La caccia di Zero

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CAPITOLO SEI

Reid si avviò sull’autostrada in direzione sud, cercando di arrivare all’area di sosta dove era stato abbandonato il pick-up di Thompson il prima possibile, ma senza farsi fermare per eccesso di velocità. Nonostante la sua ansia di trovare una pista o un indizio, stava iniziando a sentirsi più ottimista, essendosi finalmente messo in strada. Il dolore era sempre presente, gli affondava nelle viscere come se avesse inghiottito una palla da bowling, ma adesso era avvolto da un guscio di tenacia e determinazione.

Avvertiva già la sensazione familiare che provava ogni volta che la personalità di Kent Steele prendeva le redini, mentre sfrecciava in autostrada nella Trans Am nera con il bagagliaio pieno di armi e dispositivi a sua disposizione. C’era un momento e un luogo per essere Reid Lawson, ma non era quello. Anche Kent era il padre delle ragazze, che loro lo sapessero o meno. Kent era stato il marito di Kate. E Kent era un uomo d’azione. Non aspettava che la polizia cercasse indizi, o che qualche altro agente facesse il suo lavoro.

Lui le avrebbe trovate. Doveva solo scoprire dove erano diretti.

La strada diretta a sud attraverso la Virginia era principalmente diritta, a due corsie, circondata su entrambi i lati da grossi alberi e monotona. La sua frustrazione cresceva con ogni istante che sprecava lontano dalla scena del crimine.

Perché a sud? pensò. Dove le voleva portare Rais?

Che cosa farei se fossi al posto suo? Dove andrei?

“Ho capito,” esclamò ad alta voce, colpito dalla consapevolezza come da un proiettile alla testa. Rais voleva essere trovato, e non dalla polizia, dall’FBI o da un altro agente della CIA. Voleva essere trovato da Kent Steele, e solo da lui.

Non posso pensare in termini di quello che lui farebbe. Devo pensare a quello che farei io.

Che cosa farei?

Le autorità avrebbero creduto che, dato che il pick-up era stato ritrovato a sud di Alexandria, l’assassino avesse continuato a portare le ragazze verso sud. “Vuol dire che io andrei…”

Le sue riflessioni furono interrotte dallo squillo del cellulare usa e getta sopra al cruscotto.

“Vai a nord,” disse subito Watson.

“Che cosa hai saputo?”

“Non c’è niente da scoprire alla stazione di sosta. Alla prima uscita voltati indietro e poi parleremo.”

Reid non dovette farselo dire due volte. Lasciò cadere il telefono sul sedile, ingranò la terza e strattonò il volante a sinistra. Non c’erano molte auto in strada a quell’ora di domenica; la Trans Am attraversò la corsia e slittò sull’aiuola erbosa in mezzo. Le ruote non stridettero sul cemento né persero aderenza quando colpirono la terra morbida. Mitch doveva aver installato pneumatici radiali altamente performanti. La macchina oltrepassò lo spazio di separazione tra i due sensi di marcia, sobbalzando appena e alzando una pioggia di terra dietro di sé.

Raddrizzò l’auto non appena ebbe superato l’ostacolo. Ritrovò l’asfalto, cambiò la marcia e pigiò il piede sull’acceleratore. La Trans Am scattò in avanti come un fulmine nella sua nuova corsia.

Reid soffocò l’eccitazione che gli riempì il petto. Il suo cervello reagiva con intensità a ogni picco d’adrenalina. Adorava il brivido, la vaga possibilità di perdere il controllo e il piacere elettrizzante di riprenderselo.

“Sono diretto a nord,” annunciò riprendendo il telefono. “Che cosa hai scoperto?”

“Ho un tecnico che sta monitorando le onde radio della polizia. Non preoccuparti, mi fido di lui. Questa mattina hanno segnalato una berlina blu abbandonata in una rivendita di auto usate. Dentro ci hanno trovato una borsetta, con le carte e i documenti d’identità della donna uccisa alla stazione di servizio.”

Reid si accigliò. Rais aveva rubato quella macchina solo per abbandonarla di nuovo di lì a poco. “Dove?”

“È questo il punto. È a circa due ore più a nord rispetto a dove ti trovi adesso, nel Maryland.”

Lui sbuffò frustrato. “Due ore? Non posso permettermi di perdere tutto questo tempo. Ha già un vantaggio enorme su di noi.”

“Ci sto lavorando,” rispose criptico Watson. “C’è dell’altro. La rivendita dice che gli manca una macchina, un SUV bianco, di otto anni fa. Non abbiamo niente per rintracciarlo, possiamo solo aspettare che venga notato. Usare il satellite sarebbe come cercare di trovare un ago in un pagliaio.”

“No,” rispose Reid. “Non serve. Il SUV sarà quasi certamente un altro vicolo cieco. Sta giocando con noi. Cambia direzione, non vuole farci capire la sua vera direzione.”

“Come fai a saperlo?”

“Perché è quello che farei io.” Rifletté per un istante. Rais era già in vantaggio su di loro. Dovevano capire a che gioco stava giocando, o almeno raggiungerlo. “Chiedi al tuo tecnico di tenere d’occhio qualsiasi furto d’auto sia stata denunciato nelle ultime dodici ore, tra qui e New York.”

“È uno spazio piuttosto ampio da controllare,” notò Watson.

Aveva ragione; Reid sapeva che negli Stati Uniti veniva rubata una macchina ogni quarantacinque secondi, per un ammontare di migliaia ogni anno. “Va bene, escludi i dieci modelli più rubati,” disse. Per quanto non gli piacesse ammetterlo, Rais era furbo. Doveva conoscere le marche che era meglio evitare e quelle da prendere di mira. “Elimina dalla ricerca qualsiasi veicolo sia troppo costoso o vistoso, di colori brillanti, con caratteristiche distintive, ogni mezzo che la polizia troverebbe in fretta. E ovviamente anche tutti quelli abbastanza nuovi da avere un GPS. Concentrati sui luoghi poco frequentati, come i parcheggi abbandonati, le rivendite chiuse, le zone industriali, posti di quel genere.”

“Ho capito,” confermò Watson. “Ti richiamo non appena so qualcosa.”

“Grazie.” Conservò di nuovo il telefono nel cruscotto. Non aveva due ore da perdere viaggiando su e giù per l’autostrada. Gli serviva una pista, o un indizio su dove potessero essere le sue ragazze. Si chiese se Rais avesse già cambiato direzione. Magari si era diretto verso nord solo per girarsi a ovest, verso l’interno del paese, o magari di nuovo a sud.

Lanciò uno sguardo alle corsie rivolte verso il meridione. Magari li sto superando in questo momento, e sono proprio di fianco a me. Non lo saprò mai.

I suoi pensieri furono interrotti da un suono acuto e familiare, l’urlo crescente e discendente della sirena della polizia. Imprecò sotto voce, guardando nello specchietto retrovisore e vedendo un’auto della polizia al suo inseguimento, con le luci blu e rosse lampeggianti.

Quella non ci voleva proprio. L’agente doveva averlo visto mentre superava l’aiuola in mezzo alla strada. Controllò di nuovo. L’auto era una Caprice. Motore da 5.7 litri. Velocità massima di duecento quaranta chilometri orari. Dubito che la Trans Am possa raggiungerli. Ma nonostante quello non aveva intenzione di fermarsi e perdere del tempo prezioso.

Invece pigiò di nuovo il pedale, saltando dai centotrenta che stava facendo ai centosessanta orari. L’altra macchina gli tenne dietro, aumentando senza difficoltà la velocità. Reid non spostò le mani dal volante, saldo e sicuro di sé, eccitato dall’inseguimento ad alta velocità.

Solo che quella volta era lui a essere inseguito.

Il telefono squillò di nuovo. “Avevi ragione,” disse Watson. “Ho un… aspetta, è una sirena quella che sento?”

“Certo che sì,” borbottò Reid. “Puoi farci qualcosa?”

“Io? Questa non è una missione ufficiale.”

“È più veloce di me…”

“Ma non è più bravo di te a guidare,” rispose l’altro agente. “Chiama Mitch.”

“Chiamare Mitch?” ripeté lui perplesso. “Per dirgli cosa di preciso? Ciao?”

Watson aveva già riappeso. Reid imprecò sotto voce e sorpassò un minivan, per spostarsi nella corsia di sinistra con una mano mentre con l’altra cercava il numero nel telefono. Watson gli aveva detto di avere inserito il numero del meccanico nella Rubrica.

Lo trovò segnato solo con la lettera “M” e lo chiamò, seguito dalla sirena strillante alle sue spalle.

Qualcuno rispose ma non parlò.

“Mitch?” domandò lui.

Il meccanico grugnì in risposta.

Dietro la sua auto, il poliziotto entrò nella corsia di destra e accelerò, cercando di affiancarlo. Reid strattonò il volante e la Trans Am scivolò elegantemente nella stessa corsia, bloccando la macchina dell’agente. Fuori dai finestrini alzati e sotto il ruggito del motore sentiva riecheggiare l’altoparlante, mentre il suo inseguitore gli ordinava di accostare.

“Mitch, sono, ehm…” Che cosa dovrei dire? “Sto facendo i centosettanta lungo la I-95 e un poliziotto mi sta inseguendo.” Lanciò uno sguardo allo specchietto retrovisore e mugugnò, vedendo una seconda volante immettersi in autostrada da dove era stata nascosta per controllare la velocità delle auto. “Diciamo che ora sono due.”

“Va bene,” replicò Mitch. “Dammi un minuto.” Sembrava stanco, come se l’idea di un inseguimento ad alta velocità con le auto della polizia fosse banale come un viaggio fino al supermercato.

“Un minuto per fare cosa?”

“Distrazione,” grugnì l’altro uomo.

“Non sono certo di averlo,” protestò lui. “Probabilmente stanno già controllando la targa.”

“Per quello non preoccuparti . È falsa. Non registrata.”

Questo non li convincerà a lasciarmi perdere, pensò cupo Reid. “Che razza di distrazione… pronto? Mitch?” Gettò irritato il telefono sul sedile del passeggero.

Con entrambe le mani sul volante, oltrepassò un pick-up, tornò nella corsia di sorpasso e pigiò sull’acceleratore. La Trans Am rispose con zelo, ruggendo e raggiungendo i duecento chilometri orari. Sfrecciò tra il traffico più lento, entrando e uscendo dalle corsie, usando persino il ciglio della strada, ma senza riuscire a scrollarsi di dosso la polizia.

 

Non posso superarli in velocità. Ma in bravura sì. Andiamo, Kent. Aiutami. Gli era successo diverse volte nel corso dell’ultimo mese, da quando gli era stato tolto il soppressore di memoria, che nel momento del bisogno gli tornasse alla mente una particolare abilità acquisita nel corso della sua vita come agente della CIA. Non aveva saputo di parlare arabo fino a quando non si era trovato di fronte a dei terroristi che lo stavano torturando per avere informazioni. Non aveva saputo di poter fermare tre assassini a mani nude fino a quando non aveva dovuto combattere per la propria vita.

Ho capito. Devo ritrovarmi in una situazione disperata.

Reid afferrò il freno a mano appena dietro il cambio e lo tirò in su. Subito dalla Trans Am si alzò uno stridio orrendo e l’odore di qualcosa che bruciava. Allo stesso tempo, strattonò il volante verso destra e la macchina fece di nuovo un testacoda, attraversando l’aiuola di mezzo come se stesse cercando di prendere la direzione opposta.

Le due auto della polizia lo seguirono, pigiando sul freno e cercando di curvare a gomito. Ma non appena frenarono, rivolte verso sud, lui continuò a girare su di sé, facendo trecentosessanta gradi. Riabbassò il freno a mano, cambiò la marcia e premette di nuovo sul gas. L’auto sportiva sfrecciò in avanti e fece mangiare la polvere ai due poliziotti confusi.

Emise un urlo della vittoria, con il cuore che gli pompava nel petto. Tuttavia la sua eccitazione fu di breve durata. Aveva il piede saldamente sull’acceleratore, cercando di mantenere la velocità, ma la Trans Am perdeva potenza. La lancetta del tachimetro si abbassò a centocinquanta, poi centoquaranta, calando sempre più in fretta. Era in quinta, ma la sua manovra con il freno doveva aver fatto saltare un cilindro, o danneggiato in qualche modo il motore.

Lo strillo assordante delle sirene peggiorò la situazione. Le due volanti della polizia erano alle sue spalle e lo stavano per raggiungere, insieme a una terza. Il traffico dell’autostrada si fece da parte per lasciare loro libero il passaggio, mentre lui era costretto a entrare e uscire dalle corsie, tentando disperatamente ma inutilmente di non perdere velocità.

Gemette. Sarebbe stato impossibile liberarsi dei poliziotti in quella maniera. Ormai c’erano solo cinquanta metri tra di loro, e diminuivano sempre di più. Le auto si misero in formazione a triangolo, una per corsia e la terza sulla linea di mezzo.

Vogliono provare la manovra del pozzo: mi vogliono prendere in mezzo e costringermi ad accostare.

Andiamo, Mitch. E la mia distrazione? Non aveva idea di che cosa avesse in mente il meccanico, ma era il momento giusto dato che ormai le altre auto erano a ridosso della sua macchina sportiva.

Ebbe la sua risposta un istante più tardi, quando qualcosa di enorme balzò nella sua visione periferica.

Dal lato sud dell’autostrada, un autoarticolato oltrepassò l’aiuola di mezzo facendo almeno i centodieci orari, rimbalzando sulle fosse scavate nell’erba. Non appena raggiunse di nuovo l’asfalto, girato in direzione opposta rispetto al traffico, si piegò pericolosamente e la cisterna che trasportava si ribaltò, pronta a cadergli addosso.

CAPITOLO SETTE

Per un secondo il tempo rallentò e Reid si ritrovò, insieme alla macchina, inghiottito dall’ombra del veicolo a diciotto ruote che volteggiava nell’aria.

In quel momento stranamente sospeso, lesse con chiarezza le grandi lettere blu stampate sulla fiancata della cisterna—“POTABILE”, dicevano—mentre il mezzo si abbassava, pronto a schiacciarlo, insieme alla Trans Am e alla sua speranza di ritrovare le figlie.

Il suo cervello superiore, il cerebrum, sembrava essersi spento all’ombra del grosso furgone, ma le sue membra si mossero come dotate di una mente propria. L’istinto prese il sopravvento. Con la mano destra afferrò il freno e lo tirò. Con la sinistra girò in senso orario il volante e pigiò il pedale del gas a terra. La Trans Am si voltò di lato e sfrecciò in avanti, in un movimento parallelo all’autoarticolato, per tornare al sole e allontanarsi dall’altro mezzo.

Reid percepì l’impatto del veicolo sulla strada, più che udirlo. La cisterna argentata colpì l’asfalto tra la sua macchina e quelle della polizia, fermandosi a meno di trenta metri da loro. I freni stridettero e le volanti dei poliziotti si fecero da parte, mentre la grande cisterna si apriva sui lati imbullonati e rilasciava il suo carico.

Emersero novemila galloni di acqua pulita per inondare i mezzi della polizia, spingendoli all’indietro come una marea particolarmente aggressiva.

Reid non si fermò a vedere le conseguenze dell’incidente. La Trans Am raggiungeva a malapena i centodieci pur con il pedale del gas spinto a tavoletta, quindi la raddrizzò e cercò di allontanarsi il più possibile lungo l’autostrada. Gli agenti infradiciati dovevano aver segnalato la sua macchina vistosa dalla targa non registrata; se non fosse svanito in fretta di lì avrebbe trovato altri guai.

Il cellulare usa e getta squillò e sullo schermo apparve la lettera M.

“Grazie, Mitch,” rispose subito.

Il meccanico grugnì, in un verso che sembrava il suo mezzo principale di comunicazione.

“Sapevi dove ero. Sai dove sono anche adesso.” Reid scosse la testa. “Stai seguendo quest’auto, non è così?”

“Un’idea di John,” disse semplicemente l’uomo. “Pensava che avresti potuto avere dei problemi. Aveva ragione.” Reid fece per protestare, ma Mitch l’interruppe. “Esci alla prossima. Gira a destra su River Drive. C’è un parco con un campo da baseball. Aspetta lì.”

“Aspetta lì che cosa?”

“Un trasporto.” Il meccanico di poche parole riappese. Reid sbuffò. Il punto era che la Trans Am sarebbe dovuta essere un’auto clandestina, libera dai controlli dell’agenzia. Non gli faceva piacere sapere che invece aveva solo scambiato gli occhi della CIA per quelli di qualcun altro.

Ma senza di lui ormai mi avrebbero fermato.

Soffocò la rabbia e fece come gli aveva ordinato, guidando la macchina per un altro chilometro oltre l’uscita dell’autostrada fino al parco. Sperava che qualsiasi cosa Mitch avesse avuto in serbo per lui, avvenisse in fretta; aveva molto terreno da recuperare.

Il parco era semivuoto per essere domenica. Nel campo da baseball un gruppo di ragazzini stavano facendo una partitella, quindi parcheggiò la Trans Am nel parcheggio sterrato dietro la rete metallica che proteggeva la prima base e aspettò. Non sapeva che cosa aspettarsi, ma sentiva l’urgenza di muoversi rapidamente, quindi aprì il bagagliaio, prese il borsone e aspettò accanto all’auto l’arrivo degli aiuti mandati da Mitch.

Cominciava a sospettare che il vecchio meccanico fosse più di una semplice ‘risorsa’ della CIA. Era un ‘esperto nel recupero veicoli’, o almeno così aveva dichiarato Watson. Reid si chiese se avesse un ruolo simile a quello di Bixby, l’eccentrico ingegnere della CIA specializzato in armi e strumentazione portatile. E se era quello il caso, perché lo stava aiutando? Ripensando al suo aspetto arcigno o al suo atteggiamento burbero non gli tornavano in mente ricordi di nessun tipo. Avevano un passato comune che lui aveva dimenticato?

Il telefono gli squillò nella tasca. Era Watson.

“Stai bene?” chiese l’agente.

“Decente, tutto considerato. Anche se il concetto di Mitch di ‘distrazione’ è un po’ eccessivo.”

“Fa il suo lavoro. Comunque sia la tua intuizione era giusta. Il mio tecnico ha trovato il rapporto di una Caddy di dodici anni rubata da una zona industriale nel New Jersey questa mattina. Ha scattato una foto satellite del posto, e indovina cosa ha visto?”

“Il SUV bianco sparito,” azzardò Reid.

“Esatto,” confermò Watson. “Abbandonata nel parcheggio di un postaccio chiamato Starlight Motel.”

Nel New Jersey? La sua speranza svanì. Rais aveva portato le ragazze ancora più a nord. Il suo viaggio di due ore era appena diventato di tre ore e mezza se voleva aver qualche speranza di raggiungerlo. Forse le vuole portare a New York. Una grande area metropolitana, dove è facile nascondersi. Reid doveva avvicinarglisi prima che ciò succedesse.

“L’agenzia non sa ancora queste informazioni,” continuò l’altro agente. “Non hanno motivo di collegare la Caddy rubata alle tue figlie. Cartwright mi ha appena detto che stanno seguendo gli indizi che hanno trovato e stanno mandando Strickland a nord del Maryland. Ma è solo una questione di tempo. Se arrivi prima tu avrai un vantaggio su di lui.”

Reid rifletté per un istante. Non si fidava di Riker, quello era ovvio. In effetti era ancora indeciso anche sul suo capo, il vice direttore Cartwright. Ma… “Watson, che cosa sai di questo agente Strickland?”

“L’ho incontrato solo una o due volte. È giovane, ansioso di compiacere, ma sembra un brav’uomo. Magari persino degno di fiducia. Perché, che cosa hai in mente?”

“Penso che…” Reid non riusciva a credere che cosa stava per suggerire, ma era per le sue figlie. La loro sicurezza era della massima importanza, a prescindere dal costo percepito. “Penso che non dovremmo essere gli unici a sapere queste informazioni. Ci serve tutto l’aiuto possibile, e anche se non mi fido che Riker faccia la cosa giusta, magari Strickland sarà dalla nostra parte. Potresti fargli avere questi dati in via anonima?”

“Credo di sì, certo. Dovrei farli filtrare attraverso uno dei miei collegamenti, ma è fattibile.”

“Bene. Deve sapere quello che sappiamo noi, ma solo dopo che io sarò stato lì a controllare la situazioni con i miei occhi. Non lo voglio in vantaggio rispetto a me. Deve solo essere aggiornato.” Più nello specifico, voleva che qualcuno oltre a Cartwright sapesse quello che avevano scoperto. Perché ho bisogno che qualcuno riesca, nel caso io dovessi fallire.

“Se lo dici tu, certo.” Watson rimase in silenzio per un momento. “Kent, c’è anche un’altra cosa. All’area di sosta, Strickland ha trovato qualcosa…”

“Cosa? Che cosa ha trovato?”

“Capelli,” rispose lui. “Capelli castani, con i follicoli ancora attaccati. Strappati alla radice.”

A Reid si seccò la gola. Non credeva che Rais volesse uccidere le sue figlie, non poteva permettersi di pensarlo. All’assassino servivano vive se voleva che Kent Steele lo trovasse.

Ma quella certezza gli offriva ben poca consolazione mentre la sua mente veniva invasa da immagini sgradite, scene del mostro che afferrava le sue bambine per i capelli, costringendole ad andare dove voleva. Facendo loro del male. Se le avesse ferite in qualche modo, Reid gliel’avrebbe fatta pagare.

“Strickland non li ha ritenuti importanti,” continuò Watson, “ma la polizia ne ha trovati altri nel sedile posteriore dell’auto della donna morta. Come se qualcuno li avesse lasciati lì di proposito. Come un…”

“Come un indizio,” mormorò Reid. Era stata Maya. Lo sapeva. Era intelligente, tanto da aver lasciato appositamente indietro qualcosa di sé. Sua figlia sapeva che la scena sarebbe stata controllata con cura e che i suoi capelli sarebbero stati ritrovati. Era viva… o almeno lo era stata quando avevano attraversato l’area di sosta e quell’auto. Era orgoglioso della furbizia di Maya e allo stesso tempo addolorato che fosse stata costretta a inventarsi a un trucco del genere.

Oddio. Si rese subito conto di qualcos’altro: se Maya aveva lasciato di proposito i capelli nel bagno della stazione di servizio, allora era stata lì quando era avvenuto l’omicidio. Aveva guardato quel mostro che uccideva una donna innocente. E se la figlia maggiore era stata lì… doveva esserci stata anche Sara. Erano rimaste entrambe segnate, a livello mentale ed emotivo, dagli eventi di febbraio sul pontile; non voleva nemmeno immaginare al trauma che dovevano aver subito ora.

“Watson, devo arrivare in New Jersey in fretta.”

“Ci sto lavorando,” rispose l’agente. “Rimani lì tranquillo, arriverà tra un minuto.”

“Che cosa arriverà?”

Watson rispose, ma le sue parole furono soffocate dall’improvviso strillo di una sirena alle sue spalle. Si voltò, mentre un’auto della polizia si fermava nel parcheggio dietro di lui.

Non ho tempo per questo. Chiuse di scatto il telefono e se l’infilò in tasca. Il finestrino del lato passeggero era abbassato e dentro poteva vedere due agenti. Arrivarono a ridosso della sua macchina e poi aprirono le portiere.

 

“Signore, metta la borsa a terra e alzi le mani sopra la testa.” L’agente che parlò era giovane, con un taglio in stile militare e occhiali da aviatore calati sugli occhi. Reid notò che aveva messo una mano sulla fondina dell’arma di servizio, e aveva già aperto il bottone.

Anche l’autista era uscito. Era più anziano, intorno all’età di Reid, con il cranio rasato. Era rimasto vicino alla porta e anche lui aveva le mani basse sulla cintura.

Esitò, incerto di cosa fare. La polizia locale deve aver sentito l’allerta degli agenti in autostrada. Non doveva essere stato difficile trovare la Trans Am dalla targa finta parcheggiata in bella vista accanto al campo da baseball. Si riprese mentalmente per essere stato tanto imprudente.

“Signore, lasci la borsa a terra e alzi le mani sopra la testa!” gridò di nuovo e con più enfasi l’agente più giovane.

Lui non aveva niente con cui minacciarli; tutte le sue armi erano nella borsa, e anche se ne avesse avuta una in mano non voleva sparargli. Per quel che ne sapevano i due uomini, stavano facendo solo il loro lavoro, apprendendo un fuggitivo dopo un inseguimento ad alta velocità che aveva danneggiato tre auto, e con ogni probabilità aveva costretto a chiudere le corsie in direzione nord della I-95.

“Non è come credete.” Mentre lo diceva, abbassò lentamente la borsa a terra. “Sto solo cercando di trovare le mie figlie.” Alzò entrambe le braccia, portando le dita dietro le orecchie.

“Si volti,” gli ordinò il giovane agente. Reid obbedì. Udì il tintinnio familiare delle manette quando l’uomo ne estrasse un paio dalla cintura. Aspettò di sentire il tocco gelido del metallo sui polsi.

“Ha il diritto di rimanere in silenzio…”

Non appena percepì l’acciaio sulla pelle, Reid entrò in azione. Si voltò, afferrò il polso destro dell’agente e lo piegò violentemente. L’uomo gridò per il dolore e la sorpresa, nonostante lui fosse stato attento a non strattonarlo tanto da romperlo. Non voleva ferire i poliziotti se poteva evitarlo.

Continuando il gesto, afferrò la manetta aperta con la mano sinistra per richiuderla sull’agente. Intanto l’altro aveva già estratto la pistola e gli stava urlando furioso.

“Indietreggi! Si metta subito a terra, ora!”

Lui invece spintonò il giovane agente per farlo ricadere contro la portiera aperta. Quella si richiuse, o almeno tentò, intrappolando nella cerniera il secondo poliziotto. Reid fece una capriola e si ritrovò in ginocchio accanto all’uomo più anziano. Gli strappò di mano la Glock e se la gettò alle spalle.

L’agente giovane si raddrizzò e cercò di estrarre la propria arma. Reid afferrò la manetta vuota che gli pendeva dal polso e la tirò, facendogli di nuovo perdere l’equilibrio. Avvolse la catena al finestrino aperto, attirando il poliziotto contro la porta, e poi richiuse la seconda manetta attorno al braccio dell’agente più anziano.

Mentre i due lottavano per liberarsi e allontanarsi dalla porta dell’auto, lui gli rubò la pistola e la puntò su entrambi. Si immobilizzarono all’istante.

“Non vi sparerò,” disse ai due uomini mentre riprendeva la borsa. “Voglio solo che rimaniate in silenzio e non vi muoviate per un po’.” Prese di mira l’agente anziano. “Alzi la mano, per favore.”

L’uomo lasciò andare la radio che aveva montata sulla spalla.

“Lasci la pistola,” insistette l’agente giovane, facendo un gesto tranquillizzante con il braccio libero. “Stanno arrivando i rinforzi. Le spareranno a vista. È meglio che non succeda.”

Sta bluffando? No, si sentivano le sirene in lontananza. Saranno qui tra un minuto. Novanta secondi al massimo. Qualsiasi cosa avessero pianificato Mitch e Watson, doveva succedere subito.

I ragazzini nel campo da baseball avevano abbandonato la loro partita e si erano affollati dietro gli spalti di pietra per sbirciare meravigliati la scena che stava avvenendo a pochi metri da loro. Reid notò con la coda dell’occhio che uno aveva tirato fuori il cellulare, e probabilmente stava segnalando l’incidente.

Almeno non mi stanno riprendendo, pensò cupo, senza allontanare la canna della pistola dai due agenti. Andiamo, Mitch…

Poi… l’agente più giovane lanciò uno strano sguardo al suo partner. Si fissarono a vicenda per poi alzare gli occhi al cielo, quando un nuovo suono si unì alle sirene ancora lontane. Era un ronzio acuto, come una specie di motore.

Che cos’è? Di certo non è un’auto. Non è abbastanza rumoroso da essere un elicottero o un aereo…

Anche lui alzò gli occhi, ma non riusciva a capire da che direzione provenisse quel suono. Non rimase a lungo nel dubbio. Dalla sua sinistra stava arrivando un oggetto piuttosto piccolo, che attraversava l’aria come un’ape. Aveva una forma indistinguibile; sembrava bianco ma era difficile guardarlo direttamente.

La parte inferiore è verniciata con un rivestimento riflettente, lo informò la sua mente. Impedisce agli occhi di fissarlo a lungo.

L’oggetto calò dall’alto come se stesse cadendo dal cielo. Non appena ebbe oltrepassato il monte di lancio del campetto da baseball, qualcos’altro si staccò dalla sua forma: un cavo d’acciaio con una stretta barra attaccata in fondo, con un singolo gradino di una scala. Una corda da arrampicata.

“Ecco il mio passaggio,” mormorò. Mentre gli agenti fissavano stupiti l’UFO in volo sopra di loro, Reid lasciò cadere la pistola a terra. Tenne stretta la borsa e quando la barra oscillò verso di lui, si tese e l’afferrò.

Trattenne il fiato e fu subito trascinato in cielo, facendo sei metri in pochi secondi, poi nove e poi dodici. I ragazzi nel campo da baseball gridarono e indicarono l’oggetto volante sopra la sua testa che ritraeva in fretta la corda, guadagnando quota allo stesso tempo.

Abbassò lo sguardo e vide altre due auto della polizia entrare nel parcheggio con uno stridio di freni, i loro autisti uscire dai veicoli e guardare verso l’alto. Era a una trentina di metri da terra quando finalmente entrò nell’abitacolo e piombò a sedere nell’unico sedile che c’era.

Reid scosse la testa sbalordito. Il veicolo che lo aveva salvato era poco di più di una capsula a forma di uovo con quattro braccia parallele a forma di X, su ognuna delle quali c’era un rotore. Sapeva che cosa era: un quadricottero, un drone pilotato da una persona sola, completamente automatizzato e altamente sperimentale.

Un ricordo gli lampeggiò nella mente: Un tetto a Kandahar. Due cecchini ti bloccano nella tua posizione. Non hai idea di dove ti trovi. Se fai una mossa morirai. Poi un suono, un ronzio acuto, poco più di un brusio. Ti ricorda il decespugliatore che hai a casa. Una sagoma oscura il cielo. È difficile guardarla. Quasi non riesci a vederla, ma capisci che sono arrivati i rinforzi…

La CIA aveva fatto esperimenti con macchine di quel tipo per tirar fuori i suoi agenti dalle zone calde. Lui stesso aveva preso parte a uno di quegli esperimenti.

Davanti a sé non c’erano comandi, ma solo uno schermo LED su cui campeggiava la sua velocità di trecento quaranta chilometri orari e il tempo stimato d’arrivo di cinquantaquattro minuti. Accanto era appesa una cuffia. La prese e se l’infilò sulle orecchie.

“Zero.”

“Watson. Gesù. Come hai avuto questa roba?”

“Non è merito mio.”

“Quindi è stato Mitch,” disse Reid, confermando i propri sospetti. “Non è solo una ‘risorsa’, vero?”

“È tutto quello che vuoi che sia, purché ti fidi di lui e accetti il suo aiuto.”

La velocità del quadricottero aumentò sempre di più, raggiungendo quasi i cinquecento chilometri orari. Il tempo stimato d’arrivo calò di diversi minuti.

“E l’agenzia?” volle sapere. “Possono…?”

“Rintracciarlo? No. Troppo piccolo e vola ad altitudini troppo basse. Oltretutto è stato decommissionato. Hanno ritenuto che il motore fosse troppo rumoroso perché potesse essere utile come velivolo clandestino.”

Tirò un breve sospiro di sollievo. Ora aveva un obiettivo, quello Starlight Motel nel New Jersey, e almeno non l’aveva trovato grazie a una provocazione di Rais. Se fossero stati ancora lì, avrebbe potuto mettere fine a quella situazione… o almeno avrebbe potuto provarci. Sapeva che l’unico modo per chiuderla era un confronto con l’assassino, durante il quale avrebbe anche dovuto proteggere le sue ragazze dal fuoco incrociato.