Contro Ogni Nemico

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La giovane digitò sul tablet, mentre un altro assistente accendeva il monitor principale dietro a Kurt. Trascorse qualche secondo. Il monitor passò per alcune schermate di caricamento, poi mostrò una schermata blu. Ricominciò un basso mormorio.

Kurt guardò l’assistente. Lei gli fece un cenno col capo, e poi Kurt guardò la presidente.

“Susan, pronta?”

“Pronta quando lo sei tu.”

Sullo schermo dietro di lui apparve una mappa dell’Europa. Rapidamente zoomò per concentrarsi sull’Europa occidentale, e poi sul Belgio.

“Okay. Dietro di me vedete una mappa del Belgio. Ci sono due location in quel paese sulle quali voglio richiamare la vostra attenzione. La prima è la capitale, Bruxelles.”

Dietro di lui, la mappa zoomò di nuovo. Adesso mostrava il fitto reticolo di una città, con un anello di strade che la circondava. La mappa si spostò sull’angolo superiore sinistro, e su molte fotografie di strade di ciottoli, un edificio governativo del diciannovesimo secolo e un imponente ponte ornato su un canale.

Si voltò verso l’assistente. “Dammi Molenbeek, per piacere.”

La mappa zoomò di nuovo, e apparvero altre foto delle strade. In una, un gruppo di uomini barbuti marciava con uno striscione bianco, i pugni che battevano su nell’aria. In cima allo striscione si vedevano dei caratteri arabi scritti in nero. Sotto c’era l’evidente traduzione:

No alla democrazia!

“Molenbeek è un quartiere di circa novantacinquemila persone. È la sezione più densamente popolata di Bruxelles, e una parte arriva ad avere fino all’ottanta per cento di musulmani, per lo più di discendenza turca e marocchina. È un ricettacolo di estremismo. Le armi usate nell’attentato alla rivista Charlie Hebdo erano prima state depositate a Molenbeek. Gli attentati terroristici del 2015 a Parigi erano stati pianificati lì, e i perpetratori di quei crimini sono tutti uomini cresciuti e vissuti a Molenbeek.”

Kurt guardò la stanza. “In poche parole, se in Europa si stanno pianificando attentati terroristici, e possiamo presumere tranquillamene che così sia, c’è una buonissima probabilità che i piani si stiano facendo a Molenbeek. Tutto chiaro su questo?”

Per la stanza passò un mormorio di assenso.

“Okay, vediamo Kleine Brogel.”

Sullo schermo la mappa allargò la panoramica, si spostò sulla destra, a poca distanza, poi zoomò di nuovo. Luke riusciva a riconoscere le piste e le costruzioni di un aerodromo rurale non lontano da una cittadina.

“La base aerea di Kleine Brogel,” disse Kurt. “È un aerodromo militare belga localizzato a circa sessanta miglia a est di Bruxelles. Il villaggio che vedete lì è il comune di Kleine Brogel, da cui il nome della base. La base è la dimora della decima ala tattica belga. Ci fanno volare F-16 Falcon, jet da combattimento supersonici, che, tra le altre cose, possono sganciare bombe nucleari B61.”

Sullo schermo la mappa scomparve, e si materializzò un’immagine. Era quella di una bomba a forma di missile montata su un carrello provvisto di ruote e parcheggiata al di sotto della fusoliera di un jet da combattimento. La bomba era lunga e liscia, grigia con la punta nera.

“Qui vedete una B61,” disse Kurt. “Lunga neanche tre metri e mezzo, circa settantasei centimetri di diametro, e con un peso di circa trecentodiciassette chili. È un’arma a rendimento variabile che può mettere fino a trecentoquaranta chilotoni su un obiettivo – approssimativamente venti volte la grandezza dell’esplosione di Hiroshima. Paragonate questo rendimento ai megatoni dei grossi missili balistici, e potete vedere che la B61 è una piccola testata tattica. È progettata per essere trasportata da aeroplani veloci, come l’F-16. Noterete la forma affusolata – fatta così perché possa resistere alle velocità che i suoi veicoli di trasporto possono raggiungere. Queste sono bombe fatte in America, e le condividiamo con il Belgio come parte degli accordi NATO.”

“Quindi le bombe si trovano lì?” disse Susan.

Kurt annuì. “Sì. Direi una trentina. Posso recuperarle la cifra esatta, se ne abbiamo bisogno.”

Passò un altro mormorio tra la folla raccolta.

Kurt sollevò la mano. “La faccenda migliora. Kleine Brogel in Belgio è una questione politica. Molti belgi odiano il fatto che lì ci siano le bombe, e le vogliono fuori dal paese. Nel 2009 un gruppo di attivisti pacifisti belgi ha deciso di mostrare a tutti quanto siano poco sicure le bombe lì. Hanno violato la sicurezza della base.”

Sullo schermo riapparve la mappa. Kurt indicò una zona lungo il margine della base. “A sud dell’aerodromo ci sono delle fattorie casearie. Gli attivisti hanno attraversato a piedi la terra della fattoria, poi hanno scavalcato la recinzione. Hanno vagato per la base per almeno quarantacinque minuti prima che qualcuno si accorgesse della loro presenza. Quando alla fine sono stati intercettati – da un aviatore belga con un fucile scarico, tra l’altro – erano appena fuori dal bunker dove erano immagazzinate alcune delle bombe. Avevano già dipinto con gli spray degli slogan sul bunker e affisso alcuni adesivi.”

Nella stanza esplose di nuovo il chiacchiericcio, più forte e più pronunciato stavolta.

“Okay, okay. È stata una seria distrazione da parte della sicurezza. Ma prima che ci facciamo prendere, riconosciamo un paio di cose. Per dirne una, i bunker erano ben chiusi – non c’era pericolo che gli attivisti entrassero. In più le bombe sono accatastate in delle camere sotterranee – anche se gli attivisti in qualche modo fossero riusciti a entrare, non sarebbero stati in grado di azionare gli ascensori idraulici per portare le bombe alla superficie. Gli attivisti erano a piedi, quindi anche se fossero riusciti ad azionare gli ascensori, non avrebbero fatto molta strada con un’arma di trecentodiciassette chili.”

“Quindi, con tutto ciò in mente, qual è la sua stima del livello di rischio?” disse Haley Lawrence.

Kurt fece una lunga pausa. Parve fissare qualcosa di lontanissimo, per un momento. Per Luke fu come se la mente di Kurt fosse un calcolatore, che attualmente attaccava numeri ai vari elementi che aveva appena descritto, poi li aggiungeva, sottraeva, moltiplicava e divideva.

“Alto,” disse.

“Alto?”

Kurt annuì. “Sì, certo. È una minaccia di livello alto. È possibile che un gruppo stia progettando il furto di una bomba da Kleine Brogel? Sicuramente. Non è la prima volta che sentiamo quest’idea – di tanto in tanto sorge nelle chiacchiere delle reti terroristiche raccolte dall’NSA e dal Pentagono. Una cellula terroristica a Bruxelles potrebbe avere un contatto o dei contatti alla base aerea che possono aiutarla – anzi, questo è uno scenario molto probabile. Sì, le bombe non sono operative senza i codici nucleari, e sì, devono essere sganciate da velivoli supersonici. Ma se gli iraniani vogliono le bombe solo per un processo di reverse engineering, o anche solo per analizzarle a fondo per il materiale nucleare? I militanti di Molenbeek tendono a essere sunniti, e loro l’Iran lo odiano. I nostri militanti potrebbero essere mercenari, disposti a farsi assumere dall’offerente più generoso.

“Oppure considerate questo,” proseguì Kurt. “L’aviazione somala ha una manciata di jet supersonici obsoleti. Per la maggior parte sono in rovina, ma io scommetto che uno o due possono ancora alzarsi in volo. Il governo somalo è debole, sotto costante attacco dall’Islam radicale, e vacilla sull’orlo del collasso. E se i militanti islamisti sequestrassero uno di quei velivoli, ci montassero una bomba e facessero precipitare l’intero aereo in un attentato nucleare suicida?”

“Non hai appena detto che le bombe senza i codici non funzionerebbero?” disse Susan.

Kurt fece spallucce. “I codici nucleari sono tra i criptaggi più avanzati del pianeta. A quel che sappiamo noi, non sono mai stati violati, persi, o rubati. Ma ciò non significa che non accadrà. Nel peggior scenario prevedibile possibile, io direi che la supposizione più sicura è che un giorno i codici verranno violati, se non è già accaduto.”

“Allora che cosa suggerisci di fare?”

Kurt non esitò. “Rimpolpare la sicurezza alla base aerea di Kleine Brogel. Farlo immediatamente. Lì abbiamo delle truppe, ma sono in costante stato di tensione con i belgi. Per avere un significativo aumento della sicurezza, dovremo calpestare qualche piede. Io riesaminerei anche le misure di sicurezza in altre basi NATO in cui sono tenute armi nucleari americane. Penso che scopriremo che quelle sono in condizioni piuttosto buone. Per quanto riguarda il lassismo nella sicurezza, i belgi esagerano proprio.

“Infine, farei una cosa che voglio fare da un po’ – mettere qualche operativo delle operazioni speciali sul campo a Bruxelles, nello specifico a Molenbeek. Fargli ficcare il naso qua e là e fargli fare qualche domanda. Questo è il tipo di cosa che i belgi dovrebbero fare con regolarità, ma non lo fanno. Non necessariamente deve essere un’operazione segreta – potrebbe essere anche meglio, in caso contrario. Mandarci gli agenti giusti, agenti che normalmente non accettano un no come risposta, e che facciano una bella pressione su un po’ di gente.”

Quasi esausto, Luke ascoltava solo a metà. Stava più che altro cercando di reggere fino alla fine della riunione. Lentamente, divenne consapevole che molte delle persone nella stanza lo stavano fissando.

Sollevò i palmi delle mani e si appoggiò allo schienale.

“Grazie,” disse, “ma no.”

* * *

“Allora, chi sta cercando di ucciderti?” chiese Susan.

Luke sedeva su una sedia in pelle dall’alto schienale nel salottino dello Studio Ovale. Sotto ai suoi piedi si trovava il sigillo presidenziale degli Stati Uniti. L’ultima volta che era stato lì, i servizi segreti lo avevano messo faccia in giù contro a quel sigillo. Però, ovviamente, era un altro tappeto – anche se sembrava identica, quella era una stanza totalmente nuova. L’altra era stata distrutta. Per un attimo se l’era dimenticato.

 

Cavolo se era stanco.

Un assistente aveva portato a Luke del caffè in una tazza termica. Forse l’avrebbe aiutato a svegliarsi. Lo sorseggiò – il caffè della presidente era sempre buono.

“Non lo so,” disse. “L’ultima che ho sentito è che stavano analizzando del DNA e che stavano facendo dei test delle impronte sul morto.”

Luke studiò il viso di Susan. Era invecchiata. Le rughe sulla sua pelle si erano fatte più profonde ed erano diventate grinze. La pelle stessa non era fissa e fiorente. In qualche modo aveva mantenuto la sua bellezza adolescenziale fino alla mezza età, ma in sei mesi da presidente il tempo l’aveva raggiunta.

Luke pensò al giovanile Abramo Lincoln di mezza età che diventava presidente, un uomo così energico e fisicamente forte da essere rinomato per le sue imprese di forza da salotto. Quattro anni dopo, appena prima di essere assassinato, lo stress della Guerra civile lo aveva trasformato in un fragile e appassito vecchietto.

Susan era ancora bella, ma adesso era diverso. Sembrava quasi segnata da ciò che aveva vissuto. Si chiese che cosa ne pensasse lei, o se se ne fosse già accorta. Poi si rispose da solo – certo che se n’era accorta. Era un’ex top model. Probabilmente aveva notato i più piccoli cambiamenti nel suo aspetto. Per la prima volta, notò il vestito che indossava. Era blu, molto elegante, e le cadeva perfettamente sulla figura. La scollatura era increspata – però leggermente.

“Ehi, bel vestito,” disse.

Lei gli fece un gesto di finto sdegno. “Questo vecchio abito? È solo una cosuccia che mi sono messa su. Lo sapevi che avevamo una cerimonia oggi, no?”

Luke annuì. Lo sapeva. “È fantastico,” disse. “Che abbiano rimesso a posto questo luogo esattamente com’era prima.”

“È un po’ inquietante, se lo chiedi a me,” disse Susan. Si guardò intorno nella stanza dall’alto soffitto. “Ho vissuto all’Osservatorio navale per cinque anni. Adoro quella casa. Non mi dispiacerebbe vivere lì per il resto della vita. Mi ci vorrà un po’ per abituarmi a questo posto.”

Caddero nel silenzio. Luke era lì semplicemente per portare i suoi omaggi. Entro un altro minuto le avrebbe chiesto un’auto, o preferibilmente un elicottero, che lo portasse a Eastern Shore.

“Allora, tu che ne pensi?” disse lei.

“Che cosa ne penso? Di cosa?”

“Della riunione che abbiamo appena fatto.”

Luke sbadigliò. Era stanco. “Non so che cosa pensare. Abbiamo delle armi nucleari in Europa? Sì. Sono vulnerabili? Sembra che potrebbero essere più sicure di quello che sono. Oltre a questo…”

Si fermò.

“Ci andrai?” disse lei.

Luke quasi rise. “Non ti servo in Belgio, Susan. Metti un altro distaccamento della sicurezza nella base, preferibilmente degli americani, e preferibilmente con armi cariche addosso. Dovrebbe bastare.”

Susan scosse il capo. “Se si tratta di una minaccia credibile, dovremmo andare alla fonte. Senti, con i belgi ci siamo fatti piedino per troppo tempo. Ci sono stati troppi attentati saltati fuori da Bruxelles, e io vorrei spezzare quelle reti. È inaccettabile che dopo gli attentati di Parigi non abbiano isolato tutto il quartiere di Molenbeek. A volte mi chiedo da che parte stiano.”

Luke alzò le mani. “Susan…”

“Luke,” disse. “Mi serve che lo faccia tu. C’è una cosa di cui nella riunione non si è parlato. Rende il tutto molto più urgente di quanto potresti pensare. Kurt lo sa, io lo so, ma nessun altro che era presente lo sa.”

“Che cosa?”

Esitò. “Luke…”

“Susan, mi hai chiamato ieri e mi hai chiesto di prendere un aereo per il Colorado con due ore di preavviso. Io ho fatto quello che mi hai chiesto. Adesso vuoi che vada in Belgio. Dici che è importante, ma non vuoi dirmi perché. Lo sai che mia moglie ha il cancro? Te lo dico solo perché tu sappia esattamente che cosa mi stai chiedendo di fare.”

Per un secondo, pensò che le avrebbe detto dell’altro, che forse le avrebbe detto tutto. Lui e sua moglie si erano lasciati. Lei apparteneva a una famiglia benestante, ma Luke non aveva voluto soldi. Voleva solo vedere suo figlio con regolarità, e Becca stava minacciando la cosa. Si stava preparando a una battaglia per la custodia, ma adesso, improvvisamente, aveva il cancro. Probabilmente sarebbe morta. E voleva ancora combattere. L’intera cosa aveva messo Luke a terra. Non aveva idea di cosa fare né di dove girarsi. Si sentiva completamente smarrito.

“Luke, mi dispiace molto.”

“Grazie. È dura. Avevamo molti problemi, e adesso questo.”

Lo fissava direttamente negli occhi. “Se può essere di qualche aiuto, ti capisco. I miei genitori sono morti quando ero giovane. Mio marito sembra essere uscito dal nostro matrimonio, ed è diventato un recluso. Non gliene faccio neanche una colpa. Chi ne vorrebbe mai ancora, di ciò che gli hanno fatto passare? Però si è preso le mie ragazze. Lo so com’è sentirsi soli – immagino che sia questo che sto dicendo.”

Luke rimase sorpreso dal fatto che si fosse aperta così con lui. Gli fece capire quanto si fidasse di lui, e gli fece venire ancor più voglia di aiutarla.

“Okay,” disse Luke. “Allora dimmi perché è così importante.”

“C’è stata una violazione dei dati al dipartimento dell’energia. Nessuno ne conosce la portata ancora, se è stato un incidente o una cosa pianificata. Nessuno sa niente. Però molte informazioni sono sparite, inclusi migliaia di codici nucleari datati. Nessuno può neanche dire se la cosa abbia importanza – funzionerebbero ancora? Ci vorrà del tempo per risolvere la cosa, ma nel frattempo l’ultima cosa che possiamo permetterci è perdere un’arma nucleare.”

Luke si posò allo schienale della sedia. Sarebbe andato. Con un po’ di fortuna, sarebbe andato laggiù, avrebbe sbattuto l’una contro l’altra un paio di teste, stretto i protocolli di sicurezza, e sarebbe stato di ritorno in un paio di giorni. Con l’occhio della mente, vide Gunner nel giardino sul retro a fare qualche canestro.

Da solo.

“Okay,” disse Luke. “Mi servirà la mia squadra. Ed Newsam, Mark Swann. E mi manca un membro. Mi serve un agente addetto alle informazioni per rimpiazzare Trudy Wellington. Qualcuno di bravo.”

Susan annuì e lasciò andare un sorriso di gratitudine.

“Tutto ciò che ti serve.”

CAPITOLO OTTO

17:15 (ora legale orientale)

I cieli sopra l’oceano Atlantico

“Siamo pronti, ragazzi?”

Il Learjet a sei posti sfrecciava a nordest attraverso il cielo del pomeriggio. Il jet era blu con il sigillo dei servizi segreti sul fianco. Dietro, il sole cominciava a tramontare. Luke guardò fuori dal finestrino, a oriente. Era già buio davanti a loro – era tardo autunno, e le giornate si stavano accorciando. Sotto, lontano, l’oceano era vasto, infinito e verde profondo.

Luke usava il suo tipico gergo per caricarsi, ma era una semplice ripetizione meccanica. Non la sentiva. Era sveglio da troppo tempo. Aveva troppo peso addosso. E aveva accettato un lavoro che probabilmente non avrebbe dovuto accettare.

Lui e la sua squadra usavano i quattro posti passeggero anteriori come zona riunione. Avevano sistemato i bagagli, e le attrezzature, nei sedili sul fondo.

Sul sedile dall’altra parte del corridoio rispetto a lui sedeva il grosso Ed Newsam, in pantaloni cargo cachi, t-shirt dalle maniche lunghe e giacca leggera. Si buttò gli occhiali da sole sul naso, contro il sole che si diffondeva dal suo finestrino. Quando era rilassato, come sembrava essere in quel momento, tutta la tensione muscolare lasciava il corpo forzuto e super atletico di Ed. Era come una gomma piatta stesa sul sedile. Ed era alla armi e tattiche, e Luke raramente aveva incontrato un uomo più qualificato – lo stesso Ed era l’arma più devastante che si potesse chiedere.

A sinistra di Luke e di fronte a lui, c’era Mark Swann. Era alto e magro, con lunghi capelli biondo rossiccio raccolti in una coda di cavallo e costosi occhiali dalla montatura nera rettangolare – Calvin Klein. Allungava le lunghe gambe nel corridoio. Indossava un vecchio paio di jeans sbiaditi e un paio di grossi stivali neri da combattimento Dr. Martens. Gli stivali fecero sorridere Luke – quell’uomo non aveva mai visto un solo minuto di combattimento vero in vita sua, non che Luke lo volesse. Swann era dei sistemi informatici – uno spiritoso ex hacker che era stato beccato e che era entrato nel governo per evitare una lunga condanna in prigione.

Swann e Newsam erano tornati dal Grand Canyon un paio di giorni prima – dicevano che non era lo stesso senza Luke e Gunner.

“A fare da babysitter a delle testate nucleari obsolete?” disse adesso Swann. “Immagino di essere pronto.”

“Peggio,” disse Luke. “Dovremo far da babysitter a dei belgi che fanno da babysitter a delle testate nucleari obsolete.”

“Pensi davvero che non ci sia sotto altro, bello?” disse Ed.

Luke scosse la testa. “No. Penso che sia fallace. Penso che dobbiamo tenere gli occhi spalancati e le teste…”

“Pronte a girarsi in ogni direzione,” disse Swann.

Stavano recitando i loro ruoli, ed era un bene. Swann e Newsam giravano intorno alla notizia del cancro di Becca. Oltre a offrire vicinanza morale quando erano saliti a bordo, non ne avevano detto nulla, e lui non li biasimava. Era una cosa difficile di cui parlare.

Direttamente di fronte a Luke sedeva il membro più nuovo della squadra – anzi, non era neanche ancora un membro. Era la sua prima volta con loro. I servizi segreti l’avevano presa in prestito dall’FBI su raccomandazione dei suoi superiori. Aveva detto a malapena una parola da quando erano saliti sull’aereo. Luke adesso le rivolse la sua attenzione.

Aveva visto il suo dossier. Si chiamava Mika Dolan. Era nata in Cina, ma era stata data in adozione dai genitori, che volevano un maschio. Era stata adottata da una coppia di hippy ormai invecchiati che si erano accorti tardi di volere un bambino. Era cresciuta prima sulla costa della California settentrionale, poi nella contea di Marin, appena fuori da San Francisco. Era giovane – probabilmente troppo. Ventun anni di età e già a un anno dall’uscita dal MIT; una media voti che sfiorava il massimo, laureata con lode. Test QI di 169 – livello genio, territorio di Albert Einstein.

Hobby? Le piaceva fare surf. Quella parte faceva un po’ impazzire Luke – era una personcina minuscola, con grandi occhiali rotondi, e sembrava aver messo a malapena piede fuori casa, figuriamoci in acqua. Però apparentemente suo padre aveva adorato surfare sulle grosse onde lungo la costa del Pacifico, e aveva cominciato a mettere la figlia sulla tavola quando questa aveva tre anni.

Mika era, all’inizio del secondo anno all’FBI, l’agente addetta alle informazioni, e adesso in prestito a Luke. Qualsiasi fossero le doti naturali di Mika, aveva scarpe grosse da riempire. Trudy Wellington era molte cose – emotiva, riservata, e veniva in mente anche silenziosamente pericolosa – ma aveva sviluppato estese reti in meno di dieci anni, poteva accedere a dati a cui nessun altro pareva avere accesso, ed era la migliore creatrice di scenari con cui Luke avesse mai lavorato. Trudy veniva dal MIT, proprio come Mika. Probabilmente gli avevano dato Mika per quella ragione.

“Be’, Mika?” disse Luke. “Ti va di cominciare?”

“Okay,” disse lei, sforzandosi di mantenere il contatto visivo con lui. Sollevò il tablet dal sedile accanto a lei. “Sono un po’ nervosa. Voi potreste anche non saperlo, ma siete leggendari nel mio ufficio.”

“Ah sì?” disse Ed Newsam, apparentemente compiaciuto. “Che cosa dicono di noi?”

Mika soffocò un sorriso. “Dicono che siete un branco di cowboy. E mi hanno detto di cercare di non farmi uccidere mentre sono con voi.”

Ed scosse la testa. “Ti stanno prendendo in giro. Non tutti quelli che vengono con noi rimangono uccisi.”

“Solo circa quattro su dieci,” disse Swann. “Il resto vive, anche se un’alta percentuale di loro è menomata a vita. Tu probabilmente starai bene. Il bureau ha un bel pacchetto disabili, se ricordo bene.”

Luke sorrise, ma non si unì alle battute. Mika era molto carina, e i ragazzi stavano flirtando con lei. Li avrebbe lasciati fare per un altro minuto. Era un buon modo di rompere il ghiaccio, e magari metterla un po’ a suo agio. Il loro sapeva essere un gruppo tosto.

 

Luke stesso si sentiva pensieroso, non al massimo. Dubitava di poter partecipare allo scambio di battute, se l’avesse voluto. Aveva chiamato Becca prima della partenza. La conversazione non era andata bene. Era a malapena andata. Le aveva detto che stava partendo.

“Dove vai?” disse lei.

“In Belgio. Fuori Bruxelles. C’è un problema con delle armi nucleari tenute in una base aerea NATO di lì. Apparentemente una cellula terroristica sta…”

“Quindi hai intenzione di partire?” disse.

“Starò via due o tre giorni. Devo solo verificare le misure di sicurezza in opera, implementare degli aggiornamenti se necessario, poi entrare a Bruxelles e interrogare qualche persona di interesse.”

“Torturarle?”

“Becca, io non…”

“C’è un agente dei servizi segreti qui nel mio soggiorno, Luke. È apparso sulla mia soglia questo pomeriggio. Un altro è andato a prendere Gunner a scuola, oggi. Apparentemente è entrato dritto in classe prima ancora che i bambini fossero stati fatti uscire.”

“Qualcuno ha cercato di uccidermi ieri notte,” disse Luke. “I servizi segreti sono lì per la vostra…”

“Protezione, sì, lo so. Luke, ho il cancro. Dovevamo dare la notizia a Gunner insieme. Eri d’accordo. E adesso fuggi dal paese.”

“Qualcuno ha cercato di uccidermi ieri notte,” disse di nuovo Luke.

“Sì, questo l’ho sentito. Ti ha sorpreso? Fa parte del gioco, direi. Ne frattempo, la mia vita è in pericolo reale, tu hai preso un impegno con me e, cosa più importante, con tuo figlio, e adesso scappi. Di nuovo.”

Luke fece un respiro profondo. “Becca, voglio aiutarti. Voglio… fare tutto ciò che posso. Ma mi hai buttato fuori di casa l’ultima volta che ti ho vista. E prima, prova a pensarci. L’ultima volta che sono venuto a prendere Gunner ci siamo incontrati nel parcheggio di un supermercato perché non volevi che venissi a casa. E non fuggo dal paese. Starò via qualche giorno. Presumo che sarai ancora viva quando…”

Becca riappese su quella frase, e lui non la biasimò. Era una cosa orribile da dire. Ma lei aveva fatto di tutto per rendergli la vita un inferno in terra negli ultimi, molti mesi. Adesso probabilmente stava morendo. A Luke dispiaceva. Si sentiva malissimo per la cosa, e per il rapporto che avevano. Si sentiva un fallimento totale – come padre, come marito, come persona. Ma il modo in cui si comportava lei non aiutava.

Adesso, a bordo dell’aereo, scosse la testa per chiarirsi le idee. Doveva compartimentalizzare. Aveva dei problemi, sì. Poteva riconoscere di trovarsi in grossi, grossi guai. Non sapeva come aiutare sua moglie. Non sapeva come sistemare niente di niente. Ma non poteva neanche portarseli con sé in Europa. Lo avrebbero distratto da quello che stava facendo, e poi sarebbe diventato un pericolo per sé e per le persone con lui. La concentrazione sul lavoro doveva essere totale.

Guardò fuori dal finestrino. In lontananza, dei jet da combattimento F-18 segnarono il cielo, muovendosi veloci. Sotto a Luke, delle nuvole bianche passavano scivolando nell’ultima luce del giorno. Fece un respiro profondo. Guardò di nuovo Mika.

“Come vuoi farlo?” disse lei.

Lui fece un gesto con due mani che sembrava disegnare un cerchio attorno al gruppo. “Il modo in cui facciamo normalmente è che tu ci dici tutto, tutte le informazioni che hai, organizzate in ordine di importanza, a meno che tu non abbia una ragione convincente per prendere un’altra direzione. Presumi che non abbiamo alcuna conoscenza precedente del caso – in questo modo tutti finiscono allo stesso punto, a prescindere da quante informazioni si siano portati dietro.”

Annuì, poi tornò a guardare il tablet. “Posso farlo.”

“Cominciamo con la questione più vicina e più cara al mio cuore,” disse Luke. “Chi ha cercato di uccidermi ieri notte?”

“L’uomo si chiamava Azab Mu’ayyad,” disse Mika. “O almeno è quello che dice il suo passaporto attuale. I suoi documenti indicano che è studente universitario della Giordania e che ha trentadue anni. Però l’uomo che crediamo che sia ha almeno dieci alias, e passaporti di altri quattro paesi. Il suo nome in arabo significa ‘viaggiatore benedetto da Dio,’ ed è probabile che sia solo un altro alias che si è scelto da solo.”

“Quindi chi era in realtà?” disse Luke.

Stava consultando il tablet. Guardò nella sua faccia brillante, le dita che si muovevano in una foschia. “L’NSA crede che fosse un mujaheddin e sicario tunisino di nome Abu Mossaui, il che comunque è un altro alias. Probabilmente è più vicino ai quarant’anni che ai trenta, un soldato mercenario, e un assassino tra le linee dure dei gruppi sunniti. Si pensa che sia stato attivo nell’Africa subsahariana. Potrebbe essere stato coinvolto nel rapimento e nell’esecuzione del signore della guerra somalo Fatah al-Malik. Ci sono dati che suggeriscono che si trovasse in Tanzania nel 2011 nel momento in cui è stato bombardato un resort fronte mare, uccidendo tredici membri di un gruppo turistico israeliano.”

“Che tipo di dati?” disse Swann.

Mika fece spallucce. “Registri di volo di un uomo arrivato a Dar es Salaam con un nome molto simile a uno degli alias conosciuti. Fotografie di sorveglianza di un uomo che potrebbe essere lui nella città vecchia.”

“Che potrebbe essere lui,” disse Ed Newsam. “Un uomo che aveva un nome simile. Fondamentalmente, stai dicendo che nessuno è sicuro di chi o cosa fosse questo tizio. Era un fantasma, in altre parole.”

Mika annuì. “Era un fantasma, se vuoi.”

“Voglio. E ha cercato di uccidere Luke ore dopo che il nostro ragazzo ha interrogato Don Morris in prigione e ha scoperto un complotto nucleare in Europa. Quindi hanno preso un sicario…”

Mika sollevò un dito. “Attenzione. Luke ha una lunga storia di lotta ai gruppi terroristici islamici, ciascuno dei quali potrebbe volerlo eliminare, e potrebbe volersi vendicare. I due eventi potrebbero non essere legati.”

“A chi appartiene il pick-up?” disse Luke.

“A nessuno,” disse.

“A nessuno?”

“Il furgone originale era una Ford F-350 del 2009. È rimasto disintegrato in un incidente fatale tre anni fa. Il proprietario, che stava guidando, è stato lanciato attraverso il parabrezza quando il furgone si è rivoltato in condizioni di pioggia e neve su un’autostrada della Pennsylvania occidentale. Il furgone è stato portato a un deposito, dove è stato venduto a pezzi in una transazione in contanti a un meccanico presumibilmente di stanza a Youngstown, Ohio. Il meccanico operava sotto falsa identità. C’è un parcheggio vuoto di proprietà della città in cui si pensa si trovi il suo garage. Il parcheggio è un’area industriale dismessa, risultato di una conceria del diciannovesimo secolo. Il sito ha ricevuto i soldi della legge Superfund alla fine degli anni Ottanta, ma apparentemente il sito non è mai stato bonificato. Non c’è mai stata una carrozzeria lì.”

“Anche il furgone è un fantasma,” disse Swann. “Il meccanico è un fantasma. Persino il garage è un fantasma.”

“E i soldi della Superfund sono diventati fantasma,” disse Ed.

“Naturalmente.”

I due uomini si diedero il cinque.

“Il furgone è stato ricostruito da pezzi di scarto di altri furgoni,” disse Mika. “Chi è stato non è noto. Le targhe sono state rubate da una macchina messa da parte in un parcheggio a lungo termine nell’aeroporto internazionale di Baltimora-Washington. La registrazione è fasulla, e l’azienda costruttrice a cui è registrato è fasulla. Anche i documenti dell’assicurazione sono intelligenti contraffazioni.”

“E il conducente di ieri notte?” disse Luke.

Mika si strinse nelle spalle. “Ha abbandonato il furgone ed è fuggito. Non c’erano impronte identificabili – probabilmente indossava dei guanti.”

“Gli ho sparato, forse tre volte.”

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