Tasuta

Una vita

Tekst
iOSAndroidWindows Phone
Kuhu peaksime rakenduse lingi saatma?
Ärge sulgege akent, kuni olete sisestanud mobiilseadmesse saadetud koodi
Proovi uuestiLink saadetud

Autoriõiguse omaniku taotlusel ei saa seda raamatut failina alla laadida.

Sellegipoolest saate seda raamatut lugeda meie mobiilirakendusest (isegi ilma internetiühenduseta) ja LitResi veebielehel.

Märgi loetuks
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

Una volta aprendo gli occhi ebbe la sorpresa di trovarsi sulla via, dinanzi alla casa di Mascotti, sostenuto da Frontini e da Giuseppina. Dubitando non fosse un sogno, non dimostrò la sua sorpresa e non chiese spiegazioni. Venne fatto salire su una carrettella che subito si mise in movimento lentamente ma non evitando perciò, inevitabili sul selciato irregolare, le scosse onde egli si risentiva come di legnate. Fu lieto quando altre visioni scacciarono quella e anche quando si riebbe di notte quella gita gli parve frutto del delirio.



Ma alla mattina sentendosi tranquillo come dopo un lungo riposo e la mente quieta, alquanto intorpidita, ma già rivolta del tutto ai fatti che avevano preceduto la sua malattia, s’accorse che non era stata una visione. Vedeva esattamente in tutti i particolari la stanza di casa sua, i mobili vecchi, l’orologio a pendolo che camminava e che segnava le otto, e i due letti. Vi era anche quello della madre. Ne avevano asportato il cadavere e lo avevano rifatto come se la persona che ne era uscita avesse avuto da coricarvisi di nuovo la sera. Il guanciale era il medesimo ed egli lo riconosceva a una grande macchia di caffè ch’era stata fatta dalla defunta allorché respinse una tazza offertale in un momento in cui le sofferenze l’avevano esasperata.



Bastava per evocargli dinanzi agli occhi tutti i terribili avvenimenti a cui aveva assistito negli ultimi quindici giorni. Gli vennero le lagrime agli occhi, proprio dolcissime, di compassione. Il dolore di sentirsi ora tanto solo nel mondo non lo faceva piangere. Piangeva per la povera vecchia ch’era morta amando la vita e che molto tempo prima aveva saputo di doverla abbandonare. Egli viveva e continuava a vivere, ed era cosa dolce questa vita quando il fluire del sangue, il macchinismo su cui essa riposava, per la sua regolarità non si sentiva e si aveva la calma e la certezza di vivere, il sentimento di durare eternamente.



Si mise a ridere vedendo Giuseppina, perché si rammentava di averla vista all’opera quale infermiera.



– Il vecchio dunque mi ha gettato fuori di casa? – Giuseppina protestò:



– L’ha fatta trasportare con tutta comodità in carrozza.



Da quanto Giuseppina gli raccontò, egli comprese ch’era stato allontanato dalla casa di Mascotti per il timore che Frontini non aveva saputo distruggere in costui che si trattasse di tifo. Era stata la figliuola del notaio a chiedere con maggior violenza il suo allontanamento, e un giorno, spaventata da un’emicrania che le durò poche ore, dinanzi a Frontini, pose al padre il dilemma:



– O fuori lui o fuori io!



Frontini aveva chiesto due giorni di venia e al terzo, giungendo, lo aveva trovato già trasportato sulle scale, così che non aveva potuto fare altro che aiutare al trasporto e assumerne la direzione acciocché venisse fatto con prudenza. In tutti i dettagli era realtà quello che ad Alfonso era sembrato sogno. Sulle scale egli aveva resistito, debolmente perché mancava di forze, ma dopo la prima boccata d’aria fresca s’era quietato, aveva guardato d’intorno con aria di sorpresa e senza dire una parola s’era lasciato adagiare nella carretta a grande gioia di Mascotti che gridava:



– Ma se sta bene, ma se si può trasportarlo senza pericolo alcuno magari fino in città.



– Che birbante! – mormorò Alfonso indignato al pensare che per oltre tre anni sua madre non aveva avuto quale protettore che quell’individuo.



Frontini venne poco dopo e fu oltremodo sorpreso al trovarlo perfettamente in sé e sentendo che lo era da parecchie ore. Ad onta di ciò poco dopo asserì ch’era naturale che così fosse e ch’egli lo aveva preveduto. Era un medico che doveva essere abituato a commettere degli errori perché la sua sorpresa non era molto grande quando trovava che i fatti non erano stati docili abbastanza per conformarsi ai suoi responsi.



Però s’era comportato molto bene durante la malattia e Alfonso con le lagrime agli occhi gli si disse riconoscente. Gli era anche riconoscente se non altro per la soddisfazione che alle sue parole gli vide brillare nel volto.



Nelle ore pomeridiane venne Mascotti e parve non volesse affatto parlare del viaggio che durante la malattia aveva fatto fare ad Alfonso. Alfonso volle essere freddo e Mascotti se ne accorse presto poiché lo aveva già visto tenergli il broncio e sapeva quale aspetto gli desse l’ira. Gli spiegò che aveva voluto farlo trasportare perché la stanza in casa sua non era affatto adatta ad ospitare un malato. Poi, vedendo che Alfonso non mutava fisonomia, s’imbrogliò alquanto e disse che veramente era stata la Lina, sua figlia, a volerlo fuori di casa. Alfonso taceva ancora sempre e allora Mascotti finì coll’indignarsi:



– Siamo vecchi, – dichiarò, – ma desideriamo di vivere per qualche anno ancora.



Era più di quanto occorresse per rendere Alfonso mite e amichevole.



Mascotti cambiò subito discorso. Parlò della vendita della casa ora divenuta necessaria. Creglingi, il promesso sposo di Rosina, ne offriva diecimila franchi tutto compreso, persino i mobili che vi erano.



– A me l’offerta non sembra cattiva, – disse Mascotti. Poco dopo se ne andò.



Rimasto solo, fu la prima volta che Alfonso ripensò alla sua avventura in città. Il suo cervello aveva trovato riposo nella malattia e il pensiero ad Annetta gli sembrava quasi nuovo. Non poteva appassionarsi per cose avvenute tanto tempo prima e delle quali quasi non voleva riconoscersi responsabile. Egli ora era un uomo nuovo che sapeva quello che voleva. L’altro, colui che aveva sedotto Annetta, era un ragazzo malaticcio con cui egli nulla aveva di comune. Non era la prima volta ch’egli credeva di uscire dalla puerizia.



Se al suo ritorno in città avesse trovato che Annetta ancora lo amava, l’avrebbe sposata perché egli aveva piena coscienza dei suoi doveri. Ma l’avrebbe prevenuta e avrebbe cercato di dimostrarle quale enorme errore essi stavano per commettere unendosi. Le avrebbe detto:



– Io sono fatto così e voi così, ma divenendo legalmente vostro padrone userò di tutti i mezzi che saranno a mia disposizione per modificarvi, farvi abbandonare i vostri gusti e le vostre abitudini. – E inoltre: – Certo, vi amo, ma non tanto da amare e da tollerare i vostri difetti. Dacché vi conobbi, lungamente vi odiai e vi disprezzai, qualche volta anche quando vi dimostravo amore.



Sentiva che questi pensieri gli agitavano il sangue. Aveva il sudore alla fronte e la vista gli si oscurava. La lotta a cui stava per accingersi era grave, e, immediatamente dopo di essere vissuto nella dolce febbre che lo aveva fatto vivere tra fantasmi cari, ne sentiva maggiormente l’asprezza.



Se invece, come Francesca aveva preveduto, Annetta non lo avesse amato più e si fosse già impegnata con altri, egli si sarebbe ritirato nella sua solitudine ove si viveva tanto calmi e tanto felici. L’avventura non avrebbe avuto altra conseguenza che di togliergli la possibilità di avanzare alla banca Maller. Non era una grande sventura perché la sua paga gli bastava quale era. D’altronde le sue attitudini al commercio non gli davano il diritto a grandi avanzamenti e, perdendo per altre cause la possibilità di averne, perdeva ben poco.



Sorrise all’ombra della madre che gli parve approvasse i suoi propositi. Aveva la coscienza tranquilla. Faceva ciò ch’era giusto secondo la morale più certa perché da una parte si dichiarava pronto a corrispondere ai suoi impegni verso Annetta e per quanto rimpiangesse di averli assunti, dall’altra rinunziava alla ricchezza perché non voleva averla se rubata.



Se Annetta non lo amava più egli usciva dalla vita, vi perdeva ogni interesse e nella vita contemplativa cui intendeva di dedicarsi non avrebbe avuto il bisogno di adulare o di fingere e non correva il pericolo di ritrovarsi un bel giorno nel cuore un amore nato dalla vanità o dalla cupidigia. Sarebbe vissuto con la sua franchezza natia, coi desiderî semplici, sinceri e perciò duraturi.



Alla sera il dottore gli trovò qualche poco di febbre ed espresse il timore ch’essa potesse riprendere forza. Alfonso non ebbe questo timore perché conosceva meglio di lui le cause del peggioramento, e infatti, dopo un sonno lunghissimo e senza sogni, si trovò la testa libera e aumentato tanto di forze da poter rimanere tutto il giorno seduto in letto.



L’ultimo giorno che passò a letto, ricevette la visita di Creglingi che veniva a trattare l’acquisto della casa. Il caso diede che mezz’ora prima fosse capitato Mascotti ad avvertire in tutta fretta che Faldelli faceva un’offerta migliore di quella di Creglingi. Faldelli voleva aprire in quella casa un’altra osteria e usare dei locali superiori a granai e degli inferiori, ve n’erano due spaziosissimi, a cantine. Offriva dodicimila franchi. La visita di Creglingi fu inattesa perché Mascotti aveva promesso di avvertirlo lui che non si era disposti a firmare il contratto in base alla sua offerta. Alfonso però sarebbe stato dolente di veder destinata ad osteria la casa di suo padre e pregò Mascotti di portare Creglingi ad aumentare la sua offerta. Al primo vederlo credette che Creglingi venisse dopo aver parlato con Mascotti, mentre invece lo vide sorprendersi e alterarsi al sentire che lo si invitava ad aumentare la cifra offerta. Alfonso spiegò che Faldelli aveva offerto di più e che quindi, per quanto lo avesse desiderato, non avrebbe potuto dare a lui la preferenza. Era sincero! Se non avesse temuto di esser deriso da Mascotti, avrebbe accettato l’offerta di Creglingi senza trattare ulteriormente. Gli piaceva lasciare la sua casa alla bella Rosina, e ciò che maggiormente lo avrebbe indotto a preferire Creglingi era il timore che costui lo credesse suo nemico perché sposava la sua antica amorosa. La differenza di duemila franchi gli sembrava insignificante. Allorché egli parlò del suo desiderio di favorirlo, sul largo volto di Creglingi passò un sorriso ironico voluto. Alfonso ne fu ferito profondamente.

 



– Quand’anche volessi, – gridò, – il mio tutore non mel perdonerebbe se accettassi la tua offerta.



– Può essere! – disse Creglingi insolentemente, – ma prima di risolvermi ad aumentare la mia offerta voglio parlare con Faldelli.



Non si curava neppure di fingere che credeva alle parole di Alfonso.



– Senti, – disse Alfonso cui nella sua debolezza l’ira aveva spinto il sangue con grande veemenza alla testa, – se tu arrivi ad uscire di questa stanza, ti prevengo che considero rotta ogni trattativa fra noi.



Creglingi s’inalberò e disse che negli affari egli non aveva riguardi e non cedeva ad alcuna pressione:



– Gli affari non si concludono mica così su due piedi!



Faldelli, venuto solo, trovò Alfonso ancora nell’ira. Senza leggere il contratto che Faldelli aveva portato seco, Alfonso firmò immediatamente e quantunque tanta fretta non gli venisse domandata. Alcune clausole furono riempite più tardi e trovando il suo contraente tanto pronto, Faldelli diminuì la sua offerta. I mobili, diceva, erano più vecchi di quanto egli avesse creduto.



Quantunque avesse appreso che il contratto era stato già firmato, Creglingi venne da lui ancora una volta e con lo scopo aperto di fargli dispiacere. Due o tre volte gli disse che se gli si avesse dato il tempo necessario per riflettere egli avrebbe pagato molto di più. Quest’asserzione lasciò Alfonso tranquillo e sorrise con disprezzo, ma Creglingi interpretò questo disprezzo in modo che Alfonso non avrebbe voluto.



– Già, – mormorò avvilito vedendo che la questione del denaro non toccava Alfonso, – a te la cosa che più importava era di fare un dispetto a me.



Alfonso non si difese perché riconosceva che, in qualunque modo si fosse comportato, l’inimicizia di quell’individuo ci avrebbe trovato ragione ad aumentare. Si divisero bruscamente per non rivedersi mai più.



Rivide Rosina e provò un senso di ripulsione come se si fosse imbattuto in Creglingi stesso. Fece uno sforzo per vincersi; non volle identificarla al suo promesso sposo e le fece un saluto sorridente. Si levò il cappello per abbondare anche in cortesia. I grandi occhi neri di Rosina si allargarono dalla meraviglia ed ella salutò esitante. Era certo che quella forma di saluto non sarebbe divenuta mai famigliare in villaggio.



Qualche giorno prima della sua partenza, Mascotti lo pregò di andare a fare una visita d’addio alla sua figliuola, ma Alfonso non vi andò quantunque glielo avesse promesso. Non serbava rancori, ma gli seccava di andare a udire sciocchezze o villanie. Mascotti divenne molto freddo verso di lui e non fu che l’ultimo giorno che si rasserenò.



Quel giorno Faldelli portò tutti i denari, un franco sull’altro, come egli diceva. Mascotti voleva andarsene, ma Faldelli ch’era giunto inatteso lo pregò di rimanere per assistere allo scambio dei documenti. Versò, invece di dodicimila franchi, novemila soltanto e, in luogo dei mancanti, consegnò una ricevuta di Mascotti con diversi allegati. Nella prima sorpresa, Alfonso alquanto offeso chiese a Mascotti perché non avesse atteso d’incassare da lui la somma che gli era dovuta. Mascotti alquanto confuso dichiarò che aveva agito così per evitare a lui delle seccature e Alfonso ebbe il tempo necessario per convincersi che sarebbe stato indecoroso di perdere una sola parola a lagnarsi dell’elevatezza della somma prelevata e non esaminò gli allegati che allorché si trovò solo.



V’erano i conti del farmacista, la maggior parte, quantunque tutti insieme non arrivassero a formare oltre qualche centinaio di franchi, poi una ricevuta di Giuseppina per una somma che Alfonso non trovò superiore a quella ch’ella poteva credere di aver meritata, una ricevuta di Frontini per un importo che avrebbe fatto sorridere dal disprezzo il più misero mediconzolo della città. Ultimo un piccolo bollettino di Mascotti che doveva giustificare la mancanza del resto, ben più della metà. V’erano due parole in matita delle quali Alfonso non seppe decifrare che una: «Tutela» e poi la cifra.



Parve che il contegno di Alfonso fosse piaciuto a Mascotti perché, senz’esserne stato invitato, volle accompagnarlo nella visita che, prima di partire, Alfonso fece al cimitero:



– Lasciarla solo in quel luogo, col suo dolore? Non ne ho la coscienza!



La sua presenza contribuì a togliere ad Alfonso la commozione. L’aveva attesa e fu sorpreso di non venirne colto. Stava là immobile dinanzi al monticello di terra nuda, la tomba della madre, mancante ancora del sasso ch’era stato commesso, e si trovò tanto freddo che cercò di scusarsi verso se stesso. Che cosa v’era là sotto? Un corpo distrutto che forse non portava più neppure la traccia di chi lo aveva abitato. Questo chi, anima o forza occulta, la fede dei filosofi, non era in quella tomba.



Il cimitero era disposto come un altro campo qualunque, recintato da un muro. Le tombe, per la maggior parte fornite di piccole croci di pietra, erano disposte regolarmente una dietro all’altra con le iscrizioni verso la strada maestra cui il cimitero volgeva uno dei lati più corti. Sembrava un campo oblungo su cui l’aratro avesse fatto i solchi lunghi, regolari. Era diviso da una sola viuzza che conduceva a una piccola cappella posta rimpetto all’ingresso.



La tomba del vecchio Nitti era vicina all’entrata, ma per due file di tombe distante dalla via divisoria. Per arrivarci, Alfonso dovette camminare su quelle tombe. Giunse dinanzi a un sasso levigato con suvvi il nome del medico e gli anni della sua nascita e della morte. Quante lagrime Alfonso non aveva sparse su quella tomba! Quanto semplici e quanto vivaci erano stati i suoi sentimenti alla morte del padre!



La sera prima della partenza, Giuseppina gli raccontò che Faldelli l’aveva presa al suo servizio e che le aveva descritto quanti mutamenti egli volesse fare nella casa. Il nuovo padrone avrebbe utilizzata quell’abitazione meglio di quanto non avessero saputo fare i Nitti. Intanto la parte che i Nitti avevano completamente abbandonata doveva essere per lui la più utile: – Nelle mani di costoro, – aveva detto a Giuseppina, – questo era un capitale morto. – Ciarlava volontieri dei suoi piani come tutti gli uomini intraprendenti.



Alfonso venne quasi cacciato dalla casa. Alla mattina alle quattro lo svegliò il Faldelli in persona e lo avvisò che gli avrebbe permesso di continuare a dormire e che veniva soltanto a chiedergli di poter accatastare in quella camera tutti i mobili che c’erano nella casa. Alfonso si alzò e prima di recarsi alla stazione stette per una mezz’ora a guardare gli operai che trasportavano in quella camera dei mobili ch’egli neppure rammentava che più esistessero.



– La vuole lei? – chiese Faldelli porgendogli una pipa lunga, di legno, con una testa di schiuma.



Egli la riconobbe. Il padre non l’aveva usata negli ultimi anni di sua vita e perciò era un ricordo dei più begli anni, quando in casa i genitori avevano avuto la salute e lui la prima gioventù. Non l’accettò per superbia, ma volle mostrarsi riconoscente a Faldelli e si congedò da lui stringendogli affettuosamente la mano. L’altro fu gentile ma distrattamente, e tutto ad un tratto lo abbandonò per lanciare una bestemmia e un calcio a un contadino che movendo il tavolo aveva rotto una lastra della porta. Alfonso sorrise vedendo che quando Faldelli si stendeva tutti i vestiti gli divenivano troppo corti; abitualmente vi si teneva raggrinzito.



Durante il viaggio Alfonso rimase sempre solo nella sua terza classe.



Ad una stazione intermedia udì delle voci di persone che litigavano. Guardò dallo sportello e vide un individuo vestito molto male che con un solo balzo usciva da un carrozzone. Ne era stato gettato fuori, e il conduttore raccontò ad Alfonso che non aveva pagato il passaggio e che per bontà non lo si era fatto arrestare.



Quando il treno si mosse, il povero diavolo era ancora al medesimo posto pulendo con la manica il cappello logoro che nel salto gli era caduto a terra. Guardava dietro al treno con intenso desiderio. Che cosa avrebbe fatto in quel villaggio nel quale capitava per caso e ove non conosceva nessuno?



XVII

L’arrivo in città fu triste. Mentre fuori fioccava la neve bianca e allegra, dal mare soffiava lo scirocco e in città piovigginava monotonamente. Alfonso ebbe il triste sentimento che quel tempo non avesse più a cessare. Non erano nubi distinte su quel cielo, ma fino all’orizzonte un solo strato grigio sucido.



Stava per uscire dalla stazione quando venne fermato da Prarchi accorso correndo e che nella fretta, quantunque si trovasse al coperto, aveva dimenticato di chiudere l’ombrello.



– Hai visto Fumigi?



– Io no!



– Che sia già arrivato? – e lasciò Alfonso per andare a parlare al capostazione.



Ritornò ad Alfonso che non aveva compreso come tanto presto il capostazione avesse potuto dare notizie di un singolo passeggiero.



– Non arriva oggi! E lei che cosa fa da queste parti?



– Arrivai or ora! – rispose Alfonso stupefatto che non si sapesse della sua lunga assenza.



– Ah così! – Poi anch’egli dolente di dimostrare tanta ignoranza dei destini di Alfonso, volle correggersi. – Sono tanto distratto io! Se sapevo ch’ella era assente! Me lo avevano detto Macario e Maller.



S’incamminarono. Attraversarono la piazza e infilarono la via Ghega che s’internava nella città da quella parte compatta, circoscritta. Con pochi passi si arrivava alle vie maggiormente abitate.



– In lutto? – chiese Prarchi con sorpresa che riteneva legittima.



– Sì, per la morte di mia madre.



Prarchi gli fece le sue condoglianze, poi, seccato di non saper parlare a tono, volle congedarsi. Ma Alfonso aveva troppo grande desiderio di udire al più presto notizie di casa Maller e gli offerse di accompagnarlo da qualunque parte si fosse diretto.



Poi, vedendo che Prarchi rimaneva muto, gli raccontò che da oltre un mese era assente dalla città e che nessuno si era curato di dargliene notizie; lo pregava intanto di voler raccontargli se qualche cosa di nuovo fosse accaduto ai singoli membri del club del mercoledì. Abilmente faceva credere che quelle non erano che parte delle notizie che gli premevano, mentre con una sola parola Prarchi avrebbe potuto togliergli ogni altra curiosità.



Ma Prarchi non la disse e parlò di Fumigi. Ripeté in parte cose che Alfonso già conosceva. Dopo la liquidazione forzata della casa di Fumigi, s’era manifestata in costui una malattia che Prarchi subito aveva definito per paralisi progressiva quando gli altri ancora erano incerti fra questa e spinite. La voce di Prarchi non isvelava commozione che quando raccontava di qualche sua risposta con la quale velatamente aveva dato dell’ignorante a un medico notissimo. Il triste destino di Fumigi aveva dato delle bellissime soddisfazioni al giovine medico e parlava di queste non di quello. Prarchi aveva fatta un’altra asserzione giusta e ch’era stata confermata dai contabili di Maller. Non la malattia di Fumigi era stata la conseguenza della sua rovina commerciale, ma invece quella era stata la causa di questa; i primi sintomi della malattia s’erano manifestati precisamente nei suoi affari.



– Oh! un fatto tragico! – e qui Prarchi si commosse di una commozione chiassosa. – Il lavoro di tutta una vita perduto per qualche nervetto che si è corrotto. Quell’imbecille, pur sentendosi ammalato, ha voluto continuare a lavorare e in poche settimane ha saputo fare di tali speculazioni che la saggezza di tutta la sua vita non compensa. Chiamare il medico in tempo è talvolta un grande vantaggio.



Sempre fermo nel suo pensiero unico, Alfonso trovò il modo di costringere Prarchi a parlare di Annetta.



– Non è per amore ad Annetta che s’è attirato questa malattia?



– Non lo credo! – rispose Prarchi. – Forse è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma sono malattie che si formano lentamente. Chissà da quanti anni essa minava l’organismo di Fumigi! Lavorò troppo e visse da celibe; non mi pare che occorrano altre spiegazioni. Oggi noi possiamo seguire i progressi della paralisi, ma certo è da molto tempo ch’essa s’era messa in marcia. È caratteristico che anche adesso egli continua a fissare con le cifre.



Attraversarono via dei Forni muti ambidue. La casa Maller, vista attraverso a quell’atmosfera satura d’acqua, aveva il medesimo aspetto che attraverso alla nebbia il giorno della partenza: grigia, solenne, chiusa. Gli abitanti di quella casa, ad onta dell’ora avanzata, dormivano ancora.



Prarchi non guardava da quella parte. Egli pensava ancora a Fumigi.



– Adesso me lo confidano, – disse con amarezza, – quando è già passata la fase più interessante. Non che prima avrei potuto apportargli giovamento, ma adesso assisto al processo con piena indifferenza perché è processo descritto le migliaia di volte con tutta esattezza, mentre prima deve essere stato interessante di assistere all’offuscarsi di quella mente solida abbastanza per avere dei conati alla resistenza.

 



Alfonso non apriva bocca disperando di poter apprendere da Prarchi delle notizie su Annetta. Se avesse avuta la coscienza tranquilla avrebbe potuto chiederle esplicitamente, ma non osò.



Congedandosi, appena Prarchi cadde su quell’argomento. Salutò Alfonso di là dal ponte, gli strinse la mano e a bruciapelo gli disse ridendo:



– Basta che la signorina Annetta non abbia fatto un’altra vittima! – e guardava fiso Alfonso. – Già era da prevedersi che Macario avrebbe finito col prendersela. Lei è abbastanza intelligente per averlo preveduto come l’ho preveduto io.



Invece, per quanto Alfonso fosse stato prevenuto, la notizia gli diede due sorprese. Una la notizia stessa alla quale non s’era atteso e l’altra al sentirsi trasalire dolorosamente per una gelosia amara. Come al solito, studiò il contegno da prendere acciocché Prarchi non si avvedesse della sua emozione e gli parve che troppa disinvoltura avrebbe potuto dare sospetto.



– Davvero? – chiese sorpreso ma, sembrò, aggradevolmente. – È però ufficiale? – Non volendo mostrare di dubitar della verità della notizia, aggiunse per spiegare la sua domanda: – Si può subito congratularsene?



Gli parve tutt’ad un tratto che non potesse essere vero.



Prarchi gli disse che non era ufficiale e che egli non ancora s’era congratulato con Macario, ma che però era sicuramente vero. Il club del mercoledì non esisteva più ed era venuto Federico da Parigi per assistere alla promissione della sorella.



– Forse subito agli sponsali, – aggiunse Prarchi ridendo, – perché si dice che Macario abbia grande fretta e che neppure ad Annetta piacciano le cose lunghe.



Che il club del mercoledì più non esistesse e che Federico improvvisamente fosse venuto da Parigi non erano prove sufficienti che Annetta fosse promessa sposa, e, perché non erano tali, ad Alfonso ben presto sembrò che provassero addirittura che il tutto fosse falso, inventato di pianta.



Prarchi se ne andò convinto d’essersi ingannato sui sentimenti di Alfonso per Annetta e Alfonso ebbe la soddisfazione d’esser riuscito a far credere a Prarchi nella sua indifferenza. Ciò lo calmò; nell’istesso modo si sarebbe sempre contenuto e, come Prarchi, avrebbe ingannato tutti.



Appena rimasto solo comprese, indovinò che Annetta già allora doveva essere fidanzata a Macario. In quel fatto non v’era nulla che potesse sorprenderlo. Era stato avvisato che così sarebbe avvenuto ed era strano che ricevendo la lettera di Francesca, quella che gli aveva portato tale avviso, egli non avesse provato la fitta al cuore che dinanzi a Prarchi quasi gli aveva fatto dare un grido. Anche questo spiegò. Là nel villaggio, viste da lontano, le cose perdevano della loro importanza. Lo aveva agitato più l’odio di Creglingi che non le minaccie di Francesca.



Attraversò la piazza, assente in mezzo al frastuono delle venditrici di frutta e d’erbaggi. Si trovava circondato da crocchi di domestiche che facevano le loro provviste. Tranquille, avevano l’aspetto franco cui l’oretta d’indipendenza dava loro diritto. Qualche padrona o qualche signorina passava affaccendata accompagnata dalla fantesca. Egli non chiedeva di passare; attendeva a lungo che i gruppi si sciogliessero per lasciargli libera la via o anche che una singola di quelle persone, vestita trascuratamente ma gli stivaletti neri, lucidi, spostasse il grande ombrello, per fargli posto. Nel suo stato d’animo era lieto di dover camminare tanto lentamente.



Ma egli si trovava in città allorché Francesca lo aveva avvertito di quanto stava per succedere e l’impressione da lui provata allora era stata tanto debole. Certo! Egli aveva fatto bene a partire e anche allora lo riconosceva perché non aveva mica dimenticato tutte le ragioni che lo avevano indotto a quel passo! Dunque perché sorpresa e dolore e gelosia?



Quello che ancora poteva sorprenderlo era che la scelta fosse caduta su Macario. Annetta non aveva dimostrato mai una grande simpatia per il cugino, e a sua volta Macario aveva parlato di Annetta in modo che si poteva credere che l’amasse e desiderasse, ma non che avesse l’intenzione di sposarla. Odiava pur tanto le facoltà matematiche di Annetta e le sue pretensioni e i suoi capricci! Ragionevolmente doveva spiacergli che Macario divenisse il marito di Annetta piuttosto che un altro perché Macario era o era stato suo amico e questa