Tasuta

L’ascesa dei Draghi

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Sari: Re e Stregoni #1
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Allungò una mano mentre uno dei suoi apprendisti gli porgeva qualcosa, poi si voltò e posò sul tavolo un lungo oggetto coperto con un panno di velluto rosso.

Lei lo guardò con espressione interrogativa, con il cuore che batteva di trepidazione, e lui annuì.

Kyra si allungò, tolse lentamente il panno rosso e sussultò per ciò che vide: davanti a lei si trovava un bellissimo arco con il manico intagliato, ornato e ricoperto di una finissima lamina di lucido metallo. Era diverso da ogni arco lei avesse mai visto.

“Acciaio alcano,” spiegò lui sollevandolo e ammirandone la leggerezza. “Il più forte al mondo, ma anche il più leggero. Molto raro, usato dai re. Questi uomini qui hanno pagato per averlo e i miei ragazzi ci hanno lavorato tutta la notte.”

Kyra si voltò e vide Anvin e gli altri che la guardavano, sorridendo, e il suo cuore si riempì di gratitudine.

“Senti,” le fece urgenza Brot. “Avanti.”

Kyra prese l’arco e lo soppesò in mano, ammirando come si adattasse perfettamente alla sua presa.

“È persino più leggero di quello di legno che avevo,” disse confusa.

“C’è legno di faggio sotto,” disse. “Più resistente di quello che avevi, e anche più leggero. Quest’arco non si romperà mai e le tue frecce voleranno molto più lontane.”

Kyra ammirò l’arco, senza parole, rendendosi conto che era la cosa più carina che qualcuno avesse mai fatto per lei. Brot allungò un braccio e le porse la faretra piena di frecce, tutte punte luccicanti, nuove di zecca. Posandoci un dito sopra sentì subito quanto fossero affilate. Poi ne ispezionò l’intricata decorazione.

“Testa larga con barbigli,” disse Brot orgogliosamente. “Mandi a segno una di queste e la punta non verrà più fuori. Sono progettate per uccidere.”

Kyra sollevò lo sguardo su Brot e gli altri, sopraffatta, non sapendo cosa dire. La cosa che aveva più significato per lei non erano le armi ma che quegli uomini grandiosi pensassero di lei che poteva unirsi a loro.

“Non so come ringraziarvi,” disse. “Farò del mio meglio per onorare il vostro lavoro e per guadagnarmi quest’arma.”

“Non ho ancora finito,” disse rudemente. “Stendi le braccia.”

Lei ubbidì, confusa, e fece un passo avanti osservandolo mentre le tirava su le maniche e le esaminava gli avambracci. Alla fine annuì soddisfatto.

“Va abbastanza bene,” disse.

Brot fece un cenno a un apprendista che si avvicinò porgendogli due oggetti luccicanti che lui strinse attorno alle braccia di Kyra. Quando il metallo freddo toccò la sua pelle Kyra fu scioccata di vedere che si trattava di parabraccia, lunghi e fini ripari per l’avambraccio. La ricoprivano dal polso al gomito e quando furono fissati con uno scatto, le si adattarono alla perfezione.

Kyra piegò i gomiti con meraviglia, esaminando i parabraccia. Si sentì invincibile, come se fossero parte della sua palle. Erano così leggeri, ma allo stesso tempo così forti, proteggendola dal polso al gomito.

“Parabraccia,” disse Brot. “Abbastanza fini da permetterti di muoverti, ma anche abbastanza forti da resistere al colpo di ogni spada. La guardò dritto negli occhi. “Non sono solo per protezione dalla corda dell’arco quando si scoccano frecce. Sono più lunghi e anche questi sono fatti di acciaio alcano. Possono sostituire uno scudo. Questa sarà la tua armatura. Se un nemico viene verso di te con una spada, ora hai i mezzi per difenderti.”

Improvvisamente afferrò una spada dal tavolo, la sollevò in aria e la calò contro la sua testa.

Kyra, scioccata, reagì sollevando le braccia con i suoi nuovi ripari e fu sorpresa di vedere che riusciva a bloccare il colpo, facendo volare scintille.

Brot sorrise e abbassò la spada soddisfatto.

Kyra esaminò i parabraccia e si sentì sopraffare dalla gioia.

“Mi avete dato tutto ciò che abbia mai desiderato,” disse Kyra preparandosi ad abbracciarli.

Ma Brot tese una mano e la fermò.

“Non tutto,” la corresse.

Fece un cenno al suo terzo apprendista che gli portò un quarto lungo oggetto avvolto in un panno di velluto nero.

Kyra lo guardò con curiosità, poi si mise l’arco in spalla e prese l’oggetto togliendo lentamente il panno. Quando finalmente vide cosa si celava sotto, rimase senza fiato.

Era un bastone, un’opera d’arte, anche più lungo di quello che aveva prima. La cosa più sorprendente era che luccicava. Come l’arco era ricoperto di acciaio alcano, finissimo e che rifletteva la luce. Ma anche con tutto quel metallo attorno mentre lo soppesava in mano lo sentiva più leggero del vecchio bastone.

“La prossima volta,” disse Brot, “quando colpiranno il bastone, non si romperà. E quando colpirai un avversario, il colpo sarà più severo. È un’arma e uno scudo allo stesso tempo. E non è tutto,” disse indicando qualcosa.

Kyra abbassò lo sguardo confuse, non capendo cosa le stesse mostrando.

“Giralo,” le disse.

Lei ubbidì e con suo estremo stupore il bastone si svitò e si divise in due parti di lunghezza uguale. A ogni estremità si trovava una lama appuntita lunga diversi centimetri.

Kyra sollevò lo sguardo a bocca aperta e Brot sorrise.

“Ora hai più modi per uccidere un uomo,” le disse.

Guardò le lame scintillanti, il lavoro più raffinato che avesse mai visto, e ne fu sbalordita. Aveva forgiato quell’arma per lei, dandole un bastone che si raddoppiava trasformandosi in due lance corte: un’arma unica e adeguata alle sue forze. Lo riavvitò rimettendolo a posto e notando che era talmente uniforme da non lasciar intuire che nascondesse un’altra arma all’interno.

Guardò Brot, tutti gli uomini, con le lacrime negli occhi.

“Non sarò mai in grado di ringraziarvi,” disse.

“L’hai già fatto,” disse Anvin facendosi avanti. “Ci hai portato una guerra, una guerra che avevamo paura di scatenare. Ci hai fatto un grosso favore.”

Prima che potesse dire altro, improvvisamente una serie di corni risuonò in lontananza, uno dopo l’altro, riecheggiando dal forte.

Tutti si scambiarono un’occhiata, sapendo cosa significasse: era giunto il momento della battaglia.

Gli uomini del Lord erano lì.

CAPITOLO DICIANNOVE

Merk camminava lungo il sentiero della foresta mentre le ombre si allungavano e lui si dirigeva verso Boscobianco. I ladri, morti, erano a una buona giornata di cammino dietro di lui. Da allora non aveva smesso di camminare, cercando di chiarire l’incidente nella sua mente, di tornare al luogo sereno che un tempo aveva abitato. Non era facile. Le sue gambe si stavano facendo pesanti e Merk era più ansioso che mai di trovare la torre di Ur, di iniziare la sua nuova vita da Sorvegliante. Scrutò l’orizzonte, cercando di scorgere uno scorcio di essa tra gli alberi.

Ma non si vedeva ancora nessuna traccia. Quella camminata stava iniziando e sembrare più un pellegrinaggio, un viaggio senza fine. La torre di Ur era più lontana, più nascosta di quanto lui avesse immaginato.

L’incontro con quei ladri aveva in qualche modo risvegliato qualcosa in lui, nel profondo: gli aveva fatto capire quanto difficile fosse staccarsi dalla sua vecchia identità. Non sapeva se avrebbe avuto la disciplina per farlo. Sperava solo che i Sorveglianti lo avrebbero accettato nel loro ordine. Altrimenti, senza alcun altro luogo dove andare, sarebbe sicuramente tornato l’uomo di una volta.

Davanti a sé Merk vide che il bosco cambiava, vide un gruppo di antichi alberi, tronchi grossi come dieci uomini che si levavano alti verso il cielo, i rami aperti come una cupola di foglie rosse e cangianti. Uno degli alberi, con un tronco grosso e curvo, sembrava particolarmente invitante e Merk, con i piedi che facevano male, vi si sedette accanto. Si appoggiò al fusto e provò un’immediata sensazione di sollievo, sentì il dolore che abbandonava la sua schiena e le sue gambe dopo ore di cammino. Si tolse gli stivali e sentì il dolore che pulsava nei piedi. Sospirò mentre la brezza fresca lo ristorava e le foglie frusciavano sopra di lui.

Portò una mano alla sacca e ne estrasse ciò che restava delle strisce di carne essiccata ricavate dal coniglio che aveva ucciso qualche notte prima. Ne prese un morso e masticò lentamente, chiudendo gli occhi, riposando, chiedendosi cosa il futuro avesse in serbo per lui. Seduto lì, addossato all’albero, sotto quelle foglie fruscianti, si sentiva bene.

Gli occhi di Merk si fecero pesanti e lui li lasciò chiudersi, giusto per un momento, avendo bisogno di riposo.

Quando li riaprì fu sorpreso di vedere che il cielo si era fatto più scuro e si rese conto di essersi addormentato. Era già il crepuscolo e capì di soprassalto che avrebbe potuto dormire tutta la notte se non fosse stato destato da un rumore.

Si mise a sedere e si guardò attorno, immediatamente allerta, sostenuto dal suo istinto. Strinse l’impugnatura del coltello che teneva nascosto alla vita e attese. Non voleva ritirare fuori la violenza, ma fino a che non avesse raggiunto la torre iniziava ad avere la sensazione che tutto era possibile.

Il fruscio si fece più forte, sembrava come qualcuno che correva in mezzo alla foresta. Merk era confuso: cosa ci faceva là fuori qualcun altro, nel mezzo del nulla, al crepuscolo? Dal suono delle foglie Merk poteva dire che si trattava di una persona, e che era una persona leggera. Forse un bambino, oppure una ragazza.

Come a confermare la sua supposizione un attimo dopo vide sbucare davanti a sé una ragazza che emerse dalla foresta correndo e piangendo. La guardò sorpreso, mentre correva da sola, inciampando e cadendo a pochi passi da lui. Atterrò a faccia in giù nella terra. Era carina, aveva forse diciotto anni, ma era scompigliata, i capelli spettinati, pieni di terra e foglie, i vestiti laceri e consumati.

Merk si alzò in piedi e lei cercò di mettersi in piedi vedendolo e sgranando gli occhi per il terrore.

 

“Ti prego, non farmi del male!” gridò, alzandosi in piedi e indietreggiando.

Merk sollevò le mani.

“Non intendo farti del male,” le disse lentamente, alzandosi del tutto. “In effetti stavo proprio per tornarmene per la mia strada.”

Lei arretrò di diversi metri piena di paura e lui non poté fare a meno di chiedersi cosa fosse successo. Qualsiasi cosa fosse, non voleva trovarvisi coinvolto: aveva già abbastanza problemi di per sé.

Merk si girò sul sentiero e iniziò ad allontanarsi, quando una voce gridò alle sue spalle: “No, aspetta!”

Lui si girò e la vide in piedi, disperata.

“Ti prego, ho bisogno del tuo aiuto,” lo implorò.

Merk la guardò e vide quanto bella fosse sotto il suo aspetto arruffato, con i capelli biondi in disordine, gli occhi azzurri e un volto dai tratti perfetti, seppur ricoperto di lacrime e terra. Indossava semplici abiti da contadina ed era evidente che non era ricca. Sembrava essere in fuga da molto tempo.

Scosse la testa.

“Non hai i soldi per pagarmi,” le disse. “Non posso aiutarti, qualsiasi cosa tu necessiti. Inoltre sono già in missione.”

“Non capisci,” lo implorò avvicinandosi. “La mia famiglia: la mia casa è stata presa d’assalto questa mattina. Mercenari. Mio padre è stato ferito. Li ha cacciati, ma torneranno presto, e con molti altri uomini, per ucciderlo, per uccidere tutta la mia famiglia. Hanno detto che daranno fuoco alla nostra fattoria e la raderanno al suolo. Ti prego!” lo implorò avvicinandosi ancora di più. “Ti darò qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa!”

Merk rimase lì, sentendosi dispiaciuto per lei, ma determinato a non farsi coinvolgere.

“Ci sono molti problemi al mondo, signorina,” le disse. “E io non posso risolverli tutti.”

Si voltò di nuovo per andarsene, ma la voce della ragazza risuonò un’altra volta.

“Per favore,” gridò. “È un segno, non vedi? Che io mi sia imbattuta in te, nel mezzo del nulla? Mi aspettavo di non trovare nessuno e invece ho trovato te. Era destino che tu fossi qui, era destino che mi aiutassi. Dio ti sta offrendo una possibilità di redenzione. Non credi nei segni?”

Rimase fermo a guardarla singhiozzare e si sentì in colpa, ma più che altro distaccato. Una parte di sé pensava a quante persone aveva ucciso nella sua vita e si chiedeva: cosa significano pochi di più? Ma ce n’erano sempre pochi di più. Sembrava non poter finire mai. Doveva darsi un limite prima o poi.

“Mi spiace, signorina,” disse. “Ma non sono il tuo salvatore.”

Merk si voltò nuovamente e iniziò a camminare, determinato questa volta a non fermarsi, a scacciare i suoi singhiozzi e il suo dolore calpestando rumorosamente le foglie e coprendo quei gemiti.

Ma non importava con quanta forza calpestasse le foglie: il suo pianto continuava e gli risuonava da qualche parte nella testa, richiamandolo. Si voltò e la vide correre via, scomparire di nuovo nel bosco. Avrebbe voluto esserne sollevato, ma si sentiva più che altro perseguitato, perseguitato da un pianto che non voleva sentire.

La maledisse mentre camminava, infuriato, desiderando di non averla mai incontrata. Perché? si chiese. Perché proprio lui?

Continuò a tormentarlo senza lascialo stare e lui odiava quella sensazione. Era questo che significava avere una coscienza?

CAPITOLO VENTI

Il cuore di Kyra le batteva forte in petto mentre camminava insieme a suo padre e ai suoi fratelli, Anvin e tutti i guerrieri, solennemente attraverso le strade di Volis, tutti pronti per la guerra. C’era un silenzio solenne nell’aria, il cielo pesante e grigio, la neve leggera che scendeva di nuovo mentre i loro stivali facevano scricchiolare quella già a terra avvicinandosi al cancello principale del forte. I corni continuavano a suonare e suo padre conduceva stoicamente i suoi uomini. Kyra era sorpresa da quanto calmo fosse, come se lo avesse fatto miglia di altre volte prima d’ora.

Kyra guardava fisso davanti a sé e attraverso le sbarre di ferro del cancello abbassato vide uno scorcio del Lord governatore che conduceva i suoi uomini – un centinaio – vestiti con armature scarlatte, la bandiera gialla e blu di Pandesia che sventolava al vento. Galoppavano nella neve sui loro massicci cavalli neri, con addosso le migliori armature e brandendo le migliori armi, tutti diretti verso i cancelli di Volis. Il rombo degli zoccoli dei loro cavalli si sentiva anche da lì e Kyra sentiva la terra tremare sotto i piedi.

Mentre camminava con il cuore che le martellava in petto, Kyra teneva il suo nuovo bastone in mano e il nuovo arco appeso alla spalla. Indossava i suo parabraccia e si sentiva rinata. Finalmente si sentiva una vera guerriera, con vere armi. Era felice di averle.

Mentre camminavano Kyra era felice di vedere la sua gente che si raccoglieva, senza paura, unendosi a loro nella marcia contro il nemico. Vide tutto il popolo del villaggio guardare suo padre e i suoi uomini con speranza e si sentì onorata di essere in marcia insieme a loro. Sembravano avere tutti un’immensa fiducia in suo padre e sospettava che se si fossero trovati sotto il comando di qualcun altro la gente non sarebbe stata così calma.

Gli uomini del Lord si fecero più vicini, un corno suonò di nuovo e il cuore di Kyra batté con forza.

“Non importa cosa succederà,” disse Anvin avvicinandosi a lei e parlando sottovoce, “non importa quanto vicini arriveranno. Non fare niente senza un comando di tuo padre. Ora lui è il nostro comandante. Non ti parlo come a sua figlia, ma come a uno dei suoi uomini. Uno di noi.”

Lei annuì, onorata.

“Non desidero essere causa di morte per il nostro popolo,” disse.

“Non preoccuparti,” disse Arthfael avvicinandosi dall’altro lato. “Questo è un giorno atteso da tanto tempo. Non sei stata tu a iniziare questa guerra: sono stati loro. Il giorno che hanno varcato la Porta Meridionale e hanno invaso Escalon.”

Kyra, rassicurata, strinse il pugno attorno al bastone, pronta a qualsiasi cosa potesse succedere. Forse il Lord governatore sarebbe stato ragionevole. Forse avrebbe negoziato una tregua?

Kyra e gli altri raggiunsero il cancello e si fermarono guardando suo padre.

Lui stava fermo a guardare, inespressivo, il volto duro, pronto. Si voltò verso i suoi uomini.

“Non ci ripareremo dietro un cancello di ferro per paura dei nostri nemici,” tuonò, “ma ci scontreremo con loro da uomini, al di là dell’inferriata. Sollevate il cancello!” ordinò.

Seguì un cigolio mentre i soldati lentamente sollevavano la spessa saracinesca di ferro. Alla fine si fermò con un colpo e Kyra si unì agli altri mentre lo oltrepassavano.

Varcarono il ponte di legno cavo con i passi che rimbombavano, oltrepassarono il fossato e si fermarono dalla parte opposta, in attesa.

Un rombo riempì l’aria mentre gli uomini del Lord si fermavano a pochi metri da loro. Kyra si trovava diversi passi dietro a suo padre, raccolta insieme agli altri. Si fece strada fino alle prime linee, volendo stare al suo fianco e vedere in faccia gli uomini del Lord.

Vide il Lord governatore, un uomo di mezza età stempiato e con i capelli striati di grigio e una pancia prominente. Sedeva con arroganza sul suo cavallo e quattro o cinque metri da loro e li guardava tutti come se non fossero alla sua altezza. Un centinaio di suoi uomini erano a cavallo dietro di lui, tutti seri in volto e con vere armi in mano. Era chiaro che erano tutti pronti per scatenare guerra e morte.

Kyra era così fiera di vedere suo padre là davanti, a capo dei suoi uomini, irremovibile e senza paura. Aveva in viso l’espressione di un comandante di guerra, un’espressione che non gli aveva mai visto prima. Non era il volto del padre che conosceva, ma il volto che riservava ai suoi uomini.

Un lungo e teso silenzio riempì l’aria, interrotto solo dall’ululare del vento. Il Lord governatore prese tempo esaminandoli tutti per un minuto buono, cercando chiaramente di intimidirli, di costringerli a guardarlo e a contemplare la meraviglia dei loro cavalli, delle loro armi e armature. Il silenzio si dilungò talmente che Kyra iniziò a chiedersi se qualcuno l’avrebbe mai spezzato. Iniziò a capire che il silenzio di suo padre, il suo saluto tacito, freddo, mentre stava con tutti i suoi uomini armati, era in sé un atto di sfida. Lo amava per questo. Non era uomo da ritirarsi davanti a nessuno, qualsiasi fossero le probabilità.

Leo era l’unico ad emettere un suono, ringhiando sommessamente verso di loro.

Alla fine il Lord governatore si schiarì la voce e fissò suo padre.

“Cinque dei miei uomini sono morti,” annunciò con voce nasale. Rimase a cavallo, non scese per confrontarsi al loro livello. “Tua figlia ha infranto la sacra legge pandesiana. Conosci la conseguenza: toccare un uomo del Lord significa pena di morte.”

Fece silenzio e suo padre non rispose. Mentre la neve e il vento iniziavano a intensificarsi, l’unico suono che si poteva udire era lo sventolio delle bandiere. Gli uomini, di pari numero da entrambe le parti, si guardavano in quel teso silenzio.

Finalmente il Lord governatore continuò.

“Dato che sono un Lord magnanimo,” disse. “Non ucciderò tua figlia. Né ucciderò te e i tuoi uomini o il tuo popolo, come sarebbe mio diritto. Sono infatti intenzionato a lasciarmi tutto questo brutto affare alle spalle.”

Il silenzio si protrasse mentre il governatore, prendendosi tempo, scrutava lentamente i loro volti, soffermandosi alla fine su Kyra. Lei provò un brivido quando i suoi occhi avidi e orribili si posarono su di lei.

“In cambio prenderò tua figlia, come è mio diritto. Non è sposata, ha l’età giusta e come sai la legge di Pandesia me lo permette. Tua figlia – tutte le vostre figlie – sono mia proprietà ora.”

Fece un ghigno guardando suo padre.

“Considerati fortunato che non metta in atto una punizione più dura,” concluse.

Il Lord governatore di voltò e fece un cenno ai suoi uomini e due dei suoi soldati, uomini dall’aspetto feroce, smontarono da cavallo e iniziarono ad avvicinarsi al ponte, con gli speroni che tintinnavano e i passi che rimbombavano.

Il cuore di Kyra gli batteva con forza nel petto mentre li vedeva venire verso di lei: avrebbe voluto scattare in azione, prendere il suo arco e tirare, oppure maneggiare il suo bastone. Ma ricordò le parole di Anvin sull’aspettare un ordine di suo padre, su come si comportava un soldato disciplinato e, per quanto difficile fosse, si sforzò di aspettare.

Mentre si avvicinavano Kyra si chiese cosa avrebbe fatto suo padre. L’avrebbe lasciata a quegli uomini? Avrebbe combattuto per lei? Che avessero vinto o perso, che l’avessero presa o meno non contava per lei: quello che contava di più era che a suo padre interessava abbastanza di lei da opporre resistenza.

Ma lui non reagiva. Il cuore di Kyra le batteva nella gola. Provò un’ondata di delusione rendendosi conto che intendeva lasciarla andare. Aveva voglia di piangere.

Leo ringhiava furiosamente, portandosi davanti a lei con il pelo dritto, ma loro non si fermarono. Sapeva che se gli avesse ordinato di saltare l’avrebbe fatto, ma non voleva che si facesse male contro quelle armi e non voleva disubbidire al comando di suo padre scatenando una guerra.

I suoi uomini erano a un passo da lei quando improvvisamente, all’ultimo secondo, suo padre fece un cenno ai suoi uomini e sei di loro si fecero avanti – con gioia di Kyra – abbassando le alabarde e bloccando l’avvicinarsi dei soldati.

I soldati si bloccarono di colpo, la loro armatura sbatté contro le alabarde, e guardarono sorpresi suo padre, chiaramente non aspettandosi una mossa del genere.

“Non andrete oltre,” disse. La sua voce era forte e dura, una voce che nessuno avrebbe avuto il coraggio di sfidare. Aveva un tono di autorità, non di sottomissione.

In quel momento Kyra lo amò più che mai.

Si voltò e guardò il Lord governatore.

“Siamo tutti uomini liberi qui,” disse, “uomini e donne, vecchi e giovani allo stesso modo. La decisione è sua. Di Kyra,” disse voltandosi verso di lei. “Desideri andartene con questi uomini?”

Lei lo guardò sopprimendo un sorriso.

“No,” rispose con fermezza.

Si voltò di nuovo verso il Lord governatore.

“Ecco,” disse. “La decisione è sua. Non vostra e non mia. Se desiderate avere delle proprietà o dell’oro come compensazione del danno subito,” disse al governatore, “allora potete averlo. Ma non avrete mia figlia – o nessuna delle nostre figlie – indipendentemente da cosa ha definito uno scribacchino come legge pandesiana.”

Il Lord governatore lo guardò con rabbia, il volto scioccato, chiaramente non abituato ad essere trattato così, né sfidato a quel modo. Sembrava non sapesse cosa fare. Non era evidentemente l’accoglienza che si era aspettato.

 

“Osi fermare i miei uomini?” chiese. “Rifiutare la mia offerta?”

“Non è per niente un’offerta,” rispose Duncan.

“Pensaci attentamente, servo,” lo riprese. “Non ripeterò due volte l’offerta. Se rifiuti incontrerai la morte, tu e tutto il tuo popolo. Sicuramente sai che non sono solo: parlo a nome del vasto esercito pandesiano. Pensi di poter affrontare Pandesia da solo, quando il tuo stesso re si è arreso? Quando le probabilità sono così avverse per te?”

Il padre di Kyra scrollò le spalle.

“Non combatto per le probabilità,” rispose. “Combatto per delle cause. Il tuo numero di uomini non conta per me. Quello che conta è la nostra libertà. Puoi anche vincere, ma non ti prenderai mai il nostro spirito.”

Il volto del governatore si fece più duro.

“Quando tutte le vostre donne e bambini vi verranno portati via urlando,” disse, “ricorda la scelta che hai fatto oggi.”

Il Lord governatore si voltò, spronò il suo cavallo e se ne andò seguito da numerosi servitori, ripercorrendo la strada dalla quale era provenuto, nella campagna ammantata di neve.

Ma i suoi soldati rimasero indietro e il loro comandante sollevò in alto lo stendardo e ordinò: “AVANZATE!”

Gli uomini del Lord smontarono tutti da cavallo e si allinearono marciando i perfetta formazione, dritto verso di loro.

Il cuore di Kyra batteva nel petto. Si voltò a guardare suo padre e così fecero tutti gli altri, in attesa di un suo comando. Improvvisamente lui alzò un pugno e con un feroce grido di battaglia lo riabbassò.

Improvvisamente il cielo si riempì di frecce. Kyra si guardò alle spalle e vide numerosi degli arcieri di suo padre prendere la mira dai parapetti e tirare. Le frecce le ronzavano vicino alle orecchie per poi andare a colpire uomini del Lord a destra e a sinistra.

Le grida riempirono l’aria e gli uomini iniziarono a morire attorno a lei. Era la prima volta che vedeva così tanti uomini morire vicino a lei e la vista la lasciò a bocca aperta.

Nel frattempo anche suo padre sguainò una spada corta da ogni lato della cintola e si fece avanti pugnalando i due soldati che volevano prenderla. Entrambi caddero morti ai suoi piedi.

Anche Anvin, Vidar ed Arthfael sollevarono le lance e le scagliarono andando tutti e tre a colpire dei soldati che stavano per attraversare il ponte. Brandon e Braxton tirarono le loro lance andando rispettivamente a graffiare il braccio e la gamba di due soldati: almeno li avevano feriti.

Altri uomini attaccarono e Kyra, ispirata, mise da parte il suo bastone, sollevò il nuovo arco per la prima volta, posizionò una freccia e tirò. Mirò al comandante, che conduceva i suoi uomini a cavallo, e vide con grande soddisfazione che la freccia volò in aria e lo colpì al petto. Era il primo tiro con l’arco nuovo e il primo uomo ucciso in un vero combattimento. Mentre il comandante cadeva a terra Kyra guardò scioccata ciò che aveva appena fatto.

Nello stesso momento una decina di uomini del Lord sollevarono i loro archi e tirarono. Kyra vide con orrore che le frecce le passavano vicino nella direzione opposta e alcuni degli uomini di suo padre gridarono di dolore, feriti, cadendo attorno a lei.

“PER ESCALON!” gridò suo padre.

Sguainò la spada e si lanciò all’attacco attraverso il ponte, nel mezzo degli uomini del Lord. I suoi soldati lo seguirono e Kyra prese il bastone unendosi a loro, esaltata da quella corsa in battaglia e desiderosa di essere al fianco di suo padre.

Mentre attaccavano gli uomini del Lord prepararono un altro giro di frecce e tirarono un’altra volta: presto un muro di frecce venne loro incontro.

Ma allora, con sorpresa di Kyra, gli uomini di suo padre sollevarono gli scudi creando una parete abbassandosi tutti insieme, perfettamente preparati. Lei si accucciò dietro a uno di loro e udì i colpi delle frecce letali che venivano così bloccate.

Balzarono tutti in piedi e attaccarono di nuovo e Kyra si rese conto che quella era la strategia di suo padre: avvicinarsi abbastanza agli uomini del Lord in modo che le frecce fossero inutili. Presto furono a ridosso del muro di soldati e si levò un forte clangore metallico mentre gli uomini si scontravano in battaglia, le spade sbattevano contro altre spade, le alabarde si scontravano contro gli scudi, le lance si scontravano con le armature. Era terribile ed esaltante allo stesso tempo.

Schiacciati contro il ponte senza altro posto dove fuggire, gli uomini combattevano corpo a corpo, ansimando, colpendo e parando, il clangore quasi assordante. Leo balzò in aria e affondò i denti nel piede di un uomo mentre un uomo di suo padre gridava accanto a Kyra che, voltandosi, lo vide trafitto da una spada, con il sangue che gli colava dalla bocca.

Kyra vide Anvin dare una testata a un uomo, poi conficcargli la spada nel ventre. Vide suo padre usare il suo scudo come arma, colpendo due uomini con tale forza da mandarli oltre il ponte facendoli cadere nel fossato. Non aveva mai visto suo padre in azione prima d’ora ed era impressionante da guardare. Ancora più impressionante era come i suoi uomini stavano attorno a lui, dimostrando con chiarezza che avevano combattuto fianco a fianco per anni. Avevano un’intesa che gli invidiava.

Gli uomini di suo padre combattevano così bene da prendere gli uomini del Lord alla sprovvista: non si erano sicuramente aspettati una resistenza organizzata. Gli uomini del Lord combattevano per il loro governatore che se n’era già andato, mentre gli uomini di suo padre combattevano per la loro patria, per le loro famiglie, per le loro vite. Le loro passioni e ciò che c’era in ballo dava loro lo slancio.

In spazi stretti, con poche possibilità di movimento, Kyra vide un soldato venire verso di lei con la spada levata. Afferrò immediatamente il suo bastone con entrambe le mani, lo girò di lato e lo sollevò sopra la testa come uno scudo. L’uomo la attaccò con una spada lunga e lei pregò che l’acciaio alcano di Brot tenesse.

La spada sbatté contro il bastone come avrebbe fatto contro uno scudo e con sollievo di Kyra non si ruppe.

Kyra ruotò il bastone e colpì il soldato alla tempia. Questi incespicò all’indietro e lei quindi gli diede un calcio, mandandolo, gridando, nel fossato.

Un altro soldato la attaccò di lato, facendo roteare un mazzafrusto, e lei si rese coto che non sarebbe stata capace di reagire in tempo. Ma lei si lanciò in avanti e balzò sul petto dell’uomo mandandolo a terra.

Un altro soldato ancora arrivò con un’ascia, roteandola di lato: Kyra ebbe appena il tempo per reagire e si voltò usando il bastone per parare il colpo. Lo tenne verticale, quasi incapace di sostenere la forza del soldato, mentre l’ascia le si avvicinava. Imparò un’ottima lezione rendendosi conto che non doveva tentare di affrontare quegli uomini direttamente. Non era più forte di loro: doveva combattere al pari con le sue forze, non con le loro.

Perdendo forza mentre l’ascia si avvicinava, Kyra ricordò il trucco di Brot. Ruotò il bastone, lo aprì a metà e fece un passo indietro mentre l’ascia la sfiorava mancandola per un pelo. Il soldato rimase stupito, non aspettandosi chiaramente una mossa del genere. Con lo stesso movimento Kyra sollevò le due metà del bastone e conficcò le lame nel petto del soldato, uccidendolo.

Si udì un grido, un grido d’attacco alle sue spalle, e Kyra si voltò vedendo un gruppo del popolo – contadini, muratori, fabbri, armatori, macellai – tutti con armi alla mano –falci, accette, qualsiasi cosa – correre verso il ponte. Nel giro di pochi istanti raggiunsero gli uomini di suo padre, tutti pronti a opporre resistenza.

Kyra vide Thomak il macellaio usare una mannaia per tagliare il braccio di un soldato, mentre Brine il muratore colpiva il petto di un altro con un martello, mandandolo a terra. Il popolo portò una fresca ondata di energia nella battaglia e per quanto fossero messi insieme alla meno peggio, presero gli uomini del Lord alla sprovvista. Combattevano con passione, sfogando anni di rabbia repressa ai loro ordini. Ora finalmente avevano un’opportunità di insorgere per qualcosa, un’occasione di vendetta.