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Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta

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Sedè il duca a poppa, e Don Michele in piedi avanti a lui: quantunque ora sapesse perchè il suo signore non si curava che il colpo non avesse avuto il suo effetto, volle però narrargli per quali cagioni fosser tornati colle mani vuote, e gli venne raccontato tutto a filo il modo che avevan tenuto, e come assaliti da molti uomini s'eran difesi a stento ed era loro stata ritolta la donna.

– Ad uno però di costoro è andata male – soggiungeva accennando dietro di sè verso Pietraccio, il quale, come vedemmo, colto sul capo con un remo, e caduto stordito nella barca v'era rimasto prigione. A quell'ora risentitosi stava seduto a due braccia dal duca; e gli uomini suoi credendolo più morto che vivo, nell'impossibilità del resto di fuggir loro dalle mani, lo lasciavano stare.

– Questo mascalzone – seguitava Don Michele – c'è saltato in barca come una furia, ma qui il Rosso gli ha appoggiata una nespola sull'orecchio, che l'ha messo a giacere: lo credevo morto, ma vedo che va riprendendo spirito. —

Nel racconto di Don Michele eran corse parole delle quali Pietraccio s'era accorto d'essere innanzi a chi egli invano quella sera era andato cercando. Il Valentino s'avvide che il ferito lo guardava in cagnesco, e con un viso stralunato che gli facea dubitare stesse macchinando qualche cosa a suo danno, ed era per ordinare fosse buttato a' pesci. Don Michele poi che, se si ricorda il lettore, aveva ascoltate nella prigione di Sant'Orsola le ultime parole della madre dell'assassino, e le raccomandazioni perchè cercasse di vendicarsi di Cesare Borgia, conobbe anch'esso osservandolo sott'occhio che stava per tentare qualche atto disperato. Il sicario del duca, quantunque lo servisse perchè col suo appoggio faceva gran guadagno, non ostante avrebbe goduto se, senza scoprirsi e senza che sembrasse averne egli la colpa, gli fosse riuscito di fargli scontare un'antica ingiuria. Sarà facile al lettore l'immaginare qual fosse l'animo suo verso il suo signore allorchè sappia che la donna morta nei fondamenti della torre sotto gli occhi di Don Michele era sua moglie.

Quando, in conseguenza dell'incontro di Fieramosca coi compagni, s'era trovato aver Pietraccio in poter suo, aveva messo insieme in fretta alcune idee, e come abbozzato un progetto di farlo servire a vendicarsi del suo signore; ma in così poco tempo non gli era venuto fatto di stabilire il modo; e senza aver nulla di fermo, pensava soltanto a coglier l'occasione se si presentasse, ed a questo punto vedeva avviarsi la cosa a seconda dei suoi disegni. Di fatti alle ultime parole di Don Michele succedette un momento di silenzio, che bastò al giovane per eseguire un disperato proposito. S'alzò dal luogo ove stava, e passando accanto a Don Michele, il quale fece le viste d'averlo voluto trattenere e che gli fosse sfuggito di mano, si scagliò addosso al Valentino come una bestia arrabbiata, pensando valersi dell'ugne e dei denti per isbranarlo; ma il duca che era in sospetto si trovò pronto a riceverlo, e Don Michele aveva appena avuto tempo d'afferrar Pietraccio per le spalle, che già gli cadeva morto di mano, trafitto dal pugnaletto che portava il duca alla cintura, e che aveva saputo in quel momento usare con incredibil prestezza.

La cosa era succeduta in modo tanto istantaneo che i remiganti si volsero al rumore quando già tutto era finito, e, rimasti così sospesi, videro il Valentino che, rimettendo la daghetta nel fodero e spingendo col piede il cadavere ancor palpitante, ordinava che fosse buttato in mare.

– Pazzo, ribaldo! – sclamava Don Michele mostrandosi affannato pel pericolo corso dal duca: – eppure nessuno mi leverà dal capo non fosse costui altr'uomo da quel che mostrava… Lo trovai son pochi giorni nel fondo della torre qui del monastero, rinchiusovi con sua madre, ed eran stati presi ambedue dalla corte con una masnada d'assassini: la madre rimase morta per certe ferite che avea toccate nel difendersi, e prima di render lo spirito, diede al figlio una collana dicendogli non so che novella… ora sì mi ricordo… dicendogli, che l'avea avuta da un suo innamorato a Pisa… Eppure… aspetta, Rosso, prima di buttarlo a mare, voglio vedere se ancora l'ha al collo. L'oro, se non altro, è meglio non vada in bocca ai pesci. —

In così dire sfibbiato il giubbone davanti al giovane trovò la catena, e recatasela in mano la faceva vedere al duca che si mostrava tutto attento alle sue parole.

Non potè il Valentino esser tanto uguale a sè stesso da dissimulare l'improvviso turbamento che gli cagionò quella vista. Rimase un momento sopra di sè; e le mani, che unite reggevano la gemma pendente dalla collana, gli caddero sulle cosce come avessero perduta ogni forza. Si rimise seduto nel luogo ov'era prima, ordinando la seconda volta con voce tronca si gettasse a mare il cadavere. E volta la testa dall'altra parte conobbe che era stato tosto ubbidito, dal tonfo che udì nell'acqua, e dagli spruzzi che vennero nel battello: ristretta in pugno la catena, scagliolla lontano, e serratosi nel mantello, appoggiato il capo su una mano, ammutolì.

Don Michele, fingendo rispetto pei pensieri che occupavano il duca, si scostò sedendo fra gli uomini che conducevan la barca, e tutti in silenzio vogarono; nè s'udì più per tutto il viaggio che il leggero strepito dell'acqua che stillava da' remi, quando eran alzati sul mare. Lo sgherro del Valentino ebbe una vendetta che nessuno al mondo aveva ottenuto forse mai da quell'uomo; riuscì a ridestargli nel cuore memorie che gli fecero provare certo che di simile al rimorso; a quel rimorso che spogliato d'ogni conforto somiglia alla disperazion dell'inferno. Fu gran vanto per Don Michele, che ne seppe conoscere ed assaporare il pregio. Dopo questi accidenti seguitando il lor viaggio giunsero al legno che li aspettava, e che fece tosto vela per ritornare in Romagna. Ma non terrem dietro altrimenti a questi ribaldi.

CAPITOLO DECIMOSETTIMO.

La partenza di Fieramosca e de' suoi amici dal ballo, osservata da pochi, non ne aveva turbata l'allegrezza: Fanfulla togliendosi dal terrazzo, ove avea trovato Donna Elvira, con prestezza e senz'essere veduto, era andato a deporre le spoglie del suo amico, e, tornato poi a mescolarsi fra quelli che ballavano come non fosse suo fatto, rideva fra sè della burla compita con tanta fortuna, e si moriva di voglia di raccontarla. La figlia di Consalvo andava coll'occhio cercando Ettore fra gente e gente, e non vedendolo in nessun lato, non sapeva indovinare per qual cagione volesse ora celarsi da lei.

Passata così quasi un'ora, furon veduti entrare Brancaleone ed Inigo, e domandaron di Consalvo ai primi che ebbero innanzi. Fu loro accennato verso un angolo della sala, ove stava in crocchio con alcuni de' baroni francesi. Accostatisi a lui lo trassero in disparte: gli raccontarono la novità che era nata, e come sapevan che il Valentino era nella rocca, e per suo volere s'era fatto quel disordine; lo pregavano volesse dir loro come s'avessero a governare. Consalvo che lo teneva capace di tali assassinamenti e di maggiori, se fosse bisognato, rimase sopra di sè un momento, poi disse ai due che lo seguissero; e s'avviò verso le sue stanze. Vide nel moversi Don Garcia, e gli accennò che venisse anch'esso.

Non volle ammettere che il duca fosse nel castello per non rompergli fede; ma riflettendo che quel giorno medesimo avea tolto commiato, dicendogli volersi partir nella notte, gli pareva strano che avesse appunto scelto quell'ultimo momento per far tanto disordine. In ogni modo stabilì di chiarirsi: e fatti prender due lumi, cintasi la spada, s'avviò innanzi per un andito che riusciva su una scaletta a chiocciola, per la quale scesero aprendo due porticelle di ferro che ne chiudevan l'entrata. Rimaneva ad aprir un altr'uscio: si fermò Consalvo, e disse a voce bassa ai suoi che ivi l'aspettassero senza far romore, nè venissero se non chiamati. Poscia aperto, scese nelle camere del duca che trovò deserta, senza lume, e in grande scompiglio; qua una sedia, là una tavola rovesciata, presso al letto la lucerna caduta, e l'olio sparso sul pavimento; le stanze vicine, vuote. Chiamò allora i suoi, e, stato un momento pensando, disse:

– Per serbar fede ad un ribaldo non vorrei correr rischio d'oltraggiar chi è innocente. Sappiate dunque che il duca è stato per molti giorni in questa stanza. Domattina o stanotte voleva partirsi; di più non posso dirvi, poichè non so altro. Tutti siam persuasi che è capace d'ogni ribalderia, anche di questa potrebbe esser esso l'autore. Fate dunque ciò che vi par meglio, inseguitelo, se volete, ve ne do piena licenza; e voi, Don Diego, prestate loro tutto quell'ajuto che si potrà.

Ad Inigo venne tosto l'idea d'affacciarsi per veder se si scorgesse ancora in mare qualche legno che potesse esser quello; ma a traverso i vetri non riuscendo a scorger nulla, per non perder tempo a sferrar que' gran finestroni, corse alla porticella che metteva su quel poco di lido sopraddetto e ch'egli conosceva avendo in pratica tutta la rocca, ed uscito vide la barchetta e nel fondo stesa una giovane che non conosceva, ma tosto pensò potesse esser Ginevra.

Chiamati a furia i compagni, rimasero tutti senza saper che pensare, vista costei così abbandonata ed in un tal luogo. Con quanta cura poterono, la portarono sul letto del duca che trovato tutto sottosopra, fu da loro rassettato alla meglio, e Consalvo, commiserando quella meschina che appariva tutta pesta, graffiata in viso, coi capelli stracciati, non senza alcuna macchia di sangue, risalì frettoloso per commetterla alla cura di qualche donna: nè volendo propalar la cosa per allora, al bujo com'era di tutto quel fatto, pensò fidarsi di Vittoria Colonna, la cui matura prudenza gli era ben conosciuta. Giunto nelle sale del ballo, e trovata la figlia di Fabrizio, la condusse chetamente al letto di Ginevra, narrandole per istrada ciò ch'era avvenuto, e quanto fosse d'uopo in quel frangente de' suoi conforti per la sventurata che non conoscevano. Il cuore animoso di Vittoria Colonna ne accettò con premura e gratitudine il carico; e quando fu giunta al letto della giovane, e l'ebbe fissata in volto un momento, si diede ad assettarle il letto, dispose meglio i guanciali, ed adagiovvela in modo più comodo, con quella sollecita e sagace pietà di cui la Provvidenza ha dotate specialmente le donne, istituendole quasi dispensatrici delle sue consolazioni agli afflitti.

 

Lo stato di Ginevra era una specie di letargo nel quale l'avean fatta cadere i tanti suoi patimenti, una prostrazione totale di tutte le forze; non si poteva dir fuori dei sensi, nè in sè; stava dove la si metteva: se le si moveva un braccio, od il capo lasciava fare, e pareva non se ne accorgesse; avea gli occhi aperti naturalmente, ma spenti affatto, e li volgeva intorno senza sguardo. S'accorse Vittoria che questo stato, quanto meno pareva violento, tanto più metteva sospetto; conobbe che non era tempo da perdere, perciò, licenziati gli uomini, fece venire alcune sue donne che arrecarono spiriti e cordiali, e con questi riuscirono in breve tempo a ridestar in Ginevra la vita che pareva presso ad estinguersi.

Il primo segno che diede d'aver ripreso l'uso delle sue facoltà, fu guardarsi un momento attorno spaventata, e poi gettarsi con impeto giù dal letto per tentar di fuggire; ma la sua debolezza era tanta, che sarebbe caduta in terra, se le braccia di Vittoria non l'avessero raccolta, e con misurata violenza riposta sul letto.

– Oh Dio! – disse allora Ginevra – Siete anche voi d'accordo? Mi sembrate pure gentil donna; siete giovane e bella, e neppur voi avrete pietà di me?

– Anzi, – rispose Vittoria, prendendole le mani, e ponendovi su le labbra: – noi e quanti sono in questa rocca siam qui in vostro servigio, e per aiutarvi e difendervi; e quietatevi per amor del Cielo, che non dovete più temer di nessuno.

– Ebbene dunque, se è così – disse Ginevra buttando di nuovo i piedi giù dal letto – lasciatemi, lasciatemi andare. —

Vittoria credendo che questa voglia di fuggire nascesse da vacillazione di mente, vedendola poi così debole e tanto sfigurata, voleva persuaderla colle buone ad aver pazienza per qualche momento; ma l'abborrimento per quel luogo era divenuto per colei una smania che gli ostacoli vieppiù accendevano: onde seguitava a far forza, e diceva piangendo:

– Madonna! per amor di Dio e della Vergine santissima non vi domando altro che di esser levata da questo letto, buttatemi in mare, nel fuoco, ma levatemi da questo letto. Già sarà poco il disagio che vi darò… un sorso d'acqua… chè mi sento ardere le viscere… e fate che io possa parlar quattro parole con Fra Mariano qui di San Domenico… ma andiamo via… lasciatemi andare… —

E in così dire s'alzò dal letto, non opponendovisi più Vittoria, che vedeva il suo volere tanto deciso; e non senza grande stento, essa e le sue donne la portarono quasi di peso su per la scaletta e l'allogarono in una cameruccia fuor di mano, ove Consalvo avea fatto rizzare un po' di letticciuolo, e quivi, spogliati i panni ed entratavi, diede un sospiro e disse:

– Signora, Dio vede tutto, e vede se in cuore lo prego di pagarvi del bene che mi fate. Vergine, vi ringrazio! E voi, signora, la quale siete cagione che almeno io non morrò disperata… solo vi prego d'affrettarvi, e mandar per Fra Mariano… Dite, che ora è? è giorno o sera? non so più in che mondo mi sia.

– Son le cinque ore di notte – rispose Vittoria – e si manderà per Fra Mariano; ma lo sgomento che avete addosso vi fa temer più del dovere: quietatevi, state in riposo, cara la mia giovine, qui siete in luogo sicuro; io non vi lascio…

– Oh no, non mi lasciate! Se sapeste che refrigerio al cuore mi danno quei vostri occhi pietosi quando mi guardano! Sedete qui sul mio lettuccio: ecco, mi tiro un po' verso il muro… no, no, non abbiate timore di darmi noja, anzi così sto meglio… – E rimasta qualche momento come balorda, le prendeva un brivido di raccapriccio, e diceva quasi fuori di sè: – Se sapeste che orrore! esser sotterrata viva… esser affogata sotto un monte di cadaveri! vedersi addosso quei visacci dei morti, pieni di putridume che ridono… Dio! Dio! ancora mi par d'esservi… —

E dicendo queste parole si stringeva addosso la sua protettrice, che a quel suo vaneggiare, conoscendo inutili i discorsi, l'abbracciava e con atti amorosissimi si studiava di racquetarla.

– Oh signora mia! – proseguiva Ginevra nascondendole il capo in seno – non so quel che mi dica: m'accorgo che dico spropositi, ma sono stata troppo, troppo assassinata!.. e non lo meritavo! Che cosa gli avevo fatto perchè mi trattasse così?.. E la vergine Santissima m'aveva promesso di condurmi a salvamento… l'avevo pregata tanto di cuore!.. e poi abbandonarmi?.. È vero, sono stata una sciagurata… ma più infelice che colpevole… oh sì! più infelice assai! Perchè il cuore, lo so io, come me lo sentivo… e quel che ho sofferto non lo sa altri che io…

– Sì, cara, lo credo – rispondeva Vittoria – ma quietatevi, e non dite che la Vergine v'abbia abbandonata: non vedete che m'ha mandata per asciugarvi le lagrime e ristorarvi dei vostri affanni? Ecco ch'io sto qui con voi: non vi lascio; e se ciò vi basta, non dubitate che v'abbandoni. Ma se il vostro caso domanda altri ajuti; se s'ha a castigar chi v'ha oltraggiata, se v'è qualche disordine da rimediare, parlate… fidatevi di me… Fabrizio Colonna mio padre… Consalvo… tutti insomma s'offeriscono…

– Ah, signora mia! – interruppe Ginevra – tutto il mondo insieme non potrebbe farmi provar un momento di bene, nè scemar d'una stilla il mio male. In questo mondo tutto è finito… Vi ringrazio però, oh! vi ringrazio, perchè l'ultima consolazione me l'avete fatta provar voi… e perciò non mi dite ingrata se non vi narro i miei casi; ma non è possibile, non si posson raccontare, e se non accetto le vostre proferte… Dio ve ne rimeriti… egli lo può… io non posso che ringraziarvi… e baciarvi queste mani benedette che mi reggeranno il capo nell'ultima ora e mi chiuderanno gli occhi… Promettetemi che non mi lascerete che quando sarò fredda affatto. —

Vittoria voleva allontanar queste idee persuadendola che la sua vita non era in pericolo, ma Ginevra non la lasciava dire.

– No, no, signora mia, è inutile, so quel che è stato, e so come mi sento… non mi negate questo bene, angelo mio benedetto! è vero che non me lo negate?.. Ecco, vedete, del vostro buon volere ne profitto, non potete dirmi nè superba nè ingrata… Dunque me lo promettete?

– Sì, sì, cara, ve lo prometto, se venisse il bisogno.

– Oh! così son più tranquilla: ora fate che venga Fra Mariano, e poi tutto è finito di qua… Datemi ancora un sorso d'acqua, che mi pare d'aver i carboni accesi nel cuore… quel lume se si potesse levarmelo d'innanzi, chè mi abbaglia la vista. Perdonatemi tanto disagio, ma sarà per poco. —

Vittoria, prestatile questi piccoli servigi, si ripose seduta sul tettuccio, e dopo non molto, Inigo, che era andato a far alzare Fra Mariano, s'affacciò sull'uscio domandando se poteva farlo entrare. – Venga, venga – disse Ginevra.

Comparve sulla porta un frate d'alta statura, la cui sembianza pallida e modesta era mezzo adombrata sotto il cappuccio; s'appressò al letto dicendo: – Cristo vi guardi, signora. – Usciron gli altri, e rimase solo con lei.

La presenza di questo religioso, i suoi modi pieni di quella carità ardente che nasce dal conoscere quanto sia divina ed augusta la missione di sollevar l'uomo nelle sue miserie, indicavano a prima vista che da gran tempo tutti gli affetti, tutti i fini mondani gli stavano sotto i piedi.

La sua storia era una specie di mistero per gli abitanti di Barletta, e per gli stessi religiosi del convento di San Domenico, nel quale senza occupar nessuna carica dell'Ordine, viveva circondato da una sorta di riverenza, che nasceva dall'esempio delle sue virtù, dal suo sapere, e dalla persuasione ch'egli era vittima d'una persecuzione religiosa. Si bisbigliava che fosse stato al secolo uno de' primi cittadini di Firenze, della setta così detta de' Piagnoni, della quale era capo Fra Girolamo Savonarola; che, vinto dalle parole di quel terribile predicatore, avesse abbandonato il mondo e preso dalle sue mani l'abito domenicano in San Marco. A questi fatti, che ognun teneva per veri, si frammischiavan voci più incerte: che egli avesse, per darsi a Dio, rotti legami di cuore… si diceva che quel repentino cambiamento fosse stato cagione di gravi scandali, di sdegni, di vendette per parte della donna abbandonata, per la cui opera, avvolto nella persecuzione suscitata contra il frate dalla corte di Roma, dopo la morte del medesimo a stento si fosse sottratto per cura de' suoi superiori che l'avean fatto fuggire travestito, e mandato sotto altro nome nel convento di Barletta, ove, per essere luogo poco frequentato e fuor di mano, se ne vivea sconosciuto.

Queste eran le voci che correvan sul conto suo. Ma la malevoglienza più oculata avrebbe invano cercato del resto di macchiar la sua fama. Le severe dottrine del Savonarola avean trovato il suo cuore come una terra preparata a riceverne il seme, ed ajutate dalla sua natura, pronta a sacrificar tutto alla verità, avean portato frutti di carità e di zelo ardentissimo.

Il rogo, sul quale il suo maestro era stato ridotto in cenere, aveva per così dire consumato insieme tutto il suo partito; lo spavento della vendetta papale avea fatto tacer quelli che detestavan gli abusi della corte romana. Fra Mariano viveva tranquillo nel suo ritiro, dacchè Dio non l'aveva fatto degno di morir per la verità; contento di non dover essere spettatore inoperoso di mali, contra i quali non gli era permesso d'alzar la voce.

Sedutosi al capezzale della giovane, la benedisse, domandandole se volea confessarsi.

– Oh sì! Padre – rispose Ginevra – non ho altro desiderio al mondo; e se non avessi sentito mancarmi le forze e la vita, non v'avrei dato tanto disagio a quest'ora, ma per me poco più ve n'è: perciò non perdiamo tempo, e fate ch'io muoja nella grazia del mio Signor Iddio e della Santa Chiesa romana.

– La vita e la morte son nelle mani di Dio – rispose Fra Mariano – e sarà quel ch'egli vorrà: fate dal canto vostro il potere, nè dubitate che vi manchi il suo ajuto. —

E fatto il segno di croce, dopo le preci che s'usano, disse alla donna: – Or dite su. —

Per aprire affatto il suo cuore sin nel più interno, le fu mestieri raccontare dal principio la storia della sua vita, il malaugurato matrimonio, la morte supposta, l'errare che avea fatto di terra in terra. Il suo dire era interrotto spesso dallo sfinimento, e in parte mal connesso, perchè mal le reggeva il cervello a sì penoso lavoro.

– Padre! – disse alla fine Ginevra – sono stata, è vero, molt'anni vicina a chi non m'era marito, ma non ho avuta altra colpa fuorchè quella d'espormi al pericolo di mal fare; Iddio solo me n'ha liberata. Sono stata negligente nel cercar del mio sposo, e nel chiarirmi se veramente fosse morto… alla fine poi l'ho trovato, ed allora subito risolsi di ritornar con lui… e l'eseguii… e coll'ajuto della Vergine sperai che mi riuscisse… ma Dio! invece dove son caduta!.. —

E qui narrava a Fra Mariano come approdando al piè della rocca avesse veduto lo stretto colloquio d'Ettore e d'Elvira, per la qual cosa sopraffatta dal dolore era caduta nel fondo del suo battello e s'era risentita soltanto nella camera del Valentino; e spiegato questo crudel fatto sino al fine, prorompeva in un pianto, convulso e disperato, ed in parole sconnesse, che mostravan pur troppo la nascente alienazione della sua mente.

Commosso fin nel profondo del cuore il buon frate, prese con quella prudenza che richiedeva l'importanza del caso tutti i modi per ridurla in calma, e solo vi riuscì in parte dopo molto tempo, quando la natura stanca diede luogo a quel parosismo, che lasciò l'infelice sensibilmente più sfinita e mal ridotta di prima.

– Padre! – seguitava Ginevra con voce indebolita, – è possibile dunque che Dio, che la Vergine abbian ributtate le mie lagrime, maladetto il mio dolore? La vendetta di Dio è piombata sul mio capo come un fulmine, quando pareva mi promettesse pietà… già o stato immenso il castigo dei miei peccati… ma ne temo un altro più tremendo… sento che morrò disperata d'ottener perdono… sento che Dio mi indurisce il cuore in questi ultimi momenti… sto per passare, e non posso nè scordar quell'uomo… nè perdonar a colei… Oh pregate per me! ajutatemi! fin che è tempo, parlatemi di speranza…

– Di speranza? – interruppe il frate – non sapete che quegli che mi manda a voi, è quel Dio che comprò la vostra salute colla morte della croce, che vi promette misericordia, e ve la promette se foste carica de' peccati di tutto il mondo, purchè non facciate ingiuria a tanto amore disperando del suo perdono? E che cosa vi domanda per meritarlo, e meritar quella corona di gloria e d'allegrezza che non avrà più fine? Vi domanda di amarlo come egli v'ha amata; di soffrire un poco per amor suo, com'egli ha sofferto, e tanto, per amor vostro; di perdonar a chi v'ha fatto ingiuria, com'esso perdonò gli strazi, le percosse, gli oltraggi e la morte. Eccolo in cielo che v'aspetta ed anela d'accogliervi fra le sue braccia, d'asciugar il vostro pianto, e volgerlo in una gioja che non avrà misura. Il nemico, che vi teneva per sua, non può sopportar che gli fuggiate di mano; egli tenta ogni via di riavervi; egli fa prova di togliervi la speranza, ma non gli verrà fatto. Io, ministro di Dio eterno (e s'alzò in piedi, in atto solenne stendendo le mani sul capo di Ginevra) vi giuro pel suo santo nome che col perdono è scritta nel libro eterno la vostra eterna salvezza, se con un solo atto d'amore sapete comprare un tanto premio: il divin sangue del Verbo scenda sull'anima vostra come celeste rugiada, ne lavi ogni macchia, v'infonda pace, allegrezza, e dolore d'aver offeso chi lo sparse per voi, vi dia vigore a respingere, a sprezzare gli assalti del nemico che vuoi la vostra rovina.

 

– Oh padre mio! – disse Ginevra, tutta compresa di venerazione per le parole che udiva – Iddio parla per bocca vostra: dunque ancora posso sperare, e non sono abbandonata per sempre?

– No, anima benedetta! anzi quanto più duro è il combattere, tanto sarà più gloriosa la palma. Ma ora che Iddio vi dà grazia e tempo di conoscere le vostre colpe e le sue misericordie, pensate a non tornar addietro, e ricordatevi di ciò ch'egli dice: sarebbe stato meglio per loro non conoscere le vie della giustizia che il ritrarsene dopo averle conosciute. Chi pone mano all'aratro e poi si volge indietro non è degno della mercede. L'immagine di quell'uomo non può uscirvi del cuore? Vedete dove avevate poste le vostre speranze, da chi aspettavate gioja e conforto! Vedete per chi avete sprezzato l'amore del vostro Dio! Per uno che, quella fede mondana e colpevole che v'avea data, neppure ve l'ha saputa serbare; che ad un soffio s'è volto altrove senza curarsi di voi. Così attiene il mondo le sue promesse; e non ostante sprezzate, per seguirlo, le promesse immancabili dell'Eterno! e quando egli vi fa toccar con mano la vanità de' vostri desiderj, quasi vi sdegnate, invece di prostrarvi innanzi a questo miracolo di bontà? Non potete perdonare a colei? Ed in che v'offese? Prima, nè pur vi conosce; poi, è donzella libera, può attendere senza delitto a questi pensieri. Oh quanto dovreste piuttosto amarla, ed adorare in lei lo stromento che la mano di Dio adopra per la vostra salute! Anch'io son peccatore, lo fui, fui tanto sciagurato e cieco di cercar nelle creature la pace del cuore. Dio mi chiamò; seguii la sua voce nell'amarezza da prima; ma poi, qual ricco compenso non m'ha accordato la divina bontà pel piccolo sacrificio? Qual tranquilla allegrezza di amare ed esser certi d'un contraccambio eterno ed immenso? Oh! credete a me, anima benedetta! che son uomo e peccatore più di voi; e ne sono stato alla prova, tutto è fiele, incertezza e tenebre, fuorchè amar Dio, servirlo, e sperare nelle sue misericordie.

– Oh sì – disse Ginevra interrompendolo, e dando in un pianto dirotto, – m'avete aperta la mente, e m'avete vinta: sì, perdono, e perdono con tutta l'anima, e ne darò prova. Venga colei; che la veda prima di morire, e l'abbracci; e vivano felici insieme, come spero che Dio avrà pietà di me nella vita avvenire. —

Cadde ginocchioni il frate accanto al lettuccio, ed alzando al cielo gli occhi e le mani disse: —Variis et miris modis vocat nos Deus! Adoriamo l'opera della sua misericordia. —

E rimasto così un momento orando, s'alzò, benedisse, ed assolse la giovane, poi riprese:

– Dunque, veramente siete risolta a veder colei, e far quest'opera di paradiso?

– Sì, padre; fate che venga: sento che ho bisogno di morir perdonando.

– E Dio, ve lo dico in suo nome, già vi ha perdonato, già siete sua: questo santo proposito è il segno della vostra salute. —

S'avviava il frate per cercar di Donna Elvira. Ginevra lo richiamò.

– Una grazia – disse – mi resta a domandarvi, e non dovete negarmela, se volete che muoja in pace. Quando non ci sarò più, andate al campo francese, trovate mio marito (fra' soldati è chiamato Grajano d'Asti, ed è al soldo del duca di Nemours) e ditegli che alla mia ultim'ora ho domandato perdono a Dio, come lo domando a lui, se l'ho offeso: ditegli che, pel passo in cui mi trovo, gli giuro che l'anima mia uscendo di questa vita, è pura com'era quando mi ricevette da mio padre: che non maledica la mia memoria, e faccia dir una messa in suffragio dell'anima mia.

– Siate benedetta!.. State quieta, il vostro desiderio sarà adempiuto.

– Un'altra grazia vorrei chiedervi – seguitò Ginevra… – Non so se sia bene o male… ma Dio, che vede il mio interno, sa se parlo a buon fine… Vorrei che cercaste anche di lui… d'Ettore Fieramosca, voglio dire, che è lancia del signor Prospero… ditegli che pregherò per lui, e che gli perdono… cioè… no, non gli parlate di perdono… alla fine non son poi certissima… potrebbe esser stato un altro che gli somigliasse… No, no, ditegli soltanto che pensi all'anima… che conosco adesso in quanto errore eravamo… si ricordi dell'altra vita, che questa passa come un fumo, e glielo dice chi n'è alla prova, e gli vuol… e pensa al suo vero bene. Ditegli poi che se Dio, come spero, m'accoglie nella sua misericordia, pregherò per lui, onde vinca la sfida, e sia difeso l'onor dell'armi italiane. —

Fra Mariano diede un sospiro e disse: – Anche questo farò. —

La moribonda stette alquanto in silenzio, e le corse alla mente Zoraide, la sua protetta, colla quale in quegli ultimi giorni aveva pur avuto qualche rancore: supplicò il frate che cercasse di lei nel monastero di Sant'Orsola, e le recasse cogli ultimi saluti un suo monile, pregandola a portarlo per amor suo: raccomandò a lui quella povera derelitta, le trovasse egli un ricovero onorevole, e soprattutto cercasse di farla cristiana. Dopo di che seguitava:

– Un'ultima carità poi vi dimando, e certo me l'accorderete. Fatemi seppellire nella cappelletta sotterranea di Sant'Orsola, vestita dell'abito del monastero. Mi consola il pensare che dormirò in pace vicino all'immagine di quella Vergine, che ha pur finalmente ascoltate le mie preghiere, e posto un termine alla mia miseria.

– Ebbene – disse Fra Mariano frenando a stento le lagrime – il vostro volere sarà eseguito in tutto. —

Uscì ciò detto, e fatta rientrare Vittoria Colonna, prese egli la parola per non lasciare che Ginevra, alla quale veniva mancando la lena, s'affaticasse col parlar troppo, e disse:

– Signora! vi prego di cercar di Donna Elvira e far che venga qui: questa povera giovane vorrebbe dirle due parole. —

Vittoria, che non s'aspettava a questo, rimase così un momento sospesa, pure s'avviò senza replicare, mentre Ginevra le diceva: – Mi perdoni se le do questo disagio, ma non è tempo da perdere. —

Era presso alle quattro ore di notte, ed il ballo era finito da pochi momenti: le sale s'andavano votando: sfilavano giù per lo scalone gl'invitati accompagnati dai baroni dell'esercito spagnuolo.

Consalvo aveva in quel punto dato commiato al duca di Nemours ed ai suoi cavalieri, che, montati a cavallo, se ne ritornavano al campo preceduti da molte torce.