Una Trappola per Zero

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CAPITOLO TRE

Reid aprì la porta della loro casa nella periferia di Alexandria, in Virginia, tenendo una scatola di pizza sul palmo della mano, e inserì il codice di sicurezza a sei cifre nel pannello vicino alla porta principale. Aveva aggiornato il sistema solo poche settimane prima. Il nuovo programma avrebbe inviato un avviso di emergenza sia al 911 che alla CIA se il codice non fosse stato inserito correttamente entro trenta secondi dall'apertura di qualsiasi porta di ingresso.

Era una delle numerose precauzioni che Reid aveva preso dopo l'incidente. Adesso c'erano telecamere, tre in tutto; una installata sul garage e puntata verso il vialetto e la porta d'ingresso, un'altra nascosta nella lampada sopra la porta sul retro, e una terza fuori dalla porta della camera di sicurezza nel seminterrato, tutte programmate per registrare 24 ore su 24. Aveva cambiato anche ogni singola serratura della casa; il loro ex vicino, il defunto Thompson, aveva una copia delle chiavi che aprivano la porta anteriore e quella posteriore, che gli furono sottratte quando Rais rubò il suo camion.

Infine c'era il dispositivo di localizzazione impiantato in ciascuna delle sue figlie. Nessuna delle due ne era a conoscenza, ma entrambe avevano ricevuto un'iniezione, mascherata da vaccino influenzale, che aveva posto sotto la loro pelle un localizzatore GPS sottocutaneo, piccolo come un grano di riso, proprio nell'avambraccio. Non importa dove si trovassero nel mondo, un satellite le avrebbe trovate. Era stata un'idea dell'agente Strickland e Reid si era trovato subito d'accordo. La cosa più bizzarra fu che, nonostante equipaggiare due civili con la tecnologia della CIA comportasse un costo molto alto, il vicedirettore Cartwright aveva firmato la delibera senza pensarci due volte.

Reid uscì dalla cucina e trovò Maya sdraiata in sala, a guardare un film in TV. Era coricata da un lato sul divano, ancora in pigiama, con entrambe le gambe a penzoloni dal bracciolo.

"Ehi". Reid posò la scatola della pizza sul bancone e si tolse la giacca di tweed con una scrollata di spalle. “Ti ho mandato un messaggio. Non hai risposto".

"Il telefono è in carica al piano di sopra", rispose Maya in tono pigro.

"Non potevi metterlo in carica qui?" chiese lui.

Lei si limitò a scrollare le spalle per tutta risposta.

"Dov'è tua sorella?"

"Di sopra," sbadigliò. "Credo".

Reid sospirò. "Maya..."

“È di sopra, papà. Che palle".

Per quanto volesse rimproverarla per l'atteggiamento petulante degli ultimi tempi, Reid non disse una parola. Non sapeva ancora fino in fondo tutto ciò che avevano dovuto affrontare durante l'incidente. Era così che lo chiamava, "l'incidente". Lo psicologo di Sara gli aveva suggerito di dargli un nome, un modo per fare riferimento all'evento in una conversazione, anche se non l'aveva mai detto ad alta voce.

La verità era che ne parlavano a malapena.

Sapeva dai rapporti dell'ospedale, sia in Polonia che da una valutazione successiva negli Stati Uniti, che sebbene entrambe le sue figlie avessero riportato lievi ferite, nessuna delle due era stata violentata. Eppure aveva visto in prima persona ciò che era accaduto ad alcune delle altre vittime del traffico di esseri umani. Non era sicuro di essere pronto a conoscere i dettagli della terribile esperienza che avevano vissuto a causa sua.

Reid salì le scale e si fermò per un momento fuori dalla camera da letto di Sara. La porta era socchiusa di qualche centimetro; sbirciò dentro e la vide distesa sopra le coperte, a fissare il muro. Il suo braccio destro era appoggiato sulla coscia, ancora avvolto nel gesso beige dal gomito in giù. L'indomani avrebbe avuto un appuntamento con il dottore per vedere se fosse possibile rimuovere l'ingessatura.

Reid aprì delicatamente la porta, ma questa scricchiolò ugualmente. Sara, tuttavia, non si mosse.

“Stai dormendo?” chiese piano.

"No", mormorò.

"Io, ehm... Ho portato a casa una pizza".

"Non ho fame", disse lei in tono piatto.

Non mangiava molto dall'incidente; infatti, Reid le doveva costantemente ricordare di bere acqua, o non avrebbe ingerito quasi nulla. Capiva le difficoltà di sopravvivere al trauma meglio di molti altri, ma questo sembrava diverso. Più grave.

La psicologa che si occupava di Sara, la dottoressa Branson, era una donna paziente e compassionevole, raccomandata e certificata dalla CIA. Secondo i suoi rapporti, Sara aveva parlato poco durante le sessioni di terapia e aveva risposto alle sue domande con il minor numero di parole possibile.

Si sedette sul bordo del letto e si scostò i capelli dalla fronte. Lei sussultò leggermente.

“C'è qualcosa che posso fare per te?” le chiese con voce pacata.

"Voglio solamente restare da sola" mormorò.

Lui sospirò e si alzò dal letto. "Capisco", disse con tono empatico. “Tuttavia, mi piacerebbe davvero tanto che tu venissi e ti sedessi al tavolo insieme a noi, in famiglia. Magari che provassi anche a mangiare qualche boccone".

Per tutta risposta, Sara rimase in silenzio.

Reid sospirò di nuovo mentre scendeva le scale. Sara era chiaramente traumatizzata; era molto più difficile da affrontare rispetto a prima, a febbraio, quando le ragazze avevano avuto un incontro con due membri dell'organizzazione terroristica Amun in New Jersey. All'epoca aveva pensato che fosse stato un brutto trauma, ma ora la figlia minore sembrava veramente svuotata, spesso dormiva o rimaneva sdraiata nel letto fissando un punto nel vuoto. Anche quando era presente fisicamente sembrava che con la testa si trovasse altrove.

In Croazia, Slovacchia e Polonia, aveva fatto di tutto per riavere le sue ragazze. Ora che le aveva riportate a casa sane e salve, avrebbe fatto di tutto per riaverle, in un senso completamente diverso. Voleva che le cose tornassero come prima che accadesse tutto ciò.

Nella sala da pranzo, Maya stava disponendo tre piatti e tre bicchieri di carta attorno al tavolo. La guardò mentre si versava dell'acqua, prendeva una fetta di pizza dalla scatola e ne mordeva la punta.

Mentre masticava, lui le chiese: “Allora. Non credi sia il momento di tornare a scuola? ”

La sua mascella continuava a muoversi mentre lo guardava fisso. "Non credo di essere ancora pronta", rispose dopo un momento.

Reid annuì come se fosse d'accordo, sebbene pensasse che quattro settimane di vacanza fossero moltissimo e che un ritorno alle vecchie abitudini non avrebbe fatto altro che aiutarle. Nessuna delle due era tornata a scuola dopo l'incidente; Sara chiaramente non era pronta, ma Maya sembrava in grado di riprendere gli studi. Era intelligente, quasi pericolosamente intelligente; anche mentre era alle superiori, aveva frequentato alcuni corsi a Georgetown. Sarebbero andati particolarmente bene per una domanda di ammissione al college, e le avrebbero dato un vantaggio per la laurea - ma solo se li avesse completati.

Andava in biblioteca alcune volte a settimana per le sue sessioni di studio, e questo era un inizio. La sua intenzione era di tentare gli esami finali, in modo tale da non perdere l'anno. Ma per quanto Reid confidasse nella sua intelligenza, dubitava che questo sarebbe bastato.

Scegliendo attentamente le parole, osservò: "Mancano meno di due mesi alla fine delle lezioni, ma credo che tu sia abbastanza intelligente da recuperare se ritorni".

"Hai ragione", disse mentre strappava un altro boccone di pizza. "Sono abbastanza intelligente".

Lui la guardò di sbieco. "Non intendevo questo, Maya..."

"Oh, ciao topolina", disse lei all'improvviso.

Reid alzò lo sguardo sorpresa mentre Sara entrava nella sala da pranzo. Il suo sguardo era fisso sul pavimento mentre si avvicinava a una sedia come uno scoiattolo timido. Voleva dire qualcosa, offrire alcune parole di incoraggiamento o semplicemente dirle che era contento che avesse deciso di unirsi a loro, ma si trattenne. Era la prima volta in almeno due settimane, forse di più, che era venuta a cena.

Maya mise una fetta di pizza su un piatto e la porse a sua sorella. Sara diede un piccolo morso, quasi invisibile, alla punta, senza incrociare lo sguardo di nessuno dei due.

La mente di Reid cercava disperatamente qualcosa da dire, qualcosa che potesse far sembrare quel momento una normale cena di famiglia e non un momento teso, silenzioso e pieno di disagio.

"È successo qualcosa di interessante oggi?" disse infine, maledicendo subito mentalmente il suo goffo tentativo.

Sara scosse leggermente la testa, fissando la tovaglia.

"Io ho visto un documentario sui pinguini", lo aiutò Maya.

"Hai imparato qualcosa di interessante?" chiese lui.

“Non proprio”.

Il silenzio e la tensione tornarono a riempire la stanza.

Dì qualcosa di significativo, pensava tra sé e sé. Dai loro una mano. Fai loro sapere che possono parlarti di quello che è successo. Siete sopravvissuti a un trauma. Superatelo insieme.

"Sentite", disse. “So che questo periodo non è stato facile. Ma voglio che sappiate che possiamo parlare di quello che è successo. Potete farmi domande. Io risponderò onestamente".

"Papà..." Maya lo interruppe, ma lui la fermò con un gesto della mano.

"Per favore, è importante per me", disse. “Sono qui per voi, e lo sarò sempre. Siamo sopravvissuti insieme, tutti e tre, e questo dimostra che non c'è nulla che ci possa separare... "

Si interruppe, il suo cuore si spezzò di nuovo nel vedere Sara in lacrime. Lei continuava a fissare il tavolo tenendo lo sguardo basso mentre piangeva, senza dire nulla, con un'espressione assente che sembrava suggerire che si trovasse altrove mentalmente.

 

"Tesoro, mi dispiace". Reid si alzò per abbracciarla, ma Maya lo anticipò. Abbracciò sua sorella, mentre Sara singhiozzava nella sua spalla. Reid non poteva fare altro che rimanere fermo, goffamente, a guardare. Nessuna parola di empatia o comprensione gli uscì dalla bocca; qualsiasi cosa avesse detto avrebbe avuto l'efficacia di un cerotto su un foro di proiettile.

Maya prese un tovagliolo dal tavolo e asciugò delicatamente le guance di sua sorella, scostandole i capelli biondi dalla fronte. "Ehi," disse in un sussurro. “Perché non vai di sopra e ti riposi un po'? Tra poco ti raggiungo".

Sara annuì e tirò su con il naso. Si alzò senza dire una parola e si trascinò fuori dalla sala da pranzo verso le scale.

"Non intendevo turbarla..."

Maya si girò verso di lui con le mani sui fianchi. "Allora perché hai tirato fuori l'argomento?"

"Perché mi ha detto a malapena due parole a riguardo!" Disse Reid sulla difensiva. "Voglio che sappia che può parlarne con me".

"Non vuole parlartene", replicò Maya. "Non vuole parlarne con nessuno!"

“Il dottor Branson ha detto che aprirsi su un trauma passato è terapeutico... "

Maya rise in modo plateale. "E pensi che il dottor Branson abbia mai vissuto qualcosa di simile a quello che Sara ha vissuto?"

Reid fece un respiro, costringendosi a calmarsi e a non ribattere. “Probabilmente no. Ma lui si occupa di agenti della CIA, personale militare, ogni sorta di trauma e disturbo post traumatico... "

"Sara non è un agente della CIA" disse Maya severa. “Non è un membro della Marina né dell'esercito. È una ragazza di quattordici anni". Si passò le dita tra i capelli e sospirò. "Vuoi saperlo? Vuoi parlare di quello che è successo? Ti accontento io: abbiamo visto il cadavere senza vita del signor Thompson prima di essere rapite. Giaceva proprio lì nell'atrio. Abbiamo visto quel maniaco tagliare la gola alla donna all'autogrill. Il suo sangue ha raggiunto le mie scarpe. Eravamo lì quando i trafficanti hanno sparato a un'altra ragazza e hanno abbandonato il suo corpo sulla ghiaia. Stava cercando di aiutarmi a liberare Sara. Io sono stata drogata. Entrambe siamo state quasi violentate. E Sara in qualche modo ha trovato la forza di combattere due uomini adulti, uno dei quali aveva una pistola, e si è buttata fuori dal finestrino di un treno in corsa". Quando ebbe finito, Maya era visibilmente scossa, ma non piangeva.

Riparlare degli eventi del mese scorso non la turbava. Era arrabbiata.

Reid si abbandonò lentamente su una sedia. Aveva già scoperto la maggior parte di ciò che gli aveva detto seguendo la pista per trovare le ragazze, ma non aveva idea che un'altra ragazza fosse stata uccisa davanti a loro. Maya aveva ragione; Sara non era stata addestrata per affrontare situazioni del genere. Non era nemmeno adulta. Era un'adolescente che aveva vissuto delle cose che chiunque, addestrato o meno, avrebbe trovato traumatizzanti.

“Quando ti sei presentato”, continuò Maya, abbassando la voce, “quando sei venuto a salvarci, era come se fossi un supereroe o qualcosa del genere. All'inizio. Ma poi ... quando abbiamo avuto un po' di tempo per pensarci ... ci siamo rese conto che non sappiamo cos'altro ci nascondi. Non siamo sicure di chi tu sia veramente. Sai quanto questa cosa ci spaventi?"

"Maya", disse dolcemente, "non dovrete mai avere paura di me..."

"Hai ucciso delle persone". Ribatté alzando le spalle. “Molte persone. Giusto?"

"Io..." Reid dovette ricordarsi di non mentirle. Aveva promesso che non lo avrebbe più fatto, se poteva evitarlo. Quindi annuì.

Allora non sei la persona che pensavamo fossi. Ci vorrà del tempo perché ci abituiamo. Devi accettarlo".

"Continui a dire 'noi'" mormorò Reid. "Lei parla con te?"

"Sì. A volte. Dorme nel mio letto da circa una settimana. Ha gli incubi".

Reid sospirò pieno di dolore. Il periodo felice, senza pensieri di cui la famiglia aveva goduto per un po' era terminato. Si rese conto ora che le cose erano cambiate per tutti loro, forse per sempre.

"Non so cosa fare", ammise. “Voglio esserci per lei, per voi due. Voglio offrirvi il mio supporto quando ne avete bisogno. Ma non posso farlo se non mi dite cosa succede nella vostra testa". Alzò gli occhi su Maya e aggiunse: “Ti ha sempre vista come un esempio. Forse puoi aiutarla in questo momento. Penso che tornare alla routine di tutti i giorni, vivere una vita normale, farebbe bene ad entrambe. Almeno finisci le tue lezioni a Georgetown. Potrebbero non ammetterti se non ti presenti per un intero semestre".

Maya rimase in silenzio per un istante. Alla fine disse: "Non credo di voler più andare a Georgetown".

Reid si accigliò. Georgetown era il college che voleva frequentare da quando si erano trasferiti in Virginia. "E dove vorresti andare? A New York?”

Lei scosse la testa. "No. Voglio andare a West Point".

"West Point", ripeté Raid inespressivo, completamente sconvolto dalle sue parole. "Vuoi andare a un'accademia militare?"

"Sì", rispose. "Voglio diventare un agente della CIA".

CAPITOLO QUATTRO

Reid esitò. Era certo di averla sentita bene, ma la combinazione di parole che era uscita dalla bocca di Maya non aveva senso per lui.

Mi sta prendendo in giro, pensò. Si aspettava una discussione ma non l'ho assecondata. È solamente una ripicca. Deve esserlo.

"Tu... vuoi diventare un agente della CIA", ripeté lentamente.

"Sì" disse Maya. “Più specificamente, voglio frequentare la National Intelligence University di Bethesda. Ma per farlo, dovrei prima essere un membro delle forze armate. Se andassi a West Point invece di arruolarmi, potrei diplomarmi come secondo luogotenente e sarei idonea a frequentare la NIU. Lì posso fare un master in intelligenza strategica e a quel punto avrò più di ventuno anni, quindi potrei iscrivermi al programma di addestramento sul campo dell'agenzia".

Le gambe di Reid non lo sorreggevano più. Non solo era ovvio che stesse parlando seriamente, ma aveva già fatto alcune ricerche approfondite per capire come fosse meglio muoversi per formarsi in quel campo.

Ma non avrebbe mai permesso a sua figlia di scegliere quella strada.

"No", disse semplicemente. Sembrava che non gli uscissero altre parole. "No. Proprio no. Questo non accadrà".

Maya inarcò le sopracciglia. “Come scusa?” disse lei bruscamente.

Reid fece un respiro profondo. Era testarda, quindi non sarebbe stato facile proibirglielo. Ma la sua risposta fu un inequivocabile ed enfatico "no". Non dopo tutto ciò che aveva visto e tutto ciò che aveva fatto.

"Non è passato tanto tempo da ... dall'incidente", disse lui. “È ancora un'esperienza fresca nella tua memoria. Prima di prendere una decisione come questa, è necessario rifletterci bene. Finisci le tue lezioni. Prendi il diploma di scuola superiore. Iscriviti a un college. In futuro potremo riparlarne". Lui sorrise.

Maya no. "Non puoi controllare mia vita in questo modo", disse lei nervosa.

"A dire il vero, posso" ribatté Reid. Anche lui si stava irritando. "Sei ancora minorenne".

"Non per molto", rispose lei. “Lascia che ti dica cosa succederà. Non finirò quelle lezioni a Georgetown. Anzi, non tornerò a scuola fino a settembre. Abbandonerò il semestre e dovrò frequentare di nuovo tutti i corsi. Avrò diciassette anni il mese prossimo, il che significa che quando mi diplomerò ne avrò diciotto. E poi non potrai più dirmi dove posso andare o cosa posso fare". Incrociò le braccia per esternare la sua risolutezza.

Reid si grattò il naso. “Non puoi semplicemente saltare tre mesi di scuola. E tutte queste sessioni di studio? Tutto quell'impegno andrebbe sprecato".

"Non ho fatto alcuna sessione di studio", ammise lei.

Lui la guardò severo. “Quindi mi hai mentito? Dopo tutto quello che è successo?" chiese sgomento. "Allora dove sei stata?"

"Quando te ne vai, vado al centro ricreativo", gli disse semplicemente. “Fanno un corso di autodifesa alcune volte a settimana. Lo tiene un ex membro della Marina. Ho anche studiato alcune tattiche di spionaggio e controspionaggio".

Lui scosse la testa. "Non ci posso credere". Pensavo che non avremmo avuto più segreti". Proprio mentre lo diceva, un ricordo doloroso balenò nella sua mente: l'omicidio di Kate, la verità sulla loro madre. Non aveva ancora detto loro la verità, nonostante la sua promessa a se stesso di smetterla con le bugie e i segreti. Mantenere quel segreto lo uccideva, ma subito dopo l'incidente non era il momento di rivelare qualcosa di così orribile. Ora, quattro settimane dopo, aveva paura che fosse troppo tardi e che si sarebbero arrabbiate con lui per averglielo tenuto nascosto per così tanto tempo.

"Sapevo che avresti reagito in questo modo", ha detto Maya. “Ecco perché non ti ho detto la verità. Ma te la sto dicendo ora. Questo è quello che voglio fare. Questo è quello che farò".

"Quando avevi sette anni volevi diventare una ballerina", le disse Reid. "Ti ricordi? A dieci anni volevi diventare veterinario. A tredici anni volevi diventare un avvocato, tutto perché abbiamo visto un film su un processo per omicidio... ”

"Non farmi la predica!" Maya si alzò in piedi, con un dito puntato all'altezza del suo viso e uno sguardo di fuoco.

Reid si appoggiò allo schienale, scioccato. Non riusciva nemmeno ad essere arrabbiato con lei, tanto era sorpreso dalla forza della sua reazione.

"Questo non è il sogno irrealizzabile di una bambina" disse rapidamente, con voce bassa. "Questo è quello che voglio. Adesso lo so”. Proprio come so cosa tiene sveglia Sara di notte. Ha degli incubi sulla sua esperienza, su ciò che ha vissuto. Su ciò a cui è sopravvissuta. Ma non è la stessa cosa che sconvolge me. Ciò che mi tiene sveglia è sapere che tutto ciò accade ancora, in questo preciso momento. Quello che ho visto e quello che ho passato è la quotidianità per qualcuno. Mentre sono nel mio letto caldo, o mangio la pizza, o vado a lezione, ci sono donne e bambini là fuori che vivono così ogni giorno, fino a quando non moriranno".

Maya appoggiò un piede sulla sedia e tirò su la gamba dei suoi pantaloni del pigiama fino al ginocchio. Là sul suo polpaccio c'erano delle sottili cicatrici marrone rossiccio che formavano tre parole: ROSSO. 23. POLA. Era il messaggio che si era incisa sulla gamba poco prima che su di lei facessero effetto le droghe dei trafficanti; il messaggio che avrebbe fornito l'indizio su dove avevano portato Sara.

"Possiamo far finta che questa sia solo una parola, se vuoi," insistette Maya. “Ma queste cicatrici non andranno più via. Le porterò con me per il resto della mia vita e ogni volta che le vedrò mi ricorderò che ciò che è successo a me continua a succedere ad altre persone. Ho capito che quello che voglio è che tutto ciò non accada più a nessuno, il modo migliore per farlo è far parte delle persone che cercano di fermarlo". Detto questo, riabbassò il pigiama.

Reid sentì la sua gola seccarsi. Non trovava argomenti per controbattere al suo discorso. Gli tornò in mente una frase che Maria gli aveva detto una volta: non puoi salvare tutti. Ma avrebbe potuto evitare che sua figlia vivesse quel tipo di vita che aveva vissuto lui. "Mi dispiace", disse alla fine. “Ma non importa quanto siano nobili le tue intenzioni, non posso supportarti in questo. E non lo farò".

"Non ho bisogno del tuo supporto" ribatté Maya. "Ho solo pensato che dovessi conoscere la verità". Si precipitò fuori dalla sala da pranzo, pestando forte i piedi nudi sui gradini salendo le scale. Dopodiché si chiuse in camera sua sbattendo la porta.

Reid si accasciò sulla sedia e sospirò. La pizza era fredda. Una delle due figlie era traumatizzata al punto da chiudersi nel silenzio, e l'altra era determinata ad affrontare il male del mondo. Lo psicologo, il dottor Branson, gli aveva detto di essere paziente con Sara; aveva detto che il tempo avrebbe guarito ogni cosa, ma lui, insistendo sul portare a galla il problema, aveva peggiorato le cose. Inoltre, l'intenzione di Maya di unirsi alla CIA era l'ultima cosa che si aspettava di sentire.

In un certo senso, ammirava la sua capacità di incanalare il trauma che aveva vissuto in una causa nobile. Ma semplicemente non poteva essere d'accordo con i mezzi che aveva scelto. Ripensò a tutto ciò che aveva visto e alla ferite che aveva riportato. Le cose che aveva dovuto fare e le minacce che aveva dovuto sfidare. Le persone che aveva aiutato, e tutte quelle che aveva abbandonato ferite o morte nel percorso.

 

All'improvviso Reid si rese conto di non avere idea di cosa lo avesse spinto a unirsi alla CIA. Le sue motivazioni si erano perse nel tempo, spinte nei recessi più oscuri della sua mente dal soppressore della memoria sperimentale. Era possibile che non avrebbe più ricordato perché era diventato l'agente della CIA Kent Steele.

Sai che non è vero, si disse. Ci deve essere un modo.

*

Lo studio di Reid era al secondo piano della casa, era una piccola camera da letto che aveva arredato con la sua scrivania, degli scaffali e una impressionante collezione di libri. Avrebbe dovuto preparare la sua lezione per lunedì sulla Riforma protestante e la guerra dei Trent'anni. L'impiego come professore a contratto di storia europea presso la Georgetown University non era molto di più che un lavoro part-time, ma Reid era affezionato all'insegnamento. Rappresentava un ritorno alla normalità, proprio quello che voleva anche per le sue ragazze. Ma quel compito avrebbe dovuto aspettare.

Invece, Reid posò con reverenza un disco scuro in un vecchio giradischi e abbassò la puntina. Chiuse gli occhi quando iniziò il Concerto per pianoforte n. 21 di Mozart, lento e melodico, come un disgelo primaverile dopo il lungo congelamento invernale. Sorrise. L'apparecchio aveva più di settantacinque anni ma funzionava perfettamente. Kate glielo aveva regalato in occasione del loro quinto anniversario di matrimonio; aveva trovato il giradischi sgangherato in un mercato delle pulci a circa sei dollari, e poi ne aveva pagati più di duecento per farlo ristrutturare fino a riportarlo quasi al suo antico splendore.

Kate. Il suo sorriso sbiadì in una smorfia di dolore.

Sei nel sito nero del Marocco, soprannominato Hell-Six. Stai interrogando un noto terrorista.

C'è una chiamata per te. È il vicedirettore Cartwright. Il tuo capo.

Lui non fa giri di parole. Tua moglie, Kate, è stata uccisa.

È successo mentre lasciava il lavoro e stava camminando verso la sua macchina. A Kate era stata somministrata una potente dose di tetrodotossina, nota anche come TTX, un potente veleno che causava un'improvvisa paralisi del diaframma. Era soffocata per strada ed era morta in meno di un minuto.

Nelle settimane dall'Est Europa, Reid aveva ripensato a quei momenti molte volte, o meglio, quei momenti si erano fatti strada nella sua memoria quando meno se lo aspettava. Tutto gli ricordava Kate, dai mobili del loro salotto al suo profumo che Reid percepiva ancora sul suo cuscino; dal colore degli occhi di Sara al mento affusolato di Maya. Era dappertutto... così come la bugia che aveva raccontato alle sue ragazze.

Aveva provato diverse volte a ricordare di più, ma in realtà non era sicuro di sapere altro. Dopo l'omicidio di sua moglie, Kent Steele si era scatenato come una pericolosa furia in Europa e in Medio Oriente, uccidendo dozzine di persone associate all'organizzazione terroristica Amun. Poi gli venne installato il soppressore della memoria e i successivi due anni furono di totale inconsapevolezza.

Reid si diresse all'armadio, nell'angolo più remoto della stanza. Dentro c'era una piccola sacca da viaggio nera, quella che gli agenti della CIA chiamavano borsa di sopravvivenza. In tutto ciò di cui un agente avrebbe avuto bisogno per scomparire per un periodo di tempo indeterminato, qualora la situazione lo richiedesse. Questa borsa particolare apparteneva al suo ex migliore amico, l'ormai defunto agente Alan Reidigger. Reid aveva pochi ricordi di quell'uomo, ma ricordava abbastanza per sapere che Reidigger lo aveva aiutato in un momento di bisogno e che aveva pagato quel gesto con la vita.

Cosa ancora più importante, nella borsa c'era una lettera. La estrasse, maneggiando delicatamente quel pezzo di carta rovinato dal tempo e dalle numerose riletture.

Caro Zero, recitava la lettera come una profezia. Se stai leggendo questa lettera, probabilmente sono morto.

Saltò un paio di paragrafi.

La CIA voleva reclutarti, ma tu non volevi. Non era solo a causa del tuo percorso di guerra. C'era qualcos'altro, qualcosa che stavi per scoprire - ed eri troppo vicino allo scoprirlo. Non posso dirti cos'era perché nemmeno io lo so. Non me lo hai voluto dire, quindi deve essere stato qualcosa di molto grave.

Reid credeva di sapere a cosa si riferisse Reidigger: la cospirazione. Un breve lampo di memoria che aveva recuperato mentre dava la caccia all'Imam Khalil e cercava di bloccare virus del vaiolo gli aveva mostrato che sapeva qualcosa prima che il soppressore gli fosse impiantato in testa.

Chiuse gli occhi e si sforzò di ricordare:

Un sito nero della CIA in Marocco. Denominata H-6, alias Hell Six. Un interrogatorio. Strappi le unghie a un arabo per avere informazioni su dove si trova un costruttore di bombe.

Tra le sue urla, i pianti e lui che cerca di convincerti di non avere quelle informazioni, emerge qualcos'altro: una guerra in corso. Qualcosa di grosso. Una cospirazione, progettata dal governo degli Stati Uniti.

Non gli credi. All'inizio non gli credi. Ma non puoi semplicemente lasciar correre.

All'epoca sapeva qualcosa. Come un puzzle, aveva iniziato a metterlo insieme. Poi era successo il caso Amun. Kate era stata uccisa. Si distrasse e sebbene avesse giurato di tornare sul caso, non ne ebbe mai l'occasione.

Continuò a leggere la lettera di Alan:

Qualunque cosa fosse, è ancora lì, rinchiusa nel tuo cervello da qualche parte. Se mai ne dovessi avere bisogno, c'è un modo per recuperarla. Il neurochirurgo che ti ha fatto l'operazione si chiama Dr. Guyer. Esercitava a Zurigo. Potrebbe riportare tutto alla memoria, se lo desideri. Oppure potrebbe reprimere nuovamente ogni ricordo della tua mente, se tu lo volessi. La scelta è tua. Addio, Zero. - Alan

Reid non riusciva a ricordare quante volte si era seduto davanti al computer o al telefono e cercò di motivare le dita a digitare il nome del dottor Guyer in una barra di ricerca. Il suo desiderio di riavere la sua memoria, o meglio, la sua necessità di riaverla, stava diventando sempre più intensa con il passare delle settimane, al punto che era urgente che sapesse quanto non sapeva. Aveva bisogno di ricordare il proprio passato.

Ma non posso lasciare le mie ragazze. Dopo l'incidente, non poteva assolutamente partire e andare in Svizzera. Avrebbe avuto infinite preoccupazioni riguardo alla loro sicurezza, anche con gli impianti di localizzazione. Anche se l'agente Strickland avesse vegliato su di loro. Inoltre, cosa avrebbero pensato? Maya non avrebbe mai creduto che si trattasse di una visita medica. Avrebbe pensato che sarebbe tornato di nuovo sul campo.

Allora portale con te. Il pensiero gli entrò in testa così facilmente che quasi rise di se stesso per non averci pensato prima. Altrettanto rapidamente, tuttavia, pensò alle difficoltà del caso. E il suo lavoro? E le sessioni di terapia di Sara? Non aveva appena cercato di convincere Maya a tornare a scuola?

Non pensarci troppo, si disse. La soluzione più semplice non è di solito quella giusta? Sembrava che nulla fino a quel momento fosse riuscito a riportare Sara alla realtà, e Maya sembrava intenzionata a essere testarda, come al solito.

Reid spinse di nuovo la borsa di emergenza di Reidigger nell'armadio e si rimise in piedi. Prima che potesse convincersi a cambiare idea, si avviò lungo il corridoio verso la stanza di Maya e bussò rapidamente alla sua porta.

Lei aprì e incrociò le braccia, chiaramente ancora arrabbiata con lui. "Cosa c'è?"

"Facciamo un viaggio".

Lei sbatté le palpebre. "Cosa?"

"Facciamo un viaggio, noi tre", disse di nuovo, facendosi strada nella camera da letto. “Senti, ho sbagliato a parlare l'incidente. L'ho capito. Sara non ha bisogno di ricordarsene; ha bisogno del contrario". Parlava velocemente, gesticolando con le mani, ma continuò. “Lo scorso mese non ha fatto altro che mentire e soffermarsi su ciò che è accaduto. Forse ciò di cui ha bisogno è una distrazione. Forse ha solo bisogno di vivere delle belle esperienze che le ricordino come può essere bella la vita”.