Io non capisco le ragioni per cui agisce così e non mi curo di conoscerle; se abbandona la città anche soltanto per pochi giorni, non rivedrà mai più Annetta.

 

– Devo partire se Annetta me lo ordina.

– È tanto evidente la giustezza di quanto le dico che non posso fare a meno di pensare che di Annetta nulla le importi oppure che tutto ad un tratto ella abbia perduto il lume dell’intelletto.

Parlava a casaccio senza molto riflettere a quello che diceva e Alfonso lo sentiva, ma non per ciò dimenticò di rispondere a quelle parole che lo colpivano nel vivo.

– A me di Annetta importa quanto della luce dei miei occhi, – e fu soddisfatto dalla frase. – Ma non voglio rubare il suo amore; voglio che mi venga dato spontaneamente. – Poi gli riuscì di trovate l’intonazione e la parola giusta. – Io non so che farmene di un amore che avrebbe a cessare nello spazio di otto giorni, ed ora che ella mi ha messo in dubbio, se Annetta stessa non avesse proposto questo viaggio, lo proporrei io.

Ella rise con disprezzo.

– Ha trovato il modo di dare il nome di dignità alla sua freddezza.

Era di nuovo giusto; per caso ella aveva capito quale parola maggiormente lo avesse offeso e insisteva alla cieca su quella per procurarsi la soddisfazione di offenderlo ancora.

Egli rimase inalteratamente calmo. Solo una volta si agitò allorché per errore, stanco di veder continuata la discussione sempre con le medesime parole, aveva dichiarato che la discussione fra di loro era inutile perché per non partire egli doveva trovare delle buone ragioni per convincere Annetta. Ella gliene suggerì dieci in un fiato. Alfonso si commosse perché gli balenava alla mente la possibilità che potesse venir costretto a rimanere; riconobbe il suo errore e senza perdersi a confutare le ragioni portate da Francesca, con un’ostinazione che a lui stesso ricordò quella della gente di poche idee, dei contadini, si limitò a protestare ch’egli avrebbe fatto semplicemente il volere di Annetta senza indagare se ella avesse ragione di volere così o meno. Egli faceva un matrimonio d’amore, per parlare più a lungo si ripeteva, egli faceva un matrimonio d’amore e non voleva agire con l’accortezza di chi persegue un interesse.

Ella camminava di nuovo due passi dinanzi a lui e sembrava di aver rinunziato a convincerlo. Tutto ad un tratto rallentò il passo. Ebbe di nuovo il dubbio ch’egli diffidasse di lei. Era una supposizione non ragionevole, ma la sorpresa, il dolore di dover lasciarlo senz’aver ottenuto quello che le era sembrato tanto facile, la turbavano. Ella agiva inconsideratamente seguendo i primi impulsi.

Si mise a spiegargli perché ella prendesse tanta parte al suo destino e la voce calma doveva celare una grande agitazione che la portava a tali confessioni.

– È ben vero che io voglio bene a lei e alla sua famiglia, – incominciò con una freddezza che rendeva ironica la sua frase, – però non è soltanto quest’affetto che mi fa agire. Le conseguenze che devono derivare a me da questo matrimonio sono tali che ne dipende la felicità della mia vita. Ha capito o dubita ancora che i miei consigli sieno dati in mala fede?

Egli più non ne poteva dubitare; aveva compreso. Nel delirio della notte, Annetta gli aveva confessato ch’era stata dessa a opporsi al matrimonio di Maller e gli aveva anche fatto capire che, accettando lui per marito, non poteva più persistere in quell’opposizione. Francesca dunque aveva il maggior interesse acché questo matrimonio si facesse ed era spiegabile il suo furore al vedere che giunta tanto vicina alla meta, sorgesse qualche cosa di nuovo, imprevisto e irragionevole, a mettere in dubbio la sua vittoria.

Fu tanto scosso da questa confessione che ancora una volta deviò dal metodo seguito per difendersi: volle convincerla che la sua partenza non poteva essere di pericolo sì grande alla sua relazione con Annetta. Annetta lo amava, gliel’aveva ripetuto su tutti i toni, gliene aveva dato le prove. Perché dunque offenderla dubitando della serietà del suo affetto?

Ella cessò per la prima dalla lotta. Camminò ancora dieci passi circa oltre la carrozza di cui il cocchiere teneva aperto lo sportello. Non rispondeva ai lunghi discorsi di Alfonso e forse non li seguiva. Lo guardò tutto ad un tratto alzando con movimento rapido la testa:

– O non ama Annetta o ha una paura ridicola del padre.

A lui parve dignitoso non rispondere.

Ritornando alla carrozza ella mormorò:

– Non si è visto giammai una cosa simile. – Prima di lasciarlo, si volse a lui e mettendogli la fredda piccola mano nella sua, pronta a stringere con l’amicizia ch’egli altrimenti non aveva saputo dimostrarle, gli disse: – Ad ogni modo sono obbligata di fare il possibile per risparmiarle la sventura ch’ella merita. Me ne dispiace.

Saltò in carrozza e aiutò il cocchiere esitante a chiudere lo sportello.

Era finalmente libero. Nessuno più avrebbe tentato di toglierlo dal suo proposito; sarebbe partito pur sapendo che con questo passo egli rinunziava ad Annetta. Francesca lo aveva convinto; la partenza equivaleva ad una rinunzia. Si sentì calmo e felice. Se quello che Francesca prevedeva si avverava, egli era liberato da ogni dovere e da ogni rimorso. Ella gli aveva detto che, abbandonato da Annetta, sarebbe ridivenuto il miserabile travetto di casa Maller. No! Egli sarebbe rimasto superiore anche alla posizione che Annetta aveva voluto fargli e la sua superiorità era stata dimostrata precisamente dalla sua rinunzia.

Alla banca egli si sentì meglio il giorno appresso. Lavorava volentieri perché sapendo che nulla d’inaspettato gli poteva capitare si sentiva calmo, libero dalle paure che il giorno innanzi lo avevano travagliato e, rammentandosi del bisogno che aveva provato di confidarsi con qualcuno per averne consiglio o appoggio, stupì. Ora stava bene chiuso in se stesso col suo segreto che gli appariva quale un episodio interessante della sua vita.

Cellani doveva parlare con lui, non egli con Cellani e così non temeva neppure quel colloquio. Non vedendosi chiamato fino a mezzodì ebbe una sola paura e cioè che Francesca, non avendo potuto convincere lui della necessità di rimanere, fosse riuscita a convincere Annetta ch’era preferibile di non farlo partire. Si trovava in mani loro e gli sarebbe toccato di ricevere da Maller i rimproveri meritati e poi, ciò ch’era ben peggio, assumere la parte di amoroso ardente.

A mezzodì il piccolo Giacomo lo avvertì che il procuratore lo attendeva nella sua stanza. Alfonso perdette un poco della sua calma perché già aveva dubitato di non venir chiamato, e le cose inaspettate lo agitavano sempre.

Il signor Cellani era solo e aveva il tavolo netto di carte. Per quel tavolo passavano tutti gl’innumerevoli documenti della banca e non lo abbandonavano che segnati da lui; già quell’ufficio di lettore delle lettere che arrivavano e di quelle che partivano doveva dargli un lavoro enorme.

Cellani era uomo che facilmente s’imbarazzava e perciò Alfonso trattava con lui con maggior disinvoltura che con Maller. Dapprima il procuratore gli chiese come stesse, poi, con la parola come al solito stentata, spiritosamente osservò che generalmente non usava accordare che i permessi che gli venivano chiesti e ch’era la prima volta che si trovava obbligato ad offrirne.

Visto che ne trattava tanto leggermente, si capiva ch’egli non era stato messo a giorno della ragione per cui veniva domandato quel permesso. Alfonso fu tanto tranquillo che fece anche lui dello spirito e trasse il procuratore dall’impaccio accusato.

– Le chieggo questo permesso che non può offrirmi.

– Accordato! – disse Cellani ridendo. – Non so bene di che si tratti, ma pare importi sommamente alla signorina Francesca e un pochino anche alla signorina Annetta che mi pregò di permetterle di partire immediatamente. Sono sicuro che non abuserà di tale permesso e che la rivedrò di qui a quindici giorni. – Lo pregò di avvertire Sanneo e di mettersi d’accordo con lui per il lavoro; era forse anche necessario che per quel giorno lavorasse più a lungo del solito. – Infine se il signor Maller le chiedesse la ragione per cui domandò questo permesso, gli dica qualche motivo buono che non ammetta obbiezioni. Dica per esempio ch’è fortemente ammalata sua madre; del male con ciò non le farà. – Poi lo congedò affettuosamente.

– Si diverta e a rivederci.

Sanneo era ancora tutto al suo lavoro, chino su un foglio di carta che riempiva con la sua grossa scrittura mormorando le parole che scriveva. Alfonso entrò e attese rispettosamente.

– Dica pure! – disse costui senza alzare il capo.

Alfonso cominciò a parlare dicendo senza rimorsi che sua madre era ammalata e che il signor Cellani aveva voluto accordargli un permesso di quindici giorni. S’accorse che Sanneo continuava a scrivere e a mormorare con accanimento quello che scriveva; doveva essere una polemica e nel suo ardore, – qualche ira per conto della banca Maller e C., – non doveva avere udito nulla di quanto gli era stato detto. Alfonso s’impazientò e con voce mutata concluse:

– Parto domani.

– Come, come? – chiese Sanneo sorpreso e alzando finalmente la testa. – Lei parte?

Alfonso ripeté tutto quanto aveva già detto e Sanneo ebbe l’aspetto di persona seccata. La cosa aveva ora tutta la sua attenzione e depose persino la penna per staccarsi del tutto da altre idee. Il giorno prima aveva dato ordine ad Alfonso di assumere un nuovo lavoro, lo scontro di certi conteggi della liquidazione che, fino allora, dopo la dipartita di Miceni dalla corrispondenza, aveva fatto egli stesso. Era un lavoro che ogni quindici giorni lo costringeva a prolungare parecchio le sue ore di lavoro e dopo essersi risoluto di appiopparlo ad Alfonso, era spaventato di vederselo ripiombare addosso. S’era sottoposto a una fatica per consegnare il lavoro e insegnarlo ad Alfonso e diveniva ora fatica sprecata.

– Se il signor Cellani gliene ha dato il permesso, – volontieri lo avrebbe messo in dubbio, – ella è libero di partire. Venne chiamato con dispaccio?

– Sì! – rispose Alfonso seccato di dover dare dei particolari.

– Oh! allora non c’è nulla da obbiettare, – disse Sanneo, – quantunque io in questi casi usi di non partire immediatamente e di attendere conferma della notizia che talvolta è data da parenti troppo presto spaventati.

Però, visto che Alfonso nulla rispondeva a questa ch’era una proposta velata, Sanneo divenne improvvisamente l’amico cortese che prende congedo. Gli augurò di trovare la madre in buona salute e, volendo cancellare il cattivo effetto che potevano aver fatto le sue esitazioni, aggiunse ridendo:

– Se anche trovasse sua madre in perfetta buona salute non rinunzi ad alcuna parte del permesso ottenuto. A rivederci dunque oggi a quindici.

Maller non c’era più e Alfonso dovette ritornare al pomeriggio per congedarsi da lui. Lo trovò solo in stanza che lavorava accanitamente anche lui, delle annotazioni in un libretto tascabile. Alfonso stava per dire la bugia suggeritagli da Cellani, ma Maller lo interruppe:

– Buon viaggio, signor Nitti, buon viaggio!

Alfonso uscì inchinandosi; era malcontento. Lo turbava il contegno freddo di Maller per quanto poco per il momento gli premesse di venirne amato e calcolasse anzi sulla sua decisa opposizione per esser liberato dai suoi obblighi con Annetta.

Gli unici impiegati che salutò all’infuori dei colleghi della corrispondenza furono Miceni e Starringer lo speditore. Salutò anche Marlucci, ma solo perché lo trovò in stanza con Miceni. Il toscano si contenne freddamente avendo compreso la ragione per cui Alfonso s’era ricordato di lui.

Miceni si contenne meglio di tutti. Starringer aveva chiesto tutti i particolari e di quale malattia soffrisse la vecchia e da quanto tempo e come avesse potuto avvenire che fino allora egli nulla ne avesse saputo. Poi, dimostrando soltanto che non sapeva mettersi nei panni di un figliuolo che riceve l’annuncio del pericolo che corre la madre, disse:

– Beato lei che va a casa, – e un’ombra di tristezza passò sul suo largo volto. Ah! egli non pensava che a se stesso, al permesso che aveva avuto il mese innanzi e che gli toglieva il diritto di chiederne altri per ben due anni. Ballina, dopo di essersi condoluto sentitamente, ebbe un grande dubbio:

– I denari per il viaggio le vengono anticipati dal signor Maller?

Con grande serietà, Miceni, che, si capiva, conosceva meglio gli usi del mondo, gli augurò di trovare la madre in buona salute. Lo esonerò poi dal seccarsi col salutare tutti gli altri impiegati e gli promise di scusarlo con essi. A lui Alfonso raccontò della fredda accoglienza che gli aveva fatta Maller, e Miceni fu al caso di tranquillarlo raccontandogli quali fossero le cause del malumore del principale.

 

– È uomo che ha molti pensieri e giusto adesso è afflitto da una sventura di famiglia e da un accidente finanziario.

Si trattava della demenza di Fumigi e del prossimo inevitabile fallimento della sua casa. Gli raccontò che, per affetto al nipote, Maller aveva dovuto addossarsi la liquidazione della sua casa, e che soltanto dopo assunta s’era accorto ch’era passiva per speculazioni sbagliate fatte da Fumigi nei due ultimi mesi. Miceni diceva che il disastro era stato apportato precisamente dall’indebolimento delle qualità intellettuali di Fumigi. Quanto alla causa della malattia stessa, supponeva che fosse da ricercarsi nell’esagerata sua attività. – So io che questa estate lavorava dieci ore al giorno in ufficio e poi ancora dell’altro a casa, su certi problemi di matematica. Il suo debole organismo non resse alla fatica.

Alfonso pensò ch’egli conosceva meglio la causa di tale malattia. Doveva essere stata prodotta dal dolore per il rifiuto di Annetta. Comprese che se a Fumigi fosse toccata in sorte la sua fortuna ne avrebbe gioito ben maggiormente che lui e ancora una volta provò rimorso di non saper approfittare della sua fortuna.

Lo seccava ora grandemente di trovate una buona bugia per spiegare ai Lanucci la sua improvvisa partenza. Non volle dire che partiva per la malattia della madre perché gli sarebbero stati chiesti troppi particolari.

– Parto! – disse rivolto alla Lanucci che trovò seduta a tavola col vecchio. Lucia all’ora di pranzo era sempre a passeggio con Gralli.

– Quanto tempo rimarrà assente? – chiese il vecchio Lanucci alzando il naso dal piatto e molto spaventato.

– Quindici giorni! – gli disse presto Alfonso per tranquillarlo. Aveva compreso il motivo di tale spavento. – Parto per un affare… – Non s’era ancora risolto per uno o l’altro motivo di cui avrebbe potuto indicare parecchi, ma nessuno tanto verosimile da venir creduto senza esitazioni. Si rammentò in tempo che sua madre molto tempo prima gli aveva scritto che desiderava di vendere la loro casa.

– Vendiamo la nostra casa che per mamma è troppo grande e troppo lontana dal villaggio.

Il vecchio cessò ancora una volta di mangiare e drizzò gli occhiali, segno sicuro che voleva parlare di affari:

– E lei per questo parte! Lascia l’impiego per quindici giorni, e se basteranno!

Alfonso rispose che il signor Maller gli accordava volontieri quel tempo di permesso e ch’egli per quest’assenza nulla perdeva, ma il Lanucci non si diede così presto per vinto. Gli rimproverò di voler da solo accingersi ad un affare di tale importanza, pur essendo troppo giovine per saper contrattare.

– Il notaro Mascotti mi aiuterà, – rispose seccamente Alfonso.

Fra tanti mestieri del Lanucci v’era anche quello di sensale di case. Propose ad Alfonso che senza partire gli desse la descrizione della casa, gliene indicasse il prezzo per cercare un compratore in città.

Alfonso non accettò e dovette ridere pensando che correva il rischio di vendere la casa non avendone l’intenzione, senza perciò aver spiegata la sua partenza.

Alla sera la Lanucci lo aiutò a preparare degli effetti ch’egli doveva portare con sé. Anche durante quest’operazione, movendosi per la stanza con della biancheria sulle braccia e poi lungamente china sul baule affaticandosi a chiuderlo, gli parlò della felicità che attendeva Lucia. Quel giorno Gralli era stato dai Lanucci tre volte, una delle quali per pochi minuti non essendogli concesso dal suo lavoro di rimanere di più. Aveva fatto un’oretta di cammino soltanto per vedere l’amato viso. In quel momento erano là accanto, in tinello, a ciarlare. – Chissà di che? – chiese la Lanucci alzando gli occhi dalla chiave del baule che tentava di far girare. E gettandosi con tutto il suo peso sul baule, aggiunse ridendo: – Parlano di qualche cosa che io non so più e lei non sa ancora.

Prima di coricarsi Alfonso andò nel tinello ove trovò Lucia semisdraiata sul sofà e Gralli sedutole dinanzi per terra alla turca, che l’ammirava. Anche dopo veduto Alfonso, ella rimase nella sua posizione, mentre Gralli con uno sforzo della sua figurina nervosa si alzò.

– Ella parte domani? Buon viaggio! – gli disse Lucia, e senza moversi, con gesto signorile gli porse la mano.

Dacché era promessa sposa aveva perduto il pudore perché glielo avevano comandato, ma il rispetto ad Alfonso in seguito a proprio ragionamento. S’era avvilita per tanto tempo lasciandosi maltrattare dapprima, poscia rinunziando a vendicarsi, che ora voleva fargli sentire ch’ella era indipendente, nulla attendendo da lui e non amandolo. Aumentava le sue sgarbatezze specialmente allo scopo di fargli dimenticare che in altra epoca il suo contegno aveva potuto fargli credere ch’ella lo amasse. Per le tante altre cose che Alfonso aveva avuto per il capo non s’era neppure avvisto degli sforzi che Lucia aveva fatto per offenderlo, e quella sera che dovette scorgere la sua freddezza pensò ch’ella aveva ragione.

Erano le dieci sonate allorché Santo gli portò un’altra lettera di Annetta. Annetta gli comunicava che Francesca le aveva fatto dubitare della opportunità del viaggio di lui. Lo lasciava libero di fare quello ch’egli preferisse ed ella sempre ancora desiderava ch’egli rimanesse al sicuro da qualsiasi offesa. Non vedeva d’altronde più la possibilità per lui di rimanere dopo di aver ricevuto alla banca il permesso di partire. Per il caso che partisse ella lo salutava addolorata di non aver potuto rivederlo prima.

Egli prima di rispondere non ebbe esitazioni. Voleva partire e i dubbî che Francesca aveva destati in Annetta non gli sembravano meritare la sua attenzione. Se Annetta stessa continuava ad essere piuttosto del parere ch’egli dovesse partire!

Scrisse la risposta con Santo in piedi accanto al tavolo e conservando, con sforzo, calmo il volto per non lasciar capire a costui che si trattava di tutt’altra cosa che della risposta ad un incarico ricevuto. Dovette coprire la sua lettera con altro foglio perché vide che Santo con tutta calma s’era levato in piedi e leggeva oltre la sua spalla. Vistosi scoperto, Santo non ebbe confusione di sorta e sedette sorridendo:

– Non guardavo mica la lettera.

Alfonso franco, senza rimorsi, aveva messo in testa alla lettera l’intestazione: «Amata sposa.» Poi: «Partirò!» esclamava col tono di chi si risolve a un sagrifizio. Partiva perché se anche per il premio che gli veniva riservato non trovava offensivo alcun eccesso del padre «che a ragione mi odia», – non sapeva quanta indifferenza oggettiva vi fosse in questa frase, – partiva perché non voleva che per questi eccessi soffrisse anche colei per cui voleva sopportarli.

Gli parve di poter essere lieto di quel paio di frasi, ma rileggendo la lettera di Annetta dovette riconoscere ch’egli semplicemente aveva dimenticato di rispondervi. Annetta infatti gli comunicava che lo lasciava libero di partire o meno e egli le rispondeva che con grande suo dispiacere, perché ella glielo imponeva, sarebbe partito. Trovò poi che sarebbe stato obbligato a rispondere con maggior accuratezza e abilità a quella lettera. La sua risposta doveva finire col farlo considerare sciocco o indifferente ad onta delle frasi melodrammatiche, e, fatta a quel modo, non aveva scopo o lo sbagliava. Se ad Annetta ancora importava di studiare le lettere ch’ella riceveva da lui, facilmente con la sua intelligenza avrebbe compreso che Alfonso fingeva, e neppur prendendosi la cura di fingere abilmente. Questo fatto sarebbe dovuto spiacergli grandemente perché aveva tentato e sperato di riuscire a farsi credere lui il tradito, ma la sua indifferenza era tale che facilmente se ne consolò. Annetta non si sarebbe soffermata tanto a lungo a studiare quel biglietto.