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La signora Carolina scriveva ad Alfonso con grande regolarità. Dalle sue lettere trapelava la noia di scrivere e che non c’era che l’alta idea ch’ella s’era fatta della maternità per indurla ad inviare con regolarità al figliuolo le due paginette delle sue zampe di mosca. Soltanto per le persone colte lo scrivere può tenere luogo al parlare. Solitamente riempite da raccomandazioni, da saluti per proprio e per conto altrui, si comprendeva di quanto la scrivente venisse sollevata nella sua fatica quando c’era qualche grosso avvenimento, un matrimonio fra conoscenti nel villaggio oppure qualche morte. Allora le due paginette diventavano anche tre o quattro.

Ricevette una lettera dalla madre il giorno dopo la visita ad Annetta e anche nell’agitazione in cui si trovava il suo contenuto lo interessò vivamente. Era una lettera di quattro facciate di cui le due prime erano le solite perché fatte evidentemente senza che la scrivente sapesse di doverci aggiungere le altre due. Nell’ultima parte la signora Carolina raccontava che la signorina Francesca le aveva scritto chiedendole se avesse abbastanza posto in casa sua per cederle una stanza. La lettera della signorina Francesca doveva essere stata molto affettuosa e le doveva essere caduta dalla penna anche qualche parola triste. La signora Carolina, cui non faceva difetto intelligenza, ne era sorpresa e supponeva che la signorina Francesca dovesse sentirsi molto disgraziata per scrivere con tale affetto a persona che le era quasi del tutto sconosciuta. «Del resto, parla di questa sua venuta fra noi con tristezza. Io le ho concesso la stanza ch’ella mi chiede, ma avrei bisogno di una compagnia un po’ più allegra.»

Certamente la causa che induceva la signorina Francesca a lasciare la casa di Maller era la stessa che le aveva fatto mutare a quel modo il suo contegno. Doveva esserci stata con Annetta qualche forte disputa, dopo la quale la più debole doveva abbandonare il campo.

Forse vedendo che ne conosceva tanta parte, Macario gli avrebbe comunicato anche il resto di quell’affare. Alla sera lo trovò che camminava accanto ad un uomo attempato, il quale gestiva raccontando qualche cosa che doveva essere molto interessante perché Macario ascoltava con attenzione. Ad Alfonso parve di scorgere fra quei due la medesima relazione che correva fra lui e Macario.

Non usava fermare Macario che di spesso vedeva con altre persone o camminare con passo celere assorto nei suoi pensieri, ma avendo da raccontargli qualche cosa che non doveva essergli indifferente, non ebbe riguardi. Gli si avvicinò:

– Avrei a dirle una parola!

Quando non aveva ancora udito la sua domanda Macario accennava di passare oltre con un saluto cortese. Non appena uditala si volse al suo compagno per congedarsi, poi però chiese ad Alfonso se fosse cosa lunga.

– Un solo istante! – gridò Alfonso già pentito d’averlo fermato.

L’altro acconsentì di attendere.

Si trattava ora di essere conciso, esponendosi al rischio di venir corrisposto da Macario con una alzata di spalle per rimproverarlo di averlo fermato per cosa futile. Questo non avvenne anzi fu tutt’altro. Macario stette a udire attento e fece dei gesti di sorpresa. Alfonso, per aumentare l’importanza della cosa, si lasciò scappar detto anche delle osservazioni fatte dalla signora Carolina sulla tristezza della signorina Francesca. Supponendo che il tutto gli fosse stato raccontato per chiedergli un consiglio, Macario gli disse di pregare la signora Carolina che aiutasse la signorina Francesca in quanto poteva. Poi andò all’altro che lo attendeva e Alfonso si trovò di aver raccontato tutto e di non aver appreso nulla.

Pochi giorni dopo Maller lo fece chiamare. Non era stato mai tanto gentile con lui e parlò con semplicità senza volgere lo sguardo ad un canto o all’altro del suo tavolo come quando si ostinava a non guardare in faccia il suo interlocutore. Gli disse che non potendo scrivere ella stessa perché indisposta la signorina Francesca lo pregava di scrivere lui alla signora Carolina, che volesse scusarla e considerare nulla la domanda fattale pochi giorni prima. Alfonso, pronto, dichiarò che voleva scrivere sul momento.

Maller sorrise, s’inchinò ringraziando e prendendolo in parola gli disse che desiderava che la signora Carolina fosse subito avvisata del mutamento nelle disposizioni prese dalla signorina Francesca precisamente per evitarle i disturbi di preparativi inutili. Doveva però esserci anche altra ragione per cui desiderava tanta premura perché si abbassò fino a raccomandarla un’altra volta come se non avesse dovuto bastare una sola parola per dare ad Alfonso le ali.

– Posso dunque essere sicuro ch’ella scriverà oggi stesso?

– Ma certamente! – assicurò Alfonso meravigliato.

Scrisse infatti immediatamente alla madre comunicandole che la signorina Francesca aveva abbandonato l’idea di ritirarsi nel villaggio. Assorbito ogni altro pensiero dalla cura di eseguire al più presto l’ordine di Maller, la sua lettera divenne tanto secca che subito dopo dovette farla seguire da altra in cui le inviava notizie proprie e quelle assicurazioni di affetto immutabile che la signora Carolina voleva trovare in ogni sua lettera.

Aveva portato la sua lettera a Starringer per la spedizione immediata. Ritornando alla sua stanza s’imbatté sul corridoio in Maller che usciva. Per il desiderio di dimostrargli il suo zelo e levarlo da ogni preoccupazione circa l’esecuzione del suo ordine, gli disse sorridendo:

– Ho già spedita la lettera!

– Grazie! – disse Maller che per un istante rimase attonito quasi non ricordasse più di che cosa si trattasse. Anche il tono di voce era più freddo di molto di quello usato mezz’ora prima.

Bastò per mettere Alfonso in agitazione. Aveva avuto torto di fermare con tale famigliarità il suo principale dinanzi ai servi e più ancora di riparlargli di un servizio che gli aveva reso, quasi a chiedergli di replicare i ringraziamenti.

In stanza sua non trovò che Alchieri già pronto per andarsene. L’agitazione rendeva Alfonso ciarliero. Non sapeva sopportarla da solo; la parola fredda di un indifferente poteva calmarlo. Raccontò ad Alchieri della lettera ricevuta da sua madre ed il colloquio avuto con il signor Maller. Alchieri lo stette a udire distratto perché impensierito da affari propri. Attendeva con impazienza l’esito che avrebbe avuto una sua domanda di aumento di paga inoltrata quel giorno al principale; minacciava di abbandonare il posto e dava ad intendere di avere altro impiego alle viste, mentre sarebbe stato un uomo ruinato se lo si fosse preso in parola.

– Ho fatto molto male di fermare il signor Maller sul corridoio?

E a questa domanda di Alfonso, Alchieri, che non aveva saputo dare la sua attenzione che a una parte di quanto gli si raccontava, rispose:

– Scommetterei ch’è la sua amante.

Questa supposizione di Alchieri era tanto probabilmente giusta che Alfonso si meravigliò di non averla fatta lui prima. Ad Alchieri era stata suggerita dalla sua malizia, ma diveniva giusta per le circostanze note ad Alfonso. Che cosa d’altro poteva essere accaduto da mutare di tanto i rapporti fra Annetta e Francesca e il contegno di quest’ultima? Per quanto fosse naturale che Maller venisse incaricato di parlare con lui, il modo era stato insolito in quella banca ove non si era abituati a ricevere che ordini e anche quelli brevi, concisi, con tono e parole di ufficio. Gli era stato detto che Maller era donnaiuolo, ma non gli era venuto in mente la supposizione fatta da Alchieri, perché, anche saputo dei costumi di Maller, la sua casa gli era apparsa circondata da un nimbo che non vi lasciava penetrare delle passioni umane che la superbia e la vanità. Era stato difficile ad Alfonso d’immaginare l’amore in quelle stanze fredde, tenute per lusso, in gran parte non abitate, o meno ancora nella stanza coniugale di Maller ove, come gli aveva raccontato Santo, c’era ancora il letto della moglie, lasciato intatto dacché ci aveva agonizzato la giovine signora. Bastò però il sospetto di Alchieri, un uomo che in quella casa non aveva mai messo piede, per toglierle quel nimbo, e la fantasia di Alfonso la popolò di amori delittuosi, resi più foschi dal lusso che li circondava.

Gli sembrava un delitto la seduzione di Francesca agevolata di troppo dalla posizione subalterna di costei. Provò qualche cosa di simile alla gelosia al figurarsi quella figurina bianca e bionda gettata fra le braccia di quel freddo Maller, un’avventura che a lei ruinava la vita, a lui invece non costava niente e non aveva che il valore di un passatempo qualunque.

Egli non comprendeva quale parte in questo romanzetto toccasse ad Annetta. Probabilmente aveva essa tentato di allontanare Francesca e non le era riuscito.

Per la prima volta sognò di divenire l’amante di Annetta. La cosa gli pareva meno impossibile ora che la vedeva in mezzo a quelle tresche che non si curavano neppure di rimanere celate a lei; il sogno ne era reso più facile. Non seppe però sognare di venirne amato, perché su quel volto calmo, marmoreo non sapeva immaginare l’espressione dell’affetto o del desiderio. Fece un sogno da ragazzo vizioso. Ella si abbandonava a lui fredda, per compiacenza o per vendicarsi di un terzo oppure per ambizione. I suoi sogni sempre cominciavano col ricamare sul reale per poi allontanarsene completamente, e con facilità si figurava di valere tanto agli occhi di Annetta da venirne amato anche per ambizione.

Da solo non trovava la via per recarsi da Annetta. L’invito che gli era stato fatto non gli sembrava abbastanza concreto e il primo mercoledì non vi andò dopo di aver cercato per tutta la settimana inutilmente Macario acciocché lo accompagnasse. Quei suoi sogni su Annetta dovevano renderlo anche più timido pel timore di lasciarne trapelare qualche cosa.

Desiderava però di rivedere Annetta e più intensamente che non la prima volta allorché per lui si era trattato soltanto di farsi ben volere dalla figliuola del suo principale. Ora l’amava! Quello doveva essere l’amore, il desiderio di una persona e di nessun’altra. Egli sottilizzava sui suoi sensi agitati non potendolo su un sentimento qualunque che gli mancava. Nei pochi giorni in cui aveva inutilmente cercato di soffocare i suoi desideri dando loro altra direzione s’era sentito diventare uomo, adulto. Egli desiderava una donna, quella, e tutte le altre, per lui, per i suoi sensi, non esistevano. Si rammentava degli appunti ch’egli aveva fatti alla figura di Annetta e ora si meravigliava di non aver subito compreso che l’originalità di quella figura e la sua bellezza erano precisamente formate da ciò ch’egli aveva qualificato per difetti. Gli occhi poco neri! I capelli non abbastanza ricciuti! Annetta aveva una figura da Venere e quella testa con gli occhi azzurri, tranquilli, i capelli lisci quasi modestamente, era la testa dell’intelligenza. Un bacio su quelle labbra che non sembravano capaci di corrispondervi doveva essere tanto più delizioso!

 

Quando al mercoledì susseguente s’imbatté in Macario il quale per incarico di Annetta gli fece i più forti rimproveri perché aveva mancato la settimana prima, Alfonso trasalì dalla gioia. Veniva cercato, chiamato.

Poi anche Annetta gli fece dei rimproveri, dolcemente. Gli disse che Macario le aveva raccomandato di non intimidirlo:

– Altrimenti la sgriderei. Ha proprio da essere timido anche con me? Le faccio paura?

Queste gentilezze lo commossero però meno di quelle ch’ella gli aveva fatto pervenire per mandato. Avendola dinanzi agli occhi dimenticava i suoi sogni. Ella era tutta intenta alla formazione della sua società letteraria e la sua naturale freddezza, che nel ricordo poteva pigliare l’aspetto di qualità secondaria, là invece era imponente e dava il colore a tutte le altre qualità sue. Non era una donna quando parlava di letteratura. Era un uomo nella lotta per la vita, moralmente un essere muscoloso.

Si stava bene in quel salotto specialmente perché fuori era scoppiata veemente la bora che in poche ore aveva spazzato via ogni ricordo dell’estate.

Alfonso e Macario trovarono Spalati venuto poco prima; Fumigi e il dottor Prarchi vennero subito dopo.

Il dottor Prarchi fece deviare il discorso dalla letteratura ove era caduto, raccontando del suicidio di un cassiere ch’essi tutti avevano conosciuto. Si trattava di uomo ch’era vissuto molto modestamente e che non aveva avuto altro torto che di frequentare persone troppo più ricche di lui. Ad onta della sua moderazione ciò era bastato a ruinarlo. Prarchi terminò la descrizione con una sentita parola di compassione. Egli aveva anche veduto il corpo del suicida.

Annetta si strinse nelle spalle con sdegno: – Peggio per lui! – Il tipo non le era simpatico; forse temeva che suo padre s’imbattesse in uno che gli somigliasse.

Alfonso si trovava veramente in lotta con Fumigi per poter rivolgere la sua attenzione alla conversazione generale. L’ometto gli si era cacciato accanto e lo interrogava sui suoi studî. Dovevano avergliene parlato molto perché il matematico lo ammirava, gli faceva la corte. Voleva sapere come avesse disposto l’orario per poter dedicare giornalmente a quegli studî una o più ore. Diceva di non aver saputo avere questa regolarità nelle sue occupazioni e di crucciarsene perché soltanto lo studio sistematico apportava qualche utile, non quello fatto a sbalzi.

Tutta l’attenzione di Alfonso era rivolta ad Annetta. Per quanto in sua presenza non sentisse desiderî ne era tuttavia preoccupato. Anzitutto era quasi addolorato di non sentirli e cercava di provocarli; studiava quel volto per vedere di metterci l’espressione della passione che mancava a far perfetto il suo sogno. Era mal scelto il momento, immediatamente dopo l’espressione spietata che le era sfuggita a proposito del suicidio di quel cassiere.

Gl’imponeva o almeno così gli parve di dover definire il rispetto che gl’impediva di notare quanto di falso, di affettato ci fosse nel suo contegno. Quando Macario per la prima volta gliel’aveva descritta, quella donnetta che si era sentita nascere improvvisamente una vocazione aveva destato la sua ilarità, per quanto da questa vocazione egli venisse avvantaggiato. Era ridicolo anche quell’apparato, quei preparativi per formare a sé d’intorno una società letteraria, e se egli non ne rideva non era per il nuovo suo sentimento. Egli scorgeva con facilità il lato ridicolo o falso nelle opere altrui, ma spesso gli accadeva di non saperne ridere perché per la soggezione in cui con facilità lo tenevano persone a lui del resto inferiori finiva col dubitare di sé, della giustezza del proprio sentimento o del proprio giudizio. Anche qui non si trattava d’altro. In Annetta gl’imponeva la mancanza di dubbî, la sicurezza, l’incuria dell’impressione che potesse produrre in altri il suo contegno, infine l’aspetto di superiorità da persona che non si sente diminuita da nessuna inferiorità e magari nella stessa cosa in cui vuole eccellere, inferiorità di solito avvilente.

Prarchi parlò di un suo romanzo naturalista.

– Rimarrò medico – diceva – anche essendo romanziere. Si tratta di studiare un lento corso di paralisi progressiva. I medici cominciano a studiarla quando è già completa; io invece allora l’abbandonerò. La studierò nel suo formarsi. Carattere da paralitico, organismo da paralitico, idee da paralitico e che arrechino dei disturbi alle persone che lo contornano e… il romanzo è fatto.

– Sì – esclamò Annetta – il romanzo sì, ma il successo?

Ad Alfonso, che ne aveva qualche pratica, parve di poter arguire dalla descrizione di Prarchi che del romanzo ch’egli descriveva nulla ancora avesse fatto e che anzi giusto allora ne avesse avuto la prima idea.

Prarchi era un giovane forte senz’esser grasso. Non bello, aveva la testa grande quasi calva e sul largo volto piccoli mustacchi di un biondo troppo chiaro.

Fumigi avrebbe dovuto riuscire più simpatico ad Alfonso e prima di tutto perché quella sera dirigeva di preferenza a lui la parola. Ciò però avveniva soltanto perché parlava malvolentieri ad alta voce e stava piuttosto cheto, la personcina magra poggiata allo schienale della seggiola, ascoltando attento e dicendo la sua parola di rado a bassa voce e diretta al suo vicino. I capelli della testa aveva grigi, dei mustacchi e della barbetta ancora neri.

Alfonso penava per mettere la sua parola nel discorso generale e non gli riusciva. Fino ad allora Annetta aveva dovuto ammetterlo per letterato sulla raccomandazione di Macario. Egli non aveva saputo darne alcuna prova. Proprio quando si era sul punto di congedarsi comparve Francesca. Era pallida ma tranquilla. Strinse con effusione la mano ad Alfonso e gli chiese notizie di casa sua. Alluse con un sorriso, che ad Alfonso parve triste, alla lettera ch’ella aveva scritta alla signora Carolina. Sapeva dunque dell’incarico da lui ricevuto da Maller.

Annetta le rivolse la parola dandole del lei e Alfonso cercava di rammentarsi se prima non le avesse udite trattarsi con maggior famigliarità.

Sulle scale, alla domanda fattagli da Prarchi sulla ragione che poteva aver fatto desiderare alla signorina Francesca di abbandonare la casa Maller, Macario rispose:

– Donne!… – con grande disprezzo.

XI

Da allora Alfonso fece visita ad Annetta regolarmente ogni mercoledì. Macario lo aveva avvisato che poteva avvenire che un mercoledì o l’altro trovasse Annetta con opinioni e gusti del tutto mutati e la letteratura abbandonata, ciò che avrebbe significato anche la cessazione di quelle riunioni. Alfonso vi andava temendo di trovare avverata la predizione di Macario. Ci teneva molto a quella riunione altrettanto per la soddisfazione di vedere Annetta che per quella della sua vanità. In ufficio si sapeva che egli frequentava la casa del principale e veniva trattato con maggiore rispetto dai superiori. Anche il contegno di Cellani ne venne modificato. Più gentile non poteva divenire ma divenne più famigliare.

Non pareva che Annetta fosse vicina a dare compimento alla profezia di Macario e sempre più si esaltava per i suoi nuovi studî. Ogni settimana poteva raccontare di aver pensato qualche cosa di artistico, letto qualche libro che con le esagerazioni del neofita ella dichiarava il più importante nel genere, quando, per capriccio o avendovi scorto una parte più debole, non lo demoliva, e ciò sempre col suo abituale tono di competenza, ma spesso trovando detti spiritosi o giudizî acuti che non avevano che il difetto di non trovarsi tutti in buona armonia fra di loro.

Ospite insolito una sera venne Cellani. Era probabilmente la prima volta che compariva in quella compagnia perché Annetta dovette presentargli Spaiati. Non si trovò a disagio da quanto Alfonso poté giudicare. Non parlò affatto ma stette a udire con grande attenzione. Una volta in una discussione venne chiesto del suo parere. Egli si rifiutò a dirlo sorridendo e asserendo di non averne. Con Annetta sembrava avesse rapporti molto amichevoli. Per quella sera ella si occupò principalmente di lui con cortesia attenta tanto, che diveniva dimostrazione di un affetto rispettoso.

Prarchi interveniva meno spesso a quelle serate perché molto occupato. Fumigi mancava di rado, ma il più assiduo era Spalati. Come l’aveva detto Macario, Spalati era anzitutto un bell’uomo, una figura erculea accanto alla quale Alfonso pur alto e non magro doveva scomparire. Ad Alfonso non era simpatico. Rimproverava a Spalati la pedanteria, ma l’odiava per gelosia. Ne aveva qualche ragione. Spalati era il più innanzi nella confidenza di Annetta. Per circa un anno le aveva impartito delle lezioni di letteratura italiana e aveva saputo arrivare ad avere con essa la confidenza dell’insegnante, senza seccarla con troppa dottrina. La lasciava parlare, stava ad ascoltare, approvava o leggermente modificava, sempre contento di venir trattato da pari a pari.

Sentendosi sempre inferiore con la sua parola impacciata, Alfonso ebbe degli assalti violenti di gelosia, tempeste in un bicchier d’acqua. Al di fuori nulla trapelava per la forzata abituale sua riserva nell’espressione dei suoi sentimenti, la quale tanto maggiore diveniva quanto più forti erano.

Una sera se ne andò via prima dicendo di essere indisposto. Voleva dimostrare il suo malumore e si adirò che nessuno lo comprendesse, che tutti credessero nella sua malattia.

Gironzò per le vie della città malcontento degli altri e di sé. Avendo l’abitudine quando era agitato di monologare, doveva accorgersi del ridicolo che c’era nella sua ira. Anche nel sogno più astratto una parola precisa pronunziata richiama alla realtà. Egli era giunto a desiderare Annetta, amarla, esserne geloso; ella invece sapeva appena appena quale suono avesse la sua voce. Con chi doveva prendersela? Lo aveva offeso più di tutto la stretta di mano di congedo ch’ella gli aveva dato freddamente e tenendo gli occhi rivolti a Spalati che continuava a parlare! Avrebbe forse voluto ch’ella si mettesse a meditare sulle cause dell’improvviso pretestato malessere? Un malessere infine non poteva dire nulla quando prima nulla era stato detto per spiegarlo. Poteva capitare a Spalati e andandosene neppure costui avrebbe potuto ottenere altro che l’augurio di buona salute.

Ironizzando su se stesso si trovò piccolo e malaticcio coi suoi desiderî tanto sproporzionati al possibile, perché egli aveva sognato di venir amato da Annetta!

Voleva abbandonare il giuoco! Era l’unica via che gli restasse aperta. Non avrebbe fatto più di quelle visite! Era tempo perduto, prima quello che passava in quella casa e poi dell’altro fuori, per l’agitazione in cui quelle visite lo ponevano. Lo avvilivano! S’era messo in una lotta in cui doveva soggiacere, lui non capace di parlare per piacere ma solo per farsi comprendere, e doveva soggiacere anche per le condizioni in cui si trovava poco atte a sedurre della gente ambiziosa come era quella con cui aveva a fare. Con una scusa qualunque, anzi procurando di non farla credibile, si sarebbe astenuto dal rimettere più piede in casa Maller. Erano quelle visite che lo avevano fatto deviare dai suoi propositi ferrei di lavoro continuato e senz’accorgersene l’ambizione, nata in lui da poco, andava mutandosi in vanità, il desiderio di venir tenuto da più di quanto non fosse.

Gli parve di essere già ritornato alla serietà di propositi che aveva avuta altre volte quando era frequentatore assiduo della biblioteca civica, ma col pensiero ricorreva alla casa donde usciva e sognava scene in cui veniva scongiurato di ritornarci.

Ci ritornò senz’esserne pregato, unicamente perché alla mattina del mercoledì Macario passando gli aveva gridato:

 

– A questa sera, eh!

Gli otto giorni gli erano sembrati lunghissimi, un intervallo di tempo pieno di avventure, mentre nella sua vita realmente nulla era avvenuto. Aveva pensato soltanto di aver già portato a compimento il suo proposito e sognato mille conseguenze da qualche suo atto energico. Poi s’era trovato libero di ritornare indietro o meglio di rimanere dove era e ne era stato felice. Quegli otto giorni gli rammentarono la sua avventura con Maria. Questa volta il caso e nient’altro gli aveva impedito di fare qualche passo inconsiderato che avrebbe rotto la sua relazione con Annetta. Se l’avesse rotta, che cosa gli sarebbe rimasto? Sarebbe ridivenuto l’umile impiegatuccio di Maller e alle sue ire niuno avrebbe badato.

Si presentò in casa di Annetta una mezz’ora prima del solito e fu premiato della sua risoluzione perché per la prima volta trovò Annetta sola. Tutti s’erano fatti scusare, meno Macario ch’era ancora atteso. Annetta disse che supponeva non avessero saputo rinunziare ad una festa cittadina e dimostrò la sua gratitudine ad Alfonso dicendogli con dolcezza ch’era lui ad aver torto d’essere venuto a chiudersi in una stanza melanconica.

– Melanconica, no, certo no! – assicurò Alfonso guardandola arditamente.

Se ella non avesse mai saputo di essere bella, l’occhiata di Alfonso sarebbe bastata ad apprenderglielo. Egli confessò candidamente ch’era la prima parola che udiva di una festa cittadina per quel giorno.

– Tanto solitario vive? – chiese Annetta sorpresa.

S’erano seduti sul canapè accanto alla finestra, il luogo più illuminato della stanza. Attraverso ai pesanti cortinaggi entravano vieppiù mitigati i colori del tramonto.

Nella contrada parallela alla via dei Forni passava la banda cittadina. Non si udivano che le note dell’accompagnamento e il rombare della grancassa. Stavano zitti a udire.

– Chissà che cosa suonano? – disse Annetta e spalancò la finestra. La brezza gonfiò i cortinaggi e il suono acuto di una trombetta portò la melodia che era mancata.

Udirono anche per un istante il susurrio della gente dietro alla banda.

Ridendo Annetta volse la faccia ad Alfonso rimanendo piegata sul davanzale:

– Che fra questa gente vi sieno anche i nostri serî amici?

Dalla luce ove ella era, non poteva scorgere nella penombra Alfonso che l’ammirava senza ritegno.

Anche il mezzo lutto, il grigio era scomparso. Era vestita di bianco di lana molle e un cordone nero alla vita. Ad onta del loro sviluppo, le forme di Annetta erano molto caste, virginali, con quella schiena rigida, incavata verso il collo, e la faccia bianca con i tratti marcati dell’intelligenza e dell’attività.

Gli disse di venire anche lui alla finestra ove si respirava molto bene quella brezza nella quale s’era mutata la bora violenta della settimana prima.

La via era quasi deserta e soltanto su una cantonata c’era un gruppo di persone che guardava all’altra strada.

– Mi verrebbe quasi quasi voglia di andarci anch’io, – disse Annetta.

Alfonso era tutto intento a percepire il contatto del suo braccio su quello di Annetta, stuzzicando come al solito il suo desiderio; fece un movimento arrischiato per aumentare la dolce pressione e fu il suo ardire che gli cacciò il sangue alla testa non il contatto col braccio di Annetta poiché nulla aveva di differente da quello di un corpo senza vita.

Probabilmente Annetta non s’era accorta del suo ardire. Dapprima furono impacciati perché erano vissuti troppo poco insieme per poter trovare con facilità un argomento che ugualmente li interessasse. Quando però l’argomento fu trovato, per la prima volta in quella stanza, la voce di Alfonso echeggiò tranquilla, sonora, e per la prima volta Annetta udì sue frasi compiute. Se non sapeva discorrere con più persone, Alfonso almeno sapeva dialogare.

Sorridendo Annetta gli aveva chiesto:

– E la sua nostalgia? Me ne hanno parlato molto!

– Non esiste più! – rispose Alfonso.

La voce a sua sorpresa era soda, tranquilla. Quella prima frase rimase però ancora mozza perché egli avrebbe voluto fare un complimento e dire che in quel preciso momento non esisteva. Tutta la sua disinvoltura non bastava a fargli dire cosa ardita; piuttosto avrebbe potuto permettergli di farla.

Una delle affettazioni di Annetta dacché s’era data alla letteratura si era di far mostra di pigliar interesse a tutto e di voler conoscere i moventi di ogni cosa. Gli chiese di spiegargli che cosa fosse la nostalgia.

– È difficile! – cominciò Alfonso – ma qualche cosa credo di poterne dire.

Raccontò che prima di tutto era una malattia organica perché soffrivano i polmoni per la differenza dell’aria, lo stomaco per la differenza dei cibi, i piedi per la differenza del selciato. Quello che però rinunziava a descrivere era l’intensità del desiderio di rivedere i luoghi che si erano abbandonati, un muro nero, una via tortuosa col canale nel mezzo, infine una stanza incomoda mal riparata dalle intemperie; e non si poteva descrivere l’aborrimento per il palazzo in cui si abitava, alludeva a quello della banca, la via grande, spaziosa, e persino il mare:

– In quanto alle persone poi… è la stessa cosa.

– E me odiava molto?

– Odiarla no! ma avrei voluto essere molto lontano da lei, tanto lontano da essere a casa mia, e non soltanto per essere là, ma anche per non essere qui.

Temette che quel passato che descriveva con sincerità non sembrasse abbastanza passato e aggiunse delle spiegazioni. Egli odiava tutte le persone che si credeva obbligato di trattare in un dato modo; gli piaceva la libertà, e anche quelli che non erano suoi pari voleva poter trattare come tali.

Ah! era così bello parlare da pari a pari con Annetta. Sentiva la dolcezza di confidarsi a lei con libertà come se monologasse e questa dolcezza diede colore alla sua parola che, per quanto impacciata, fino ad allora era stata da letterato, ricercata e fredda.

Annetta lo ascoltava sorpresa. Quel giovane sapeva dunque anche parlare oltre che studiare?

Ella gli spiegò che quando si desiderava qualche cosa nella vita bisognava sapersela conquistare. Alfonso riconobbe l’idea dominante di Macario.

– Non è difficile di conquistare la mia amicizia. È la prima volta che parla con me. Non se ne sarà accorto, ma è quasi sempre muto. Non era poi mio ufficio di farla parlare.

Rise togliendo così alle sue parole tutto ciò che avrebbero potuto avere di offensivo. Anche Alfonso rise trovando comico quell’uomo che attendeva di venir fatto parlare.

Furono queste le prime idee che diedero ad Annetta l’intenzione di fare un romanzo insieme. Quel caratterino che le si rivelava con tale ingenuità le sembrò meritevole di venir descritto. Disse con semplicità quale fosse la prima idea venutale improvvisamente, ed era certamente migliore delle modificazioni posteriori.

– C’era una volta un giovinetto che venne da un villaggio in una città e il quale s’era fatto delle idee ben strane sui costumi della città. Trovandoli in fatti differenti da quanto aveva ideato si rammaricò. Poi ci metteremo un amore. Ella è stato talvolta innamorato?

– Io… – e unicamente per la paura gli batté più forte il cuore.

Aveva avuto l’intenzione di fare una dichiarazione.

Annetta fece accendere da Santo il gas e Alfonso fu nello stesso tempo abbacinato dalla luce e messo in istato di misurare quanto falso fosse il passo ch’egli stava per fare. Annetta era sempre la stessa; dava seccamente degli ordini a Santo il quale, e c’era da meravigliarsene, li eseguiva muto.

Ella lo fece sedere al tavolo.

– Ci occorrerebbe penna e calamaio… ma preferisco affidarmi per le prime idee alla memoria. Metteremo poi il nero sul bianco. Come farebbe dunque lei a svolgere questo romanzo?