Tasuta

L’ascesa dei Draghi

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Sari: Re e Stregoni #1
Märgi loetuks
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CAPITOLO SEDICI

Kyra si trovava da sola nel caldo prato estivo guardando con meraviglia il mondo che la circondava. Tutto era in fiore, i colori erano stupefacenti, le colline verdissime, vibranti, punteggiate di fiori rossi e gialli. Gli alberi erano in boccio ovunque, il fogliame così fitto, ondeggiante al vento, i rami carichi di frutta. Le colline erano ammantate di vegetazione, di frutti maturi, e l’odore dei fiori e dell’uva era intenso nell’aria estiva. Kyra si chiese dove si trovava, dove fosse andata la sua gente, dove fosse andato l’inverno.

Si udì un rumore venire dall’alto, dal cielo, e sollevando lo sguardo Kyra vide Theo che volava in cerchio sopra di lei. Scese verso il basso, atterrando sull’erba a pochi metri da lei, guardandola con i suoi intensi e luccicanti occhi gialli. Qualcosa di non detto passò tra loro, il loro legame così intenso che non servivano parole.

Theo sollevò improvvisamente la testa, ruggì e lanciò una fiammata diretta contro di lei.

Per qualche motivo Kyra non aveva paura. Non tremò quando le fiamme le si avvicinarono, sapendo in qualche modo che non le avrebbero fatto male. Il fuoco si biforcò, diffondendosi alla sua destra e a sinistra, accendendo il paesaggio attorno a lei ma lasciandola incolume.

Kyra si voltò e rimase inorridita vedendo le fiamme che pervadevano la campagna, vedendo tutto quel verde lussureggiante, tutta quell’abbondanza estiva, divenire nera. Il paesaggio si tramutò davanti ai suoi occhi: gli alberi si rinsecchirono e l’erba venne sostituita dalla terra.

Le fiamme salirono sempre più in alto, si diffusero più distanti, in lontananza, e lei guardò con orrore mentre consumavano Volis, fino a che non rimasero altro che macerie e cenere.

Theo alla fine si fermò e Kyra si voltò a guardarlo. Rimase lì, all’ombra del drago, annichilita dalla sua spropositata stazza e non sapendo cosa aspettarsi da lui. Voleva qualcosa da lei, ma lei non riusciva a capire cosa.

Kyra allungò una mano e gli toccò le scaglie. Lui improvvisamente alzò gli artigli e le graffiò la guancia.

Kyra si mise a sedere a letto, gridando e tenendosi la guancia mentre un dolore immenso la pervadeva. Si agitò, cercando di allontanare il drago da lei, ma fu sorpresa di sentire delle mani umane su di sé, che la calmavano e cercavano di trattenerla.

Kyra sbatté le palpebre e sollevò lo sguardo vedendo un volto familiare accanto a lei, qualcuno che le teneva la guancia.

“Shhh,” disse Lyra consolandola.

Kyra si guardò attorno disorientata e finalmente si rese conto che era stato tutto un sogno. Era a casa, nel forte di suo padre, ancora nella sua camera.

“Solo un incubo,” le disse Lyra.

Kyra si rese conto di essersi addormentata, ma non sapeva quanto tempo fosse passato. Controllò la finestra e vide che la luce del sole era stata sostituita dal buio. Si mise seduta di scatto, allarmata.

“Che ore sono?” chiese.

“Notte fonda, mia signora,” rispose Lyra. “La luna è già sorta e tramontata.”

“E l’esercito che sta sopraggiungendo?” chiese con il cuore che le batteva forte.

“Non è arrivato nessun esercito, mia signora,” rispose. “La neve è ancora alta ed era quasi buio quando ti sei svegliata. Nessun esercito può marciare in queste condizioni. Non preoccuparti, hai solo dormito poche ore. Ora riposati.”

Kyra si ridistese e respirò. Sentì un naso umido contro la mano e si voltò vedendo Leo che la leccava.

“Non ha mai lasciato il tuo letto, mia signora,” disse Lyra sorridendo. “E neppure lui.”

Indicò e Kyra seguì il suo dito, commossa nel vedere Aidan disteso lì, accasciato su una pila di pellicce accanto al fuoco, un libro di pelle in mano, profondamente addormentato.

“Ti ha letto il libro mentre dormivi,” aggiunse.

Kyra si sentiva traboccante di amore per suo fratello, e questo la rese ancora più allarmata pensando al caos che si sarebbe presto scatenato.

“Sento la tua tensione,” aggiunse Lyra mentre le premeva una garza sulla guancia. “Hai fatto sogni agitati. È il segno del drago.”

Kyra vide che la guardava con sguardo significativo, con rispetto, e rifletté.

“Non capisco cosa mi stia accadendo,” disse. “Non ho mai sognato prima d’ora. Non in questo modo. Sembrano più che semplici sogni, è come se mi trovassi veramente lì. Come se vedessi attraverso gli occhi del drago.”

La guaritrice la guardò con i suoi occhi espressivi e le mise una mano in grembo.

“Venire marchiati da un animale è una cosa molto sacra,” le disse. “E questo non è un animale comune. Se una creatura ti tocca, allora condividerete una certa sinergia per sempre. Potresti vedere ciò che vede lui, o provare ciò che lui prova, o udire ciò che lui ode. Potrebbe accadere questa notte, o magari il prossimo anno. Ma un giorno accadrà.”

Lyra la guardò, scrutandola.

“Capisci Kyra? Non sei la stessa ragazza che eri ieri, quando te ne sei andata da qui. Quello che hai sulla guancia non è un marchio come un altro: è un segno. Ora porti dentro di te il marchio di un drago.”

Kyra aggrottò la fronte cercando di capire.

“Ma cosa significa?” chiese, cercando di trovare un senso in tutto questo.

Lyra sospirò, espirando un lungo soffio d’aria.

“Il tempo te lo mostrerà.”

Kyra pensò agli uomini del Lord, alla guerra che stava per scoppiare, e provò un’ondata d’urgenza. Buttò da parte le pellicce e si alzò in piedi. Immediatamente si sentì barcollante, diversa dal solito. Lyra le si fece subito vicino e le sostenne le spalle, aiutandola a tenere l’equilibrio.

“Devi sdraiarti,” le disse. “La febbre non è ancora scesa.”

Ma Kyra sentiva una pressante urgenza di andare in aiuto e non era più capace di stare ancora a letto.

“Starò bene,” rispose afferrando il suo mantello e mettendoselo attorno alle spalle per tenere a bada il freddo. Quando si mosse per andare sentì una mano sulla spalla.

“Almeno bevi questo,” le disse Lyra porgendole una tazza.

Kyra abbassò lo sguardo e vide un liquido rosso all’interno.

“Che cos’è?”

“Una mia miscela,” rispose sorridendo. “Calmerà la febbre e allevierà il dolore.”

Kyra ne prese un lungo sorso, tenendo la tazza con entrambe le mani, sentendolo denso mentre andava giù, difficile da deglutire. Fece una smorfia e Lyra rise.

“Sa di terra,” notò Kyra.

Lyra sorrise di più: “Non è famoso per il suo sapore.”

Ma Kyra già si sentiva meglio, l’intero corpo immediatamente più caldo.

“Grazie,” disse. Si avvicinò ad Aidan, si chinò su di lui e gli baciò al fronte, attenta a non svegliarlo. Poi si voltò e uscì di corsa dalla stanza, con Leo accanto.

Kyra percorse gli intricati e interminabili corridoi di Volis, tutti bui, illuminati solo dal baluginio delle torce lungo le pareti. Solo pochi uomini stavano di guardia a quell’ora tarda della notte, mentre il resto del forte era profondamente addormentato. Kyra scese la scala a chiocciola di pietra e si fermò davanti alla stanza di suo padre, bloccata da una guardia. L’uomo la guardò con una sorta di riverenza negli occhi e lei si chiese quanto la storia si fosse già propagata. Le fece un cenno.

“Mia signora,” le disse.

Lei rispose con un altro cenno.

“Mio padre è in camera sua?”

“Non riusciva a dormire. L’ultima volta che l’ho visto stava camminando avanti e indietro nel suo studio.”

Kyra percorse di corsa i corridoi di pietra, abbassando la testa sotto il basso soffitto arcuato e scendendo un’altra scala a chiocciola giungendo infine in fondo del forte. La sala finiva con una spessa porta di legno ad arco che dava accesso alla biblioteca di suo padre. Si apprestò ad aprire il portone, ma lo trovò già spalancato. Si fermò sentendo voci nervose e tese provenire dall’interno.

“Ti dico che non è quello che ha visto,” diceva la voce arrabbiata di suo padre.

Era nervoso e lei si trattenne dall’entrare, pensando che fosse meglio aspettare. Rimase lì, in attesa che le voci si fermassero, curiosa di sapere con chi stesse parlando e di cosa stessero discutendo. Stavano parlando di lei?

“Se ha davvero visto un drago,” disse una voce gracchiante che Kyra immediatamente riconobbe come quella di Thonos, il più anziano consigliere di suo padre, “rimane poca speranza per Volis.”

Suo padre borbottò qualcosa che non riuscì a capire e poi seguì un lungo silenzio, mentre Thonos sospirava.

“Gli antichi papiri,” rispose Thonos con voce affaticata, “raccontano dell’ascesa dei draghi. Un periodo nel quale verremo tutti annientati dalle loro fiamme. Non abbiamo barriere per tenerli a bada. Non abbiamo altro che colline e cielo. E se sono arrivati, sono qui per qualche motivo.”

“Ma quale motivo?” chiese suo padre. “Cosa costringerebbe un drago ad andare dall’altra parte del mondo?”

“Forse una domanda migliore, comandante,” rispose Thonos, “è cosa lo ha ferito?”

Seguì un lungo silenzio, interrotto solo dal fuoco scoppiettante. Poi Thonos parlò di nuovo.

“Immagino non sia il drago che ti preoccupa più di tutto, giusto?” chiese Thonos.

Seguì un altro lungo silenzio e Kyra, sebbene sapesse che non avrebbe dovuto ascoltare, si chinò in avanti, incapace di trattenersi, e sbirciò attraverso una fessura. Le si appesantì il cuore vedendo suo padre seduto con la testa tra le mani, perso nei suoi pensieri.

“No,” disse con voce esausta. “Non è questo,” ammise.

Kyra si chiese di cosa stessero parlando.

“Ti arrovelli sulle profezie, vero?” chiese Thonos. “Il momento della nascita?”

Kyra si chino in avanti, il cuore che le batteva nelle orecchie, sentendo che stavano parlando di lei, ma non capendo cosa volessero dire.

Non giunse alcuna risposta.

“Io c’ero, comandante,” disse Thonos alla fine. “Come anche tu.”

Suo padre sospirò, ma non sollevò la testa.

 

“È tua figlia. Non pensi sarebbe corretto dirglielo? Parlarle della nascita? Di sua madre? Non ha diritto di sapere chi è?”

Il cuore di Kyra le batteva furiosamente nel petto: odiava o segreti, soprattutto se la riguardavano. Stava morendo dalla voglia di sapere cosa intendessero dire.

“Non è il momento giusto,” disse suo padre alla fine.

“Non è mai il momento giusto, o no?” chiese l’anziano.

Kyra fece un respiro profondo, sentendosi ferita.

Di colpo si voltò e corse via, un peso nel petto mentre le parole di suo padre le risuonavano nelle orecchie. Le facevano più male di un milione di coltelli, più di qualsiasi cosa gli uomini del Lord potessero farle. Si sentiva tradita. Le stava tenendo segreto qualcosa, un segreto che le aveva tenuto nascosto per tutta la vita. Le stava mentendo.

Non ha diritto di sapere chi è?

Per tutta la sua vita Kyra aveva sentito che la gente la guardava in modo diverso, come se sapessero qualcosa di lei che lei non conosceva, come se fosse diversa, e non aveva mai capito perché. Ora capiva. Non solo si sentiva diversa da chiunque altro: lei era diversa. Ma in che senso?

Chi era?

CAPITOLO DICIASSETTE

Vesuvio camminava con un centinaio di troll alle calcagna, attraverso Bosco Grande, su un terreno in ripida salita, troppo difficile perché i cavalli potessero percorrerlo. Marciava con un senso di determinazione e per la prima volta di reale ottimismo. Si fece strada attraverso la fitta brughiera con il suo coltello e capì che sarebbe potuto passare senza bisogno di tagliare. È che voleva farlo: gli piaceva uccidere e distruggere.

A ogni passo Vesuvio sentiva sempre più forte il ruggito del gigante catturato, tanto potente da far addirittura tremare il terreno sotto i piedi. Notò la paura sui volti dei suoi troll e questo lo fece sorridere. Quella paura era ciò che per anni aveva desiderato vedere: significava che finalmente, dopo tutte quelle voci, il gigante era stato scovato.

Tagliò l’ultimo cespuglio e giunse in cima al crinale. Lì la foresta si apriva in una vasta radura davanti a lui. Vesuvio si fermò pietrificato, colto impreparato da ciò che vide. Dalla parte opposta si trovava un’enorme caverna con l’ingresso ad arco alto una trentina di metri e incatenato alla roccia con catene lunghe quindici metri e spesse uno, legato dalle caviglie ai polsi, c’era la creatura più grande e abominevole sulla quale avesse mai posato lo sguardo. Era un gigante vero e proprio, un’orribile creazione, che si ergeva per almeno trenta metri di altezza e dieci di larghezza, con un corpo da uomo, ma con quattro occhi, niente naso e una bocca che era tutta mandibola e denti. Aprì la bocca e ruggì, un suono tanto orrendo che Vesuvio – che generalmente non temeva nulla e che aveva affrontato le più crudeli creature esistenti – dovette ammettere di avere paura. Il gigante aprì la bocca ancora di più, i denti aguzzi lunghi più di un metro: sembrava forse pronto ad ingoiare il mondo.

Sembrava anche furioso. Ringhiava di continuo, batteva i piedi, lottava contro le catene che lo tenevano legato e il terreno ne veniva scosso, la grotta ne veniva scossa, l’intera montagna ne veniva scossa. Era come se quella bestia, con tutta la sua forza, stesse da sola muovendo la montagna; come se avesse così tanta energia da non poter essere contenuta. Vesuvio sorrise: era proprio quello di cui aveva bisogno. Una creatura come quella poteva esplodere nel tunnel, poteva fare ciò che un esercito di troll non avrebbe mai potuto fare.

Vesuvio avanzò ed entrò nella radura, notando le decine di soldati morti, i loro cadaveri disseminati a terra. In quel momento centinaia di soldati in attesa rimasero allineati sull’attenti. Poteva scorgere la paura in tutti i loro volti, come se non avessero idea di cosa fare con quel gigante ora che l’avevano catturato.

Vesuvio si fermò al limitare della radura, appena fuori presa per le catene del gigante, non volendo finire come quei cadaveri. In quella il gigante si voltò e si lanciò contro di lui, cercando di colpirlo con i suoi lunghi artigli e mancandolo solo di poche decine di centimetri.

Vesuvio rimase fermo a guardarlo, mentre il suo comandante lo raggiungeva di corsa, prendendo le distanza lungo il perimetro, così da non essere alla portata della furia del gigante.

“Mio signore e re,” disse il comandante inchinandosi rispettosamente. “Il gigante è stato catturato. È vostro e potete portarlo via. Ma non siamo in grado di legarlo. Abbiamo perso molti soldati cercando di farlo. Non abbiamo idea di cosa fare.”

Vesuvio rimase lì, con le mani sui fianchi, sentendo gli occhi di tutti i troll su di sé mentre osservava la bestia. Era una creatura imponente e mentre lo guardava e gli ringhiava, ansioso di farlo a pezzi, Vesuvio capì qual era il problema. Si rese subito conto, come sempre, di come poteva risolverlo.

Mise una mano sulla spalla del suo comandante e si chinò verso di lui.

“Stai cercando di avvicinarti a lui,” disse sottovoce. “Devi permettergli di venire da te. Devi prenderlo alla sprovvista, solo così potrete legarlo. Dovete dargli ciò che vuole.”

Il comandante lo guardò confuso.

“E cos’è che vuole, mio signore e re?”

Vesuvio iniziò a camminare, conducendo il comandante in avanti, addentrandosi di più nella radura, verso il gigante.

“Ma te,” rispose infine Vesuvio, come se fosse la cosa più ovvia al mondo, quindi diede una spinta al comandante con tutte le sue forze e lo mandò inaspettatamente nel mezzo della radura.

Vesuvio arretrò subito, al sicuro fuori mira, e guardò il gigante che osservava ai suoi piedi, sorpreso. Il soldato si rimise in piedi e cercò di fuggire, ma il gigante reagì all’istante e lo colpì con i suoi artigli, raccogliendolo e stringendolo con una mano attorno alla vita e sollevandolo all’altezza dei suoi occhi. Lo portò vicino e gli mangiò la testa, inghiottendo le sue grida.

Vesuvio sorrise, felice di essersi sbarazzato di un comandante inetto.

“Se serve che ti insegni cosa fare,” disse al cadavere che era stato il suo comandante, “allora perché devo preoccuparmi di avere un comandante?”

Vesuvio si voltò e guardò il resto di soldati che stavano fermi, pietrificati, a guardarlo scioccati. Indicò un soldato che stava lì vicino.

“Tu,” disse.

Il troll lo guardò nervosamente.

“Sì, mio signore e re?”

“Tu sei il prossimo.”

Il troll sgranò gli occhi e cadde in ginocchio stringendosi le mani davanti al petto.

“Non posso, mio signore e re!” pianse. “Vi imploro! Non io! Scelga qualcun altro!”

Vesuvio si avvicinò e annuì amichevolmente.

“Va bene,” rispose. Fece un passo avanti e tagliò la gola del soldato con il suo pugnale. Il troll cadde a terra a faccia in giù, morto ai suoi piedi. “Lo farò.”

Vesuvio si voltò verso gli altri soldati.

“Raccoglietelo,” ordinò, “e gettatelo alla furia del gigante. Quando si avvicinerà, preparate le corde. Lo legherete quando andrà verso l’esca.”

Cinque o sei soldati afferrarono il cadavere, corsero in avanti e lo gettarono nella radura. Gli altri soldati seguirono l’ordine di Vesuvio e corsero dall’altra parte della radura con le grosse funi pronte.

Il gigante osservò con attenzione il troll ai suoi piedi, come se fosse dibattuto. Ma alla fine Vesuvio vide che aveva visto giusto: il gigante fece mostra della sua scarsa intelligenza e si lanciò in avanti, afferrando il cadavere, proprio come Vesuvio sapeva che avrebbe fatto.

“ORA!” gridò.

I soldati lanciarono le funi avvolgendole attorno alla schiena del gigante, tenendo con forza da entrambe le parti e tirando in modo da tenerlo fermo a terra. Numerosi soldati accorsero e lanciarono altre funi, decine di corde e a più mandate, fasciandogli collo, braccia e gambe. Tirarono con tutte le loro forze accerchiandolo e la bestia fece resistenza e lottò, ringhiando furiosa. Ma non c’era nulla che potesse fare. Legato da decine di funi, tenuto a terra da centinaia di uomini, rimase a faccia in giù nella terra, ringhiando senza poter fare nulla.

Vesuvio si avvicinò e gli si fermò accanto, una cosa inimmaginabile solo pochi attimi prima. Lo guardò, soddisfatto della sua conquista.

Alla fine, dopo tutti quegli anni, sorrise.

“Ora,” disse lentamente, assaporando ogni parola. “Escalon è mia.”

CAPITOLO DICIOTTO

Kyra si trovava alla finestra della sua camera e guardava con un senso di anticipazione e timore l’alba che si apriva sulla campagna. Aveva trascorso una lunga notte infestata da incubi, agitandosi e rigirandosi dopo aver udito di nascosto la conversazione di suo padre. Poteva ancora udire le parole che le rimbombavano nelle orecchie: Non ha il diritto di sapere chi è?

Per tutta la notte aveva sognato una donna con il volto oscurato, con indosso un velo. Una donna che era certa fosse sua madre. Si allungava verso di lei, più volte, solo per svegliarsi aggrappata al letto, al nulla.

Kyra non sapeva più cosa fosse vero e cosa fosse un sogno, quale fosse la verità e quale la bugia. Quanti segreti le stavano nascondendo? Cosa c’era che non potevano raccontarle?

Kyra alla fine si svegliò all’alba, stringendosi la guancia dove la ferita ancora bruciava. Aveva la testa piena di pensieri riguardanti sua madre. Per tutta la vita le era stato detto che sua madre era morta pochi anni dopo averla data alla luce e lei non aveva mai avuto ragione per pensare diversamente. Kyra sentiva di non assomigliare a nessuno della sua famiglia o del forte, e più ci pensava più si rendeva conto che tutti l’avevano sempre guardata un po’ diversamente, come se lei non appartenesse al quel luogo. Ma non aveva mai immaginato che questo fosse vero, che suo padre le avesse sempre mentito, tenendole segreto qualcosa. Sua madre era ancora viva? Perché dovevano nasconderglielo?

Kyra era alla finestra e si sentiva tremare dentro, meravigliandosi di quanto la sua vita fosse cambiata così drasticamente nel corso dell’ultima giornata. Sentiva anche un fuoco arderle nelle vene, percorrerle il corpo dalla guancia alla spalla, giù fino alle mani. Capiva di non essere più la stessa di un tempo. Poteva sentire il calore del drago pervaderla, pulsarle dentro. Si chiedeva cosa significasse tutto ciò. Sarebbe più tornata ad essere la stessa persona?

Kyra guardò la gente sotto di lei, centinaia di persone che si affrettavano avanti e indietro così presto, meravigliandosi di tutta quell’attività. Di solito a quell’ora del giorno tutto era tranquillo. Ma non ora. Gli uomini del Lord stavano arrivando, come una tempesta, e la sua gente sapeva che ci sarebbe stato un castigo. Anche lo spirito nell’aria era diverso questa volta. La sua gente era sempre stata veloce a ritirarsi. Ma pareva che questa volta il loro spirito si fosse fatto più duro: era emozionata di vederli intenti nei preparativi alla battaglia. Gruppi di soldati di suo padre stavano rinforzando le banchine di terra, raddoppiando la guardia ai cancelli, abbassando il cancello, prendendo posizione sui bastioni, sbarrando finestre e scavando trincee. Gli uomini sceglievano e affilavano le armi, riempivano le faretre con le frecce, preparavano i cavalli, si assemblavano nervosamente nel cortile. Si stavano tutti preparando.

Kyra stentava a credere di essere stata la miccia che aveva scatenato tutto questo: provava un senso di colpa ma anche di orgoglio allo stesso tempo. Ma più di tutto aveva paura. Sapeva che il suo popolo non avrebbe potuto sopravvivere all’attacco degli uomini del Lord che, dopotutto, avevano l’esercito pandesiano alle loro spalle. Potevano mettere in piedi una difesa, ma quando Pandesia fosse arrivata con tutto il suo potere, sarebbero sicuramente morti tutti.

“Felice di vedere che sei sveglia,” disse una voce gioiosa.

Kyra si voltò, come anche Leo accanto a lei, non essendosi resa conto che qualcun altro era sveglio così presto nel forte. Fu sollevata di vedere Anvin sulla soglia della porta, sorridente, insieme a Vidar, Arthfael e diversi altri uomini di suo padre. Mentre il gruppo stava con gli occhi fissi su di lei, notò che la guardavano tutti diversamente. C’era qualcosa di diverso nei loro occhi: rispetto. Non la guardavano più come si guarda a una ragazzina, ma piuttosto come se fosse una di loro. Una loro pari.

Quello sguardo le ristorò il cuore e la fece sentire come se fosse valsa la pena di compiere ogni singola azione. Non c’era nulla che avrebbe voluto di più che ottenere il rispetto di quegli uomini.

“Stai meglio, quindi?” le chiese Vidar.

Kyra ci pensò e aprì e richiuse i pugni, allungò le braccia, si rese conto che effettivamente stava meglio. Si sentiva più forte di prima. Annuì loro e vide che anche loro la guardavano in modo nuovo: con un pizzico di paura. Come se lei avesse una qualche sorta di potere che non conoscevano o del quale non si fidavano.

 

“Mi sento rinata,” rispose.

Anvin sorrise.

“Bene,” disse. “Ne avrai bisogno. Avremo bisogno di ogni mano riusciremo a raccogliere.”

Lei ricambiò lo sguardo, sorpresa ed emozionata.

“Mi state offrendo una possibilità di combattere insieme a voi?” chiese con il cuore che batteva forte. Nessuna notizia sarebbe potuta essere più emozionante di quella.

Arthfael sorrise e fece un passo avanti stringendole una spalla.

“Basta che non lo dici a tuo padre,” le disse.

Leo si fece avanti e leccò le mani a quegli uomini che in cambio gli accarezzarono la testa.

“Abbiamo un regalino per te,” disse Vidar.

Kyra era sorpresa.

“Un regalo?” chiese.

“Consideralo un regalo di bentornato,” disse Arthfael. “Una cosetta per aiutarti a dimenticare quel graffio sulla guancia.”

Si fece da parte come anche gli altri e Kyra capì che la stavano invitando a seguirli. Non c’era nulla che volesse di più. Sorrise loro, felice per la prima volta dopo tempo immemore.

“Serviva questo per venire invitata a unirvi al vostro gruppo?” chiese con un sorriso. “Dovevo uccidere cinque uomini del Lord?”

“Tre,” la corresse Arthfael. “Se ricordo bene il nostro Leo qui ne ha uccisi due.”

“Sì,” disse Anvin. “E anche sopravvivere all’incontro con un drago conta qualcosa.”

*

Kyra marciava insieme agli uomini attraversando i terreni del forte di suo padre, Leo al suo fianco, gli stivali che scricchiolavano sulla neve, rinvigorita da tutto il lavoro che le vorticava attorno, il forte così impegnato, colmo di un senso di finalità, tutti incredibilmente vivi all’alba. Passò vicino a falegnami, calzolai, sellai, muratori, tutti febbrilmente affaccendati nelle loro attività, mentre moltissimi uomini affilavano le spade e altre lame sulla pietra. Mentre camminavano Kyra sentiva la gente che si fermava e la guardava. Aveva le orecchie in fiamme. Sicuramente tutti sapevano perché gli uomini del Lord stavano arrivando, cosa lei aveva fatto. Si sentiva così in mostra e temeva che il suo popolo la odiasse.

Ma fu sorpresa di vedere che la guardavano tutti con ammirazione e anche con qualcos’altro, forse paura. Dovevano aver scoperto che era sopravvissuta a un incontro con un drago e pareva non sapessero cosa pensare di lei.

Kyra sollevò lo sguardo e scrutò il cielo, sperando di poter vedere Theo, guarito, volare in alto, in cerchio sopra di lei. Ma mentre guardava il cielo, non vide nulla. Dove si trovava? Era sopravvissuto? Avrebbe mai potuto volare di nuovo? Era già dall’altra parte del mondo?

Mentre camminavano attraversando il forte, Kyra si fece curiosa pensando a dove la stessero portando, a quale dono avessero in serbo per lei.

“Dove stiamo andando?” chiese ad Anvin svoltando in uno stretto vicolo di sassi. Passarono accanto a paesani che stavano scavando nella neve, mentre enormi blocchi di ghiaccio e neve scivolavano giù dai tetti d’argilla. Il fumo si levava dai camini in tutto il villaggio e l’odore impregnava quel giorno d’inverno.

Svoltarono in un’altra strada e Kyra scorse un’ampia abitazione di pietra, ricoperta di neve, con una porta di quercia rossa fatta di due battenti. La riconobbe subito.

“Non è la fucina del fabbro?” chiese.

“Sì,” rispose Anvin continuando a camminare.

“Ma perché mi portate lì?” chiese Kyra.

Raggiunsero la porta e Vidar sorrise aprendo la porta ed entrando.

“Vedrai.”

Kyra si abbassò passando oltre il basso uscio e si trovò proprio nella fucina, con Leo al seguito e gli altri subito dietro. Quando fu dentro fu colpita dal caldo prodotto dai fuochi. Notò subito tutte le armi disposte sull’incudine del fabbro e osservò con ammirazione: spade e asce in lavorazione, alcune rosse incandescenti, ancora da modellare.

Il fabbro sedeva lì con tre apprendisti, i volti coperti di fuliggine. Sollevò lo sguardo, inespressivo, con la sua folta barba nera. La bottega era piena zeppa di armi: stese su ogni superficie, sul pavimento, appese a dei ganci, sembrava che stesse lavorando a decine di esse contemporaneamente. Kyra conosceva Brot, il fabbro, un uomo basso e robusto, con la fronte bassa e perennemente aggrottata per la concentrazione. Era noto per essere un uomo serio, di poche parole, che viveva per le sue armi. Si diceva che fosse un burbero, che non si curasse degli uomini ma solo dei pezzi di acciaio.

Le poche volte che Kyra aveva parlato con lui Brot aveva dato prova, sotto il suo aspetto rude, di essere un uomo dal cuore gentile, appassionato quando si parlava di armi. Doveva aver riconosciuto un animo affine in Kyra, dato che condividevano il medesimo amore per le armi.

“Kyra,” disse con aspetto felice di vederla. “Siediti.”

Lei si accomodò davanti a lui sulla panca vuota, dando la schiena alla fucina e sentendone il calore. Anvin e gli altri si affollarono attorno a loro e tutti si misero a guardare mentre Brot trafficava con le sue armi: una lancia, una falce, una mazza in fase di lavorazione, con la catena che doveva essere ancora fissata. Kyra vide una spada con i bordi ancora grezzi, che aspettava di essere affilata. Dietro di lui i suoi apprendisti lavoravano e il rumore dei loro attrezzi riempiva l’aria. Uno martellava su un’ascia facendo volare scintille ovunque mentre un altro usava una lunga tenaglia per estrarre un pezzo di acciaio bianco bollente dalla forgia, ponendolo sull’incudine e preparandosi a batterlo. Il terzo usava la sua tenaglia per togliere un’alabarda dalla sua incudine e posizionarla in una grezza tinozza di ferro, con l’acqua che sibilò nel momento in cui immerse il pezzo, sollevando una nuvola di vapore.

Per Kyra quella fucina era sempre stata il posto più eccitante di Volis.

Mentre lo guardava lavorare il cuore le batteva più forte, chiedendosi quale regalo avessero in serbo per lei quegli uomini.

“Ho sentito delle tue azioni,” le disse Brot senza guardarla negli occhi e continuando a fissare la lunga spada, controllandone il peso. Era una delle spade più lunghe che Kyra avesse mai visto e Brot socchiuse gli occhi tenendone in mano la lama, sembrando insoddisfatto.

Sapeva che non doveva interromperlo e attese pazientemente in silenzio che lui continuasse.

“Una vergogna,” disse alla fine.

Kyra lo guardò confusa.

“Cosa?” gli chiese.

“Che tu non abbia ucciso il ragazzo,” disse. “Non ci troveremmo tutti in questo casino se tu l’avessi ucciso, no?”

Continuava a non guardarla negli occhi, a soppesare la spada, e Kyra arrossì sapendo che aveva ragione ma non pentendosi delle proprie azioni.

“Una lezione per te,” aggiunse. “Uccidili tutti, sempre. Mi capisci?” le chiese con tono duro mentre sollevava gli occhi e incrociava il suo sguardo, perfettamente serio. “Uccidili tutti.”

Nonostante il suo tono rude l’atteggiamento brusco, Kyra ammirava Brot perché diceva sempre quello che pensava, anche quello che altri avevano paura di dire. Lo ammirava anche per la sua temerarietà: possedere armi d’acciaio era vietato da Pandesia, un atto punito con la morte. Le armi degli uomini di suo padre erano autorizzate solo perché sorvegliavano Le Fiamme, ma Brot anche illegalmente forgiava armi per decine di altre persone, aiutando a rifornire un esercito segreto. Poteva essere preso e ucciso in ogni momento, eppure non tremava mai davanti al dovere.

“È per questo che mi hai fatto chiamare?” chiese Kyra confusa. “Per darmi il consiglio di uccidere uomini?”

Lui martellava una spada sull’incudine davanti a sé, lavorando per un po’ ignorandola, fino a che fu pronto. Sempre guardando in basso disse: “Per aiutarti a ucciderli.”

Lei sbatté le palpebre, confusa, e Brot fece un cenno a uno dei suoi apprendisti che corse a porgergli un oggetto.

Brot la guardò.

“Ho sentito che hai perso due armi la scorsa notte,” le disse. “Un arco e un bastone, giusto?”

Lei annuì, chiedendosi dove volesse andare a parare.

Brot scosse la testa con disapprovazione.

“Questo perché giochi con i bastoncini. Armi da bambini. Hai ucciso cinque uomini del Lord e hai affrontato un drago rimanendo in vita, e questo è più di quanto possa fare chiunque in questa stanza. Ora sei una guerriera e meriti armi da guerriera.”