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CAPITOLO SEDICI

Kevin tenne gli occhi fissi sul furgone che conteneva la capsula per tutta la strada fino a Bogotá. Aveva quasi la sensazione che se avesse distolto lo sguardo anche solo un momento, uno dei diversi gruppi con cui avevano tanto discusso avrebbe tentato di portarla via.

“Non scomparirà,” disse Ted. “Hai fatto un buon lavoro convincendo tutti a lavorare insieme a questa cosa, Kevin.”

Kevin voleva crederci, ma la capsula era quasi venuta fuori dal nulla, no? Perché non avrebbe potuto trovare un modo di scomparire di nuovo? Perché non era possibile che si potessero trovare a fissare uno spazio vuoto, proprio mentre speravano di venire a sapere tutti i segreti che gli alieni avevano preparato per loro?

“Andrà tutto bene, Kevin,” disse sua madre mettendogli una mano sulla spalla. “Hai già fatto la parte difficile.”

Kevin capiva questo, ma lo stesso guardava il furgone. Non era solo la volontà di accertarsi che non succedesse nulla. Era più la promessa, e il bisogno di aspettare. Era come aspettare la mattina di Natale e una visita dal dottore, tutto mescolato insieme. Non distolse lo sguardo fino a che non vide Bogotá comparire poco avanti.

“La struttura della UN è solo poco più avanti,” disse Ted.

L’edificio davanti a loro sembrava cinquant’anni più moderno della maggior parte delle costruzioni lì attorno, costruito in vetro e acciaio, mentre le case che lo circondavano sembravano per lo più pittoresche e antiche. C’era un complesso lì attorno, completo di soldati con elmetti blu. Non fecero nessuna mossa per fermare la carovana mentre avanzava verso il complesso, e Kevin immaginò che la gente con loro avesse già chiamato per avvisare del loro arrivo.

Questo significava che non potevano scegliere di portare la capsula all’interno di soppiatto. Lo staff della UN era già pronto e guardava il convoglio che entrava, mentre Kevin poteva vedere quelli che sembravano dei giornalisti bloccati dietro a una barriera, a malapena trattenuti dalla presenza dei soldati. Puntavano macchine fotografiche e i flash scattavano in sequenza ininterrotta mentre la carovana si fermava. Kevin osò fare un sospiro di sollievo. Ce l’avevano fatta ad arrivare lì. Avevano la capsula.

Guardò un gruppo di forzuti ricercatori portarla dentro, ricoperta da una coperta in modo che le macchine fotografiche non vedessero troppo.

“Vorrei che non dovessero nasconderla così,” disse Kevin.

Ted guardò dalla capsula alle macchine fotografiche. “Qualcosa mi dice che non saranno capaci di farlo per molto. Vieni, entriamo.”

Kevin saltò giù dalla Jeep e poi partì insieme a Ted, sua madre e tutti gli altri, entrando nel complesso della UN. Non fu sorpreso di trovare altri giornalisti che avevano ovviamente deciso di rinunciare alla possibilità di una prima fotografia, per trovarsi in una posizione migliore per gridare domande non appena tutti fossero entrati.

“È vero?” gridò uno. “Avete trovato una navicella aliena?”

Il professor Brewster pensò fosse ovvio che dovesse rispondere lui, e si fece avanti per farlo. “Salve. Sono il professor David Brewster della NASA. Abbiamo trovato una cosa nella foresta pluviale, ma per il momento non siamo in grado di dire esattamente cosa sia. I miei collaboratori non risponderanno a nessuna domanda al momento, ma ci sarà a breve una conferenza stampa, dove esamineremo pubblicamente l’oggetto che abbiamo trovato.”

La stampa continuò a sparare domande dalla sua parte, ma il professor Brewster li ignorò, camminando verso l’edificio principale del complesso. Kevin e gli altri si affrettarono a raggiungerlo.

“Stiamo davvero andando dritti verso una conferenza stampa?” chiese la dottoressa Levin. A Kevin non pareva scontenta della cosa, piuttosto sorpresa.

“Le cose sono andate avanti piuttosto rapidamente,” disse il professor Brewster. “Le discussioni su chi debba lavorare sulla roccia sono calate nel silenzio… vocale.”

Kevin aveva sperato che dopo tutto quello che era successo in strada, gli scienziati potessero essere capaci di andare d’accordo più facilmente.

“Si è deciso che l’unico modo per evitare ulteriori questioni sia di gestire la situazione. Ci sarà una conferenza stampa per annunciarla, e dato che molti dei miei colleghi stanno spingendo per farlo, cercheremo di tagliare la roccia per capirne il contenuto.”

“La aprirete davvero?” chiese Kevin. Non era stato certo che l’avrebbero fatto o meno.

“In condizioni severamente controllate,” disse il professor Brewster. “Non possiamo rischiare una potenziale contaminazione, né della roccia né dell’ambiente circostante. La stanza nella quale eseguiremo l’apertura sarà uno spazio sigillato.”

Andò avanti per organizzare la cosa, e Kevin poté sentire la sua eccitazione che saliva.

“La stanno davvero per aprire,” disse con un sorriso. Era una figata.

“E noi ne saremo parte,” disse la dottoressa Levin.

“Avranno bisogno di Kevin come parte della conferenza stampa?” chiese la madre di Kevin.

“Probabilmente,” disse la dottoressa Levin. “Merita di esserlo, non pensa?”

La madre di Kevin annuì. “Sì. Dopo tutto questo, sì.”

***

La stanza per la conferenza stampa era una grande sala conferenze, ovviamente progettata per contenere grossi numeri di persone. Lo stesso sembrava affollata quando Kevin vi entrò, così zeppa di giornalisti e ricercatori che era quasi impossibile passarci attraverso. Su una parete era stato sistemato uno schermo che mostrava un laboratorio dalle pareti bianche dove la capsula era stata adagiata su un tavolo di metallo, circondato da tre ricercatori. Indossavano dei camici bianchi in plastica che Kevin immaginò servissero ad evitare che contaminassero la capsula. Indossavano anche delle maschere in volto, e degli occhialini.

Davanti alla sala conferenza si trovava un lungo tavolo con una varietà di uomini e donne dall’aspetto serio seduti al loro posto. Kevin riconobbe alcuni di loro dalla spedizione, e il generale Marquez si trovava al centro. Kevin, la dottoressa Levin e il professor Brewster si unirono a loro.

“Grazie a tutti per essere venuti,” disse il professor Brewster. “Come probabilmente ormai sapete, siamo recentemente tornati da una spedizione scientifica nella foresta pluviale colombiana. Durante questa spedizione, abbiamo localizzato l’oggetto che potete vedere.”

“Che cos’è?” chiese un giornalista.

“Da dove viene?” domandò un altro.

Il professor Brewster fece una pausa prima di rispondere. Kevin si chiese come dovesse essere per lui, dover dire qualcosa che suonava impossibile, anche se sapeva che era vero.

“Abbiamo motivo di credere che questa roccia sia una capsula inviata da una civiltà aliena,” disse il professor Brewster.

Si levarono dei sussulti nella stanza, e tutti i giornalisti iniziarono all’istante a fare domande. Il professor Brewster alzò le mani per avere il silenzio.

“Ormai sarete consapevoli che la NASA ha ricevuto delle comunicazioni da una civiltà aliena,” disse. “Queste sono state decodificate da Kevin McKenzie, e sulla base delle traduzioni, siamo stati in grado di localizzare… l’oggetto.”

Fece un cenno a Kevin e quasi istantaneamente il ragazzo si trovò accecato dai flash di decine di macchine fotografiche.

“Con la collaborazione del governo colombiano e di un team internazionale di scienziati.” Proseguì il professor Brewster, “abbiamo recuperato l’oggetto e l’abbiamo portato qui.”

Fece apparire la cosa come se fosse stata molto più pacifica che nella realtà, ma Kevin immaginava che quella fosse la storia che tutti volevano raccontare, del loro lavoro insieme e dall’aiuto reciproco. Non sembrava una brutta storia, se effettivamente poteva incoraggiare la gente a farlo una seconda volta.

“Eseguiremo dei test preliminari sull’oggetto,” disse il professor Brewster. “E a seconda dei risultati, ovviamente, apriremo la capsula in linea con i messaggi che abbiamo ricevuto.”

Di nuovo un brusio di eccitazione percorse la stanza. Uno di certo scorse lungo la schiena di Kevin. Tutte queste chiacchiere erano frustranti ora. Lui voleva arrivare al punto dove avrebbero affettivamente aperto la capsula e visto ciò che c’era all’interno. Cercò di immaginare cosa potesse esserci, ma la verità era che era impossibile immaginarlo. Poteva esserci qualsiasi cosa, da informazioni codificate in un supercomputer nascosto a fiale di materiale vivente… qualsiasi cosa.

“Kevin,” gridò uno dei giornalisti. “Cosa pensi che significhi tutto questo? Continuerai a ricevere messaggi? Che impatto pensi che avrà sull’umanità?”

“Non lo so,” rispose Kevin. “Immagino… immagino che mi piacerebbe che questo fosse una sorta di inizio per la gente. Se sappiamo che là fuori ci sono gli alieni, immagino che dovremo pensare a chi siamo noi.”

Ci sarebbero stati talmente tanti cambiamenti nel mondo, e la parte più triste era che lui probabilmente non avrebbe assistito alla maggior parte di essi. Neanche quel pensiero poteva spingere da parte l’eccitazione. Voleva vedere cosa c’era dentro alla roccia. E pensava che fosse il desiderio di tutti, a quel punto.

“Se non ci sono altre domande,” disse il professor Brewster,” inizieremo con l’esecuzione dei test.”

Fece segno agli scienziati sullo schermo, che iniziarono a lavorare con strumenti di cui Kevin non conosceva i nomi. Kevin si trovò a trattenere il fiato mentre operavano.

“I raggi X sembrano inconcludenti,” disse uno degli scienziati. “Potrebbe essere solido, ma è difficile dire come dovrebbe essere un normale risultato su un oggetto come questo.”

 

“La spettrometria suggerisce una composizione coerente con un’origine ultra terrestre,” disse un altro. “Similmente a diverse composizioni meteoritiche contenute nel nostro database.”

Kevin sentì le speranze crescere, mentre un altro rumoroso brusio serpeggiò per la stanza. Sembrava che i giornalisti volessero scoprire quanto lui cosa ci fosse dentro alla capsula. Kevin non poteva immaginare nessuno che lo potesse volere più di lui.

“Considerati i dati preliminari,” chiese il professor Brewster agli scienziati sullo schermo, “ci sono motivi per cui non dovremmo tentare di aprire l’oggetto?”

A Kevin sembrava che stesse tentando di avere un tono il più possibile calmo e autoritario. Kevin per lo più voleva solo che si sbrigassero. Non era sicuro di quanto ancora sarebbe stato capace di starsene seduto lì ad aspettare che facessero la cosa che tutti sapevano di voler fare.

“Non ci sono ovvi pericoli,” disse lo scienziato dall’altra parte del collegamento video. “La struttura della roccia pare sufficientemente forte da sopravvivere al procedimento e sono state predisposte le opportune precauzioni di sicurezza.”

Sembrava un modo piuttosto articolato di dire che potevano farlo, secondo Kevin, ma la cosa più importante era che lo stessero dicendo.

“Molto bene,” disse il professor Brewster. “Iniziate a tagliare l’oggetto.”

Fece cenno agli scienziati sullo schermo, e tutti si piegarono sulla roccia, boccandola sul tavolo in modo da poterci lavorare sopra. Uno tornò con una sega elettrica che sembrava troppo grande perché una sola persona la manovrasse. Sembrava quel genere di strumento in grado di tagliare indistintamente e con facilità metallo o cemento.

Kevin quasi si aspettava che rimbalzasse contro la superficie della roccia, nonostante tutto. Pensava che una capsula aliena tanto dura da poter attraversare lo spazio dal sistema Trappist 1 fino a lì dovesse essere tanto resistente da non lasciarsi scalfire da una sega.

La sega affondò in denti nella roccia, però, facendo volare in aria polvere e scintille man mano che penetrava.

“Stiamo sperimentando una certa resistenza,” disse uno dei ricercatori. “Dovremmo forse passare a una lama più pesante.”

Continuarono a lavorare, prima facendo un’incisione attorno alla roccia, come se si aspettassero che così facendo si aprisse come un uovo di Pasqua, poi spingendo dentro con la sega vedendo che non accadeva niente. Continuarono fino a che la polvere quasi riempiva totalmente lo schermo, schiarendosi lentamente solo dopo, e mostrando le due metà della capsula nettamente separate.

Kevin fissò l’immagine e ipotizzò che tutti nella stanza e in giro per il mondo stesse facendo lo stesso, cercando di capire. Guardò fino a che gli bruciarono gli occhi, cercando di cogliere i dettagli che gli avrebbero spiegato cosa gli alieni avevano loro inviato. Cosa c’era dentro alla capsula? Cosa c’era stato di così importante da doverlo mandare ad anni luce di distanza, in un mondo completamente diverso?

Guardò prima speranzoso, poi incredulo.

Quello che stava vedendo semplicemente non aveva alcun senso.

CAPITOLO DICIASSETTE

Attorno alla stanza Kevin poteva sentire il mormorio degli scienziati e dei giornalisti man mano che iniziavano a rendersi conto di ciò che anche lui aveva capito.

L’interno della “capsula” era solo una superficie rocciosa piena e solida. Non c’era nessuno spazio vuoto, nessun segno di avanzata tecnologia. La roccia che gli scienziati avevano tagliato era… beh, era una roccia.

All’improvviso ci fu un boato, con un centinaio di giornalisti che gridavano domande contemporaneamente. Sullo schermo gli scienziati avevano un’espressione scioccata, e stavano fermi come se non avessero idea di cosa fare adesso.

“Come volete che procediamo, professor Brewster?” chiese uno di loro. “Professor Brewster?”

L’uomo non rispose. Da quello che Kevin poteva vedere, era troppo impegnato a restare lì con il volto rosso, non sapendo come reagire.

“Professor Brewster, cosa sta succedendo?” esclamò un giornalista tra gli altri.

“È uno scherzo o qualcosa del genere?” riuscì a gridare un altro.

“Perché la roccia è vuota?” urlò un terzo.

Kevin poteva vedere il professor Brewster che si guardava attorno come se ci fosse qualcuno capace di dargli tutte quelle risposte.

“Io… non…” disse il professor. Scosse la testa. “Mi spiace, ma c’è stato un qualche genere di errore…”

***

Kevin non era mai stato così deluso come si sentiva sul volo che lo stava riportando a San Francisco insieme agli altri. Si stavano ridirigendo verso l’istituto, perché avevano attrezzature da riportare indietro, e perché il professor Brewster aveva detto qualcosa riguardo a un appropriato resoconto che doveva fare lì. Parte di Kevin, però, gli faceva solo sentire l’impulso di correre a casa a nascondersi.

Rimaneva seduto lì, sperando di provare la sensazione che veniva prima di un segnale, sperando che ci sarebbe stata una qualche risposta, una spiegazione. Ma non c’era nulla. Non c’era da così tanto, che era difficile ricordare che i segnali fossero stati reali, che non fossero stati solo un frutto della sua immaginazione. Si chiuse in se stesso, non sicuro di cosa pensare, o di cosa fare adesso.

Forse erano le cuffie, ma nessuno si preoccupava per lui lì. Sua madre gli stava seduta accanto sull’aeroplano. Tutti gli altri sembravano tenere le distanze, anche la gente come Phil, Ted e la dottoressa Levin, come se qualcuno li avesse avvisati di non avvicinarsi troppo, dicendo loro che si sarebbero fatti male ora, per associazione con il fallimento di Kevin.

Era stato un suo fallimento. Era stato lui a decodificare i segnali. Era stato lui a portarli in Sud America, e poi a scorgere il punto in cui si trovava il meteorite all’interno del laghetto. Qualcosa era andato storto da qualche parte, e Kevin non poteva fare a meno di sentirsi come se fosse stato lui a sbagliare tutto.

“Non incolparti,” insisteva sua madre, ovviamente immaginando cosa Kevin stesse pensando. “Non potevi sapere che sarebbe andata a finire così. Forse avremmo dovuto essere tutti più attenti nel seguire questa cosa.”

Sembrava quasi che sua madre si stesse biasimando prima di tutto per aver portato Kevin al SETI. Forse stava pensando che avrebbe dovuto essere più severa al riguardo.

“Non so cosa sia andato storto, mamma,” disse Kevin. “Voglio dire, ho sentito i segnali. E abbiamo trovato la capsula proprio dove dicevano che sarebbe stata.”

“Abbiamo trovato qualcosa,” lo corresse sua madre con gentilezza. “Magari eravamo tutto così contenti di averla trovata che abbiamo dato per scontato di sapere cosa fosse. Ci siamo tutti convinti.”

Eccetto per il fatto che era stato Kevin a convincere tutti. Perché era stato lui a sentire i segnali. Erano stati reali. Erano passati attraverso l’attrezzatura di ascolto dell’istituto. Tutti li avevano sentiti. Altrimenti, perché la capsula sarebbe stata dove l’avevano trovata?

“Cosa succederà alla capsula adesso?” chiese Kevin.

“Non lo so, rispose sua madre. “Penso di aver visto che la caricavano sull’aereo. Immagino che a nessuno interessi chi la possiede adesso che è solo una roccia. Adesso non ha importanza, però. La cosa importante è che ti riportiamo a casa sano e salvo.”

Qualcosa nel modo in cui lo disse suggerì a Kevin che sua madre fosse preoccupata di non essere capace di farlo. Aveva il tono di chi si aspetta dei problemi, e Kevin non riusciva a capire il perché.

Lo capì quando furono atterrati, però, quando uscì dall’aeroplano e si portò poi nell’area degli arrivi. Non appena furono lì, un muro di voci lo colpì, con flash di macchine fotografiche che scattavano ovunque.

“Perché l’hai fatto, Kevin?” chiese un giornalista.

“Dicci che non è una bufala!” gridò un uomo lì vicino.

“Credevamo in te!”

C’erano giornalisti, ma anche altre persone, alcuni con dei cartelli, altri che si limitavano a gridare. Nessuno sembrava felice di vedere Kevin lì. Si raggrupparono attorno agli scienziati, avvicinandosi mentre iniziavano a scaricare l’attrezzatura. Il meteorite era lì dentro da qualche parte. Ora che non c’era alcun segno di alieni, a nessuno importava che lo riportassero nella struttura della NASA.

“È giusto che il pubblico paghi per tutto questo quando voi ve ne andate in Colombia a caccia di pietre?” gridò un giornalista. “Non pensate che sia uno spreco di denaro che potrebbe essere investito in scuole o nell’esercito?”

La gente avanzava, sempre gridando domande, e per un momento o due Kevin li trovò a spingere da ogni lato. Perse di vista sua madre nell’impatto, e poi fu solo come se stesse annegando nei flash degli scatti, le domande che lo assalivano a una tale velocità da essere quasi assordanti.

“Perché hai mentito, Kevin?”

“È stato solo per attirare attenzioni?”

“È stato tutto per la tua malattia?”

Kevin restava a testa bassa, non sapendo cosa dire. Cercò un modo per passare in mezzo alla calca, ma ovunque guardasse c’erano persone che lo guardavano con espressioni accusatorie. Alcuni tentarono di afferrarlo, non i giornalisti, che si accontentarono di fare fotografie mentre la gente con i cartelli usava le mani.

“Imbroglione! Bugiardo!”

Kevin si rannicchiò ancora di più e si sentì come se da un momento all’altro potesse cadere a terra sotto al peso di tutta quella gente, spinto giù solo dal numero di persone che lo circondavano. Un’altra mano si strinse attorno al suo braccio, ma questa lo tenne stretto, tirandolo attraverso la folla. Kevin vide che c’era Ted che cercava di tenere indietro chiunque si avvicinasse troppo, una mano sollevata per schermarsi dai flash delle fotocamere.

“Vai avanti!” gridò nonostante il rumore. “C’è un’auto che aspetta fuori!”

Kevin fece del suo meglio, senza fermarsi mentre Ted disegnava un passaggio attraverso i giornalisti, come qualcuno che si faccia strada in mezzo alla neve alta. Kevin si affrettava a riempire quello spazio prima che si richiudesse, seguendolo mentre entrambi si sforzavano di avanzare verso l’ingresso principale dell’aeroporto.

“Qua fuori!” disse Ted indicando il punto in cui si trovava in attesa un piccolo pulmino, la madre di Kevin e mezza dozzina di scienziati già a bordo. Ci fu un breve momento in cui si creò uno spazio, e Kevin corse verso il veicolo, balzando dentro accanto a sua madre. Lei lo strinse tra le braccia, come se avesse paura che potesse scomparire se l’avesse lasciato andare. Per una volta Kevin non si lamentò.

Ted guidò, inserendosi in una carovana di veicoli che sembrava in tensione, in qualche modo, come quella che aveva attraversato la foresta pluviale. Kevin vide delle auto avvicinarsi, i finestrini che si abbassavano per rivelare altre macchine fotografiche, ma Ted continuò a guidare.

Parve volerci un’eternità per raggiungere la struttura della NASA. Le folle che l’avevano circondata prima erano ancora lì, ma ora non erano curiosi, bensì arrabbiati. Kevin li poteva sentire gridare mentre entravano con l’auto, e quando Ted si fermò davanti alle porte dell’istituto, Kevin corse dentro senza esitazioni. Non tentò neanche di parlare con loro, di spiegare. Non era certo di avere una spiegazione. Invece corse diretto fino alla sua stanza nell’edificio. Ignorò sua madre che lo seguiva, sedendosi lì nella speranza che in qualche modo avrebbe trovato il senso a tutto questo.

Quando vide che non poteva trovarlo, andò in uno dei saloni ricreativi e usò uno dei computer lì presenti per chiamare l’unica persona che potesse capire ciò che gli stava accadendo.

Luna si mostrò preoccupata quando Kevin la chiamò, e lui poteva capire il perché.

“Hai visto la TV,” le disse.

“Penso che tutti abbiano visto la TV,” rispose lei. “Non capisco. Pensavo che dovesse esserci qualcosa di speciale… non so, roba aliena.”

“Lo pensavo pure io,” disse Kevin. “Ora… sono sicuro di aver sentito correttamente i segnali.”

“Non cominciare,” disse Luna con voce ferma. “Non iniziare a mettere in dubbio tutto questo. Ero lì pure io quando hai visto i numeri, ricordi? So che è vero.”

Era bello sentire che qualcuno gli credeva, Luna in particolare. C’era qualcosa di rassicurante e consistente nella convinzione di Luna. Era del genere su cui la gente avrebbe potuto fare affidamento, qualcosa di fermo e forte di cui Kevin aveva bisogno adesso.

 

“Magari non avrai voglia di tornare a casa tua in questo momento,” gli disse. “Sai che ci sono stati giornalisti da quelle parti fin da quando è iniziata questa cosa.”

Kevin annuì.

“Bene, ora ce ne sono praticamente il doppio, più un mucchio di altra gente che non sembra particolarmente contenta. È come un’orda, o qualcosa del genere.”

“È perché ho dato loro un sogno,” disse Kevin. “E ora pensano che abbia mentito loro.”

“Beh, non dovrebbero dare la colpa a te,” disse Luna. “Voglio dire, stavo guardando quella trasmissione. Quel professor Brewster stesso ha detto che la roccia veniva dallo spazio.”

Però non era abbastanza, giusto?

“Non penso che questo migliorerà le cose,” disse Kevin. “Diranno che era solo un normale meteorite a caso. Ce ne sono un sacco.”

In effetti sospettava che avrebbe peggiorato le cose, perché se c’era una persona che non amava fare la figura dello stupido, era…

“Kevin,” lo chiamò sua madre dalla porta. Era lì con Phil. “Devi venire con noi. Il professor Brewster vuole parlare con te e me.”

Kevin deglutì, perché assomigliava molto a quando il preside voleva parlare con qualcuno a scuola.

“Pare che debba andare,” disse a Luna.

“Ok,” rispose lei. “Ricorda solo che non è colpa tua.”

Kevin cercò di ricordarselo mentre attraversava la struttura insieme a sua madre e Phil. Generalmente il ricercatore avrebbe fatto battute di continuo, ma ora aveva un’espressione seria, e non disse quasi nulla, limitandosi ad aprire le porte davanti a loro quando doveva. Quando arrivarono all’ufficio del professor Brewster, Phil non disse nulla, si girò e se ne andò.

“Che roba è?” chiese Kevin a sua madre.

“Penso che molte persone siano rimaste male vedendo tutta quella gente arrabbiata con loro,” disse. “Credevano tutti che avrebbero trovato gli alieni e… non è andata così, Kevin.” Gli prese la mano. Devi essere preparato. Io… non penso che sarà un incontro piacevole.”

Entrarono nello studio del professor Brewster. Li stava aspettando, seduto dietro alla sua scrivania, con aspetto formale, quasi autoritario. Non salutò quando entrarono, ma fece solo cenno a Kevin e a sua madre di sedersi nelle due sedie davanti alla scrivania.

“Kevin,” disse, “signora McKenzie, dobbiamo parlare.” Fece una pausa, guardando Kevin come se stesse tentando di vedergli dentro. “Kevin, devo chiederti questa cosa: ti sei inventato tutto?”

“Come osa chiedere a mio figlio una cosa del genere?” chiese sua madre quasi alzandosi dalla sedia. “Kevin non è un bugiardo.”

“La prego di sedersi, signora McKenzie,” disse il professor Brewster. “Kevin, te lo sei inventato?”

Kevin non poteva credere che glielo stesse chiedendo.

“No,” disse, scuotendo la testa.

“Ne sei sicuro?”

“È ingiusto,” disse la madre di Kevin. “Non ha alcun diritto di chiederlo.”

Il professor Brewster incrociò le dita. “Data la quantità di soldi che il governo ha messo in questo progetto, non solo ho il diritto di chiederlo, ma ne ho il dovere. Kevin?”

“Ha sentito anche lei i segnali,” disse Kevin. “Non li ho inventati!”

“Ho sentito dei segnali, sì,” disse il professor Brewster. “Ma tu eri il solo che potesse ‘tradurli’, e lo spazio è pieno di stranezze elettromagnetiche.”

“Non me lo sono inventato,” disse Kevin. “Vi ho dato i numeri per le coordinate. Vi ho dato informazioni su pianeti che nessun altro conosceva.”

“Che avresti potuto memorizzare,” disse il professor Brewster. Guardò la madre di Kevin. “Magari eravate d’accordo.”

“Mi sta accusando di qualcosa?” ribatté seccamente la madre di Kevin.

“Sto solo annotando le possibilità,” disse il professor Brewster. Sospirò. “Come stanno facendo molte altre persone. La verità è che siete venuti da noi e vi abbiamo dato un sacco di risorse, e non avremmo dovuto farlo. Vi abbiamo fornito assistenza sanitaria, esami… e ora c’è gente importante che continua a chiamarmi per chiedermi se sia stato tutto uno scherzo.”

“Non lo è stato,” insistette Kevin. Perché la gente adesso non gli credeva?

“Allora perché non c’era nient’altro che roccia quando abbiamo tagliato quella tua ‘capsula’?” chiese il professor Brewster.

“Io… io non lo so,” ammise Kevin. Avrebbe dovuto esserci di più. Non capiva. “Avete detto voi che veniva dallo spazio.”

Vide il professor Brewster sussultare. “Non ricordarmelo. Mi sono giocato la mia reputazione nel darti supporto, Kevin. Mi sono confrontato con la gente e ho detto loro che era reale. Ma ci sono molte rocce che vengono dallo spazio. In qualsiasi momento la Terra viene colpita da frammenti che provengono dallo spazio. Ci sono cacciatori di meteoriti che le vendono su Internet. Il fatto è che questa non conteneva nessuna prova della vita aliena che tu avevi promesso.”

Kevin tentò di ricordare quello che aveva detto Luna. “Non è colpa mia.”

Il professor Brewster posò le mani sulla superficie del tavolo, scuotendo la testa. “La verità è che a questo punto non ha importanza,” gli disse. “Il fatto è che la tua presenza qui è diventata tossica per la struttura. Ci sono persone potenti che si aspettavano dei risultati da noi, e non siamo stati capaci di fornirglieli. Ho ricevuto chiamate che suggeriscono che i nostri fondi vengano tagliati se non interromperemo subito alcun legame con te.”

Kevin tentò di capire il senso di tutto questo. “Mi… mi state mandando via?”

Il volto del professor Brewster era durissimo. “Non so se tu abbia inventato tutto questo o no, ma dico questo: l’FBI sta già investigando per stabilire se tu e tua madre abbiate commesso o meno dei crimini per mezzo delle vostre azioni qui. La cosa migliore che potete fare adesso è andarvene, tutti e due. Non porterete niente con voi, e riceverete a tempo dovuto il conto dei servizi medici ricevuti.”

“Andiamo, Kevin,” disse sua madre. “Ce ne andiamo”

Riuscì a farla suonare come una cosa che stavano scegliendo insieme, piuttosto che un ordine appena ricevuto. Marciava arrabbiata lungo i corridoi che conducevano all’uscita, e se Kevin non fosse riuscito a vedere le lacrime che aveva agli angoli degli occhi, avrebbe potuto credere che fosse veramente furiosa, e per niente ferita.

Passarono accanto alla dottoressa Levin, che quasi si girò per evitarli. Kevin le si fermò davanti, sperando che lei fosse in grado di poter elaborare tutta questa situazione.

“Dottoressa Levin,” iniziò.

La direttrice del SETI non gli lasciò il tempo di finire. “Mi spiace Kevin. Ho sentito quello che è successo.”

“Lei potrebbe parlare con il professor Brewster,” le disse.

La dottoressa Levin scosse la testa. “Non penso che David mi ascolterebbe in questo momento. Ho perso un sacco di credibilità qua attorno, portandoti da loro.”

“Ma io non sto inventando niente,” insistette Kevin.

La dottoressa Levin sospirò. “So che credi questo, Kevin,” disse. “È solo che… forse avrei dovuto controllare le cose con maggiore attenzione. Magari hai scoperto queste cose in altri modi, e non te ne sei neanche reso conto.”

“Non è così,” insistette Kevin.

Sua madre lo prese per un braccio. “Vieni Kevin. Abbiamo finito qui. Andiamo a casa.”

Lo allontanò dalla dottoressa Levin, e quando Kevin si guardò alle spalle, la dottoressa non lo guardava più. I due continuarono a procedere verso l’uscita, in mezzo al rumore delle domande che venivano gridate da ogni angolo.

Con sorpresa di Kevin, c’era Ted ad aspettarli lì, in piedi vicino all’auto della madre di Kevin. Doveva averla portata lì per loro.

“Sei qui anche tu per mettere in dubbio l’onestà di mio figlio?” chiese la madre di Kevin, portandosi tra lui e Ted.

Con sorpresa di Kevin, o forse no, Ted scosse la testa. “Niente del genere. Volevo solo parlare con lui.”

La madre di Kevin non sembrava sicura, ma Kevin le mise una mano sul braccio.

“Va tutto bene, mamma,” le disse. “Mi fido di Ted.”