Una Trappola per Zero

Tekst
Autor:
Loe katkendit
Märgi loetuks
Kuidas lugeda raamatut pärast ostmist
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

CAPITOLO UNO

Abdallah bin Mohammed era morto.

Il corpo del vecchio giaceva su una lastra di granito nel cortile del complesso, un gruppo murato di strutture beige squadrate situato a circa cinquanta miglia a ovest di Albaghdadi nel deserto dell'Iraq. Era lì che la Fratellanza era sopravvissuta all'espulsione da Hamas, nonché al controllo delle forze americane durante l'occupazione e alla successiva democratizzazione del paese. Per chiunque al di fuori della Fratellanza, il complesso era semplicemente una comunità di sciiti ortodossi; incursioni e ispezioni forzate della proprietà non avevano portato nulla alla luce. I loro rifugi erano ben nascosti.

Il vecchio aveva vissuto personalmente la loro sopravvivenza, dedicando la vita al servizio della sua ideologia. Ma ora Bin Mohammed era morto.

Awad stava fermo accanto alla lastra che conteneva il cadavere cinereo del vecchio. Le quattro mogli di Bin Mohammed gli avevano già dato l'estremo saluto, lavandogli il corpo tre volte prima di avvolgerlo nel sudario bianco. I suoi occhi erano chiusi in un'espressione pacifica, le sue mani erano incrociate sul petto, la mano destra sulla sinistra. Sul suo corpo non c'erano ferite né cicatrici. Negli ultimi sei anni era vissuto e morto nel complesso, non era mai uscito dalle sue mura. Non era stato ucciso da colpi di fucile o dai droni come molti altri mujaheddin.

"Come?" Domandò Awad in arabo. “Come è morto?"

"Ha avuto un infarto durante la notte", rispose Tarek. L'uomo si trovava al lato opposto della bara di pietra, di fronte a Awad. Molti nella Confraternita consideravano Tarek come il secondo di Bin Mohammed, ma Awad sapeva che il suo ruolo era stato poco più che quello di messaggero e custode mentre la salute del vecchio peggiorava. "L'infarto ha causato un attacco di cuore. È morto immediatamente; non ha sofferto".

Awad posò una mano sul petto immobile del vecchio. Bin Mohammed gli aveva insegnato molto, non solo sulla fede, ma anche sul mondo, delle infinite difficoltà e di cosa significasse guidare un gruppo.

E lui, Awad, davanti a sé vedeva non solo un cadavere ma anche un'opportunità. Tre notti prima Allah gli aveva regalato un sogno, anche se ora era difficile chiamarlo così. Era un presagio. In sogno aveva visto la morte di Bin Mohammed e una voce gli aveva annunciato che lui avrebbe guidato la Fratellanza. La voce, ne era certo, apparteneva al Profeta, che parlava a nome dell'Unico Vero Dio.

"Hassan sta facendo un'incursione per le munizioni", disse piano Tarek. “Non sa ancora che suo padre è morto. Ritorna oggi; presto saprà che il mantello della guida della Fratellanza cadrà su di lui... "

"Hassan è un debole", disse Awad all'improvviso, più duramente di quanto intendesse. "Mentre la salute di Bin Mohammed peggiorava, Hassan non ha fatto nulla per impedire che ci indebolissimo di riflesso".

"Ma…" Tarek esitò; era ben consapevole del carattere irascibile di Awad. "I doveri della leadership spettano al figlio maggiore..."

"Questa non è una dinastia", ribatté Awad.

"E allora a chi...?" Tarek si interruppe mentre si rendeva conto di ciò che Awad suggeriva.

Il giovane socchiuse gli occhi ma non disse nulla. Non ne aveva bisogno; uno sguardo valeva più di una minaccia. Awad era giovane, non aveva ancora compiuto i trent'anni, ma era alto e forte, la sua mascella era rigida e irremovibile come la sua convinzione. Pochi avrebbero alzato la voce contro di lui.

"Bin Mohammed voleva che io avessi la guida", disse Awad a Tarek. "Lo ha detto lui stesso". Questo non era del tutto vero; il vecchio aveva detto in diverse occasioni che vedeva il potenziale di grandezza in Awad e che aveva le doti naturali di un vero leader. Awad aveva interpretato questa affermazione come una dichiarazione di intenzioni del vecchio.

"Non mi ha mai detto nulla di simile", osò dire Tarek, per quanto lo pronunciò silenziosamente. Il suo sguardo era rivolto verso il basso, per non incrociare gli occhi scuri di Awad.

"Perché sapeva che anche tu sei un debole", lo sfidò Awad. “Dimmi, Tarek, quanto tempo è passato dall'ultima volta in cui ti sei avventurato fuori da queste mura? Per quanto tempo hai vissuto lontano dalla protezione di Bin Mohammed, senza preoccuparti di proiettili e bombe? " Awad si sporse in avanti, sopra il corpo del vecchio, mentre lui tranquillamente aggiunse: "Quanto pensi di poter durare protetto solamente dai tuoi vestiti quando prenderò il potere e ti caccerò?"

Il labbro inferiore di Tarek si mosse, ma nessun suono gli uscì dalla gola. Awad fece un sorrisetto; Tarek, piccolo e confuso, aveva paura.

"Continua", supplicò Awad. "Dimmi cosa ne pensi".

"Per quanto tempo..." Tarek deglutì. “Quanto pensi che durerai tra queste mura senza il finanziamento di Hassan bin Abdallah? Saremo nella stessa posizione. Solo in posti diversi".

Awad sorrise. "Sì. Sei astuto, Tarek. Ma io ho una soluzione". Si chinò sulla lastra e abbassò la voce. "Sostienimi in ciò che dico".

Tarek alzò bruscamente lo sguardo, sorpreso dalle parole di Awad.

"Dì loro che hai sentito quello che ho sentito io", continuò. “Dì loro che Abdallah bin Mohammed mi ha nominato leader in punto di morte, e giuro che avrai sempre un posto nella Fratellanza. Uniremo le nostre forze. Il nostro nome risuonerà in ogni dove. E la volontà di Allah, la pace sia su di Lui, sarà fatta”.

Prima che Tarek potesse rispondere, una sentinella urlò nel cortile. Due uomini spalancarono le pesanti porte di ferro appena in tempo perché due camion entrassero, con i battistrada sporchi di sabbia e di fango provocato dalla pioggia recente.

Comparvero otto uomini - tutti coloro che erano partiti erano tornati - ma Awad capì immediatamente che l'incursione era andata male. Non avevano riportato munizioni.

Degli otto, uno si fece avanti, gli occhi spalancati fissi sulla lastra di pietra tra Awad e Tarek. Hassan bin Abdallah bin Mohammed aveva trentaquattro anni, ma aveva ancora l'aspetto scarno di un adolescente per via della barba non completamente sviluppata.

Un lieve gemito sfuggì alle labbra di Hassan quando riconobbe la figura distesa sulla lastra. Mentre correva verso la salma, le sue scarpe sollevarono la sabbia dietro di lui. Awad e Tarek fecero un passo indietro, facendogli spazio mentre Hassan si accasciava sul corpo di suo padre singhiozzando forte.

Un debole. Awad sogghignò alla scena a cui stava assistendo. Prendere il controllo della Fratellanza sarebbe stato facile.

Quella sera nel cortile, la Fratellanza eseguì il Salat-al-Janazah, le preghiere funebri per Abdallah bin Mohammed. Ogni persona presente si inginocchiava in tre file di fronte alla Mecca, il figlio Hassan subito dietro al cadavere e le sue mogli che seguivano la fine della terza fila.

Awad sapeva che immediatamente dopo i riti, il corpo sarebbe stato sepolto; La tradizione musulmana imponeva che un corpo fosse sepolto il più presto possibile dopo la morte. Fu il primo ad alzarsi dopo la preghiera e parlò con tono infervorato. "Fratelli" iniziò. "È con grande dispiacere che ci congediamo da Abdallah bin Mohammed qui sulla terra".

Tutti gli occhi si voltarono, alcuni confusi per la sua improvvisa interruzione, ma nessuno si alzò o disse qualcosa contro di lui.

"Sono passati sei anni da quando l'ipocrisia di Hamas ci ha visto esiliati da Gaza", continuò Awad. “Per sei anni siamo stati banditi nel deserto, vivendo grazie alla carità di Bin Mohammed, razziando e catturando ciò che riuscivamo. Sei anni ormai abbiamo vissuto nella menzogna e nell'ombra di Hamas. Di Al-Qaeda. Dell'ISIS. Di Amon".

Si fermò per incrociare gli sguardi del suo uditorio. "Basta così. La Fratellanza non si nasconderà più. Ho escogitato un piano e prima della morte di Abdallah, l'ho esposto a lui nel dettaglio ricevendo la sua benedizione. Noi, fratelli, attueremo questo piano e diffonderemo la nostra fede. Uccideremo gli eretici e il mondo intero conoscerà la Fratellanza. Ve lo prometto".

Molte, o meglio la maggior parte delle teste annuì nel cortile. Un uomo si alzò in piedi, un fratello duro e un po' cinico di nome Usama. "E qual è questo piano, Awad?" chiese, con tono di sfida. "Che grande piano hai in mente?"

Awad sorrise. “Stiamo per orchestrare la jihad santa più straordinaria mai effettuata sul suolo americano. Qualcosa che farà impallidire l'attacco di Al Qaeda a New York".

"Come?" Domandò Usama. "Come realizzeremo tutto questo?"

"Tutto sarà rivelato", rispose Awad con pazienza. “Ma non questa notte. Questa è una serata di commiato”.

Awad aveva un piano. Era un piano a cui lavorava da qualche tempo. Sapeva che era possibile; aveva parlato con il Libico e aveva saputo dei giornalisti israeliani e dell'addetto congressuale di New York che sarebbe presto arrivato a Baghdad. Era fortuito il modo in cui tutto sembrava essere andato nel modo migliore, compresa la morte di Abdallah. Awad era persino arrivato al punto di negoziare un accordo preliminare con il trafficante d'armi che aveva accesso all'attrezzatura necessaria per l'attacco a una città degli Stati Uniti, ma aveva mentito sulla condivisione con Abdallah. Il vecchio era un leader, un amico e un benefattore della Fratellanza - e per questo Awad gli era grato - ma non avrebbe mai accettato. Richiedeva ingenti finanziamenti, che potevano minacciare di disperdere tutte le loro risorse se il piano fosse andato storto.

E per questo motivo, Awad sapeva che avrebbe dovuto ingraziarsi Hassan bin Abdallah. Il compito di seppellire i morti di solito ricadeva sui parenti maschi più stretti, ma Awad non riusciva nemmeno a immaginare le braccia magre e gracili di Hassan scavare un buco abbastanza profondo. Inoltre, aiutare Hassan avrebbe offerto loro l'opportunità di legare e discutere i piani di Awad.

 

"Fratello Hassan", disse Awad. "Spero che mi concederai l'onore di aiutarti a seppellire Abdallah".

L'anemico Hassan lo guardò di nuovo e annuì. Awad vide negli occhi del giovane il terrore al pensiero di dover guidare la Fratellanza. I due si separarono dalle tre file di preghiera per procurarsi delle pale.

Una volta che furono lontani da orecchie indiscrete, immersi nella luce della luna del cortile aperto, Hassan si schiarì la gola e chiese: "Qual è il tuo piano, Awad?"

Awad bin Saddam trattenne un sorriso. "Inizia", rispose, "con il rapimento di tre uomini, domani, non lontano da qui. Si conclude con un attacco diretto alla città di New York". Si fermò e poggiò una mano sulla spalla di Hassan. “Ma non posso orchestrarlo da solo. Ho bisogno del tuo aiuto, Hassan".

Hassan deglutì, poi annuì.

“Ti prometto”, disse Awad, “che la nazione devastata dal peccato di avidi apostati subirà una perdita incalcolabile. La Fratellanza sarà finalmente riconosciuta come una forza dell'Islam ”.

E, pensò tra sé e sé, il nome Awad bin Saddam troverà il suo posto nella storia.

CAPITOLO DUE

"Remember, remember, the Fifth of November," declamò il professor Lawson mentre camminava davanti a un'aula di quarantasette studenti nella Healy Hall della Georgetown University. "Che significa?"

"Non si è accorto che siamo solo in aprile?" scherzò un ragazzo dai capelli castani in prima fila.

Alcuni studenti ridacchiarono. Reid sorrise; questo era il suo elemento, la classe, ed era molto bello tornare. Quasi come se le cose fossero tornate alla normalità. "Non proprio. Questa è in realtà il primo verso di una poesia che commemora un evento importante - o un quasi-evento, se volete - nella storia inglese. Cinque novembre, qualcuno lo sa?

Una giovane donna bruna, qualche fila indietro, alzò educatamente la mano e disse: "Il giorno di Guy Fawkes?"

"Sì, grazie". Reid lanciò una rapida occhiata al suo orologio. Recentemente era diventata un'abitudine, quasi un tic idiosincratico controllare gli aggiornamenti del display digitale. “Uh, sebbene non sia più festeggiato come una volta, il 5 novembre segna il giorno di un complotto di omicidio fallito. Tutti avrete sentito almeno una volta il nome Guy Fawkes, ne sono sicuro".

Le teste annuirono e mormorii di assenso si alzarono dai banchi.

"Bene. Nel 1605, Fawkes e altri dodici cospiratori misero a punto un piano per far saltare in aria la Camera dei Lord, la camera alta del Parlamento, durante un'assemblea. Ma i membri della Camera dei Lord non erano il loro vero obiettivo; il loro obiettivo era quello di assassinare il re Giacomo I, che era protestante. Fawkes e i suoi amici volevano riportare sul trono un monarca cattolico".

Guardò di nuovo l'orologio. Non aveva nemmeno intenzione di farlo; era un riflesso spontaneo.

“Ehm…" Reid si schiarì la gola. “Il loro piano era abbastanza semplice. Nel corso di alcuni mesi, avevano disposto trentasei barili di polvere da sparo in una stanza sotterranea - che veniva utilizzata come cantina per il vino - proprio sotto il Parlamento. Fawkes era colui che doveva attivare il processo; doveva accendere una lunga miccia e poi correre più veloce che poteva verso il Tamigi".

"Come Wile E. Coyote", disse lo spiritoso seduto in prima fila.

"Proprio così" concordò Reid. “Questo è anche il motivo per cui il loro tentativo di assassinio è oggi noto come il complotto della polvere da sparo. Ma non sono mai riusciti ad accendere la miccia. Qualcuno ha avvisato anonimamente un membro della House of Lords e i sotterranei vennero controllati. Scoprirono la polvere da sparo e Fawkes..."

Guardò l'orologio. Non mostrava altro che il tempo.

"E…" Reid sorrise. “Mi dispiace, ragazzi, sono un po' distratto oggi. Fawkes fu scoperto, ma all'inizio si rifiutò di nominare i suoi collaboratori. Fu mandato alla Torre di Londra e fu torturato per tre giorni... "

Una visione balenò improvvisamente nella sua mente; non tanto una visione quanto un ricordo, che si era intromessa nella sua testa al suo menzionare la tortura.

Un sito nero della CIA in Marocco. Nome in codice H-6. Meglio conosciuto come Hell-Six.

Un iraniano prigioniero è legato a un tavolo in leggera pendenza. Ha un cappuccio sopra la testa. Gli premi un asciugamano sul viso.

Reid rabbrividì mentre un brivido gli percorreva la schiena. Il ricordo era quello che aveva avuto poco prima. Nella sua altra vita come agente della CIA Kent Steele, aveva eseguito alcune "tecniche di interrogatorio" su terroristi catturati per ottenere. Ecco come le chiamava l'agenzia: tecniche. Cose come il waterboarding, le viti a testa zigrinata e lo strappare via le unghie.

Non erano tecniche. Era tortura, molto semplicemente. Niente di diverso da ciò che era accaduto a Guy Fawkes nella Torre di Londra.

Non lo farai mai più, si ricordò. Quelle azioni non ti si addicono.

Si schiarì la gola. “Per tre giorni è stato, ehm, interrogato. Alla fine pronunciò altri sei nomi e tutti furono condannati a morte. Il complotto per far saltare in aria il Parlamento e il re Giacomo I fu vanificato, e il 5 novembre divenne un giorno di festa dedicato alla celebrazione del fallito tentativo di assassinio... "

Un cappuccio sopra la sua testa. Un asciugamano sul viso.

Fiumi di acqua. Senza interruzione. Il prigioniero che si divincola con forza al punto da rompersi il braccio.

"Dimmi la verità!"

"Professor Lawson?" Era il ragazzo dai capelli castani in prima fila. Stava fissando Reid: tutti lo fissavano. L'ho detto ad alta voce? Non pensava di averlo fatto, ma il ricordo si era fatto strada nel suo cervello e probabilmente era uscito dalla sua bocca. Tutti gli occhi erano su di lui, alcuni studenti parlavano tra sé e sé mentre lui rimaneva in piedi con aria goffa e arrossiva.

Diede un'occhiata all'orologio per la quarta volta in pochi minuti.

"Ehm, scusate," ridacchiò nervosamente. “Sembra che per oggi abbiamo finito. Voglio che leggiate tutti di Fawkes e delle motivazioni alla base del complotto di polvere da sparo, e lunedì riprenderemo con il resto della Riforma protestante e inizieremo la Guerra dei Trent'anni”.

L'aula si riempì di rumori e fruscii mentre gli studenti raccoglievano i loro libri e borse e cominciavano a uscire dalla classe. Reid si massaggiò la fronte; aveva un forte mal di testa, che stava diventando sempre più frequente in quei giorni.

Il ricordo del dissidente torturato aleggiava nella sua mente come una nebbia fitta. Anche quello succedeva sempre più spesso ultimamente; gli erano tornati alla memoria pochi ricordi, ma quelli che erano tornati erano più forti, più vividi. Come un déjà vu, con l'eccezione che ricordava di averlo già vissuto. Non era solo una sensazione; aveva fatto tutto ciò e anche di più.

"Professor Lawson". Reid alzò lo sguardo bruscamente, scosso dai suoi pensieri mentre una giovane donna bionda gli si avvicinava, con una borsa a tracolla. "Ha un appuntamento stasera o qualcosa del genere?"

"Scusa?" Reid si accigliò, turbato dalla domanda.

La ragazza sorrise. “Ho notato che guardava l'orologio ogni trenta secondi. Ho pensato che potesse avere un appuntamento stasera".

Reid fece un sorriso forzato. "No, niente del genere. È solo che vedo l'ora che arrivi il fine settimana".

Lei annuì in segno di comprensione. "Anch'io. Si goda il weekend, professore". Si voltò per uscire dall'aula ma poi si fermò, lanciò un'occhiata alle sue spalle e gli chiese: "Le piacerebbe un giorno?"

"Cosa?" chiese stupito.

"Avere un appuntamento. Con me".

Reid sbatté le palpebre, ammutolito dallo stupore. “Ehm io..."

"Ci pensi". La ragazza sorrise di nuovo e se ne andò.

Rimase lì per un momento, cercando di elaborare ciò che era appena accaduto. Eventuali ricordi di torture o siti neri che avrebbero potuto tornare alla memoria erano stati respinti dall'inaspettata richiesta. Conosceva la studentessa; l'aveva ricevuta nel suo ufficio varie volte per rivedere i compiti. Si chiamava Karen; aveva ventitré anni ed era una delle più brillanti della sua classe. Si era presa un paio di anni di pausa dopo il liceo prima di iniziare il college e aveva viaggiato molto, principalmente in Europa.

Realizzò in quel momento di sapere più di quanto avrebbe dovuto sulla giovane donna. Quelle visite in ufficio non erano state per chiedere aiuto sui compiti; aveva una cotta per il professore. Ed era innegabilmente bella, se Reid si fosse permesso anche solo per un momento di pensare a una cosa simile - cosa che di solito non faceva, essendo ormai da tempo abile nel sorvolare sugli attributi fisici e mentali dei suoi studenti e a concentrarsi sull'istruzione.

Ma quella ragazza, Karen, era molto attraente, con i capelli biondi e gli occhi verdi, snella ma atletica, e...

"Oh," disse ad alta voce nella classe vuota.

Gli ricordava Maria.

Erano passate quattro settimane da quando Reid e le sue ragazze erano tornate dall'Europa dell'Est. Due giorni dopo Maria era stata inviata in un'altra missione e, nonostante avesse provato a contattarla più volte con messaggi e chiamate, da allora non aveva più avuto sue notizie. Si chiese dove fosse, se stesse bene... e se provasse ancora qualcosa per lui. La loro relazione era diventata così complessa che era impossibile inquadrarla in modo chiaro. Un'amicizia con un risvolto romantico era stata temporaneamente compromessa dalla sfiducia e, infine, da alleati alienati dalla parte sbagliata con una copertura del governo.

Ma ora non era il momento di soffermarsi su ciò che Maria provasse per lui. Aveva promesso di tornare alla cospirazione, di provare a scoprire di più di ciò che sapeva allora, ma con il ritorno all'insegnamento, la sua nuova posizione nell'agenzia e le sue ragazze di cui occuparsi non aveva quasi il tempo di pensarci.

Reid sospirò e controllò di nuovo l'orologio. Di recente aveva fatto una pazzia e acquistato uno smart watch collegato al suo telefono cellulare tramite Bluetooth. Anche se il suo telefono era nella sua scrivania o in un'altra stanza, gli venivano in ogni caso notificate chiamate e messaggi di testo. E guardarlo spesso era diventato istintivo come battere le palpebre. Compulsivo come grattarsi un punto pruriginoso.

Aveva inviato a Maya un messaggio proprio prima dell'inizio della lezione. Di solito i suoi testi erano domande apparentemente innocue, del tipo "Cosa vuoi per cena?" o "Serve che io prenda qualcosa tornando a casa?" Ma Maya non era stupida; sapeva che stava controllando che stessero bene, inutile che provasse a mascherarlo. Soprattutto dal momento che tendeva a inviare un messaggio o effettuare una chiamata ogni ora o giù di lì.

Era abbastanza intelligente da riconoscere cosa fosse. La nevrosi sulla sicurezza delle sue ragazze, la sua ossessione per il controllo e la conseguente ansia in attesa di una risposta; anche la forza e l'impatto dei flashback che aveva vissuto. Che fosse disposto ad ammetterlo o meno, tutti i segni indicavano un certo grado di disturbo post-traumatico per lo stress che aveva vissuto.

Tuttavia, la sua difficoltà nel superare il trauma, il suo tentativo di tornare a una vita che somigliasse alla normalità, lasciandosi alle spalle l'angoscia e la costernazione di ciò che era accaduto non era nulla in confronto a ciò che le sue due figlie adolescenti stavano attraversando.