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Messaggi dallo Spazio

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Lo disse come se non lo avesse appena interrotto e non stessero avendo una discussione al riguardo. Kevin rimase fermo, pronto a dirgli di no. Pronto ad andarsene.

Ma non poteva, e non solo perché aveva tredici anni, mentre quello era un qualche eminente scienziato che probabilmente sapeva di cosa stava parlando. Non poteva rischiare di non sentire quello che gli alieni volevano dire.

“Va bene,” disse Kevin.

Il professor Brewster non lo portò questa volta nella buca del supercomputer, ma in un piccolo laboratorio dove non c’era altro che un tavolo bianco, una paio di cuffie e un pannello a doppio specchio che faceva pensare che ci fossero decine di scienziati in osservazione dall’altra parte.

“Entra, mettiti le cuffie e vedremo se alcuni dei segnali scatenano traduzioni,” disse il professor Brewster con una voce che suggeriva quale sarebbe stato il probabile risultato.

*

Le due ore successive furono tra le più noiose nella vita di Kevin, comprendendo nella stima anche le ora passate a fare matematica in classe. Chiunque ci fosse nell’altra stanza gli faceva sentire un rumore dopo l’altro, un segnale dopo l’altro, tutti presumibilmente tratti da schemi di luce o da scariche elettromagnetiche. Kevin si aspettava che uno di essi scatenasse da un momento all’altro qualcosa, ma non ci fu nulla, e nulla ancora, e…

“Se qualcuno riceve questo, seguiranno altre comunicazioni,” disse quando ebbe sentito. Non sembrava quasi più la sua voce, come se qualcosa stesse parlando attraverso lui. Semplicemente gli parve naturale dirlo non appena il suono arrivò alle sue orecchie.

Parve esserci un’attività istantanea dietro al vetro, e la voce di Phil gli arrivò attraverso le cuffie.

“Cos’è stato, Kevin?”

“Quell’ultimo segnale, penso significhi che dobbiamo aspettarci dell’altro,” disse Kevin.

“Ne sei sicuro?”

Kevin non era sicuro di come rispondere. Non che lui fosse un esperto di quello che stava succedendo. Probabilmente ne sapeva meno degli scienziati che stavano cercando di capire. Lui non faceva che tradurre quello che sentiva, affidandosi al suo cervello alterato per capire.

“Magari se proviamo con altri segnali presi da quell’area,” disse la voce di Phil attraverso le cuffie, e Kevin non capì se stesse parlando con lui, tra sé e sé o con altri scienziati.

Ad ogni modo seguirono altri segnali. Alcuni erano solo rumori. Altri però…

“Stiamo arrivando, preparatevi a riceverci.”

Erano tutte variazioni dello stesso motivo, dello stesso messaggio, sebbene nessuno di essi sembrasse dire niente di utile. Kevin si trovò a chiedersi da quanto tempo questi messaggi rimbalzassero per lo spazio, aspettando che qualcuno li ascoltasse. Magari stavano colpendo la terra da mesi, addirittura anni, e solo ora c’era qualcuno in grado di capirli.

Phil parve avere la stessa idea. Entrò con indosso quella che sembrava la stessa camicia hawaiana del giorno prima, e con l’espressione entusiasta.

“Questi segnali… alcuni risalgono a mesi fa, forse di più, tutti dalla regione dello spazio che associamo con il sistema Trappist 1. Significa che se sono stai inviati usando la luce, ci hanno messo almeno quarant’anni ad arrivare. E tu sei la prima persona in grado di capirli.” Diversamente dal dottor Brewster, Phil sembrava più che felice a quella prospettiva. La sua voce era veramente esaltata.

“Penso che la tua malattia debba aver modificato il tuo cervello in modi che non comprendiamo,” disse. “Penso ti abbia dato la capacità di sintonizzarti con questa cosa in modi che non ci sono possibili. Questo spiegherebbe perché non siamo in grado di vedere niente oltre all’avanzare della tua malattia. È la tua malattia che sta facendo questo.”

Kevin sorrise a denti stretti. “Quindi sono basilarmente un fenomeno da baraccone.”

“Ma uno molto importante,” disse Phil con uno dei suoi sorrisi. “Potremmo non aver mai capito questa cosa. E poi sembra che ci sia un messaggio più grosso in arrivo, qualcosa di così importante che volevano essere certi che nessuno se lo perdesse.”

Kevin pensò al conto alla rovescia. Stava diventando più rapido.

Ora sospettava di sapere cosa stesse contando.

L’unico modo per testarlo era continuare, lavorando nel laboratorio esami dell’istituto con le cuffie addosso, ascoltando mentre gli mandavano i segnali dall’attrezzatura di ascolto. Rimase seduto lì e fece del suo meglio per tradurre i segnali che Phil gli inviava, uno alla volta.

“Niente con questo,” disse Kevin scuotendo la testa.

“Avevo pensato che ci fosse qualcosa,” rispose Phil, la voce che risuonava nelle orecchie di Kevin mentre era al lavoro dall’altra parte del pannello di vetro trasparente.

Lo aveva pensato anche Kevin, con il conto alla rovescia che gli pulsava rapido nella testa. Kevin poteva percepire la pulsazione, una sorta di rapido cinguettio dentro di lui, impossibile da ignorare, suggerendogli che qualcosa stesse per accadere. Era stanco di aspettare, e stanco della gente che lo fissava, e a volte semplicemente stanco e basta.

“Kevin dovrebbe fare una pausa.” La voce di sua madre, dall’esterno della stanza. Kevin era felice che fosse lì. Non sapeva cosa potesse significare per il suo lavoro, ma era felice che fosse lì.

“Mi spiace, Rebecca, il dottor Brewster è stato piuttosto chiaro quando ha detto che dobbiamo continuare a passare il segnale a Kevin fino quasi alla fine del suo conto alla rovescia.”

“E voi avete intenzione di ascoltare lui o me?”

Kevin sospettò che fosse il momento di fare una pausa. Sorrise al pensiero. Ma uno più preoccupante gli occupò la mente. E se non fosse successo niente? E se lui fosse rimasto lì un giorno dopo l’altro, e il conto alla rovescia fosse arrivato a zero senza che nulla accadesse? E se avesse fatto tutto questo sforzo invano? Come avrebbero reagito tutti a una cosa del genere?

Gli passò per la mente un pensiero ancora peggiore, un pensiero che gli fece chiudere gli occhi nel tentativo di scacciarlo. Non funzionò. E se questo fosse del tutto dovuto alla sua malattia? E se il conto alla rovescia non fosse per messaggio ma una sorta di attacco dovuto alla sua malattia? E se quel rapido battito fosse il suo stesso cuore, o il sangue nelle vene del cervello che si preparava a collassare? La gente dell’istituto si era raccolta attorno a Kevin come fosse un profeta sul punto di parlare, ma se lui stesse solo morendo?

Poi il segnale arrivò, scorrendogli dentro.

E lui capì che era giunto il momento.

***

Kevin poté vedere persone correre nella stanza dall’altra parte, ovviamente desiderose di essere presenti quando il messaggio fosse arrivato. Non prestò loro quasi nessuna attenzione. Il messaggio era troppo importante per questo.

“Se state sentendo questo,” disse Kevin traducendo automaticamente anche se non sapeva come lo stava facendo, “il nostro mondo è sparito.”

Sentì i sussulti all’esterno mentre le persone ascoltavano e si rendevano conto di cosa dovesse significare. Alcuni degli scienziati presenti iniziò a buttare giù appunti, e Kevin li sentì parlare in sottofondo.

“Questo significherebbe che non ci sono alieni da almeno quarant’anni,” disse uno.

“Se ci sono,” si intromise un altro. “Abbiamo solo le parole del ragazzo per la traduzione.”

L’altro lo ignorò. Sembravano presi quanto Kevin da quel momento.

Il messaggio continuò a scorrere, e Kevin continuò a tradurre. “Stiamo inviando questi messaggi per preservare quello che possiamo del nostro popolo, e per assicurare che la nostra conoscenza non muoia.”

Il segnale parve intensificarsi, e ora era come un flusso che Kevin non avrebbe potuto trattenere. C’erano solo gli strani suoni della lingua aliena, e le parole che si presentavano mentre lui le traduceva quasi automaticamente.

“Il nostro pianeta era uno di sette, con tre di essi abitati. Le colonie sono state le prime a crollare. La nostra casa è stata distrutta negli incendi che l’hanno spazzata via. Questa è la nostra storia, il nostro archivio. Forse sentirla aiuterà altri ad evitare lo stesso fato che ci ha colpito.”

Kevin pronunciava le parole quasi senza registrare il segnale che le innescava. Il segnale era una sorta di complesso chiacchiericcio, e se si concentrava poteva solo distinguere schiocchi e ronzii. Nel complesso però coglieva il significato che si riversava direttamente nella sua mente mentre ascoltava.

Aveva l’impressione che tenere il cervello collegato al segnale fosse uno sforzo, e sentì una goccia di sudore formarsi sopra agli occhi mentre faceva di tutto per non perderlo.

“Dobbiamo inviare questi messaggi con attenzione, solo un pezzo alla volta, ma se li ascoltate, capirete.”

Il segnale si interruppe. Kevin aspettò e continuò ad aspettare, sperando di sentire altro, ma non parve giungere nient’altro.

Alla fine Kevin sollevò lo sguardo. Poté vedere Phil e sua madre che lo fissavano da dietro il vetro, ma c’erano anche altre persone, tantissime altre. Il professor Brewster e la dottoressa Levin erano entrambi presenti, insieme a tutto lo staff che poteva starci nella stanza. Poteva distinguere lo shock su tanti dei loro volti, e poteva anche capire il perché: non avevano mai osato credere che fosse vero. Avevano pensato che si sarebbe rivelato una nullità.

Ma questo era invece ben lungi dall’essere una nullità.

Poté anche vedere l’altro motivo di shock: si aspettavano ovviamente che il messaggio continuasse.

Nessuno si era aspettato che terminasse così nel silenzio.

CAPITOLO OTTO

Kevin sedeva in perfetto silenzio nell’ufficio del professor Brewster mentre attorno a lui gli adulti tentavano di capire cosa significasse tutto questo e cosa avrebbero dovuto fare poi. Per lo più lo facevano parlando troppo.

 

Per una volta il professor Brewster sembrava sorprendentemente compiaciuto. “È stato davvero impressionante, Kevin. Non avevo mai pensato che avrei visto questo giorno. Un reale contatto con un altro mondo! Anche se dobbiamo fare attenzione, ovviamente. Considerare le possibilità alternative.”

Come faceva il dottor Brewster a sembrare tanto entusiasta quanto scettico allo stesso tempo?

“Non ci credi?” chiese il dottor Levin.

“Dobbiamo considerare le cose con attenzione,” disse il professor Brewster. “Dopotutto non sentiamo direttamente i messaggi, ma solo le traduzioni attraverso un ragazzo che soffre di una malattia degenerativa.”

“Pensate ancora che mi stia inventando le cose,” disse Kevin.

“Non sto dicendo questo,” disse il professor Brewster. “Solo che… il contatto diretto…”

“Non penso che sia stato un contatto diretto,” disse Kevin. “Sembrava… quasi come un messaggio registrato.”

“Se non altro questo rende la cosa più plausibile,” disse il professor Brewster. “Perché un segnale come quello dovrebbe viaggiare per anni, anche muovendosi alla più alta velocità. Il sistema Trappist 1 si trova quasi a quaranta anni luce da qui, dopotutto.”

Kevin lo sapeva. Gliel’avevano detto prima che il messaggio arrivasse. Lui e Phil avevano discusso la cosa e lui non era sicuro che gli piacesse che il professor Brewster lo stesse dicendo come se fosse qualcosa che si era inventato.

E poi, nonostante tutto questo, in parte Kevin si era aspettato qualcosa di diverso, qualcosa di vivo.

“Non penso di aver sentito tutto,” disse. “Penso che ci sia dell’altro.”

“Non importa, Kevin,” disse sua madre. “La cosa importante è che tu sia al sicuro.”

“E dato che sei al sicuro,” aggiunse il professor Brewster, “sarai in grado di cogliere dell’altro.”

La visione aveva promesso altro in arrivo. Una completa serie di immagini. Una possibilità di imparare tutto quello che c’era da venire a sapere su un altro mondo, e Kevin era la chiave per questo.

Alcuni degli altri sembravano esaltati quanto lui.

“Dobbiamo rendere pubblica questa cosa,” disse la dottoressa Levin.

Il professor Brewster alzò una mano. “Elise, è importante non essere troppo avventati al riguardo. Abbiamo i messaggi iniziali, certo, ma ci serve di più prima di coinvolgere chiunque altro.”

“Quanto di più?” chiese la dottoressa Levin. Kevin poteva capire perché sembrasse così frustrata. Aveva investito tutta la sua vita nella ricerca degli alieni. Ora aveva una prova, e ovviamente voleva gridarla ai quattro venti. Voleva che la gente sapesse, e Kevin… beh, lui era più o meno d’accordo con lei.

“Perché non possiamo dirlo alla gente?” chiese Kevin. “Perché non possiamo fargli sapere quello che abbiamo trovato? Se io fossi là fuori, vorrei sapere che sono stati trovati gli alieni.”

“È troppo presto,” insistette il professor Brewster. “Dovremmo avere un insieme completo di dati prima di annunciare qualcosa. In questo modo…”

“In questo modo nessuno potrebbe dire che vi state inventando tutto?” ipotizzò Kevin.

Con sua sorpresa sua madre parlò prendendo le difese del professor Brewster. “Forse non è una grossa idea dire qualsiasi cosa adesso, Kevin. Abbiamo visto tutti quello che sai fare, ma altre persone…”

“Pensi che non mi crederebbero?” chiese Kevin.

Il professor Brewster annuì. “Penso che la gente abbia bisogno di un sacco di prove prima di credere a una cosa del genere,” disse. “Dobbiamo stare attenti nel dimostrare loro che questo è ben più che la nostra immaginazione, e che rappresenta effettivamente una comunicazione aliena.”

“Ma io la sto traducendo,” insistette Kevin.

“Pare che sia così,” disse il professor Brewster. “Dobbiamo stabilire gli schemi tra quello che dici e i segnali che riceviamo. Nel frattempo, se ce lo teniamo per noi, ci eviterà un sacco di problemi.”

“Che genere di problemi?” chiese Kevin. Non riusciva a capire come una cosa così sorprendente potesse essere un problema. La novità che la gente non fosse sola nell’universo gli suonava incredibile.

“Qui facciamo un sacco di ricerca considerata segreta per ragioni di sicurezza nazionale,” disse il professor Brewster. “Immagino che i miei supervisori considererebbero anche questa alla stregua di una segreto.”

“Quindi siete preoccupato dei vostri capi?” chiese Kevin. Non gli sembrava un motivo sufficientemente valido per trattenersi dal dirlo alla gente.

“C’è anche la questione di come potrebbe reagire la gente,” disse il professor Brewster. “La gente potrebbe andare nel panico.”

“Capiamo,” disse la madre di Kevin, mettendo una mano sulla spalla del ragazzo.

Kevin però non capiva. Non vedeva come la gente potesse andare nel panico alla notizia che non erano soli nell’universo. Per lui era la migliore figata che mai si potesse venire a sapere. Guardò verso la dottoressa Levin, aspettandosi almeno un supporto da lei. Ma pareva che anche la donna fosse convinta adesso.

“Suppongo che se aspettiamo un po’,” disse, “questo ci consentirebbe di ricevere altri messaggi.”

“Hanno detto che potevo ricevere solo una parte di informazioni alla volta,” disse Kevin. “Perché dovrebbero farlo? Perché non trasmetterlo tutto insieme?”

“Forse hanno dovuto farlo così,” disse la dottoressa Levin. “Forse avevano restrizioni di potere, o forse volevano massimizzare le probabilità che qualcuno sentisse qualcosa.”

“O forse hanno solo questo da inviare,” suggerì il professor Brewster. “Tipo dividere i file quando si manda una email in modo che il destinatario non debba scaricarli in un unico pesante blocco.”

Questo aveva senso, anche se Kevin non era sicuro che gli piacesse che alludessero a lui semplicemente come a un destinatario di posta. Lo faceva sembrare una sorta di macchina piuttosto che un essere umano, utile solo per quello che sapeva fare. Sua madre o Luna non lo avrebbero mai considerato così. Se Luna fosse stata lì, avrebbe visto quanto questo gli facesse male.

“Ad ogni modo,” proseguì frettolosamente la dottoressa Levin, “non penso che sia finito. Cosa pensi, Kevin? Quando pensi che potrebbe arrivare dell’altro?”

Kevin poté sentire la speranza nella sua voce. Questo era il genere di momento verso cui tutta la sua carriera si era impegnata, dopotutto. Dopo così tanti dubbi, e forse speranze, chi sarebbe stato soddisfatto di una sola comunicazione? Lui avrebbe voluto di più, se fosse stato in lei. E voleva di più. Voleva sentire tutto quello che gli alieni avevano da dire.

Kevin cercò di percepire ogni sensazione del messaggio dopo averlo ricevuto. La costante pulsazione del conto alla rovescia non c’era più, ma provava ancora un senso di aspettativa da qualche parte dentro di sé, e questo lo convinceva che ci sarebbe stato altro. Gli alieni l’avevano detto, no?

“Penso che ci sarà,” disse. Era strano avere così tanti adulti che pendevano dalle sue labbra, che effettivamente lo ascoltavano. Sospettava che non molti tredicenni si trovassero in una condizione del genere.

“Allora dobbiamo riportare Kevin ad ascoltare i segnali,” disse il professor Brewster.

“David,” disse la dottoressa Levin. “Kevin ha appena finito di tradurre il primo segnale. È anche molto malato. Non è corretto chiedergli di rituffarsi in questo senza dargli un po’ di tempo per riprendersi.”

“Ma le informazioni…” iniziò il professor Brewster.

“A nessuno interessa più che a me,” disse la dottoressa Levin. “Non sono il direttore del SETI per caso. Ma so anche che non si vengono a sapere le cose spingendo troppo oltre un ragazzino di tredici anni. Dagli tempo, David. Possiamo registrare qualsiasi messaggio venga da quell’area dello spazio, nel frattempo. Questo ci fornirà anche un archivio.”

Con sorpresa di Kevin, il professor Brewster parve tirarsi indietro. Non era stato certo che l’allampanato scienziato avrebbe ascoltato la dottoressa Levin.

“Va bene,” disse il professore. “Daremo a Kevin il tempo di riprendersi. Questo ci permetterà di elaborare il modo migliore per lavorare su queste informazioni. Ma mi aspetto dei risultati.”

***

Kevin sedeva in ascolto, cercando di cogliere qualcos’altro dal silenzio. Attorno a lui poteva vedere gli scienziati che aspettavano, alcuni con i tablet puntati su di lui, altri con videocamere. Sentiva la pressione di doversi esibire davanti a loro, di fare questa cosa a comando, quando la verità era solo che doveva aspettare.

C’era una sorta di ritmo nell’attesa, lì seduto con un paio di cuffie portatili collegate al flusso dal radiotelescopio. Si sentiva pervaso sempre più dall’anticipazione prima dell’arrivo della trasmissione, la sensazione era come un pulsare nel suo cervello che cresceva diventando un segnale d’avvertimento che fece correre gli scienziati a registrarlo.

Arrivò, e Kevin alzò lo sguardo.

“Penso ci sia un messaggio in arrivo,” disse.

Bastò a spingere gli scienziati a prepararsi, tutti muovendosi molto più velocemente di quanto fossero soliti fare. Lo stesso erano a malapena arrivati al loro posto quando le parole passarono.

“La nostra civiltà è iniziata semplicemente, ai margini degli oceani del nostro pianeta,” tradusse Kevin. “Ci siamo allargati e abbiamo imparato nel corso dei secoli. Abbiamo costruito case, abbiamo costruito città, abbiamo costruito…”

La trasmissione si interruppe, improvvisamente come era iniziata. Kevin aspettò un momento o due, in caso dovesse riprendere, ma non lo fece. Sembrava restare quello che era ora: brevi schiocchi dopo la pausa, senza nessun segno di quando sarebbe ricominciata.

Gli scienziati stavano riuniti attorno per registrare qualsiasi cosa ci fosse a disposizione per loro, mentre facevano scrivere a Kevin quello che poteva in caso le impressioni fossero diverse. Figurarsi se gli scienziati non trovavano un modo per fargli vivere tutto questo come se fossero compiti per casa.

Non era facile e non solo perché alcuni dei ricercatori sembravano essere determinati a tenere alla larga tutto il divertimento. Tradurre richiedeva uno sforzo mentale e il cervello di Kevin ormai ronzava, tanto che alla fine gli era quasi difficile alzarsi in piedi. Non si era aspettato che questa cosa fosse così difficile dal punto di vista fisico. E comunque non si era aspettato niente di tutto questo.

“Questa cosa non ti fa bene,” disse Phil quando vide quanto Kevin fosse tremolante. “Prenditi tempo. Non spingerti più in là di quanto tu possa fare. Non nella tua condizione.”

Era la sua condizione che spingeva Kevin a cercare di prendere tutto quello che poteva. Era difficile da pensare, ma quanto tempo gli restava adesso? Quanti messaggi avrebbe ricevuto prima che il suo cervello cambiasse al punto da non poterli più comprendere? E se… e se fosse morto prima di finire? E se non fosse riuscito ad arrivare alla fine di tutto questo prima che il suo corpo e il suo cervello cedessero?

Ma c’era dell’altro. Ogni volta che stava lì seduto a tradurre, ascoltando attraverso le cuffie fino all’ultima informazione, Kevin aveva l’impressione che tutto questo significasse qualcosa. Era un promemoria che lui non era solo un ragazzino di tredici anni che stava morendo per una malattia di cui nessuno aveva sentito parlare. Lui stava facendo una cosa che nessun altro nella storia del mondo aveva mai fatto. Se tutto questo era per qualcosa, allora era un bene.

“Devo andare avanti,” disse Kevin. “Dobbiamo prenderlo tutto.”

Per lo più, quello che Kevin riusciva a tirare fuori, erano dei fatti, e ciascuno sembrava esaltare ancor più gli scienziati attorno a lui. Alcuni, come la presenza di sette pianeti attorno alla stella, o le orbite gravitazionali intrecciate delle loro lune, erano cose che erano stati capaci di scoprire dalle loro osservazioni usando telescopi disponibili sulla terra. Altri particolari, come la presenza di così tanta vita, li portava a grattarsi la testa.

“Pensiamo che i pianeti siano tutti in rotazione sincrona,” disse uno. “Ci sono prove del passaggio dal giorno alla notte? Altrimenti una parte dei pianeti dovrebbe essere infuocata, mentre l’altra sarebbe congelata.”

Kevin all’inizio non seppe rispondere, fino a che un altro messaggio non gli spiegò che sì, i pianeti ruotavano, e questo andò ad agitare ancor più gli scienziati.

 

“Dovremo riscrivere tutto quello che sappiamo su questo. E l’esposizione alle radiazioni per essere così vicini alla stella?”

Continuavano a porre domande a cui Kevin non sapeva dare risposta. Non sembravano capire che lui non aveva alcun controllo su quello che gli alieni gli avevano inviato nei loro lanci di messaggi. Inviavano quello che inviavano, Kevin lo traduceva e gli scienziati dovevano decodificare i messaggi per trovarci il senso.

Stranamente la dottoressa Levin sembrava quella a cui questo non sembrava importare.

“È semplicemente sorprendente che abbiamo deciso di comunicare in questo modo,” disse. “Stanno inviando così tante informazioni su di loro, cercando di preservare parte della conoscenza di ciò che sono.”

“Di ciò che erano,” la corresse Kevin. Quella era una cosa su cui i messaggi erano stati chiari. La gente che li aveva inviati era sparita da tempo. La cosa era allo stesso tempo incredibilmente triste e in un certo senso una figata, considerato che lui si trovava quindi ad essere un anello di congiunzione con una civiltà morta.

La cosa strana era come tutto questo fosse semplice ed effettivo. Kevin si era in un certo senso aspettato di venirne a sapere di più della cultura o delle lingue degli essere che avevano abitato il pianeta, ma non aveva ancora visto a sufficienza per capire cosa fossero realmente. Quali erano fra le creature sulla superficie del pianeta? Erano le creature con i guscio esterno che strisciavano, o gli esseri dal collo lungo che assomigliavano a giraffe con le scaglie? L’immaginazione di Kevin lo spingeva ad aspettarsi qualcosa di simile all’uomo e familiare, ma fino ad ora non vi aveva sentito alcuna allusione.

Kevin avrebbe solo voluto poter condividere più di quelle parole con il mondo. Quando non ne poté proprio più, cercò la dottoressa Levin, perché sospettava che lei sarebbe stata la sua maggiore alleata. La trovò in mensa insieme a Phil.

“Sono preoccupato del fatto che ora sto dicendo tutto questo, e che verrà semplicemente rinchiuso in segreto da qualche parte,” disse loro.

“Il professor Brewster si sta solo comportando in modo attento,” disse la dottoressa Levin. A Kevin parve che stesse tentando di convincere se stessa.

“E se fosse così attento che nessuno verrà mai a sapere degli alieni?” chiese Kevin. Era una preoccupazione reale. Poteva immaginarsi l’allampanato scienziato che sminuiva tutto così. “E se mia mamma fosse d’accordo solo perché non vuole che la gente mi rida dietro?”

“Sono certa che non succederà,” disse la dottoressa Levin. Di nuovo non dava l’impressione di esserne certa.

“Cos’è che non mi state dicendo?” chiese Kevin. Non era sicuro che la dottoressa Levin avrebbe risposto a quella domanda.

“David… il professor Brewster… deve rispondere a gente che fa parte del governo,” disse la dottoressa Levin. “Alcuni dei suoi fondi vengono dall’esercito. Qualcosa del genere… potrebbe darsi che loro vogliano tenerlo segreto.”

Kevin non capiva se fosse o meno contenta di questo. “Quindi potrebbe darsi che non lo dica mai alla gente?”

“Potrebbero essere preoccupati che la gente vada nel panico,” disse il dottor Levin. Di nuovo Kevin ebbe l’impressione che non fosse d’accordo.

“Ma di certo lei vuole dirlo alla gente,” disse Kevin. “Tutta la vostra organizzazione vuole trovare gli alieni.”

La dottoressa Levin fece un sorriso tirato. “Non posso,” disse. “Se lo faccio, renderei le cose difficili per il SETI. Il professor Brewster non lascerebbe correre, e alcuni dei suoi capi… beh, lo vedrebbero come un tradimento.”

“Anche se la gente ha il diritto di sapere?” chiese Kevin.

“Direbbero che la gente ha il diritto di sapere solo quello che gli viene detto,” disse la dottoressa Levin.

Kevin scosse la testa. “Non è giusto. Il professor Brewster non dovrebbe farlo.”

“Cercherò di parlare con lui. Nel frattempo, Phil, perché non porti Kevin a fare un giro qua attorno alla struttura? Sono certa che sia piuttosto noioso passare tutto il tempo qui o nella tua stanza.”

Sì, lo era, in un modo che rendeva anche la scuola interessante al confronto. Kevin poteva anche non essere mai stato uno di quei ragazzi che facevano un’attività diversa ogni giorno, che andavano in campeggio in estate, ma non aveva neanche mai passato tutto il tempo in una stanza, non facendo altro che agire da satellite umano per i messaggi alieni.

Era già stato in giro per la struttura, ma era bello passare del tempo ad essere qualcosa di diverso da un ragazzo che sentiva messaggi. Phil fece strada, usando il suo pass di accesso. Nonostante il fatto che ora abitasse effettivamente lì, Kevin non ne aveva uno. Apparentemente potevano fidarsi di lui per ricevere segnali dagli alieni, ma non tanto da lasciarlo andare e venire come voleva lui.

Stiamo lavorando alla produzione di piante che sopravvivano ad ambienti estremi,” disse Phil indicando una stanza piena di quelle che sembravano piantine di pomodoro. “Magari se tutto questo porterà all’incontro tra umanità e alieni, saremo in grado di offrire loro una bella pianta da portarsi a casa.”

Kevin sorrise a quel pensiero. “Gli alieni sono morti, ricordi? Hanno detto che il loro pianeta era stato distrutto.”

“Ma qualcuno deve aver mandato quel segnale,” disse Phil. “Quindi devono essere sopravvissuti per averlo fatto.”

“Immagino di sì,” disse Kevin, ma lo stesso non aveva particolari speranze al riguardo. E se fossero solo sopravvissuti tanto a lungo da inviare i loro messaggi? E se fossero vissuti qualche anno in più e fossero poi morti in qualche mondo lontano? Il contatto con gli alieni sembrava non avere speranze a lungo termine, proprio come tutto il resto nella sua vita.

“E questo ascensore porta al bunker,” disse Phil, indicando una serie di porte.

“Un bunker?” disse Kevin. “Tipo un bunker nucleare?”

“Nucleare, chimico e biologico,” disse Phil. “L’idea è di averne uno vicino in caso di eventuali guerre, o attacchi, o cose del genere. Ci sono bunker dappertutto, e danno ad alcuni di quelli che hanno maggiore anzianità le chiavi per salvare i ‘migliori o più intelligenti’, se pare che il mondo stia per finire.”

Non sembrava particolarmente felice all’idea. Magari sospettava di non essere parte di quella lista.

“Quindi questi bunker sono dappertutto?” chiese Kevin.

Phil annuì, poi prese il telefono. “C’è una mappa che li indica tutti,” disse, “anche se il professor Brewster non sa che ce l’ho.”

Mostrò a Kevin la mappa ricoperta di puntini rossi. Ce n’era uno proprio sotto di loro, e un altro nascosto a est, nel parco nazionale, sotto a Mount Diablo.

“Quello sembra un posto strano per un bunker,” disse Kevin.

“È perché è lontano dalla città,” rispose Phil. “Significa che è più facile sopravvivere a un attacco. E poi nessuno ne parla, ma in passato facevano delle prove militari lì.”

Suonava come il genere di segreto che Kevin probabilmente non avrebbe dovuto sapere, ma sospettava che anche gli alieni fossero un segreto di quel genere.

“Immagino che comunque non potrei mai entrare in uno dei bunker,” disse Kevin. Non poté evitare di lasciar trasparire una nota di delusione.

“Sei ancora arrabbiato perché il professore ha deciso di tenerti segreto qua dentro?” chiese Phil.

Kevin stava per dire di no, dire quello che ci si aspettava che dicesse, ma la verità era che lui era arrabbiato.

“Non può fare così,” disse. “Gli alieni stanno mandando messaggi al mondo intero. Non dovrebbero sentirli tutti?”

Phil scrollò le spalle. “Il problema è che può. Soprattutto se i suoi capi vogliono tenere tutto quello che fai per utilizzi militari. Questa è una struttura che impegna la ricerca confidenziale, è c’è un sacco di sicurezza. Tenere fuori la gente è facile. Mantenere i segreti, però…”